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La contessa Paola Flaminj
La contessa Paola Flaminj
La contessa Paola Flaminj
E-book119 pagine1 ora

La contessa Paola Flaminj

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Info su questo ebook

Pubblicato nel 1882 dall'editore romano Sommaruga, "La contessa Paola Flaminj" è il primo romanzo del genovese Luigi Arnaldo Vassallo. Sono gli anni in cui Gandolin – questo lo pseudonimo con cui si firma – si fa conoscere come fine umorista, scrivendo sulla rivista Il Capitan Fracassa (da lui fondata). Il presente romanzo non è quindi da meno, rivelando un gusto elegantissimo per l'ironia e un impeccabile humour dal sapore quasi britannico. Ispirandosi al celebre caso giudiziario del processo Fadda (1879), Vassallo racconta la storia della relazione clandestina fra una contessa e un pittore, destinata a concludersi con l'inevitabile vendetta del marito. Un romanzo in cui la gelosia si mescola alla violenza, la giustizia ufficiale a quella ufficiosa, il moralismo e il bigottismo al libertinismo e alla gioia di vivere. Un ottimo affresco della società italiana di fine Ottocento, con tutti i suoi vizi e le sue virtù... -
LinguaItaliano
Data di uscita6 ott 2022
ISBN9788728492451
La contessa Paola Flaminj

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    Anteprima del libro

    La contessa Paola Flaminj - Luigi Arnaldo Vassallo

    La contessa Paola Flaminj

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1882, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728492451

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    LA CONTESSA PAOLA FLAMINJ

    SCENE MODERNE

    I

    IL DELEGATO OVIDIO ROBERTI

    Fa un freddo cane.

    Il vento, a raffiche rabbiose, fischia, ulula, sotto la tettoia della stazione di Firenze. Un’ acquerugiola fine fine, piuttosto un nevischio, cade, di fuori, sulle rotaie, raccogliendosi in rigagnoli e in laghetti melmosi. I fanali, dai vetri appannati e sporchi, mandano sprazzi oscillanti di luce in quella buia solitudine. Due carabinieri, chiusi nei neri mantelli, passeggiano lentamente su e giú per lo scalo, senza scambiarsi una parola. Nei cantoni bui o sopra le panche si scorge la massa bruna, raggomitolata, di qualche facchino o di qualche guardiasale, imbacuccato in pesante pastrano, col bavero sopra gli orecchi.

    Il tintinnare continuo del campanello elettrico annuncia prossimo l’ arrivo del treno di Roma.

    È una brutta serata di febbraio.

    Un guardiano sonnacchioso esce da una sala, afferra la corda della campana e dà uno strappo indolente, facendo vibrare per l’ aria quattro o cinque rintocchi; indi sparisce.

    I facchini insonnoliti sbadigliano, stiracchiano le braccia, si alzano, vanno qua e là, come ebeti, urtando nelle cantonate. S’ ode il grave cigolío delle carrette dei bagagli e degli scaldapiedi. Arriva, frettoloso e raffreddato, lo strillone dei giornali, mettendo in ordine i fogli della sera.

    I due carabinieri si fermano sotto un’ arcata e salutano un signore, che passa quasi correndo, con la bomba sopra gli occhi e il mento nascosto sotto un immenso cravattone, di tinta caffè.

    Buona sera, signor delegato.

    Buona sera! C’ è da prendersi un malanno, giuraddio.

    La stazione si anima, brulica di gente. Viaggiatori, domestici di piazza, fattorini d’ albergo, impiegati, manovali, corrono su e giú, silenziosi, con le mani in tasca e il naso violaceo.

    Il capo-stazione dà la solita occhiata autorevole e passeggia qua e là in disparte, senza parlare con nessuno.

    S’ ode, lontano, il fischio della vaporeria. Risuona la campana. Cresce il numero e il viavai della gente affaccendata sotto la tettoia. Sul fondo buio, cupo, dell’ orizzonte, appaiono due occhietti rossi, che ingrandiscono rapidamente e paiono, in quel nero, gli occhi d’ un mostro.

    Il treno arriva sotto la tettoia.

    I facchini, gli inservienti, dalle mani coperte di untume di foliggine, si slanciano agli sportelli, li aprono rumorosamente, si caricano di fagotti, di valige, di involti, di coperte, di scatoloni, di bauletti. Scendono contadini, artigiani, balie, soldati, carcerati, pretonzoli, dai vagoni di terza classe. Commessi viaggiatori, mercanti, studenti, vecchie signore, impiegatucci si precipitano da quella di seconda. Il deputato, la donnina elegante, il touriste, il banchiere smontano dagli ammezzati di prima classe. Dallo scalpellino in abito stravecchio di fustagno all’ agente di cambio chiuso nella pelliccia, hanno tutti freddo, sonno, desiderio di uscire, al piú presto, dalla stazione.

    Le scatole, le valige, gli altri impicci, ballonzolando qua e là, urtano nei ginocchi e nei polpacci della gente.

    La folla s’ agglomera, si pigia, si urta, si pesta, si spinge contro i cancelli, e rende piú lenta e difficile l’uscita. Chi ha perduto una scatola o un parente, chi non ritrova il biglietto, chi bestemmia e pesta i piedi, chi domanda scusa per qualche cosa e anche a proposito di nulla. La voce monotona dei portieri grida, con meccanica regolarità:

    Biglietto, signori!…. signori, biglietto! Ma la folla non s’ è ancora diradata per metà, che avviene un subbuglio incomprensibile, una specie di panico, uno scompiglio improvviso, che inquieta tutti quanti, senza che si sappia il come, né il perché.

    Arriva, di corsa, uno dei due carabinieri, e, tutto accigliato, grida:

    Chiudete i cancelli: non esca piú nessuno.

    Madonna santa, che è successo?

    Eh! si capisce: avranno rubato qualche cosa.

    Credo, piuttosto, che sia scappato un dei prigionieri.

    Bella porcheria, questa, di far viaggiare i condannati nei treni dei galantuomini!

    Le donne si spaventano. I viaggiatori di prima classe assediano il capo-stazione:

    "Ma si può sapere che diamine sia successo?

    Mica vogliamo dormire nella stazione, perdio!"

    Ma, cari signori, risponde il capo-stazione, mezzo stranito, io ne so meno di loro; adesso, vado a vedere.

    Un inserviente arriva anche lui di corsa, con gli occhi mezzo fuori della testa.

    Bista! gli grida il capo-stazione che è stato?

    Un morto.

    Dove?

    Laggiú, nell’ ultimo vagone di prima classe.

    Un morto?

    Un giovane che s’ è ammazzato.

    Il capo-stazione corre verso quella parte. La folla fa per tenergli dietro; ma ecco carabinieri, facchini e inservienti che pregano i viaggiatori di non muoversi.

    Alla coda del treno si vede un rimescolio confuso di lanternoni, di guardie, di facchini, poi piú nulla.

    Passano cinque o sei minuti tra le piú grandi incertezze. Alcuni curiosi riescono a deludere guardiani e carabinieri, e vanno a ronzare, per vedere o sapere qualche cosa. Le donne sono assalite da brividi convulsi di spavento. I viaggiatori interrogano inutilmente i carabinieri, che si limitano a rispondere:

    Un pochino di pazienza, o signori; si tratta di un caso grave, per la giustizia…. Tra poco, saranno tutti in libertà.

    Ma io grida un piccolo signore irrequieto ho bisogno d’ uscire a tutti i costi; ho fuori gente che mi aspetta. Si tratta d’ affari…..

    Abbia pazienza!

    Pazienza un corno! Sono un cittadino libero, e nessuno ha diritto di trattenermi. È un abuso.

    Caro lei; veda bene che….

    È una prepotenza!

    Ma via! la smetta; non faccia tanto chiasso.

    Oh! la vedremo!…. farò parlare i giornali, farò parlare!

    Il capo-stazione giunge in buon punto per calmare il signore che s’ è messo in testa di far parlare i giornali.

    Arriva pure il delegato di questura che, inavvertito, si mischia tra la folla, piano piano, lanciando rapide occhiate a destra e a sinistra. Poi si ferma dietro una signora, che sta a braccetto a un viaggiatore, cava una scatolina di fiammiferi, e, disponendosi a riaccendere il sigaro, mormora a voce molto bassa:

    Signora Elena!

    La signora si scuote, prova un sussulto leggero, quasi impercettibile, poi, stringendosi ancora piú al braccio del suo compagno, volge intorno, lentamente, due grandi occhi con aria attonita e quasi sbigottita.

    Il delegato scompare.

    Un momento dopo, un facchino della stazione si avvicina ai due viaggiatori e dice loro, sottovoce, rivolgendosi specialmente alla signora:

    "Se hanno fretta d’ uscire, vengano appresso a me: li faccio passare, io, dalla parte del buffet."

    Sí…. sí…. usciamo presto di qui mormora la signora, con un brivido, come persona presa dal freddo.

    Per noi fa lo stesso; aggiunge il signore, lisciandosi i baffi; ma qui c’ è appunto una corrente d’ aria….

    Vengano appresso a me! s’ affretta a dire l’ inserviente, col sorriso dell’ uomo che aspetta una mancia.

    I due viaggiatori, scivolando tra la folla, seguono la guida, e si perdono nella penombra della stazione.

    In fondo alla quale, il facchino socchiude una porta vetrata, e si volge di nuovo, per dire:

    Vengano pure avanti.

    La dama lascia il braccio del cavaliere, si slancia nella sala, con passo rapido e leggero. Ma tosto ella retrocede; si nasconde la faccia, e getta un breve, represso grido di terrore.

    Il viaggiatore la sorregge, e le ridà il braccio, incerto se deva inoltrarsi o retrocedere.

    Rimpetto a loro, lungo disteso, rigido, sopra una panca, illuminato in pieno da un fanale a riverbero, giace il cadavere d’ un giovane, vestito d’ azzurro cupo, col panciotto sbottonato, la faccia livida, gli occhi vitrei e un po’ di sangue nero, in mezzo allo sparato della camicia.

    Passino pure; si facciano avanti; dice una voce eccessivamente gentile, ai due viaggiatori.

    È la voce del delegato.

    Il delegato Roberti è un uomo di età

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