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Una regina della moda
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E-book205 pagine3 ore

Una regina della moda

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Info su questo ebook

"Una regina della moda", pubblicato nel 1857, è uno dei romanzi "contemporanei" di Felice Calvi. Il primo di un trittico, nonché quello di maggior successo, rappresenta una testimonianza dell'ambiente aristocratico lombardo dell'epoca. Il questo romanzo la satira dell'autore ne sottolinea le mode e gli sprechi tipici di questa classe sociale.-
LinguaItaliano
Data di uscita28 ott 2022
ISBN9788728395066
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    Una regina della moda - Felice Calvi

    Una regina della moda

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1857, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728395066

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www sagaegmont com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    I.

    LA DUCHESSA DI SANTA-LUCIA

    Il 26 dicembre 1854, ore sette e mezzo della sera, usciva dal portone di un palazzo posto sul corso di Porta Orientale di Milano un brougham tirato da due cavalli inglesi bajo scuro, che aveva tutti i requisiti per essere del più perfetto buon genere. Sdrajati nei due angoli della carrozza erano due personaggi, che cercherò di tratteggiare. L’uno, oltre i quarant’anni, mirabilmente conservato, aveva fisonomia avvenente: alto, slanciato, con occhi vivaci; nelle maniere una scioltezza, una squisita galanteria dinotanti l’uomo da lunga mano esperto ne’ più sottili artificj della buona compagnia. L’altro, più giovane d’una ventina d’anni almeno, pareva movesse i primi passi su quella scena dove il primo aveva spezzate tante lancie, e ancora si manteneva sicuro del fatto suo. Era di mezzana statura, con due baffetti impeciati all’ ungherese: dal suo portamento, più distinto che disinvolto, traspariva l’antica prosapia, e nel tempo stesso il giovine non ancora perfezionato dalla pratica della società, nè corrotto dall’ alito vivificante ma corrosivo delle passioni.

    — Che te ne pare, Antonio, del mio nuovo cuoco?

    — Sa il suo mestiere, rispose il conte Antonio Biglia, il più attempato dei due fashionables al giovinetto principe Enrico Sforza, con aria spedita; ma mi permetterai di osservare che oggi nel tuo pranzo ha commesso due o tre spropositi indegni d’ un cordon bleu come pretende di essere.

    — Possibile?

    — Non te ne sei accorto? la sua bisque era detestabile, e per soprappiù servi il punch à la romaine fuori di posto. Forse questa sarà colpa del maggiordomo.

    — Eppure anche costui dovrebbe saperla lunga: tu sai, stette dieci anni dal marchese Fiorenza, decantato pel primo anfitrione di Milano.

    — Bravo! commise anch’ egli le sue sviste; versò il Reno prima del Madera. Mio caro, la non è cosa facile il dar un pranzo irreprensibile: tu credi sia come il far all’amore, mio gentile Enrico. Scommetto che tre quarti de’tuoi convitati si scandalizzarono di tante inavvertenze.

    — Non s’arriverà dunque alla perfezione?

    — Ci si arriva senza dubbio, ma ci vuol del tempo e della pazienza. La tua casa, scioltasi per la lunga minorità, ha interrotte le tradizioni; quindi t’è duopo rimontarti di nuovo come fossi un parvenu. Anni fa, uno de’miei amici d’allora, pretendeva che per dar un pranzo bisognava saperlo anche fare, e aveva imparato a cucinare come un cuoco d’ambasciatore.

    — Tu vai spaziando nelle memorie gastronomi che di gioventù: ma a proposito di attualità, che cosa predici dello spettacolo della Scala? Cospetto, sei stato o no alla prova generale?

    — Se ne è già tanto parlato….

    — È vero, ma il tuo parere qual’è?… A meno che per deferenza all’ impresario non ami meglio conservare il segreto dell’ amicizia: però t’avverto che fra un pajo d’ ore sapremo àquoi nous en tenir.

    — Che vuoi, non mi ricordo tanto sfarzo di mise en scène: i cantanti, quantunque de’più rinomati, non mi andarono a genio, eccetto la Chiarini che canta come un angelo; quanto al ballo, tu sai, i balli del Rota hanno sempre qualcosa che alletta, che abbaglia; e poi le ragazze della scuola sfoggiano delle gambe divine. Ah! ma la Chiarini, che bella donna! che occhi, che capelli, che persona! una statua greca, te l’assicuro. La parte della Traviata poi le sta benissimo.

    — E della musica?

    — Farà furore.

    — Dunque le cose andranno a gonfie vele.

    — Oggi forse no, perchè il fiasco è di prammatica; in appresso scommetterei.

    — E dopo lo spettacolo cosa si fa?

    —. Appunto, me ne scordavo: questa mattina lui dalla duchessa di Santa-Lucia, e le annunciai la tua presentazione, che avrà luogo, se hai niente in contrario, stasera a cena da lei.

    — Come, a cena senza una visita prima?

    — Vi andai un po’ presto; era la una e mezzo appena, e mi mandò dire dal cameriere passassi nel gabinetto di toelette; la trovai ché dava gli ultimi tocchi ad una acconciatura del miglior gusto: — Cher comte, mi disse, con voi non faccio complimenti, venite innanzi. — Si, duchessa, purché questa cofidenza non mi faccia la reputazione di sans conséquence, prima del tempo. — Non c’è pericolo, mio caro; e poi, alla larga di voi; non è vero, avete fatto le vostre armi? — Finchè si fu al punto di uscire dal gabinetto per entrare nel contiguo boudoir, e qui venne il difficile, chè la circonferenza dell’abito non le permetteva di introdursi nel vano della porta; fortuna ch’ era là io a prestarle mano forte…. Dall’ una in altra ciancia, lasciai cadere il discorso su te, e le esposi bellamente il tuo e mio desiderio; ella se ne mostrò lietissima, anzi volle le promettessi di condurti con me a cena. — Benchè, aggiunse, ciò vi paja fuor delle regole; ma io, lo sapete, conte, sono superiore a certe pedanterie, e poi saremo en petit comité, assolutamente fra di noi; dunque siamo intesi? — Che cosa si risponde ad una signora che dice cosi? diedi la mia parola e sono certo che tu vi metterai la firma. La duchessa va sui trentaquattro, è vero, ma è pur la gran bella matrona.

    Qui l’ equipaggio s’arrestò sotto il portico del teatro alla Scala, poichè era la solenne apertura della stagione di carnevale.

    Il conte Antonio Biglia ed il principe Enrico Sforza discesero snelli dalla carrozza; entrati nel vestibolo del teatro, imboccarono il corritojo che conduce ai palchi della sinistra, e giunti innanzi all’uscio del proscenio della prima fila, un cameriere levò loro la pelliccia di dosso, e aperse l’uscio della loggia, ove già due o tre lions erano raccolti ad ascoltare le prime note della Traviata del Verdi, che per la prima volta rappresentavasi sulle scene di Milano.

    — Gran folla in teatro? interpellò il Biglia dopo avere stretta la mano ad uno degli amici, mentre voltandosi verso uno specchio magnificamente incorniciato, rassettava la cravatta ed il frak, alquanto scomposti dal soprabito.

    — Le nostre damine fioccarono a due per loggia; esse sono al solito inghirlandate dal Molina, e si bene scollate dalla provvida mano della Carron, che c’è da perderne la testa.

    Queste parole uscivano dalla bocca di un giovine signore attillato con ottimo gusto, e pur senza alcuna affettazione; il quale, stringendo nelle mani un microscopico binocolo, l’andava girando qua e là per la curva del teatro, soffermandosi più o meno, secondo l’interesse che prendeva alla signora che riguardava.

    — Al diavolo i cannocchiali alla duchesse, evviva i nostri pezzi da posizione; cosi dicendo, depose sul tavolino coperto di velluto rosso il cannocchiale, e ne prese uno di immane grandezza, l’applicò agli occhi, e continuò la sua profonda investigazione.

    — Come? la Noati tete à tete col marito: ah! ah! ecco una buona moglie!

    — Ce n’ è ancora il pericolo?

    — Chi non si ricorda le famose campagne del cinquantadue?

    — E le solitarie passeggiate sul lago al chiaror della luna?

    — Senza dubbio suo marito è tanto occupato ad approfondirsi nella storia antica, che non trova il tempo d’apprendere la contemporanea, per quanto interessante.

    — Oh! in quanto al marchese non ha niente da imparare; egli è deciso di amar sua moglie quand même….

    Qui un imperioso zitto, partendo da tutti gli angoli della platea, impose silenzio a quanti ciarlavano, e la sala prese quell’ imponenza di solenne aspettazione che si spande sotto la vôlta maestosa della Scala le prime sere di spettacolo.

    Tutti gli occhi si rivolsero verso lo sfondo della scena a cercarvi la prima donna (Violetta), la quale compariva per la prima volta in faccia al pubblico milanese colla rinomanza di una delle più grandi artiste dell’Europa.

    Al presentarsi della Chiarini non si udi segno di vita fra le compatte file della platea, anzi crebbe il silenzio, come se ciascuno tenesse il respiro.

    Violetta incedeva con passo sicuro in mezzo alla comitiva galante e spensierata de’ suoi adoratori: la sala del festino era dipinta con sapiente magistero, era sfavillante di luce, e splendida per ricchissimo vestiario.

    Si avanzò fin presso la ribalta; la bella creatura abbigliata alla régence, rassomigliava a quelle famose beltà, il cui ritratto ammiriamo smaltato sulle porcellane vieux Saxe, e che fanno invidiare ai La Fare ed ai Richelieu del nostro tempo la fortuna dei bisnonni d’ aver vissuto in un secolo più dissoluto.

    Lo credereste? Alle prime mosse, alle prime note che sgorgarono limpide, appassionate, dall’ugola di quella fortunata mortale, un susurro serpeggiò fra la stipata moltitudine: un susurro che proruppe ben presto in applausi unanimi, di entusiasmo.

    Col brindisi la Chiarini finì di soggiogare i più renitenti, e al calar del sipario dopo il primo atto era giudicata cantante peregrina, attrice piena di sentimento, degna di interpretare la musica del Verdi ad un pubblico che vuole ad ogni costo essere commosso.

    L’opera proseguiva trionfalmente; il tenore fu inteso con piacere, la musica deliziava, rapiva gli uditori, ai quali non restò neppur la voglia di occuparsi del ballo.

    Nell’ultimo atto troviamo la bella peccatrice stesa sul letto, estenuata dalla malattia. La Chiarini, colla persona languidamente leggiadra, le treccie sparse, la fronte pallida, gli occhi dardeggianti come fuoco che si spegne, ritraeva con verità irresistibile la disperazione della moribonda Violetta.

    Nel duetto

    « Parigi, o cara, noi lascercmo »

    spiegò tutto quanto, arte e passione, slancio e potenza di voce e di gesto possono creare di più espressivo, di più straziante; ella fu vera, ella fu sublime, ella fu delirante d’amore.

    E quando, caduto il velo della illusione, si vede la squallida morte farlese incontro gelida, inevitabile come il destino, fuor di sè per l’angoscia (poveretta! era giovine e amava la vita), tale un grido le usci dalle viscere nel ripetere quel versetto che comincia:

    « Gran Dio morir sì giovane

    « Io che penato ho tanto.

    che molte pietose signore diedero veramente in una scoppio di pianto….

    Calata la tela, il buon pubblico, perdendo un po’ la gravità che assume in tali circostanze, inebbriato da forti emozioni, si abbandonò ad una pazza frenesia di battimani.

    Il Biglia e il principino Enrico in tutta la sera non avevano quasi mai lasciato il palco, perchè egli è ammesso solo in via di eccezione il far visite alle signore nelle loro logge rispettive durante la prima rappresentazione della stagione. Qualche minuto dopo finita l’opera scesero nella via, piegarono sotto il porticato del Ricordi, e giunti sulla piccola piazza del Filo-drammatico, trovarono appostata la carrozza. Biglia entrò il primo, poi il principe rivoltosi al cocchiere, susurró: contrada di… palazzo della duchessa di Santa-Lucia; entrò anch’esso nel brougham, e chiudendo fortemente la portiera, si distendeva sul comodo sedile; poi, acceso un cigaro, si pose a fumarlo tranquillamente, come se dovesse passarvi la notte.

    Il cocchiere diede il segnale ai due ponies, che partirono di trotto serrato, bruciando il lastrico delle vie, e facendo di tanto in tanto bestemmiare qualche buon galantuomo che se ne andava pacificamente a dormire i sonni del giusto; di su, di giù a gran trotto per un quarto d’ ora svoltando cantonate, tirando via per corsi, traversando piazze, fino a tanto che la carrozza, giunta assai lontano, sostò d’improvviso, imboccò una gran porta illuminata, e andò a fermarsi sotto ad un magnifico atrio a cui metteva capo uno scalone.

    Il guardaportone, aperto lo sportello porse rispettosamente il braccio ai due signori che smontavano. Il principe diede altri ordini al cocchiere, e tenne dietro al Biglia, il quale calpestava già il soffice tappeto che copriva i gradini della scala, dove trovarono un ambiente tiepido e saturato di profumi.

    — È una fata, questa duchessa? non ho mai visto camelie più belle di quelle che adornano questa scala.

    — Fata no, ma poco le manca; tu hai inteso assai volte parlare di lei, non è vero? ebbene, troverai ancor più di quel che t’aspetti.

    Entrarono in un’ anticamera spaziosa, dove sei staffieri voudrés circondarono i nuovi arrivati con premura, ma senza ressa, per levar loro le pelliccie, e gli invitarono a passare nell’attigua sala, dove quattro camerieri in abito nero e cravatta bianca inchinarono gli ospiti.

    — Il conte Biglia e il principe Sforza, disse il primo di questi ad uno dei camerieri che si era posto innanzi ą lui; e il cameriere, rifacendo un inchino, si fece lor guida.

    Traversarono tre o quattro sale illuminate da lampadari intrecciati di bronzo dorato e di cristallo sul cui pavimento erano tesi tappeti di gran valore nei quali si sprofondava con indicibile voluttà; e giunti ad un’ultima porta, il cameriere, fermandosi sui due piedi, ripetè con voce chiara e intonata: il conte Biglia ed il principe Sforza.

    La duchessa di Santa-Lucia stava sdrajata in una poltrona di raso amaranto; al comparire dei due fashionables chinò lievemente la testa, stese il braccio destro e porse la mano al Biglia, che le era ai fianchi seguito dal suo novizio.

    — Duchessa, ho l’onore di presentarle il principe Enrico Sforza; e si ritirò per lasciare il passo all’amico.

    Il principino si fece innanzi, e comprimendo leggermente la falda del cappello contro la coscia, trinciò un inchino.

    — Devo assolutamente esser grata qui a Biglia; egli si è proprio fitto in capo di rendere il mio salon il più brillante di Milano.

    Il giovine eroe, cui l’eloquenza non era il dono onde natura l’avesse maggiormente favorito, rispose con una di quelle frasi vaghe e triviali che non sono veramente una sciocchezza, ma le somigliano molto: fatto è che fu beato quando potè impadronirsi di una seggiola e mettersi a sedere.

    — Immaginatevi, continuò la Santa-Lucia, che mentre entravate voi, Pusterla pretendeva che la Chiarini fosse il ritratto dell’imperatrice Eugenia.

    Il Pusterla era una specie di attaché in riposo che, dopo aver corso mezzo le capitali d’Europa, e tutti quanti gli stabilimenti di bagni da Baden-Baden, venendo giù fino a Recoaro, per tutta rimembranza delle antiche campagne diplomatiche portava all’occhiello il nastro di non so qual ordine conferitogli da un principotto della Confederazione Germanica.

    — Domando scusa, duchessa, dico che le fattezze della Chiarini sono per altro assai più regolari.

    — A momenti potrete continuare le vostre osservazioni con tutto comodo, poiché la Chiarini stessa m’ha dato parola di venir da me a passar parte della notte.

    Enfin, duchessa, la nostra Eugenia ha l’air beaucoup plus distingué: oh! elle est très-grande dame, conchiudeva il barone Novello, il quale, cremonese per nascita, a furia di essere cosmopolita, non sapeva più nemmanco lui a che nazione appartenesse.

    — Chi ne dubita, caro mio? ma la questione non è questa….

    Pardon, duchessa, c’est mon avis.

    In questo punto la cappa pera si presentò

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