Le parole che salveranno il mondo
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La cura del creato, l’economia “integrale” al servizio dell’uomo, la pace, ma anche la gioia della fede: Papa Francesco ha dato al suo pontificato una forte impronta innovativa, proponendo con insistenza una serie di temi centrali sia per i cattolici, sia per il mondo contemporaneo in genere, che sono diventati il fulcro del suo messaggio. Per comunicare in modo semplice ed efficace, papa Bergoglio fa ruotare la sua predicazione attorno a una serie di espressioni-chiave, capaci di ispirare e di indirizzare la vita pubblica e privata dei credenti. Questo libro raccoglie tutte le “parole che cambiano il mondo”, veri e propri distillati del messaggio di Francesco, tratti dai suoi discorsi o dalle sue preghiere. Un prezioso esempio di speranza che ci accompagna giorno per giorno, aiutandoci a ritrovare la pace e la serenità.
Leggere ogni giorno una parola di speranza è il modo migliore per ritrovare la motivazione e la serenità
Tra gli argomenti trattati:
• la speranza che non delude
• credere nell’impossibile
• il risveglio della gioia
• viviamo di misericordia
• riconsegnare il tempo a Dio
• l’impronta nella storia
• rivoluzione e memoria
• l’amore resta
• una mano verso l’altra
• tempo di grazia
• la pace disarmata
• la verità è un modo di esistere
Papa Francesco
È stato eletto il 13 marzo 2013 266mo Vescovo di Roma e papa della Chiesa Cattolica Romana con il nome di Francesco.
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Anteprima del libro
Le parole che salveranno il mondo - Papa Francesco
1. La speranza che non delude
Le parole da bandire
Riecheggia in tutto il mondo l’annuncio della Chiesa: «Gesù Cristo è risorto!»; «È veramente risorto!».
Come una fiamma nuova, questa Buona Notizia si è accesa nella notte: la notte di un mondo già alle prese con sfide epocali che mettono a dura prova la nostra grande famiglia umana. In questa notte è risuonata la voce della Chiesa: «Cristo, mia speranza, è risorto!».
È un altro contagio
, che si trasmette da cuore a cuore, perché ogni cuore umano attende questa Buona Notizia. È il contagio della speranza: «Cristo, mia speranza, è risorto!». Non si tratta di una formula magica, che faccia svanire i problemi. La risurrezione di Cristo non è questo. È invece la vittoria dell’amore sulla radice del male, una vittoria che non scavalca
la sofferenza e la morte, ma le attraversa aprendo una strada nell’abisso, trasformando il male in bene: marchio esclusivo del potere di Dio. Il Risorto è il Crocifisso, non un altro. Nel suo corpo glorioso porta indelebili le piaghe: ferite diventate feritoie di speranza. A Lui volgiamo il nostro sguardo perché sani le ferite dell’umanità afflitta.
[…] Il coronavirus ci ha privato non solo degli affetti, ma anche della possibilità di attingere di persona alla consolazione che sgorga dai sacramenti, specialmente dell’Eucaristia e della Riconciliazione. In molti Paesi non è stato possibile accostarsi a essi, ma il Signore non ci ha lasciati soli! Rimanendo uniti nella preghiera, siamo certi che Egli ha posto su di noi la sua mano (cfr. Sal 138,5), ripetendoci con forza: non temere, «sono risorto e sono sempre con te»!
[…] In queste settimane, la vita di milioni di persone è cambiata all’improvviso. Per molti, rimanere a casa è stata un’occasione per riflettere, per fermare i frenetici ritmi della vita, per stare con i propri cari e godere della loro compagnia. Per tanti però è anche un tempo di preoccupazione per l’avvenire che si presenta incerto, per il lavoro che si rischia di perdere e per le altre conseguenze che l’attuale crisi porta con sé. Incoraggio quanti hanno responsabilità politiche a adoperarsi attivamente in favore del bene comune dei cittadini, fornendo i mezzi e gli strumenti necessari per consentire a tutti di condurre una vita dignitosa e favorire, quando le circostanze lo permetteranno, la ripresa delle consuete attività quotidiane.
Non è questo il tempo dell’indifferenza, perché tutto il mondo sta soffrendo e deve ritrovarsi unito. Gesù risorto doni speranza a tutti i poveri, a quanti vivono nelle periferie, ai profughi e ai senza tetto. Non siano lasciati soli questi fratelli e sorelle più deboli, che popolano le città e le periferie di ogni parte del mondo. […] Non è questo il tempo degli egoismi, perché la sfida che stiamo affrontando ci accomuna tutti e non fa differenza di persone. Tra le tante aree del mondo colpite dal coronavirus, rivolgo uno speciale pensiero all’Europa. Dopo la seconda guerra mondiale, questo continente è potuto risorgere grazie a un concreto spirito di solidarietà che gli ha consentito di superare le rivalità del passato. È quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda. Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni.
Non è questo il tempo delle divisioni. Cristo nostra pace illumini quanti hanno responsabilità nei conflitti, perché abbiano il coraggio di aderire all’appello per un cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo. Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite. Sia invece il tempo in cui portare finalmente a termine la lunga guerra che ha insanguinato l’amata Siria, il conflitto in Yemen e le tensioni in Iraq, come pure in Libano. Sia questo il tempo in cui israeliani e palestinesi riprendano il dialogo, per trovare una soluzione stabile e duratura che permetta a entrambi di vivere in pace. Cessino le sofferenze della popolazione che vive nelle regioni orientali dell’Ucraina. Si ponga fine agli attacchi terroristici perpetrati contro tante persone innocenti in diversi Paesi dell’Africa.
Non è questo il tempo della dimenticanza. La crisi che stiamo affrontando non ci faccia dimenticare tante altre emergenze che portano con sé i patimenti di molte persone. Il Signore della vita si mostri vicino alle popolazioni in Asia e in Africa che stanno attraversando gravi crisi umanitarie, come nella provincia di Cabo Delgado, nel Nord del Mozambico. Riscaldi il cuore delle tante persone rifugiate e sfollate a causa di guerre, siccità e carestia. Doni protezione ai tanti migranti e rifugiati, molti dei quali sono bambini, che vivono in condizioni insopportabili, specialmente in Libia e al confine tra Grecia e Turchia. E non voglio dimenticare l’isola di Lesbo. Permetta, in Venezuela, di giungere a soluzioni concrete e immediate, volte a consentire l’aiuto internazionale alla popolazione che soffre a causa della grave congiuntura politica, socio-economica e sanitaria.
Indifferenza
, egoismo
, divisione
e dimenticanza
non sono davvero le parole che vogliamo sentire in questo tempo. Vogliamo bandirle da ogni tempo! Esse sembrano prevalere quando in noi vincono la paura e la morte, cioè quando non lasciamo vincere il Signore Gesù nel nostro cuore e nella nostra vita. Egli, che ha già sconfitto la morte aprendoci la strada dell’eterna salvezza, disperda le tenebre della nostra povera umanità e ci introduca nel suo giorno glorioso che non conosce tramonto.
Sono sicuro che Dio mi ama?
Fin da piccoli ci viene insegnato che non è una bella cosa vantarsi. Nella mia terra, quelli che si vantano li chiamano pavoni
. Ed è giusto, perché vantarsi di quello che si è o di quello che si ha, oltre a una certa superbia, tradisce anche una mancanza di rispetto nei confronti degli altri, specialmente verso coloro che sono più sfortunati di noi. In un passo della Lettera ai Romani, però, l’apostolo Paolo ci sorprende, in quanto per ben due volte ci esorta a vantarci. Di cosa allora è giusto vantarsi? Perché se lui esorta a vantarsi, di qualcosa è giusto vantarsi. E come è possibile fare questo, senza offendere gli altri, senza escludere qualcuno?
Nel primo caso, siamo invitati a vantarci dell’abbondanza della grazia di cui siamo pervasi in Gesù Cristo, per mezzo della fede. Paolo vuole farci capire che, se impariamo a leggere ogni cosa con la luce dello Spirito Santo, ci accorgiamo che tutto è grazia! Tutto è dono! Se facciamo attenzione, infatti, ad agire – nella storia, come nella nostra vita – non siamo solo noi, ma è anzitutto Dio. È Lui il protagonista assoluto, che crea ogni cosa come un dono d’amore, che tesse la trama del suo disegno di salvezza e che lo porta a compimento per noi, mediante il suo Figlio Gesù. A noi è richiesto di riconoscere tutto questo, di accoglierlo con gratitudine e di farlo diventare motivo di lode, di benedizione e di grande gioia. Se facciamo questo, siamo in pace con Dio e facciamo esperienza della libertà. E questa pace si estende poi a tutti gli ambiti e a tutte le relazioni della nostra vita: siamo in pace con noi stessi, siamo in pace in famiglia, nella nostra comunità, al lavoro e con le persone che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino.
Paolo però esorta a vantarci anche nelle tribolazioni. Questo non è facile da capire. Ci risulta più difficile e può sembrare che non abbia niente a che fare con la condizione di pace appena descritta. Invece ne costituisce il presupposto più autentico, più vero. Infatti, la pace che ci offre e ci garantisce il Signore non va intesa come l’assenza di preoccupazioni, di delusioni, di mancanze, di motivi di sofferenza. Se fosse così, nel caso in cui riuscissimo a stare in pace, quel momento finirebbe presto e cadremmo inevitabilmente nello sconforto. La pace che scaturisce dalla fede è invece un dono: è la grazia di sperimentare che Dio ci ama e che ci è sempre accanto, non ci lascia soli nemmeno un attimo della nostra vita. E questo, come afferma l’apostolo, genera la pazienza, perché sappiamo che, anche nei momenti più duri e sconvolgenti, la misericordia e la bontà del Signore sono più grandi di ogni cosa e nulla ci strapperà dalle sue mani e dalla comunione con Lui.
Ecco allora perché la speranza cristiana è solida, ecco perché non delude. Non è fondata su quello che noi possiamo fare o essere, e nemmeno su ciò in cui noi possiamo credere. Il suo fondamento, cioè il fondamento della speranza cristiana, è ciò che di più fedele e sicuro possa esserci, vale a dire l’amore che Dio stesso nutre per ciascuno di noi. È facile dire: «Dio ci ama». Tutti lo diciamo. Ma pensate un po’ se ognuno di noi è capace di dire: «Sono sicuro che Dio mi ama?». Non è tanto facile dirlo. Ma è vero. È un buon esercizio, questo, dire a sé stessi: «Dio mi ama». Questa è la radice della nostra sicurezza, la radice della speranza. E il Signore ha effuso abbondantemente nei nostri cuori lo Spirito – che è l’amore di Dio – come artefice, come garante, proprio perché possa alimentare dentro di noi la fede e mantenere viva questa speranza. E questa sicurezza: Dio mi ama. «Ma in questo momento brutto?»: Dio mi ama. «E a me, che ho fatto questa cosa cattiva?»: Dio mi ama. Quella sicurezza non ce la toglie nessuno. E dobbiamo ripeterlo come preghiera: «Sono sicuro che Dio mi ama», «Sono sicura che Dio mi ama».
Sperare come profeti
Sperare è un bisogno primario dell’uomo: sperare nel futuro, credere nella vita, il cosiddetto pensare positivo
. Ma è importante che tale speranza sia riposta in ciò che veramente può aiutare a vivere e a dare senso alla nostra esistenza. È per questo che la Sacra Scrittura ci mette in guardia dalle false speranze che il mondo ci presenta, smascherando la loro inutilità e mostrandone l’insensatezza. E lo fa in vari modi, ma soprattutto denunciando la falsità degli idoli in cui l’uomo è continuamente tentato di riporre la sua fiducia, facendone l’oggetto della sua speranza.
In particolare i profeti e sapienti insistono su questo, toccando un punto nevralgico del cammino di fede del credente. Perché fede è fidarsi di Dio – chi ha fede, si fida di Dio –, ma viene il momento in cui, scontrandosi con le difficoltà della vita, l’uomo sperimenta la fragilità di quella fiducia e sente il bisogno di certezze diverse, di sicurezze tangibili, concrete. Io mi affido a Dio, ma la situazione è un po’ brutta e io ho bisogno di una certezza un po’ più concreta. E lì è il pericolo! E allora siamo tentati di cercare consolazioni anche effimere, che sembrano riempire il vuoto della solitudine e lenire la fatica del credere. E pensiamo di poterle trovare nella sicurezza che può dare il denaro, nelle alleanze con i potenti, nella mondanità, nelle false ideologie. A volte le cerchiamo in un dio che possa piegarsi alle nostre richieste e magicamente intervenire per cambiare la realtà e renderla come noi la vogliamo; un idolo, appunto, che in quanto tale non può fare nulla, impotente e menzognero. Ma a noi piacciono gli idoli, ci piacciono tanto!
Una volta, a Buenos Aires, dovevo andare da una chiesa a un’altra, un chilometro, più o meno. E l’ho fatto camminando. C’è un parco in mezzo, e nel parco c’erano piccoli tavolini, tanti, dove erano seduti i veggenti. Era pieno di gente, che faceva anche la coda. Tu gli davi la mano e lui incominciava, ma il discorso era sempre lo stesso: c’è una donna nella tua vita, c’è un’ombra che viene, ma tutto andrà bene… E poi, pagavi. Questo ti dà sicurezza? È la sicurezza di una – permettetemi la parola – stupidaggine. Andare dal veggente o dalla veggente che leggono le carte: questo è un idolo! Questo è l’idolo, e quando noi vi siamo tanto attaccati compriamo false speranze. Mentre di quella che è la speranza della gratuità, che ci ha portato Gesù Cristo, dando gratuitamente la vita per noi, di quella a volte non ci fidiamo tanto.
Un Salmo pieno di sapienza ci dipinge in modo molto suggestivo la falsità di questi idoli che il mondo offre alla nostra speranza e a cui gli uomini di ogni tempo sono tentati di affidarsi. È il Salmo 115, che così recita:
I loro idoli sono argento e oro,
opera delle mani dell’uomo.
Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono,
hanno orecchi e non odono,
hanno narici e non odorano.
Le loro mani non palpano,
i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni!
Diventi come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida! (Sal 115,4-8).
Il salmista ci presenta, in modo anche un po’ ironico, la realtà assolutamente effimera di questi idoli. E dobbiamo capire che non si tratta solo di raffigurazioni fatte di metallo o di altro materiale, ma anche di quelle costruite con la nostra mente, quando ci fidiamo di realtà limitate che trasformiamo in assolute, o quando riduciamo Dio ai nostri schemi e alle nostre idee di divinità; un dio che ci assomiglia, comprensibile, prevedibile, proprio come gli idoli di cui parla il Salmo. L’uomo, immagine di Dio, si fabbrica un dio a sua propria immagine, ed è anche un’immagine mal riuscita: non sente, non agisce, e soprattutto non può parlare. Ma noi siamo più contenti di andare dagli idoli che di andare dal Signore. Siamo tante volte più contenti dell’effimera speranza che ti dà questo falso idolo, che della grande speranza sicura che ci dà il Signore.
Alla speranza in un Signore della vita che con la sua Parola ha creato il mondo e conduce le nostre esistenze, si contrappone la fiducia in simulacri muti. Le ideologie con la loro pretesa di assoluto, le ricchezze – e questo è un grande idolo –, il potere e il successo, la vanità, con la loro illusione di eternità e di onnipotenza, valori come la bellezza fisica e la salute, quando diventano idoli a cui sacrificare ogni cosa, sono tutte realtà che confondono la mente e il cuore, e invece di favorire la vita conducono alla morte. È brutto sentire, e fa dolore all’anima, quello che una volta, anni fa, ho sentito nella diocesi di Buenos Aires: una donna brava, molto bella, si vantava della bellezza, commentava come se fosse naturale: «Ho dovuto abortire perché la mia figura è molto importante». Questi sono gli idoli, e ti portano sulla strada sbagliata, non ti danno felicità.
Il messaggio del Salmo è molto chiaro. Se si ripone la speranza negli idoli, si diventa come loro: immagini vuote con mani che non toccano, piedi che non camminano, bocche che non possono parlare. Non si ha più nulla da dire, si diventa incapaci di aiutare e cambiare le cose, incapaci di sorridere, di donarsi, incapaci di amare. E anche noi, uomini di Chiesa, corriamo questo rischio quando ci mondanizziamo
. Bisogna rimanere nel mondo ma difendersi dalle illusioni del mondo, che sono questi idoli che ho menzionato.
Come prosegue il Salmo, bisogna confidare e sperare in Dio, e Dio donerà benedizione. Così dice:
Israele, confida nel Signore […]
Casa di Aronne, confida nel Signore […]
Voi che temete il Signore, confidate nel Signore […]
Il Signore si ricorda di noi, ci benedice
(Sal 115,9-12).
Sempre il Signore si ricorda. Anche nei momenti brutti lui si ricorda di noi. E questa