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Il Siberiano
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E-book280 pagine2 ore

Il Siberiano

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Info su questo ebook

Sono stato tradito dal mio migliore amico.
Maksim non ha ben chiaro contro chi ha dichiarato guerra.
È giunto il momento di un cambio al vertice, di pagare per i propri errori.
Lacrime di sangue righeranno le guance della sua bella Katerina.
Non supererà mai il dolore che gli infliggerò. Ha avuto l’audacia di tradirmi ancora, ma scoprirà sulla sua pelle che sarebbe stato meglio non essere ritrovati dal Siberiano.
LinguaItaliano
Data di uscita14 dic 2015
ISBN9788892528871
Il Siberiano

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    Anteprima del libro

    Il Siberiano - Giovanna Roma

    PROLOGO

    Oggi.

    Le catene stringono forte intorno ai miei polsi. La testa pende ciondoloni tra le braccia tremanti. Alzo il capo e scopro il collo indolenzito. Un occhio fatica ad aprirsi e l’altro brucia per le gocce di sudore. È molto buio intorno a me, se non per una piccola fessura sulla parete sinistra di questa lurida cella. L’oscurità è così fitta che quel bagliore non è sufficiente a darmi un’idea dello spazio circostante. Probabilmente mi trovo in un vecchio magazzino abbandonato o in una stalla per animali. Il terreno è ricoperto di paglia umida e il fetore dà il voltastomaco. Tento di muovere il corpo, quando mi rendo conto che le braccia sono rette in alto da lunghe catene. Lo sforzo di tenerle sospese in aria non fa defluire bene il sangue, per questo tremano. Un liquido caldo scivola dai polsi fino alle ascelle. Non saprei dire se si tratti di sangue o sudore. Mi fa male tutto e la gamba sinistra non risponde come dovrebbe. La muovo appena. Lo stomaco pare rientrarmi in dentro per la fame. Da quant’è che non mangio? Sono troppo debole per tirarmi su e lascio il piede abbandonato a terra. Tutto il mio peso è sulla gamba sana. Fa un caldo micidiale, non si respira. Se mi lasciassi cadere, le catene potrebbero spezzarmi le braccia. Avverto un dolore pungente alla schiena, però non saprei dire perché. Non ricordo cosa indossavo, ma certamente non sono uscito da casa in questo stato. La canottiera un tempo bianca, ora è macchiata di terriccio e sangue. I pantaloni sono strappati in diversi punti, gli anfibi sono ricoperti di fango. Dev’essere molto che qualcuno mi ha incatenato, perché i capelli sono cresciuti, coprono gli occhi e credo anche di essermi arreso a trattenere la vescica. Quando scoverò il bastardo che mi tiene segregato in questo schifo, gli farò ingoiare le palle dopo averlo fatto sodomizzare.

    Lancio un urlo animale dettato dal dolore, dalla frustrazione e soprattutto dall’impotenza.

    Lo spioncino della porta si apre con un secco rumore metallico. Un volto paffuto, uno sguardo arcigno controlla l’interno della cella. La rabbia mi fa respirare male, monta nel petto come un toro imbizzarrito. Tiro le catene e un dolore lancinante alle braccia mi fa urlare ancora di più.

    «Ya skoro umru, shramy.¹ »

    1.

    Due settimane prima.

    Le tengo i polsi inchiodati sul putrido materasso a terra, impedendole di muoversi, di resistermi. Il giaciglio è talmente mal ridotto che avverto subito la dura pietra del pavimento sotto le sue quattro ossa. Mi ritraggo e poi affondo di nuovo, facendola sobbalzare per la violenza. È una ragazzina minuta e spaventata. Occhi grandi, labbra tremolanti. Doveva ricordarmi lei. Triste, vero? L’avevo scelta apposta tra le tante puttane rapite all’Izmailovskaja di Mosca. Bionda, esile, occhi grandi. Il seno è un po’ più piccolo e la fronte troppo spaziosa. Le labbra di Katerina erano piene, succose, la sua schiena si arcuava quando la penetravo e le sue unghie si conficcavano nella mia pelle tutte le volte che godeva. Non piangeva neanche allo stesso modo: il suo era un mix di piacere e paura, questo è lo strillo di una sirena dell’ambulanza.

    Ogni tanto la ragazzina lascia cadere l’occhio lacrimante verso le sbarre della finestra. Se crede che qualcuno passerà a salvarla si sbaglia di grosso. Speravo che prenderla nella stessa umida cella dove avevo violentato lei, avrebbe reso più facile eccitarmi, ma non è così. Le lancio uno sguardo feroce perché smetta subito di frignare. Con una mano le tappo la bocca. È talmente minuta che devo tenere le dita aperte per non chiuderle gli occhi e il naso. So che alcuni dell’Izmailovskaja praticano la necrofilia, però io amo le reazioni delle mie vittime. Il terrore nei loro occhi scatena l’adrenalina e la mia brama di potere. Più avverto la paura nei loro sguardi, più io mi rafforzo. Non vi sarebbe caccia altrimenti e il divertimento andrebbe a farsi benedire. Con la mano libera le sollevo una gamba e la allaccio dietro la mia schiena. Da sola capisce di dover muovere anche l’altra.

    «Resta così, stronzetta. Ora ci divertiamo.» Comincio a pompare dentro di lei, rude, violento, con ritmo regolare. Il modo in cui mi guarda e risponde ai miei affondi mi indispone parecchio. Dov’è la lotta? Dove sono le unghie conficcate nelle spalle? Non urla nemmeno perché abbia misericordia della sua tenera età. Le mani di lei erano solite percorrere i miei dorsali, i miei bicipiti gonfi, il mio petto sudato premuto pesantemente contro il suo. Adoravo sentire vibrare le sue dita e quando le riportava sul mio volto, godevo nel tenerla imprigionata sotto di me. La rabbia di avere il corpo sbagliato guida i miei movimenti in questa semi oscurità. Rivoglio indietro la sua lingua mentre percorre la mia pelle, uno strumento di piacere per qualunque uomo. Muoio di fame privandomi dell’impagabile gioco di torturarla con tutto me stesso piantato nelle sue profondità, senza permetterle di godere finché non sono io a deciderlo. Un altro affondo e la testa le cade sulla fredda pietra del pavimento.

    Che diavolo sto facendo?

    Il mio corpo agisce, però la mente è altrove. Forse devo stordirmi di più. Afferro di nuovo la bottiglia di Fuoco di Russia² e bevo a canna sino a svuotarla. Per quanto mi sforzi, per quanto provi a concentrarmi, a fingere che sia lei, non arrivo a soddisfarmi pienamente.

    Non è mai lei.

    Nessuna è lei.

    È la quinta volta da stamattina che la mia lussuria giace insoddisfatta sul bordo del precipizio. Serve quella giusta per saltare giù. Come posso farmi questo? Accontentarmi di uno scarto. La ragazzina ha troppi difetti, e il primo fra tutti è non essere la mia Kate. Esco dal suo insulso corpo con rabbia e la butto fuori dal materasso. Sto impazzendo, mentre mi passo le mani fra i capelli. Voglio lei, voglio scoparla, divorarla, sottometterla com’è giusto che sia.

    «’Fanculo, non servi a niente… Akim!» sbraito alla guardia delle celle sotterranee. Un ragazzetto ingaggiato da poco e sempre accompagnato da un supervisore. I suoi occhi mostrano sorpresa nel vedermi con le braghe calate… o forse è la dimensione a impressionarlo? La maggior parte dei miei dipendenti è ormai abituata a certe scene.

    «Portala da Igor e digli di passarla alla Solntsevskaja. La venderanno assieme alle altre.» Potrei piazzarla sul mercato da solo, però così sono certo che finirà sotto il naso di Katerina e saprà che l’ho avuta nel mio letto. Deve rodere per non essere rimasta con me. Ha preferito tornare a Mosca anziché restare al mio fianco. Non le dirò mai quanto la lontananza del suo corpo mi tormenti, né le permetterò di muovermi come un burattino. Nella mafia i giochi seguono regole precise: le mie. Se io la voglio, lei dev’essere qui. Ormai spreco il mio tempo con queste sciacquette. La prossima volta che verrò, sarà dentro quella giusta. Richiudo la zip dei pantaloni e torno al piano superiore.

    Un altro mondo.

    Qui la raffinatezza e il lusso regnano sovrani. Dopo l’incendio appiccato dagli uomini di Josif, per strapparmi via Katerina, ho dovuto ricostruire tutto. Attraverso la sala da pranzo arredata con mobili di legno, ampie finestre prive di tende ed entro in cucina. Mi preparo un panino proprio nel punto dove Kate mi aveva pregato di passare del tempo a letto insieme. Sembra ieri quando assaporava quelle fragole in modo tanto lascivo, seduta su questa stessa sedia. Le bastava un nonnulla per farmelo rizzare come si deve.

    Maledetta.

    Non solo si è insidiata nella mia mente, ma occupa gran parte delle mie giornate. Tutti i miei gesti sono rallentati dal suo fantasma. Prima di vestirmi, passo mezz’ora fermo in piedi davanti al letto. Ripenso agli innumerevoli piaceri che potrei trarre dal suo corpo. La piegherei affondando i denti nel suo collo. Le impedirei di godere, mentre osservo estasiato i suoi occhi pregarmi di farla venire. La soffocherei col mio desiderio, fino a distruggerla. Pezzo dopo pezzo. Se devo scrivere una lettera, poso le mani sul tavolo per un’ora. Proprio nell’angolo sinistro dove l’ho presa più volte. Mentirei se dicessi che è la mia ossessione. È un’urgenza, un assordante silenzio che non riesco a riempire, un prurito sulla pelle. Posso scorticarmi fino a sanguinare, ma lei resta lì. Indelebile.

    Ho bisogno di una doccia fredda.

    Dopo la morte di Josif, Katerina è stata costretta a tornare nella sua organizzazione per non creare ingestibili gruppi anarchici. Il loro insorgere avrebbe portato il disordine in tutto il paese. È già un mese che non la vedo. Trenta giorni trascorsi tra la mano destra e puttane insoddisfacenti. Se non altro i miei informatori la tengono d’occhio. Pare che stia studiando e l’opinione della Solntsevskaja su di lei migliori di giorno in giorno. Non la vedono più come una ragazzina sprovveduta.

    Terminato il pasto, entro nelle mie stanze per prepararmi all’incontro di stasera. Il Gran Consiglio dei Pakhan si riunirà per decidere chi succederà a Josif nella Izmailovskaja. Niente può spaventare quei vecchi derelitti più di un’insurrezione. Esercitare il controllo è vitale per loro, perciò arriveranno da tutto il mondo. Se un anello della catena è debole, molti accordi e alleanze saltano in aria. Dobbiamo assicurarci che questo non succeda. Sono certo che ci sarà anche lei stasera. Indosso il mio smoking migliore e salgo a bordo della mia elegante Volvo. Non sono abituato a simili stronzate, gli accordi si sono sempre presi in un solo modo: mitra e denaro. Le trattative si decidono con un esercito alle spalle, fuoristrada pronti all’inseguimento e cecchini sui tetti. A un incontro d’affari tra mafiosi ci si veste comodi, non agghindati per inscenare una sfilata. Altra perdita di tempo e oggi siamo già a due.

    Parcheggio nel giardino della Mansion Muromtzevo, un vecchio castello gotico tra Murom e Vladimir. Ricorda molto i palazzi europei con le loro torrette francesi, le finestre bifore e i balconi appariscenti. Nonostante gli anni appare ancora forte all’esterno. Le tegole rosse colorano i tetti spioventi e le piante rampicanti sul lato destro lo fanno sembrare un rudere inquietante.

    Diversi invitati sono già arrivati. Riconosco le loro auto: la Porsche Boxster di Xiong, molto anni ’60; la Rolls-Royce di Gustav e la Berlinetta di Kate. Fiancheggio lo scheletro del grande stagno e una fila di vasche circolari talmente vaste da poterle navigare. L’oscurità della notte è attenuata da citronella o candele sui muretti di pietra più bassi. Formano un percorso che conduce verso un portone di legno alto almeno tre metri. Raggiunta l’entrata, un usciere mi riconosce e mi lascia passare con un inchino. Poco più avanti un gorilla obbliga tutti gli ospiti a svuotare le tasche da pistole o coltelli in una coppa d’oro e passare sotto un metal detector. Terza perdita di tempo della giornata: tutti sanno come raggirare gli ostacoli ed entrare armati. Torce in bamboo affisse alle pareti illuminano l’interno, rendendo spettrali le volte a crociera costolonata e i ricchi capitelli.

    «Da questa parte Pakhan», mi indica un uomo in giacca e cravatta.

    Il castello è di proprietà degli Stanislav, un’antica famiglia di armatori. Sono loro a concederlo per occasioni importanti come questa e c’è un perché. Osservando lo svolgersi degli eventi dall’alto, quasi in una posizione neutrale, capiranno a chi vendere, quale tipo d’arma e a quale prezzo. Tutto è mercato e ovunque è il guadagno.

    Nel grande salone, un tempo adibito a sala da ballo, si consuma l’aperitivo celando rancori verso gli altri ospiti. Se non fosse per la crisi imminente nella quale ci sta buttando l’Izmailovskaja, saremmo tutti pronti a tagliare la gola al nostro vicino e rubargli il mercato. Questi falsi sorrisi, le strette di mano cortesi, sono più insidiosi di un comune scambio di coca con i peruviani. Sono infidi e doppiogiochisti, nascondono i loro interessi dietro un Armani. Io stesso celo la mia vera indole con giacca e cravatta. Non siamo civili, nessuno di noi segue le regole. Semplicemente non ci riguardano. Io, per esempio, sono sempre stato un uomo che vive per violare la legge, per minacciare e distruggere.

    Dall’altra parte del salone intravedo una donna con i capelli neri lunghi fino alle spalle. Da qui ho una perfetta visione della sua figura slanciata e devo dire che è terribilmente attraente nel suo abito nero. Dimostra fiducia in se stessa e di avere il rispetto di chi la circonda. Nella mia testa immagino già di immergermi tre le sue cosce. Non riesco a vederla in faccia. Un velo nero di pizzo la copre fino al mento, lasciando emergere solo il rosso acceso del suo rossetto. A ogni modo dubito di conoscerla. Da come si atteggia e sorride, dev’essere la nuova amante di Wilson, un cinquantenne magro, dalla testa rasata e a capo della mafia inglese. Bè, gli accordi dureranno molte ore e il vecchio potrebbe schiacciare un riposino, mentre io mi diverto con lei. Quelle labbra non possono essere gustate solo da lui. È conturbante il modo in cui le muove, dà l’idea di una donna forte e sensuale. Ha quel tipo di bocca che, non importa cosa sputi fuori, qualsiasi uomo penserebbe solo al sesso. Le sue dita sono avvolte in modo delicato lungo il gambo sottile di un calice e penso a quanto starebbero bene intorno alla mia grossa mazza. Lo sguardo scende sulle linee morbide dei suoi fianchi, per poi immaginarli sotto le mie mani rudi. Lascio che le visioni di quella pelle di porcellana mi distraggano. Chissà se è già bagnata e qual è il suo sapore.

    Continua a sorridere a Wilson, mentre io la spoglio con gli occhi e la mente. Credo di aver trovato qualcuna che potrebbe sostituire quella stupida puttanella, almeno per un po’. Occorre tutto il mio autocontrollo per non trascinarla nel bagno delle signore.

    Sorrido affettato nel momento in cui la scena mi attraversa la mente.

    Dalla porta accanto vedo venire fuori Aleksei, il mio ultimo mastino deportato direttamente dalle carceri russe. Purtroppo mi individua in fretta, strappandomi alle fantasie sulla serata con la dama misteriosa. Perché diamine insisto a portarmi il lavoro dietro?

    «Pakhan, gli uomini sono pronti.»

    Siamo una miccia troppo vicina al fuoco. In giardino si respirano pace e tranquillità, in questo salone l’atmosfera sembra serena, ma fuori dalle mura ognuno di noi ha un esercito di uomini pronti a far fuoco al più piccolo e infido segnale.

    Che la festa cominci.

    2.

    La mia prima missione non è stata una passeggiata. Mandando giù un moto di disgusto, ho preso parte a quella che in gergo è chiamata: Pulizia. Chi non paga, chi non osserva le regole dell’organizzazione o chi fa la spia, deve essere punito in modo esemplare. Le possibilità possono essere molteplici, in fondo sono persone davvero fantasiose: impiccagione nella pubblica piazza, cranio fracassato col martello davanti ai parenti, una bomba nella macchina o un proiettile nella testa. Ricordo ancora il panico stringermi il petto, le forti pulsazioni alle tempie e la disperazione delle mie prime vittime. Dovevo solo rimanere lì a guardarle crepare. Non potevo chiudere gli occhi senza tremare per la paura che nuove scene violente attraversassero come schegge la mia mente. Mi rifiutavo di dormire. L’adrenalina era costantemente in circolo. Scappare era impensabile, dato che ormai sapevo troppo. Per rimanere in vita potevo solo diventare una di loro, lasciar crescere il marcio dentro di me. Permettere all’oscura nube della disonestà di penetrarmi nelle ossa, fino a diventare la mia quotidianità. Nel momento in cui ho capito di dover entrare a far parte della Solntsevskaja, sono scesa a compromessi con l’Elin del passato. Avevo due sole opzioni: andare via e morire o restare e lottare. Dovevo dimenticare quella che ero e diventare quella che mi avrebbe permesso di sopravvivere. Abbandonare l’idea di guardarmi allo specchio e riconoscermi. Aspettavo solo che la parte più oscura di me prendesse il sopravvento, rendendomi tutto più facile.

    Ho tentato a lungo di tornare in Svizzera, di riprendere la mia vecchia vita, riuscendo solo a farmi schiacciare dai russi.

    La prima notte in questa nuova realtà non ho pianto di paura o dolore, bensì per la persona che non sarei più potuta essere, per aver perso tutto quello che avevo, persino la speranza di tornare a casa viva. Per numerose notti immagini, emozioni, respiri rochi, grida inumane, preghiere e minacce hanno infestato i miei sogni. Li osservavo tentare la fuga, esalare l’ultimo respiro. Rivivevo le stesse scene al mattino, come se vederle una volta non bastasse. Persino sotto la doccia rivedevo le pozze di sangue sulle piastrelle. Riuscivo a odorarlo, quasi assaporarlo. Non erano i flash di un film dell’horror che ritornano alla memoria, era la mia spaventosa realtà. Il rumore dei miei stivali sulle loro pozze di sangue era il suono che mi accompagnava al risveglio.

    Dopo tutto questo tempo sono stanca di sentirmi una vittima, di essere indifesa in un ambiente dove ladri e assassini fingono di essere persone civili. Ho smesso di resistergli e ho iniziato a tenere di più alla mia incolumità. Il terrore non gestirà più la mia esistenza. Ho compreso bene che la vita, come la conoscevo un tempo è finita, non esiste più. Devo dimenticare ogni barlume di giustizia o morale, ogni persona che ho incontrato, ogni sforzo che ho compiuto per tirare avanti da sola. Un solo concetto deve essere ben saldo nella mia testa: non diverrò la loro marionetta.

    Il secondo giorno ho assunto Emiliya, una ragazza alta e dai lunghissimi capelli castani. Ho chiesto in giro tra i miei presunti consiglieri e pare non sia ben vista da loro. Mi è bastato questo per assoldarla come assistente personale. Non teme di aprire bocca e rivelare il suo pensiero, però sempre con rispetto e intelligenza.

    Successivamente ho interrotto alcuni traffici di schiave, e incrementato quelli delle armi e gestione dei locali. La mia nuova politica non è andata a genio a molti, ma l’estensione delle lotte tra gang mi ha dato ragione e i guadagni sono aumentati. Chi l’avrebbe detto che avrei guadagnato dalla morte di perfetti estranei?

    Durante queste settimane non ho solo stravolto l’organizzazione, ho anche studiato seriamente. Non danza o ikebana, come voleva il mio ex. Ho appreso le tecniche commerciali dei criminali, rubato i linguaggi in codice, il modo migliore di trafficare auto rubate o riciclare denaro sporco. Sono persino diventata fisicamente più forte e in grado di usare un’arma… seppur nasconda ancora una mazza da baseball sotto il letto. Certe abitudini sono lente a morire.

    Questo posto è un luogo pericoloso, è vero, però solo un uomo è il vero fulcro del male. Prima di essere trapiantata nell’incubo da Maksim, sapevo esattamente cosa chiedere alla vita. Desideravo essere una donna felice, curiosa di scoprire posti lontani, essere ricambiata dall’amore di un marito fedele, lottare per tener fede ai miei sogni. Sì, mi sarebbe piaciuto vivere così. Quando lui mi ha rapito per il suo stupido tornaconto, tutto è cambiato. In una notte la terra ha tremato, dimostrando che la felicità è un’illusione.

    Stasera il Gran Consiglio dei Pakhan si riunisce nel vecchio castello per trovare un successore a Josif. Continuo a

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