Le suore in vetta
Di Wilma Cavana
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Info su questo ebook
La protagonista è Suor Rose, austera e rigida Madre Superiora del Convento del Perdono, un convento di suore tutte con delle colpe da espiare. La stessa Suor Rose nasconde un segreto che riemerge prepotente dopo l’incontro casuale con una giovane ragazza dal cappotto rosso. Il paesino in cui si trova il convento viene letteralmente invaso dagli atleti per le Olimpiadi Invernali. Suor Rose cade in un profondo malessere, una sorta di delirio dal quale non riesce a uscire. Suor Franchina, sua fedele amica, scopre nel frattempo che una delle sorelle, l’ultima arrivata, è in realtà una detective privata, inviata al convento per scoprire il segreto di Suor Rose. Una volta smascherata scopre che la ragazza ha a che fare con il passato della Superiora e soprattutto con l’uomo che potrebbe in qualche modo svelare le motivazioni di tanto dolore. Una storia di amicizia, fedeltà e tradimento, ma soprattutto di amore, un sentimento forte, ma negato a causa dei ruoli e di un ineluttabile destino. Suor Rose, l’amica d’infanzia Sorella Josephine e il Dottor Stefan sono i protagonisti di una fitta trama, le cui fila sono tirate dal cardinale Santo Faber, disposto a tutto pur di non perdere la sua posizione.
Tuttavia la verità sa sempre come emergere in superficie e con essa i segreti più nascosti.
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Anteprima del libro
Le suore in vetta - Wilma Cavana
Suore in vetta
Wilma Cavana
Pubblicato da © PubMe - Collana Monna Lisa
Prima Edizione marzo 2023
ISBN: 9791254582954
Editing e Grafica Cover Monna Lisa
Impaginazione: Paoletta Maizza
https://pubme.me/monnalisa/
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autrice. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da considerarsi puramente casuale.
Questo libro contiene materiale coperto da copyright e non può essere copiato, trasferito, riprodotto, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’autrice, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941).
PREFAZIONE
Questa storia racconta i sentimenti più nascosti delle persone e di come il senso di colpa possa trasformare e distruggere la vita di una donna forte come la protagonista. A volte non ci si rende conto di quanto potere concediamo a certi individui. Infelici e pieni di rabbia, essi provano soddisfazione a fare del male per scopi puramente egoistici.
Un cuore buono e fatto per amare il prossimo senza aspettarsi nulla in cambio, in certe situazioni, non perdona sé stesso e soffre, ma, se si ha fiducia, il destino sistema le cose e ciò che è stato sottratto con l’inganno, verrà recapitato nella vita come una lettera scritta da un Angelo.
Terminare questa storia è stato difficile. Stentavo a separarmene.
Le ultime righe per me sono come un addio a un amico che mi ha fatto tanta compagnia, che mi ha tenuto lontana da pensieri negativi e dall’ombra di una pandemia che ci ha fatto soffrire e ha cambiato il nostro modo di vivere. Da qualche parte ho letto che per modificare il comportamento di un animale bisogna condizionare le sue abitudini per diversi mesi.
Prima ci si abbracciava e ci si baciava, ora quasi si fa fatica ad avvicinarsi per un saluto dato con il gomito.
Come ho scritto, la paura, l’ansia e la mestizia, sono tre sorelle capaci di offuscare anche le menti più capaci. Ma non quelle più fiduciose.
SUOR ROSE
Dall’alto della sua dimora, Suor Rose osservava, attraverso la sua vetrata, il paesello candido e silenzioso; sorseggiava tè aromatizzato all’arancia dalla sua tazza vecchia e malconcia quanto lei, seppur tanto preziosa. Il tempo scorreva veloce nel suo piccolo studio, dove si udivano gli scricchiolii della sedia a dondolo e il mormorio dei vespri della sera. I suoi pensieri erano lontani nel tempo, il tormento di quella notte maledetta l’aveva cambiata per sempre.
La storia che vi voglio raccontare parla di un segreto e di un monastero del 1600 che, oltre a ospitare le suore, con il passare del tempo divenne meta di viandanti e pellegrini di passaggio. In quel luogo ameno si poteva trovare sempre sia un pasto caldo sia un rifugio. Circondato da possenti mura, disponeva di molte stanze, una cantina, una grande cucina con il forno per il pane, una lavanderia, una sala destinata al ricamo, una alla scrittura, un grande camino in sala lettura, un orto, un castagneto, un parco secolare per passeggiare nel silenzio, delle serre, un’aia con animali da cortile, un essiccatoio, una fonte d’acqua termale e una cappella dove venivano praticati i vespri e le lodi. Quelle antiche mura custodivano storie e segreti mai raccontati.
Questo piccolo angolo di paradiso, immerso nella natura tra fiori, prati e montagne innevate, dopo l’apertura rimase misteriosamente chiuso per anni, finché un giorno, su richiesta di un cardinale, fu riaperto e riordinato. Egli decise di destinarlo ad accogliere un piccolo gruppo di monache, provenienti da ogni dove, non scalze come le carmelitane, bensì devote al nuovo Ordine del Perdono. Ogni sorella era speciale e portava con sé il proprio bagaglio di errori.
Guidato da una badessa fuori dal comune, molto legata al cardinale uscente, questo particolare gruppo viveva con l’esclusivo scopo di espiare le proprie colpe attraverso opere di bene, duro lavoro e preghiera, sempre alla ricerca di un equilibrio interiore, difficile da trovare.
La Madre Superiora, virtuosa e austera, aveva forgiato il suo carattere in gioventù, lavorando in un grande ospedale come capo reparto. Grazie alla sua esperienza, gestiva alla perfezione questo luogo: a ogni sorella aveva attribuito una mansione che doveva essere svolta al meglio, con diligenza e precisione. Tutte lavoravano sodo e per molte ore del giorno e della notte, se richiesto. E se fosse stato commesso un errore, la punizione non sarebbe tardata ad arrivare.
La Madre Superiora, Suor Rose, conosceva bene le potenzialità del luogo e le qualità delle sue adepte, il suo volto sempre pallido era segnato da profonde rughe a marionetta: mai un sorriso, mai un grazie, mai una gioia, niente la faceva illuminare, un cenno con la testa o un’occhiata erano sufficienti per comunicare; veniva semplicemente rispettata e ogni suo ordine doveva essere eseguito.
Il monastero sorgeva su una collinetta e solo dodici tornanti e tre chilometri lo separavano dal paese che si stava sviluppando. Quella regione, famosa per abbondanti nevicate, fu scelta per ospitare le Olimpiadi Invernali, poiché la neve si manteneva a lungo, grazie a correnti gelide provenienti dalle vicine vette.
Nel paese, la costruzione più antica era una piccola canonica, abitata da un prete, don Gigi, anziano, quasi sordo con forti acufeni, che non avevano trovato una soluzione nemmeno con l’agopuntura cinese, e al suo fianco una suora prestata dal convento, specializzata nelle faccende domestiche e curiosa come una scimmia.
La vita quotidiana scorreva in serenità e pace, il turismo portava beneficio a tutti e l’economia era fiorente. Le sorelle del Convento del Perdono gestivano un negozietto di prodotti (convent made) tutti realizzati con le loro mani, alimentari e non solo. Il nome della bottega era A Ca De Kristo. Il paese non aveva ancora un sindaco ed era gestito in modo impeccabile da una giunta comunale composta da giovani imprenditori, artigiani della zona, commercianti e dalla Madre Superiora Suor Rose, soprannominata Rosemort dalle vecchie malelingue, per via del suo carattere pungente e del suo oscuro passato. Qui si conosceva la storia del cardinale uscente, ma nessuno aveva mai sentito parlare di lei e del suo operato.
La notizia dell’arrivo delle Olimpiadi Invernali aveva turbato l’animo di Suor Rose; quel piccolo paese sconosciuto era stato il suo eremo per diversi anni, le aveva regalato l’illusione di una nuova vita e la convinzione che il passato si potesse dimenticare, ma presto il destino avrebbe bussato alla sua porta.
Suor Rose, scesa in centro con una bicicletta vintage per partecipare a una riunione, decise di passare prima in canonica da don Gigi per concordare il tema dell’omelia domenicale e, soprattutto, per ritirare l’incasso della bottega delle sorelle che, come sempre, riponeva in una busta di stoffa damascata in uno scomparto segreto sotto la sella, come facevano i soldati messaggeri in tempo di guerra.
Dopo aver terminato il suo giro di commissioni, montò in sella e si avviò verso la sua dimora. La strada, che da molti anni percorreva, lunga e tortuosa non la spaventava, nelle giornate frizzantine indossava, ben salda attorno alle spalle, una vecchia e bucherellata sciarpa verde. Lungo il tragitto si rese conto che il clima era cambiato, faceva più freddo del solito, un vento pungente le gelava la fronte e le dita, lontane nubi scure annunciavano l’arrivo di un inverno diversamente mite, ma le foglie non avevano abbandonato ancora del tutto i rami degli alberi e il pigolare lussurioso degli stornelli era ancora lontano. All’improvviso si sentì travolgere da una strana sensazione, forse un malore, il suo corpo divenne rigido e uno strano formicolio le attraversò il corpo. Quasi giunta a destinazione, scese dalla bicicletta e proseguì a piedi. Confusa e intontita sentiva salire quella sensazione verso il cuore, quel prurito le avvolgeva il corpo come una specie di dannazione.
Nel frattempo, le sorelle continuavano ligie il loro lavoro, il grande camino centrale doveva essere acceso. Una di loro, Suor Raffaella da Livorno, aveva la capacità di carpire i cambiamenti del tempo come le statuine azzurre e già dava i primi segni dell’arrivo del freddo. Era una monaca differente, soffriva di uno strano disturbo tiroideo a causa dello iodio che abbondava nel suo paese natale ed era sempre iperattiva, nervosa e magra come un’acciuga. Era stata trasferita al Convento del Perdono dal suo vescovo. Il pensiero era che in altura, a causa dei suoi problemi di salute, si sarebbe potuta riequilibrare.
Suor Raffaella da Livorno, a modo suo, raggiunse un equilibrio stagionale: lavorava sodo nei mesi caldi dell’anno, mentre per quelli restanti, meno miti, cadeva in modalità letargo.
In primavera, durante i venerdì di Quaresima, usciva dalla sua stanza allegra e felice e si recava al vicino torrente a pescare trote e salmerini per la bottega del convento. Stranamente, da qualche tempo il suo ritmo sonno veglia andava a singhiozzo, soffriva di fegato ingrossato ed emorroidi.
Le sorelle dovevano affrettarsi, la Madre Superiora era in arrivo a piedi, era scesa dalla sua bicicletta. L’annuncio del suo arrivo era stato dato da Suor Lucia da Bergamo, anche se aveva un occhio solo, era un’ottima vedetta, aveva a cuore la sicurezza delle sorelle e, con l’aiuto di un fischietto a ultrasuoni e dell’abbaiare rabbioso del suo cane Fifo, le faceva scattare come formiche operaie. Suor Rose, giunta al convento, posò la bicicletta nella rimessa, salì le scale e si ritirò nel suo ufficio dove si sarebbe riposata un po’, prima dei vespri e dell’umile cena a base di minestra di riso integrale e cardo mariano.
L’arrivo del prematuro inverno e del malessere che la dannava portarono la Madre Superiora a prendere una decisione: per lei il tempo delle commissioni in paese sarebbe terminato. Avrebbe incaricato una nuova sorella, famosa per la sua pigrizia, appena arrivata da Milano, Suor Serena, che spiccava per la sua estrema lentezza nel fare qualsiasi cosa.
Le sorelle non potevano immaginare quanto la nuova sorella in realtà fosse scaltra. Ogni sera, terminata l’umile cena, Suor Rose passava a controllare il lavoro svolto e a congedare le ultime sorelle indaffarate, per poi concedersi una piccola pausa nella cappella ad ascoltare gli ultimi rumori sino al silenzio del riposo, che talvolta era interrotto dal russare vivace di sorella Inga, austriaca ghiotta di minestrone.
La struttura del convento era a pianta quadrata, il centro del chiostro era dominato da una magnolia secolare che, nel mese della Madonna, regalava fiori con petali di velluto candidi e profumati. Si poteva ammirare, in tutta la sua bellezza, dalle vetrate della sala centrale.
Le sorelle, invece, erano alloggiate in piccole celle poste a nord, fredde e umide, provviste di letti di legno povero e