Migranti
Di Vito Speroni
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Anteprima del libro
Migranti - Vito Speroni
storia.
PRIMO CAPITOLO
Pasquale e un suo amico partirono all’alba da Oristano diretti alla sagra paesana di Capoterra, dove si svolgeva la più importante vendita di pecore sarde del cagliaritano.
Arrivò giusto in tempo per l’inizio delle contrattazioni, e cercò una panca libera nel tendone.
Il vociare concitato dei compratori, e il belare del gregge, impediva a Pasquale di sentire la voce del banditore. Allora si avvicinò alla balaustra e attese l’allevatore con le pecore che intendeva comprare.
Poco prima di mezzogiorno il gregge entrò nel recinto. Le pecore si distinguevano dalle altre per il vello bianco immacolato, e sapeva per esperienza che erano molto produttive.
Fece un paio di offerte e poi attese il momento opportuno per rilanciare.
Soddisfatto dell’affare, uscì dal tendone e in compagnia del compare si mise a curiosare tra i banchetti.
«Mi è venuta sete: beviamoci una birra» disse Pasquale.
Mentre beveva, osservava le persone che affollavano la fiera, e rimase folgorato dalla bellezza di una giovane ragazza ferma davanti a un banco di gingilli.
Si scosse dallo stordimento quando il compare gli chiese se si sentiva bene, e lui rispose: «Ho visto la donna con cui vivrò il resto della mia vita.»
Gelsomina si accorse dell’aitante ragazzo che cercava di comunicarle con lo sguardo il suo interessamento, e quando lo vide avvicinarsi: il suo cuore accelerò.
Lei guardava distrattamente le collanine, mentre sbirciava il giovane che confabulava con i suoi fratelli.
I quali non apprezzarono che il forestiero cercasse di importunarla, e lo allontanarono in malo modo.
Lei fremeva, quel ragazzo le piaceva, e quando vide che insisteva nel spiegare le sue buone intenzioni: sorrise compiaciuta.
Il padre di Pasquale, allevatore e padrone terriero, non vedeva di buon occhio imparentarsi con una famiglia umile, e cercò di farlo ragionare: ma lui non ritornò sulla decisione presa.
Lasciò la casa paterna senza pretendere nulla, e la sposò prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale.
Alla fine delle ostilità trovò lavoro nella miniera di Gennamari, che assieme a quella di Ingurtosu, faceva parte del complesso minerario di Montevecchio.
Gennamari, con il passare degli anni, da sito minerario si trasformò in un borgo, e fu fornito di energia elettrica, di un medico condotto: la cui assistente fungeva anche da farmacista. Di una cantina: che si poteva paragonare a un piccolo supermercato, e della scuola elementare.
Le case dei minatori stavano qua e la tra la natura selvaggia che circondava il villaggio, dove la macchia mediterranea con le sue ampie distese fiorite ricopriva, come un mantello, le colline.
Noi abitavamo in una casetta a due piani, a poca distanza da un bosco, dove si estraeva il sughero dalle piante di quercia.
L’ingresso si trovava a sud. Tre gradini