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Un tram chiamato Mio Desiderio
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E-book331 pagine5 ore

Un tram chiamato Mio Desiderio

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Info su questo ebook

Davanti a voi c'è una raccolta di breve prosa, che permette di valutare le sfaccettature della creatività dello scrittore. In essa hanno trovato il loro rifugio storie penetranti sui destini umani, su amore e morte, passione e solitudine, passato misterioso e futuro fantastico, in cui, talvolta, è difficile tracciare il confine tra realtà e invenzione. Romantiche e filosofiche, gioiose e orrorifiche, tutte queste sono state scritte con l'irripetibile tratto del maestro, che non cessa di stupire il suo esperto lettore con scioglimenti inattesi.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita19 apr 2023
ISBN9781667455488
Un tram chiamato Mio Desiderio

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    Anteprima del libro

    Un tram chiamato Mio Desiderio - Valerian Markarov

    Un tram chiamato Mio Desiderio

    Valerian Markarov

    ––––––––

    Traduzione di Matteo Mazzoni 

    Un tram chiamato Mio Desiderio

    Autore Valerian Markarov

    Copyright © 2023 Valerian Markarov

    Tutti i diritti riservati

    Distribuito da Babelcube, Inc.

    www.babelcube.com

    Traduzione di Matteo Mazzoni

    Babelcube Books e Babelcube sono marchi registrati Babelcube Inc.

    Questo libro è un prodotto artistico. Nomi, caratteri e luoghi di azione sono inventati o ripensati. Tutte le analogie con personaggi o avvenimenti reali sono casuali.

    Sull'autore

    Valerian Markarov è nato nel 1967 in Georgia, in una famiglia di intellettuali di Tbilisi. Terminati a pieni voti gli studi alla Facoltà di Storia dell'Università di Tbilisi, ha studiato in seguito business e management negli USA e in Israele. Ha lavorato in una serie di organizzazioni internazionali e di missioni diplomatiche e ha dedicato più di un quarto di secolo all'attività didattica. È autore dei libri Ličnyj dnevnik Olivii Uilson[1] («Il diario personale di Olivia Wilson») e Vsemu svoë vremâ («Ad ogni cosa il suo tempo»), dei romanzi storico-biografici Genii tože  lûdi... Leonardo da Vinči («Anche i geni sono esseri umani... Leonardo da Vinci») e Legenda o Pirosmani («La leggenda di Pirosmani»), di una raccolta di prosa psicologica e di altre opere, che sono state tradotte in altre lingue del mondo e hanno ottenuto il riconoscimento degli esperti. È direttore dell'Unione Internazionale dei Letterati Contemporanei «Parnas»[2]. È membro delle giurie di una serie di premi letterari. Viene pubblicato in Russia, Georgia, Armenia, USA, Canada, Germania, Italia, Israele, Grecia, Danimarca, Finlandia, Belgio e altri paesi. È stato premiato dal Forum Letterario Slavo Internazionale Zolotoj vitâz', ha ricevuto il premio Puškin e Gogol' (Russia), il premio Mark Twain (USA), il premio Heinrich Böll, il premio de Richelieu, il «Miglior libro dell'anno» (Germania), è stato vincitore del premio «DIAS», detentore della Zolotoe Pero Rossii, del Premio Letterario Internazionale della Pace, finalista del premio E. Hemingway (Canada), del premio DANKO, del premio Na Blago Mira, del premio Bol'šoj Final[3] e di altri.

    Un tram chiamato «Mio Desiderio»

    [4]

    Nino[5] si affrettava e batteva i tacchi sul marciapiede allegramente e in modo penetrante. Il vestitino e il giubbottino di jeans blu ondeggiavano per il passo rapido e il taglio corto alla moda, il piccolo nasino all'insù ereditato dalla nonna russa, le sottili sopracciglia nere, i grandi occhi castani e le labbra piene le conferivano una piena somiglianza ad una studentessa modello. Una bella ragazza, niente da dire. E solo la freschezza di questo mattino era pronta a competere con la sua naturale bellezza.

    In primavera riusciva particolarmente a credere che la vita fosse bella e stupefacente, nonostante tutto! Splendeva il sole, a cui ancora spettava prendere forza. Da tempo si erano svegliati i passeri e saltavano irosamente per i rami bagnati con le gemme che si gonfiavano e talvolta impavidamente, con un cinguettio furioso prendevano a saltare nelle finestre semiaperte delle hru?ëvki[6], che stavano orgogliosamente in piedi lungo tutto il viale Moskovskij.

    Girato l'angolo di un casamento, Nino vide il suo tram della linea numero 7: or ora se ne sarebbe andato. Dio, come non aveva voglia di far tardi al lavoro. Saltando attraverso le piccole pozzanghere, si lanciò di corsa alla fermata. In testa suonavano dei martelletti, il respiro si fece irregolare. Le era chiaro che non avrebbe più fatto in tempo. Scosse una mano. Il conduttore, vista la ragazza, rallentò e all'ultimo secondo le riuscì aggrapparsi al corrimano, alzarsi sul predellino e fare un salto dentro. Spingendo la compagnia che si ammassava presso le porte, si immerse nel profondo del vagone e si sedette ad un posto libero vicino al finestrino. Il tram bianco-rosso prese a sbattere rumorosamente le portiere, fece un suono e si mise in movimento, sferragliando con le ruote d'acciaio per le rotaie e ondeggiando da una parte all'altra.

    Il tram le sembrava sempre una casa comoda. Sedendo al suo finestrino, amava osservare pensosamente come scorrevano accanto le case e si affrettavano i passanti intenti ai loro affari. E talvolta chiudeva gli occhi e si immaginava che il treno rapido la portasse in un ignoto posto lontano. E allora, come pure la maggior parte delle ragazze della sua età, si dava ai sogni di una vita migliore, piena di sfumature rosa chiaro simili a una radiosa alba primaverile. Infatti se non sogni il futuro, resterai nei secoli a gelare in un triste presente.

    Il suo sguardo cadde sui vani delle finestre di un casamento dai molti appartamenti rapidamente scomparso dalla vista ed ella, data libertà alla fantasia, immaginò vivamente che dietro ogni finestrella sedesse una persona. Con gli occhi pieni di speranza questa guardava nei cieli blu, mandando ogni volta alle stelle lontane una calda, ma silenziosa preghiera per la felicità.

    La ragazza diventò improvvisamente triste. Ma no, questa non era quella tristezza che confina con la profonda malinconia. La sua tristezza era sognante, chiare e ispirante: infatti aveva ventitré anni, anche se a volte pareva che la sua anima fosse più saggia, molto più vecchia di lei. Forse per questo ella non perdeva neanche tempo invano come la maggior parte delle sue coetanee — civette con le gonne corte, che schiacciavano e logoravano impetuosamente la loro gioventù. Niente le impediva di tenere un tale stile di vita — i suoi genitori vivevano e lavoravano in un'altra città. Ma la attraevano di più i libri e la compagnia del grande gatto peloso Bal'tazar.

    Quando suonarono i suoi diciannove anni, le comparve un ragazzo. David. Di famiglia intellettuale di Tbilisi, studente dell'università, di grandi prospettive e, come le pareva, quasi ideale. I rapporti tra loro si fecero seri. Le amiche invidiavano terribilmente Nino: guarda che bel ragazzo si era procurata!

    Una volta, incontrandosi con la ragazza, David le propose di passare del tempo nell'appartamento di un amico. Ecco, mi ha lasciato le chiavi, disse frettolosamente, andiamo, eh? — e le ammiccò pure con aperta libidine, beh, proprio come il suo Bal'tazar: quando quello si innamorava delle gatte, si comportava precisamente così.

    — E a fare cosa là? — chiese Nino stupita.

    — Come «cosa»? — il ragazzo la guardò fissamente, si fece rosso e aggrottò le sopracciglia scure ed ella capì che si era arrabbiato. — Ecco, noi ci incontriamo già da tanto tempo, ma ancora neanche una volta...

    — Cosa neanche una volta, Dato? — qui già si arrabbiò Nino. — Come puoi propormi questo? — e poi, dominandosi, pronunciò tranquillamente:

    — Magari passeggeremo semplicemente? Il tempo oggi è bello.

    — Uhm, il tempo! — David ondeggiò bruscamente sui tacchi, tentando di celare un'irritazione dietro cui, come le sembrò, si nascondeva la delusione. Le sue narici sobbalzarono, ma negli occhi cominciò a brillare un fulmine. Pareva che sarebbe passato poco poco e dalle orecchie gli sarebbe uscito del fumo. — In generale è così, non vuoi — non c'è bisogno. Ciao...

    Voltatosi, prese a incedere decisamente avanti, verso la fermata del tram. Nino anche adesso ricordò il rimbombo delle ruote che si affievoliva nelle orecchie, la silhouette del vagone che si allontanava e che portava via da lei qualcosa di molto prezioso, caro... L'aria odorava di autunno. Le separazioni odorano sempre di autunno. Non di quello che è abbellito di ogni colore possibile in un giorno di sole, ma di quello con una brutta pioggia che non si arresta per un solo secondo, tirando giù dagli alberi le ultime foglie, che, cadendo sulla terra nera, lentamente marciscono e muoiono.

    Aspettava sempre che comparisse. Ma non telefonò neanche. Né la sera, né il giorno seguente, né la settimana dopo. Il maledetto telefono taceva come sotto un incantesimo senza contare una volta, quando sbagliarono numero. Solo allora Nino capì tutte le sfumature della parola «Ciao...» detta da lui, tutta la sua sfumatura di colori, dal giallo gioioso «Ci sentiamo presto» al disgustosamente oscuro, nero «Addio! Non chiamare mai!» E tale angoscia prese a stringerle tanto il cuore che pianse a dirotto nel cuscino per una settimana di fila.

    Con questo i loro rapporti si ruppero definitivamente. Inizialmente Nino se ne andò con la mente in un mondo tutto suo, amando il silenzio e la solitudine, andò del tutto a fondo, separandosi dall'universo con un nero spessore d'acqua. L'estate piovosa si mutò in una malinconica mezza stagione. Ella non sapeva come sarebbe scorsa la sua vita in seguito senza David, ma da qualche parte nel profondo dell'anima osava sperare che tutto presto o tardi si sarebbe aggiustato. Una volta che il periodo nero c'era stato, voleva dire che presto ce ne sarebbe necessariamente stato uno bianco... Bisogna credere nel meglio, non si può fare altrimenti.

    Erano passati quattro anni e la vita era tornata nel suo alveo. Da tempo ella già non soffriva più e non sedeva più sul divano fissando un punto. Capì: la realtà non era affatto simile ad una fiaba sdolcinata, in cui la ragazza incontra il principe e poi vivono a lungo e felicemente per mille anni. La realtà è dura e troppo prevedibile: fino allo sguardo senza cerimonie lanciato al momento dell'incontro, fino alle frasi audaci e alle promesse identiche in modo nauseante.

    Dovunque ella comparisse, il suo aspetto conquistava l'attenzione generale: gli uomini la guardavano fissi senza essere in grado di distogliere lo sguardo o si rivolgevano per strada, guardandola da dietro. Molti ragazzi la tampinavano: alcuni si rovinavano in regali per giungere con il loro aiuto al suo fragile corpo, altri cercavano le parole che avrebbero potuto aprirgli la strada per la sua anima. Ma ella, così «strana» e «irraggiungibile», non voleva neanche guardarli — sorrideva gentilmente e diceva a tutti «No!». Perché non aveva mai creduto particolarmente nell'amore. Anche se sapeva fin dall'infanzia che un giorno avrebbe incontrato lui, proprio quel Principe...

    Era il caldo gennaio di Tbilisi. Alla neve quest'anno non c'era neanche da pensare — così si presentò l'inverno. Peraltro questo qui non stupisce nessuno. La vicina di ingresso, Tamriko, prese ad allettare Nino il giorno stesso del Battesimo di Cristo[7], le offrì un caffè forte con una pakhlava[8] alle noci e poi propose di dare un'occhiata al futuro, di venire a sapere cosa le riservava il destino[9]. Nino non credeva alla divinazione, sapeva che tutte queste predizioni erano una sciocchezza totale, indegna di persone adulte e serie, un'inutile perdita di tempo. Ma non riuscì a tirarsi indietro: a ciascuno di noi è noto il desiderio di conoscere il futuro. Tamriko disprezzava le carte, ma leggeva volentieri la mano e i fondi di caffè, senza mai, tra l'altro, riferire da quali fonti attingesse le sue conoscenze dei destini umani. Di questo viveva. Le voci circondavano la profetessa di un'aura misteriosa e gli abitanti del viale, vedendola ad una versta[10] di distanza, cercavano di evitarla, sentendo davanti a lei un qualche terrore superstizioso, ma incontrandosi faccia a faccia, si salutavano gentilmente — perché non venisse fuori qualcosa inavvertitamente.

    — Preparati, Nino, in questa notte tutte le forze soprannaturali sono pronte ad aiutarci.

    Tamriko trasse l'ennesima sigaretta dal pacchetto semivuoto, aprì uno spioncino e prese a fumare, mostrando con tutto il suo aspetto quale piacere le dava il fumo aromatico.

    — Ora ci vorrebbe anche un boccale di buon champagne, — strascicò con voce roca, — e io crederò di nuovo che la vita sia comunque un bell'affare. Sai, io non rimpiango di averla vissuta proprio così, non mi vergogno di guardare la gente negli occhi, anche se si scansano da me come i diavoli dall'incenso. Ma che Dio sia con loro! Mi dispiace solo di non essermi fatta una mia famiglia. E mi sono trasformata in una vecchietta solitaria che non serve a nessuno... Non prendere esempio da me, bambina mia. Ecco come sei maturata, è già tempo per te di trovare un degno fidanzato. Infatti il Signore ha formato ogni creatura a coppie. Anche la tua metà ora sta da qualche parte o forse arriva in taxi. E ti aspetta senza vedere l'ora.

    — Io non vado in taxi, — interruppe allegramente Nino. — Solo con il nostro tram — al lavoro e ritorno.

    — Beh, vuol dire che sarà sul tram. Che differenza fa! Non disturbare! — scosse le mani Tamriko. — Tutto nella vita avviene al tempo fissato. Se ancora non vi siete incontrati, vuol dire che non è giunto il tempo, non siete ancora pronti. Non sono io che ti dico questo. Così è scritto qui! — tese una mano e prese dal comodino, pieno di piccole icone polverose con rappresentazioni di santi, un libro spesso con una bella copertina colorata. — Ecco, guarda, è «Il Libro dei Mutamenti» cinese. L'ha mandato mia sorella da Mosca, sapeva che sognavo di averlo. Hai sentito parlare di Confucio? C'era questo filosofo cinese. Sai cosa disse prima di morire? «Se potessi prolungare la mia vita, dedicherei cinquant'anni allo studio dei Libro dei Mutamenti e allora potrei non fare errori». Anche se questo libro è molto vecchio — qui c'è una saggezza verificata dai millenni! — è vivo, — Tamriko batté forte su di esso con un dito, — può dire precisamente come sarà il tuo giorno di domani. Beh, che dici, sei pronta a sapere la verità? Allora avviciniamoci alla questione, abbiamo già perso un mucchio di tempo invano. Eccoti una moneta. Dai, pensa a un desiderio e lanciala sei volte! E, cosa più importante, credi nella fortuna. Hai capito? — guardò Nino in modo fisso e critico e, a tutta vista, suppose che quella avesse preso a pensare a qualcosa di estremamente significativo.

    Un bizzarro esagramma del Libro dei Mutamenti gli dette un'interpretazione dal seguente contenuto:

    «Il nuovo giorno cancella i confini della notte». Tutti i mutamenti e gli sconvolgimenti nella sua vita sono terminati e molto presto acquisirà la felicità lungamente attesa. Non sia triste per il passato: il suo nuovo livello è assai più alto e interessante del precedente. La fortuna le sorride. Segua il richiamo del suo cuore, non tema di essere coraggiosa. Creda nella fortuna e allora il suo segreto desiderio sarà immancabilmente esaudito.

    Muovendo lentamente le labbra, Tamriko leggeva l'interpretazione e guardava sempre Nino, coglieva l'espressione del suo volto. E visto come questo si ravvivava, come prendevano a brillare le fossette sulle guance, la donna, evidentemente, restò soddisfatta di sé. O del grande Confucio...

    Dopo quella notte del Battesimo di Cristo l'umore di Nino restò in realtà sollevato. Adesso ella attendeva con impazienza l'arrivo della primavera: aveva voglia di abbracciare il cielo più rapidamente possibile e di sorridere al sole amorevole, agli alberi e ai fiori. Quanta speranza, romanticismo e calore, risulta, può donare a una persona una piccola profezia!

    Ed ecco che giunse la primavera lungamente attesa — la stagione prodigiosa. Sugli alberi comparvero i getti verdi delle future foglie. Prendevano a girare allegramente sulla testa le rondini e l'aroma della freschezza dava un buon odore all'aria, informando che anche i giorni estivi erano alle porte.

    — Compriamo i biglietti! Paghiamo il viaggio!

    Una severa voce femminile trasse Nino dai quadri iridescenti, quando i suoi pensieri erano assai più lontani del marciapiede bagnato con la gente sonnolenta e gli occhi erano diretti da qualche parte nell'infinita e non seguiva affatto ciò che stava accadendo.

    La bigliettaia, spintasi tra le schiene dei passeggeri, si avvicinò alla ragazza e la toccò su una spalla. Era una donna alta e pienotta con i capelli raccolti sulla nuca e piccoli occhietti fuggevoli, non più giovane da tempo. Si gloriava del fatto che non permetteva ai passeggeri di incollare ai finestrini vecchi biglietti stantii e di disegnare con il dito musi nasuti sul vetro umido. E cacciava anche i passeggeri senza biglietto senza alcun dispiacere. Con un volto irritato e stanco, nonostante l'ora mattutina, scuoteva leggermente i rullini di biglietti in attesa di pagamento con le dita verdi per i soldi di rame.

    Nino aprì la borsa per pescarne il portafoglio. Piccoli oggetti tipo uno specchietto, un rossetto, una penna a sfera, un flaconcino di profumo quasi nuovo la afferravano per le dita e, gettati da parte, un istante più tardi capitavano di nuovo sottomano. Il portafoglio nella borsa non c'era. Nino capiva già che questo, il piccolo portafoglio di pelle, ora era a casa, se ne stava disteso calmo sul trumeau nell'ingresso e brillava opacamente con la sua chiusura d'argento.

    — Che stizza! — le risuonò cupamente in testa. Infatti il tram era già andato ad un'intera fermata da casa e anche se fosse andata via ora e fosse tornata a prendere i soldi, avrebbe proprio fatto tardi al lavoro e allora... Non aveva voglia neanche di pensare a questo. La prese un sudore freddo.

    — Ora, un minutino, — pronunciò chissà perché. La bigliettaia annuì fiaccamente, guardando da qualche parte dal finestrino. Nei suoi occhi, come nel vetro del finestrino, si riflettevano le case che fluivano, i pensieri distratti non scuotevano il gorgo delle pupille incolori. Pensava che stamattina le doleva la schiena, affaticata ieri da un grande bucato a mano, dalla stiratura e dal mettere ordine in un misero e scrostato appartamentino al primo piano. E non aveva voglia di avere a che fare con una ragazza col nasino all'insù e il taglio alla moda che si scavava invano nella borsa.

    — Ora. Ora, — ripeté Nino, immaginando febbrilmente come sfuggire all'inevitabile disonore. Palpava le tasche del giubbottino di jeans — se improvvisamente si rovesciava qualche spicciolo. Vuoto. Immerse la mano nel taschino interno. Ma anche qui non c'era niente! Strisciò anche nella fodera — facci pure rotolare una sfera[11]. Per la prima volta nella vita risultava una «portoghese»[12] — un vero e proprio disonore!

    La gente che andava in tram guardava Nino come se fosse pazza, ma quella continuava testardamente la ricerca degli infelici spiccioli. E tutto era inutile! Non sapeva che fare. Immaginò come la severa bigliettaia avrebbe fermato il tram e l'avrebbe fatta scendere con disonore. Avrebbe potuto convincerla che era stata vittima della propria distrazione? Infatti non aveva niente in comune con gli amanti del viaggiare a sbafo!

    Quando ogni speranza la abbandonò, il vagone dette uno strattone e andò. La bigliettaia stava sempre lì vicino, abbassando il mento sul petto nell'attesa. Pareva che stesse esaminando con concentrazione la ben pesante borsa con la cinghia, piena zeppa di monete spicciole e di rullini azzurri di biglietti. Poi, perdendo ogni pazienza, strinse gli occhi e aprì la bocca, ma non riuscì a dire niente: sopra la fragile spalla di Nino si tese improvvisamente una mano maschile, sulla palma aperta stavano delle monete.

    — Ecco, le prenda per la ragazza.

    Sì, le vie della provvidenza sono incomprensibili: a nessuno è dato sapere, perché il destino voglia che la sua disgrazia si trasformi in una fortuna. Nel frattempo la donna pienotta accolse indifferentemente i soldi, li scosse come d'abitudine nella borsa e perse istantaneamente ogni interesse per la ragazza. Pagato il viaggio, strascicò cantilenando, spingendosi più lontano attraverso la folla dei passeggeri. Il tram fece un suono sulla giunzione delle rotaie e Nino si voltò per guardare il suo salvatore. Pareva che il tempo avesse rallentato apposta il suo corso per darle la possibilità di guardarlo bene. Questo ragazzo simpatico di media statura, in modo del tutto determinato non era uno dei tanti. Così suggeriva la sua voce interiore, ma ella non capiva perché, sentì solo come aveva preso a battere con ansia il suo cuoricino.

    Il ragazzo sorrise in modo appena percettibile. Ella aveva avuto spesso occasione di incontrare sorrisi casuali di passanti. Tra la folla trovi sempre persone benevole, che non sono contrarie a condividere un'altra volta il buonumore. Ma stavolta si era un po' smarrita, anche se non distoglieva lo sguardo. Notato questo, il ragazzo strinse gli occhi e tentò di spostarsi nel profondo del vagone. Ma Nino riuscì ad afferrarlo per la manica.

    — Molte grazie, — disse in modo penetrante.

    — Non c'è di che, — rispose egli e prese a sbattere gli occhi castani incorniciati da lunghe ciglia, che qualsiasi ragazza avrebbe invidiato. Le piacevano sempre gli occhi castani, li riteneva molto espressivi, intelligenti e romantici. E poi sulle sue guance comparve il rossore. Evidentemente aveva preso a confondersi, concluse ella. Ma va' — incontrare ai nostri giorni un uomo capace di confondersi!

    — Glieli renderò senz'altro, lo prometto, — aggiunse ella. — Oggi stesso.

    — Ma non è necessario, — egli si strinse indifferentemente nelle spalle e guardò la porta.

    Dio mio, probabilmente deve andare via presto, si figurò Nina. Eppure non avevano neanche fatto conoscenza. E questi era così... così! Semplicemente un modello di bellezza. I suoi folti capelli castano scuro brillavano alla luce dei raggi solari e le nette linee delle sopracciglia aggiungevano espressività allo sguardo. Strizzava un poco gli occhi come se avesse dimenticato gli occhiali a casa e stringeva la radice del naso, cosa che sembrava fin troppo carina. Sì, era strano incontrarlo qui, sul tram. Il sole alle finestre aveva preso a splendere più nitidamente di prima e il suo cuore si era messo a cantare. Le era sempre interessato sapere se esistesse l'amore a prima vista. Ora si era convinta che esisteva. E le veniva voglia di ridere, gridare di entusiasmo incontenibile e fare stupidaggini. «Mi sto innamorando», — come un fulmine le passò nella testa. Mi sto innamorando e non posso farci niente. E pure il suo aspetto era troppo soddisfatto. A dire il vero non sapeva che fare di tutto questo poi.

    — Non vuole sedersi? — propose in modo inaspettato e non intuito allo sconosciuto. — Ecco, là, davanti, presso l'uscita, si sono liberati due posti.

    Egli annuì in silenzio e si mosse obbedientemente nella direzione indicata. Si sedette vicino al finestrino. Nino si sistemò vicino vicino.

    — Eppure non ho neanche chiesto il suo nome, — curiosò e subito prese a sospettare che ora avrebbe detto «Georgij»[13], infatti questo, forse, è il nome maschile più diffuso in Georgia.

    — Georgij...

    Beh, ma va', fino a che punto sono intuitiva, passò all'istante per la sua testa. Ma ad alta voce pronunciò:

    — Molto piacere, Georgij. E io mi chiamo Nino. Io, si immagini, ho dimenticato il portafoglio a casa per la prima volta nella vita. Che stizza. Di solito non sono una così distratta. Sa, se non ci fosse stato lei...

    — Ma non è niente di terribile, — sorrise confuso il ragazzo. A dire il vero, adesso guardava la ragazza con un certo interesse. Un prodigio, che modestino, concluse. È come dire intelligente e buono. Beh, un vero e proprio Mister Laconicità. Non amava la gente chiacchierona, in particolare i ragazzi chiacchieroni.

    Non notò neanche come il tram si avvicinasse gradualmente alla fermata. Georgij sobbalzò improvvisamente, superando abilmente le ginocchia di Nino e comunicò:

    — Scusi, è ora che scenda.

    — Ohi, — si agitò, guardando dal finestrino. — Anche per me... Già...

    Egli saltò abilmente dal gradino e le tese una mano. Il cuore di Nino si sciolse. Si era proprio innamorata, pensò gioiosamente. E poi le porte di ferro si chiusero con un rombo davanti a loro e l'ospitale vagone andò per i binari, dondolandosi e prendendo il via.

    — Beh, io vado, — disse goffamente il ragazzo. — Che tutto le vada bene, Nino.

    — Anche a lei, — replicò ella.

    Egli annuì, si voltò e prese a incedere per il marciapiede lungo la strada. Nino, confusa, guardava dietro di lui come se non credesse che se ne stava andando. Poi sospirò. L'attesa del prodigio — disperata e folle, ma così goffa — si scioglieva ad ogni secondo. Non c'era più nulla su cui contare.

    Con profonda pensosità ella si diresse nell'altra direzione. E, trattenendo a fatica le lacrime, si convinse a non perdere la testa, a non distruggere il suo precedente mondo felice e tranquillo, così incrollabile e fisso, in cui ancora ben poco tempo fa era felice. E comunque una debole speranza non l'abbandonava, malgrado le fredde e calcolate conclusioni della ragione.

    — Nino! — le risuonò improvvisamente dietro.

    Quasi saltando per la sorpresa, si voltò. Nella sua anima prese ad accendersi una luce. Georgij la stava raggiungendo ad ampi passi e presto le veniva accanto.

    — Sa cosa? — disse di colpo, ansimando. Nino lo guardava dall'alto in basso e aspettava. Aveva indovinato in questo momento che dietro questi grandi occhi stava una persona con il suo cosmo infinito?

    — Mi telefoni, semmai, — disse a bassa voce. — Qui, sul biglietto, ho scritto il numero.

    Con queste parole mise agilmente qualcosa nella tasca del suo giubbottino e corse nell'altra direzione. Nino, al settimo cielo per la felicità, guardò dietro di lui finché la sua figura non si sciolse nella folla dei passanti.

    Ma un secondo dopo, non credendo ai propri occhi, guardava a lungo sul palmo di una mano, su cui, brillando con la chiusura d'argento, stava il suo piccolo portafoglio di pelle. E da esso sporgeva un biglietto del tram stropicciato.

    Accanto andavano persone inghiottite dai loro grandi e piccoli problemi, dalle loro disgrazie e tristezze e non avevano voglia di avere a che fare con Nino, così come anch'ella adesso non aveva voglia di avere a che fare con esse. Non la faceva più gioire la calda primavera, il sole nitido sulla volta celeste azzurra, la tumultuosa fioritura della natura e il canto sonoro dell'allodola. Perché ella era del tutto sola e intorno non c'era un'anima — solo un pesante, immobile silenzio, che senza dar risposta inghiottiva tutti i colori e i suoni della vita...

    Il vestito non indossato

    Di tanto in tanto la vecchietta tossiva un po' e la molle umidità le raschiava lungamente nei bronchi, trasformandosi in un piccolo grumo dolciastro e mucoso in bocca. Sedeva con un foulard nero davanti alla bara del marito e tirava continuamente in mano un fazzoletto da naso, sollevandolo spesso al volto e asciugando con un angolino ora gli occhi, ora le estremità tremanti delle labbra, che, pareva, or ora avrebbero toccato il mento sporgente. E talvolta ondeggiava lentamente al ritmo di pianti non forti e cantilenanti: «Vanâ, caro mio, gocciolina di sangue mio! Per chi mi hai abbandonata?! Per cosa

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