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La cenere sul pettirosso
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E-book239 pagine3 ore

La cenere sul pettirosso

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Info su questo ebook

Questa storia iniziò quasi per caso tanti anni fa, e tutto ciò che accadde fu frutto di una serie di coincidenze alquanto difficili da immaginare.

Coincidenze che portarono a qualcosa di perverso e innaturale che di norma dovrebbe essere dimenticato, o perlomeno rimosso dalle coscienze.

Sin dal principio vi furono comportamenti malsani ed è stato difficile per il sottoscritto calarsi totalmente nel contesto e raccogliere gli indizi necessari alla ricostruzione dei fatti.

Di tutto questo è rimasto del materiale, intuizioni scomode su cui è stato scritto faticosamente un romanzo.

Tuttavia, quello che vorrei che si comprendesse, è che la drammatica realtà dei fatti è stata veramente complicata da digerire, e questo mi ha portato a scrivere quasi fosse un obbligo da assolvere.

Sperando che qualcuno possa capire e mettere fine a questa infezione, ho deciso di mascherare nomi e cognomi perché oggetto di alcuni trascorsi giudiziari.

Credo che la narrazione debba cominciare da un colore, un colore che sta alla base anche della mera realtà dei fatti, ovvero: rosso.

Rosso è il colore del sangue che scorre ancora caldo sulla pelle anch’essa ancora calda.

E intanto, là fuori, sta per iniziare una bella giornata. Una giornata di sole, tiepida e profumata. Una giornata apparentemente placida, ma nella quale qualcuno cerca di affogare il dolore lancinante dei rimorsi.

Il vento proveniente da nord accarezza dolcemente la superficie di un vasto lago blu, dolcemente, come fosse la pelle vellutata della propria amante. E il lago s’increspa come fossero brividi di piacere.

Il riflesso del cielo oscilla cangiante sullo specchio d’acqua producendo uno sfarfallio… Una foglia galleggia leggera, avanza e rotea danzando sinuosa sulle note di una melodia persa nel tempo… Il vento freddo la spinge più avanti. La spinge al largo… sempre di più… fino a che scompare confusa nel riflesso del cielo.

Gli alberi e i cespugli si gonfiano d’aria piegandosi alla forza del vento, ma a lui non interessa per niente tutto questo.

Le chiome si gonfiano d’aria, il bosco pare che respiri…

Le fronde cariche di foglie vibrano verdi in balia del vento, ma una vicino all’altra compongono insieme una spessa barriera. In certi punti neanche i raggi più forti riescono a passare. In altri, invece, è come se i raggi la crivellassero di proiettili di luce.

Sotto, ai piedi degli alberi, si nascondono animali… ma dal lago blu non si possono vedere. Ma anche se non sono visibili non vuol dire che non ci siano, anche se non vedi il tasso in letargo non vuol dire che non sia da qualche parte al riparo, in attesa paziente della primavera. Stanno attenti a non farsi notare, preferiscono rimanere nascosti tra le sterpaglie, attendendo il momento giusto.

Un’assordante tranquillità che eclissa un grido soffocato nel buio.

E il buio oscura tutto.

Buio.
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2014
ISBN9788869091360
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    Anteprima del libro

    La cenere sul pettirosso - Antonio Spinelli

    A Patrizia

    & Luigi

    Il dolore si pone sempre il problema della causa, mentre il piacere tende ad arrestarsi a se stesso e a non guardarsi indietro.

    Friedrich Nietzsche

    Questa storia iniziò quasi per caso tanti anni fa, e tutto ciò che accadde fu frutto di una serie di coincidenze alquanto difficili da immaginare.

    Coincidenze che portarono a qualcosa di perverso e innaturale che di norma dovrebbe essere dimenticato, o perlomeno rimosso dalle coscienze.

    Sin dal principio vi furono comportamenti malsani ed è stato difficile per il sottoscritto calarsi totalmente nel contesto e raccogliere gli indizi necessari alla ricostruzione dei fatti.

    Di tutto questo è rimasto del materiale, intuizioni scomode su cui è stato scritto faticosamente un romanzo.

    Tuttavia, quello che vorrei che si comprendesse, è che la drammatica realtà dei fatti è stata veramente complicata da digerire, e questo mi ha portato a scrivere quasi fosse un obbligo da assolvere.

    Sperando che qualcuno possa capire e mettere fine a questa infezione, ho deciso di mascherare nomi e cognomi perché oggetto di alcuni trascorsi giudiziari.

    Credo che la narrazione debba cominciare da un colore, un colore che sta alla base anche della mera realtà dei fatti, ovvero: rosso.

    Rosso è il colore del sangue che scorre ancora caldo sulla pelle anch’essa ancora calda.

    E intanto, là fuori, sta per iniziare una bella giornata. Una giornata di sole, tiepida e profumata. Una giornata apparentemente placida, ma nella quale qualcuno cerca di affogare il dolore lancinante dei rimorsi.

    Il vento proveniente da nord accarezza dolcemente la superficie di un vasto lago blu, dolcemente, come fosse la pelle vellutata della propria amante. E il lago s’increspa come fossero brividi di piacere.

    Il riflesso del cielo oscilla cangiante sullo specchio d’acqua producendo uno sfarfallio… Una foglia galleggia leggera, avanza e rotea danzando sinuosa sulle note di una melodia persa nel tempo… Il vento freddo la spinge più avanti. La spinge al largo… sempre di più… fino a che scompare confusa nel riflesso del cielo.

    Gli alberi e i cespugli si gonfiano d’aria piegandosi alla forza del vento, ma a lui non interessa per niente tutto questo.

    Le chiome si gonfiano d’aria, il bosco pare che respiri…

    Le fronde cariche di foglie vibrano verdi in balia del vento, ma una vicino all’altra compongono insieme una spessa barriera. In certi punti neanche i raggi più forti riescono a passare. In altri, invece, è come se i raggi la crivellassero di proiettili di luce.

    Sotto, ai piedi degli alberi, si nascondono animali… ma dal lago blu non si possono vedere. Ma anche se non sono visibili non vuol dire che non ci siano, anche se non vedi il tasso in letargo non vuol dire che non sia da qualche parte al riparo, in attesa paziente della primavera. Stanno attenti a non farsi notare, preferiscono rimanere nascosti tra le sterpaglie, attendendo il momento giusto.

    Un’assordante tranquillità che eclissa un grido soffocato nel buio.

    E il buio oscura tutto.

    Buio.

    1. Odore di pioggia

    Non era un giorno qualunque, erano le 20:37 di venerdì 21 settembre.

    La pioggia cadeva rumorosa sulle vie del centro e un ragazzo senza ombrello correva con affanno in cerca di un caldo e confortevole riparo. Più lontano, in una terra dai colori bruni dimenticata dal tempo, i frutti cominciavano a cadere dagli alberi abbandonando i propri involucri. Si ripeteva nuovamente un ciclo.

    Ed ecco che il ragazzo entrò in un vicolo buio…

    ***

    Marianne Ressi, indicando con il braccio un punto a circa sei metri di distanza, commentò: «Era già buio quando è successo…» e, ritornando con il discorso allo scenario che le si era presentato al suo arrivo, aggiunse: «Le tracce di auto e la sicurezza con cui si sono mossi lungo la scorciatoia fanno pensare che conoscessero molto bene questi posti, sicuramente ci sono stati più e più volte in precedenza…».

    La sabbia a terra si mostrava fine e bagnata, di una consistenza argillosa. Un soffio di vento scompigliò leggermente i capelli di Gomez Moi che, pochi istanti dopo, scostandoli dagli occhi, replicò: «Lo penso anch’io Marianne… a questo punto credo che fossero loro quelli della Renault bianca…».

    La donna, come contagiata dal gesto di Moi, ne imitò il fare, aggiustandosi un ciuffo di capelli ribelle sopra l’orecchio. Poi subito riprese con autorevolezza il filo logico del discorso dicendo: «Frena Moi, stiamo ancora aspettando le conferme dalla Scientifica…», come se non volesse far correre troppo, in autonomia, la fantasia di Moi. Ciononostante, Marianne conveniva in pieno con quanto detto dall’uomo ed aggiustò il tiro della sua esternazione aggiungendo: «Ma in fondo sono d’accordo con te, ormai sembra certo. Nel baule c’erano dei residui carbonizzati… e anche qua, vedi?», indicando con gli occhi il suolo nudo sotto di loro.

    Un forte profumo di arbusti e rosmarino.

    Moi diresse prima lo sguardo sotto di lui, poi casualmente verso una piccola radura, con distratto interesse, continuando sempre sullo stesso oggetto della conversazione: «Le conferme?… per far sì che la Scientifica si sbottoni serviranno le maniere forti…», disse con tono polemico.

    «Come?! non ci hai parlato oggi?».

    «Sì, certo… non mi sono dimenticato. Ho fatto le dovute pressioni».

    «E perché parlavi al futuro? serviranno le manieri forti hai detto…».

    Moi, un po’ scocciato dall’ingenuità del suo capo: «Lo conosci Marcos… lo conosciamo tutti… ci sarà stato qualche imprevisto e non si vorrà sbilanciare… vedrai…». Il detective non era troppo ottimista quando si trattava di Marcos.

    L’uomo fissava sempre la radura, che si trovava a una cinquantina di metri, in prossimità di alcune dune. Poi, guardando in alto, notò che il tempo si era fatto incerto, come ogni sera da una settimana a quella parte.

    ***

    La pioggia arrivava a secchiate, e sembrava volesse riempire le strade e sommergere per sempre la città. Un’ombra: dall’angolo spuntò Luke bagnato fradicio correndo a perdifiato, appesantito dai propri indumenti inzuppati d’acqua.

    Un fulmine illuminò per un attimo il cammino…

    E subito dopo seguì un boato.

    Il ragazzo affannato imboccò una strettoia, e nel farlo incrociò una ragazza con la gonna grigia che stava varcando frettolosamente il portone di casa. Indossava calze a rete nere e portava un grazioso cappellino color panna, sembrava di fretta. Una fretta sospetta.

    Luke non ebbe neppure il tempo di intravvederne il viso, ma con la coda dell’occhio si accorse che era riuscita ad aprire la serratura al primo tentativo, con un colpo ben assestato.

    Luke correva a testa bassa avvertendo sotto le scarpe le pietre dure e scivolose delle vie del centro. I sampietrini irregolari di quell’antica strada si facevano sentire, deformandogli la sottile gomma delle suole. Quella strada non l’avevano coperta con l’asfalto. Non ancora.

    ***

    «Moi, occorre ricostruire le ultime ore trascorse…» congetturò Marianne, sempre con quell’aria da comandante, quasi ci provasse gusto ad approfittarsi del suo grado gerarchico.

    Moi, che guardava da qualche minuto sempre in direzione di quella stessa radura, dando le spalle alla donna, rispose: «Sì Marianne, certo. Però l’approccio dovrà essere maggiormente strutturato… concordi?».

    La donna con tono seccato, ma consapevole della pertinenza dell’osservazione: «Ma perché dobbiamo già complicarla?…».

    L’altro, più esperto, subito replicò pacato: «Va bene, come vuoi. Facciamo esattamente come vuoi tu. Però la sensazione che ho non è delle migliori… lo sai, te ne ho già parlato».

    «A cosa ti riferisci?».

    L’uomo, indispettito dal fatto che la donna non ricordasse la sua teoria, rispose: «Senti, non voglio tirarla per le lunghe… cosa ti fa pensare che sia più semplice stavolta?».

    Marianne Ressi rivolse finalmente l’attenzione nella stessa direzione verso cui stava guardando Moi. Qualcosa di piccolo e inerte giaceva a terra proprio in quella piccola radura a cinquanta metri di distanza. Pareva qualcosa di umano.

    ***

    Un altro fulmine si scaricò a terra, da qualche parte in quella cupa città. L’acqua che bagnava le pietre rifletté prontamente il bagliore del lampo per un istante. E di nuovo un frastuono assordante. Sembrava che il cielo si fosse squarciato, come se un grosso scafo arrugginito avesse cozzato su uno scoglio aprendosi in due.

    Nell’aria c’era solo odore di pioggia caduta, e Luke odiava quell’odore. Imboccò un’altra strada e, per un attimo, Luke vide stavolta un uomo affacciato al primo piano di un appartamento. Non riuscì a vedere bene in faccia neppure lui, ma era come se avesse la sensazione di conoscerlo. Luke cercò di guardare meglio, ma non riuscì a riconoscerlo, gli parve di vedere che tenesse tra le dita una sigaretta, lo intuì da un puntino rosso all’altezza della bocca. La priorità in quel momento era però tutt’altro, occorreva al più presto trovare di che ripararsi.

    Il ragazzo, guardandosi un attimo intorno, si accorse che in giro non vi era più nessuno.

    Sino a poco prima le viuzze del centro erano colme di gente, ma dopo le prime gocce tutti si erano dileguati in fretta e furia. E avevano fatto bene, perché tutto a un tratto si era scatenato in effetti un temporale senza precedenti.

    Luke accusava una certa stanchezza, era come se gli si offuscasse la vista quando alzava la testa.

    Correva bagnato tra i vicoli del centro che si assomigliavano tutti tra loro, quelle strade erano come un grande labirinto. Forse il più grande, per qualcuno.

    Le stradine si stringevano sempre di più. Sempre più piccole e strane, quasi s’accavallavano l’una sopra l’altra, ma quando pensava di essersi perso… finalmente apparve una luce.

    Un’insegna colorata e luminosa apparve tra i vapori che risalivano verso l’alto, in alto verso il cielo. Pareva quasi la salvezza, il rifugio dove trovare riparo da quel mondo ostile.

    L’insegna del locale era proprio lì, in mezzo alla nebbia, tra le gocce che rimbalzavano chiassose sul cemento. Era fatta di neon ricurvi di colore blu e recitava Le BiDì, un nome che sembrava richiamare la lingua francese.

    Per la fretta non la lesse neppure, era troppo concentrato su altro.

    Davanti a lui una porta d’ingresso che assomigliava a un’uscita di sicurezza.

    Non esitò, tirò la maniglia fredda e metallica ed entrò deciso nel locale.

    Un ambiente a primo impatto ospitale.

    Appena la porta si chiuse dietro di lui, il silenzio dette conforto alle orecchie del ragazzo. Il frastuono della pioggia ora non si udiva più.

    Dopo un attimo di ambientamento si rese conto di essere zuppo dalla testa ai piedi. Si sentiva pesante e maldestro, e sentiva le calze bagnate… Percepiva più forte che mai quell’odore di vestiti bagnati di pioggia che odiava dal profondo.

    Ripeto, detestava quell’odore.

    Alzò la testa e rivolse lo sguardo di fronte a lui.

    Una luce fioca e gialla illuminava un vecchio barista e il suo vecchio bancone entrambi ormai consumati dagli anni trascorsi assieme.

    L’uomo era intento a lucidare un bicchiere di vetro anch’esso ormai consumato dal tempo.

    Strofinava e strofinava…

    «Forse il bicchiere era veramente molto sporco», pensò di primo acchito Luke.

    Dietro al barista, sopra le mensole di legno, luccicavano le bottiglie di liquori, belle e colorate. Chissà quante persone avevano condiviso una battuta, una chiacchierata o, ancora meglio, un momento di silenzio davanti a una schiera di bottiglie come quella.

    Una bottiglia e un barista… in certe serate non si può chiedere di meglio.

    Tutte le bottiglie di liquori stavano lì sopra tranne una, la bottiglia di bourbon mancava senza giustificazione all’appello.

    Non era sopra le mensole perché si trovata lì… lì sul bancone, quasi finita.

    Luccicante, ma quasi finita. Però Luke non la vedeva nitidamente… Aveva ancora il problema di prima, era come se non riuscisse a metterla a fuoco per bene, non ci riusciva.

    Si passò le dita sulle palpebre perché aveva la sensazione che dei granelli di sabbia, o qualcosa del genere, gli dessero noia.

    Il barista indossava pantaloni neri e una camicia nera, sulla camicia portava una cravatta bianca. Aveva anche una giacca nera, ma quella l’aveva appesa nel retrobottega, appena dietro la porta.

    L’uomo con una mano girava il bicchiere in senso antiorario, mentre con l’altra infilava lo straccio bene all’interno per pulirlo a fondo. Fissava il ragazzo bagnato fradicio e intanto continuava a lustrare il suo bicchiere con fare professionale.

    Luke fece qualche passo avanti. Solo poco dopo si accorse che il bar pareva essere completamente vuoto.

    C’era un gran silenzio.

    All’inizio era un bel silenzio.

    Poco dopo cominciò a distinguere il rumore della pioggia in sottofondo, ma sostanzialmente lo strofinio stridente dello straccio era l’unico rumore chiaramente distinguibile all’interno del locale.

    Il ragazzo si avvicinò ancora, e sentì stavolta come un senso di profondo sconforto.

    Non so come, ma gli vennero in mente delle scale.

    Scale di un posto in cui era stato, ma non ricordava quando. Sapeva solo che era pomeriggio, un pomeriggio soleggiato, ma non erano illuminate, le scale erano buie…

    Poi il barista girò di scatto la testa in basso, era come se avesse visto qualcosa d’insolito sul bancone… Ma che cos’era?

    Il barista prima tolse lo straccio con delicatezza… e poi sbatté con forza il bicchiere sul pianale, sorridendo quasi istericamente.

    Subito dopo quell’uomo assunse un’espressione difficile da interpretare, esprimeva quasi amarezza. Ma più che una normale espressione era una smorfia…

    Quando l’uomo sbatté il bicchiere sul pianale, lì sul momento il ragazzo pensò che volesse versargli da bere.

    Ma non era così, infatti aveva appoggiato il bicchiere al contrario. Lo posò quasi come se avesse voluto intrappolare qualcosa al di sotto, si sarebbe detto.

    Subito non capì. «Che strano» pensò Luke, e sentì ancora quel senso di forte sconforto.

    Luke non poteva fare a meno di fissare quel ghigno… e il bel silenzio di qualche secondo prima si era trasformato in tensione.

    Luke non riusciva a rendersi conto pienamente di quello che stava succedendo, forse era troppo stanco per comprenderlo.

    «Ragazzo, vuoi qualcosa? Odori di pioggia…», disse il barista, che aveva finalmente cambiato espressione, fissandolo ora con uno sguardo vitreo.

    Forse Luke non vedeva bene, ma ebbe la sensazione che l’uomo muovesse la mascella in modo innaturale, gli pareva fosse troppo rigida.

    «Come scusi? No… sono entrato un attimo per ripararmi…».

    Luke non sapeva cosa rispondere e siccome il silenzio lo imbarazzava aggiunse: «Non posso pensarci un attimo?!».

    «Certo, non sei obbligato a ordinare qualcosa, ma forse un bicchierino ti aiuterebbe…», disse il barista, dirigendo di nuovo lo sguardo verso il bancone, lentamente, come se volesse alludere a qualcosa che in quel momento sfuggiva al ragazzo…

    «Non capisco… come mi aiuterebbe?», replicò turbato Luke.

    «Ti aiuterebbe con questo scarafaggio!», e indicò con gli occhi il bicchiere tenuto al contrario sul pianale. Il barista pronunciò queste ultime parole con tono inquietante.

    Luke guardò il bicchiere e vide il grosso insetto. Un brivido di repulsione lo attraversò da parte a parte. «Ora vado!», replicò d’istinto.

    «Dovresti restare invece, non sei curioso?…», aggiunse il barista.

    Il ragazzo indietreggiò di qualche passo, finché il piede non urtò qualcosa a terra… un rumore di vetro. Rivolse l’attenzione in basso e capì di avere colpito un bicchiere. Per terra c’era anche dell’altro.

    Luke non credeva ai propri occhi, ma era così: sul pavimento c’era un’interminabile distesa di bicchieri. Tutti uguali, tutti capovolti.

    E sotto ad ognuno c’era qualcosa…

    Sotto ad ognuno c’era uno scarafaggio…

    Uno scarafaggio nero, enorme e lucido.

    Alcuni erano fermi, mentre altri si muovevano freneticamente, ingabbiati sotto il vetro.

    Quella situazione così strana e incomprensibile lo paralizzò.

    Poi…

    Un solletichio alla mano sinistra.

    Un insetto di notevoli dimensioni, lucido e coriaceo, camminava lentamente proprio sulla sua mano. E lo morse. Un piccolo morso, non troppo doloroso… Luke fece un urlo per lo schifo e scuotendo con furia la mano scagliò l’insetto a terra.

    Si guardò per un attimo la mano… poi alzò lo sguardo, notando che il barista aveva liberato l’insetto dal suo bicchiere: intuì che l’insetto responsabile del morso era proprio quello…

    Cosa significava ciò che stava accadendo?

    Spesso, quando si trova in una situazione strana e imprevista, l’essere umano tende a bloccarsi… E a Luke questo successe.

    Una notte un uomo in auto stava tornando tranquillo verso casa, quando a un certo punto vide al bordo della strada una ragazza agitarsi in lontananza, l’impressione era che volesse fermarlo. L’uomo abbassò per un attimo l’autoradio e premette leggermente il freno.

    La leggera pressione sul freno non aveva la funzione di evitare l’incidente, perché la donna era lontana e a lato della strada. Rallentò per dare tempo ai suoi pensieri di arrivare a una decisione. Questa è la natura istintiva dell’uomo e anche di alcuni animali, mammiferi perlopiù. Come quando una lepre drizza le orecchie e ti fissa prima di fuggire a gambe levate, anche se tu vorresti farle solo una carezza. Poi, dopo questo temporaneo senso di smarrimento, vi è una reazione…

    L’uomo in questione poteva comportarsi in modi diversi: fermarsi e sentire cosa voleva la ragazza… oppure scansarla e tirare dritto verso casa.

    Anche Luke, nel locale, tirò dritto.

    La situazione non era di reale pericolo, ma comunque Luke reagì in quel modo. Non voleva affrontare o capire bene cosa stesse accadendo in quel locale.

    Il problema

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