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E-book123 pagine1 ora

Accad(d)e

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Info su questo ebook

Per Giacomo è una serata come le altre.
Sa già che, una volta oltrepassata la porta della sua casa, un muro di ostilità gli si parerà innanzi.
Come ormai succede da tanto tempo. Da troppo.
Le responsabilità che gravano sulla sua schiena sono più forti di qualsiasi altra cosa, più forti anche della pensione che ha raggiunto dopo anni di sacrifici.
Traguardo che passerà, come sempre, sotto una crudele indifferenza.
Eppure la visita inattesa di Manuel, il vicino, dà una piega diversa a una serata buia come l’appartamento di Giacomo.
Perché Manuel non è solo: con lui, una ragazza timida, quasi timorosa.
Una ragazza che, dopo poche ore, tornerà a bussare alla porta di Giacomo, ma questa volta ad aprire sarà Marisa, sua moglie, una donna squassata da un dolore troppo grande da poterlo descrivere.
Basta uno sguardo, e Marisa capisce tutto.
Un altro mostro ha messo piede nel loro caseggiato.
Un mostro dalle fattezze di angelo.
Come colui che, molti anni prima, stravolse la loro famiglia.
Accadde.
Accade.

Può una donna sola e indifesa salvare se stessa e chi le sta intorno?
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita10 feb 2020
ISBN9788833664408
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    Anteprima del libro

    Accad(d)e - Maria Fonte Fucci

    Ringraziamenti

    PRIMA PARTE

    1

    U N PUNTINO in mezzo a tanti: questo era Giacomo Merighi mentre si affrettava, tra la calca, a entrare nel vagone della metro. A quell’ora la linea gialla della metropolitana di Milano era improponibile: gente ammassata e pressata in vagoni che, a ogni fermata, come tante piccole formiche usciva velocemente.

    Sgomitò tra la gente per non farsi rubare il posto libero, ma scorse una cicca appiccicata da chissà quanto tempo e comprese come mai non ci fosse seduto nessuno. Non aveva mai avuto fortuna in nulla, che si aspettava? Con aria indifferente si aggrappò al maniglione e osservò i neon scorrere fuori dal finestrino, ascoltando la solita voce meccanica indicare le fermate. Scese a Zara per poter prendere la linea M5. Si guardò ancora intorno. I soliti cartelloni pubblicitari, i soliti pendolari, il solito grigiore. La quotidianità, insomma.

    Ma quel giorno la routine aveva un sapore diverso. Era giunta al termine.

    Quel giorno Giacomo festeggiava il raggiungimento di un traguardo: la pensione. Stava giusto rientrando dalla festa che i colleghi avevano organizzato per lui. Già, i colleghi, perché di sicuro a casa la situazione sarebbe stata diversa. Non avrebbe trovato festoni, nessuna moglie e figli ad attenderlo per gettargli le braccia al collo. Solo il consueto clima freddo e cupo di solitudine che da anni, ormai, contraddistingueva la sua famiglia e i suoi rientri a casa.

    Con l’impermeabile bagnato dalla pioggerellina di novembre, per cui l’apertura dell’ombrello è inutile, si infilò in ascensore immaginando, a ogni piano che scorreva via, la sua vita diversa, il giorno della sua pensione diverso. Invece era tutto grigio come le pareti che lo circondavano, ancora più fredde per via del neon che dall’alto partiva per illuminarlo.

    Era al capolinea, ormai.

    Era questa la vita? Sacrificarsi anni per raggiungere una posizione, essere costretto costantemente ad apparire sereno e tranquillo con l’inferno che ci si porta dentro. E adesso? Stava finendo tutto. Nel peggiore dei modi.

    Un brivido freddo gli percorse la schiena. Aveva l’impermeabile bagnato da quell’apparentemente insignificante acquerugiola. Si guardò nello specchio freddo posizionato lì da sempre. Quanto era invecchiato. Ma quando? Quando era successo? Si scrutò come se si stesse osservando dopo chissà quanto tempo per la prima volta. Come quando, dopo un intervento, ti togli le bende per ammirare il risultato. Solo che per lui era davvero deludente. Qualche capello crespo e bianchiccio ancora presente sulla parte alta della testa. Alcune rughe scavate orizzontalmente sulla fronte. Il pizzetto grigio e crespo che si stava sfregando con una mano. La stessa mano che portava i segni dell’età che avanza con alcune macchie sul dorso. Gli occhialini dalla montatura dorata che per la sua miopia gli rendevano gli occhi più piccoli e incavati di quanto non lo fossero di già. Aveva messo su anche un po’ di pancia. Raddrizzando la schiena non aveva una perfetta visuale dei suoi piedi. Quando era ingrassato? Non se n’era neanche accorto.

    Di certo non si poteva dire che fosse un uomo affascinante e prestante, rannicchiato e quasi ingobbito in quell’impermeabile. Ma nonostante ciò riusciva comunque a carpire l’attenzione di donne e colleghe, quando parlava. Sapeva rendersi interessante agli occhi di tutte, tranne che a quelli di sua moglie.

    Aveva lo sguardo perso nel vuoto e la testa immersa nei pensieri quando all’improvviso lo scatto dell’ascensore che indicava l’arrivo all’ottavo piano lo ridestò.

    Quanti pensieri affollavano ogni giorno la sua mente nell’attesa di quell’ottavo piano! Chissà come sarebbe stata la vita a un primo piano per cui l’ascensore non sarebbe servito. Magari a quest’ora quella pancetta non ci sarebbe stata. Incontri diversi, vicini diversi, visuale diversa. Magari non ci sarebbe stato neanche tutto quello che inconsapevolmente lo attendeva da lì a breve. Magari.

    Prese la borsa da lavoro e le due bottiglie di vino che chi si fingeva grande amico gli aveva regalato. Ma lui, in tanti anni, aveva capito che occorreva fare buon viso a cattivo gioco. Aveva già affrontato l’inferno, e i falsi amici erano l’ultimo dei suoi problemi. Ma almeno loro una festa gliel’avevano fatta, fosse anche per celebrare cinicamente un posto che si stava finalmente liberando. A casa non ci sarebbe stato nessuno con cui festeggiare.

    Uscì dall’ascensore e con cautela chiuse la porta dietro di sé, sperando che non s’inceppasse. Dopo tanti anni quell’ascensore aveva ancora la tendenza a bloccarsi. E ogni volta erano ricordi. Meglio scacciarli via subito. Infilò le chiavi nella toppa, come sempre c’erano due mandate anche se non era ancora sera. Entrò chiudendosi la porta cigolante alle spalle.

    La festa, le urla e i colori erano ormai un lontano ricordo che aveva ceduto il posto al solito colore cinereo tipico del suo appartamento, come tipico era anche il sottofondo del televisore sempre acceso. Il tanfo di vecchio aleggiava tutt’intorno e gli si infilava ogni volta nelle narici. Non si era mai veramente abituato.

    Neanche quella era la giornata giusta. Le finestre non erano state aperte.

    Sul divanetto di fronte al televisore giaceva rannicchiata Marisa, una donna che la vita aveva fatto invecchiare prima del tempo. Una donna meravigliosa, e lo sarebbe ancora stata se gli occhi azzurri non fossero stati sempre persi nel vuoto e non avessero lanciato sguardi di odio nei confronti di tutti e soprattutto di Giacomo, quando non erano obnubilati dai farmaci.

    Il biondo angelico e mosso degli splendidi capelli aveva ceduto il passo a diverse sfumature di grigio; sicuramente più di cinquanta, ma senza risvolti erotici. Sempre arruffati, ma non c’era da stupirsi: ogni giorno era uguale all’altro e i suoi unici spostamenti erano tra la camera da letto e il divano. Mai che si preoccupasse di sistemare quei dannati capelli. Ma tanto era inutile. Neanche cento colpi di spazzola avrebbero cancellato la forma del cuscino che li allargava a raggiera.

    Il corpo, un tempo avvolto da splendidi abitini colorati che mettevano in mostra le sue non eccessive ma molto belle forme, era ora sempre infagottato in indumenti lunghi e larghi che le regalavano almeno quindici anni in più. Calzettoni, ciabatte. Se Giacomo l’avesse vista per strada l’avrebbe scambiata per una qualunque senzatetto senza il minimo potenziale, esteticamente parlando. Sembrava così sciatta. Chi lo avrebbe mai immaginato? Un tempo erano due ragazzi felici e innamorati della loro vita e della loro coppia. Due ragazzi curiosi, alla ricerca di posti nuovi da scoprire, di culture diverse in un mondo pieno di colori. In un mondo pieno di vita. Si erano sposati con l’idea di diventare una cosa sola per affrontarlo insieme, questo mondo, lo stesso che invece li aveva messi davanti a una dura realtà, l’opposto di ciò che sognavano.

    Una vita che ora li vedeva stanchi, distanti e con l’inferno nel cuore.

    Giacomo poggiò la borsa e le bottiglie su un tavolinetto di legno nell’ingresso e lentamente si avvicinò al divano per posarle una mano sulla spalla ricoperta da uno scialle infeltrito e salutarla con un bacio sulla guancia al quale lei si sarebbe sicuramente sottratta. Quasi provasse disgusto per quello che era, in fin dei conti, suo marito.

    Bastò quel tentativo di avvicinamento perché lei gli percepisse addosso odore di alcol. Alcol uguale festa, uguale bagordi. Eccolo come soffriva, l’animale. Tra un calice di vino e ammiccamenti a quelle ragazzine pronte a tutto pur di fare carriera, mentre lui si crogiolava nell’idea che fossero affascinate dalla sua misera persona. Marisa si voltò lentamente e, con la solita aria di sfida mista a disgusto, lo guardò attraverso i capelli scarmigliati che le ricoprivano la fronte.

    Giacomo si immobilizzò come davanti a un plotone d’esecuzione. Il minimo passo falso e ci avrebbe rimesso le penne. Lo stomaco si contorceva già. Da anni era sottoposto a questo tipo di interrogatori e scenate. Paradossalmente avrebbero potuto anche mancargli se non ci fossero state, tanto ne era abituato. Cercò di comportarsi in maniera indifferente liberando le tasche dalle chiavi dell’auto e qualche bigliettino d’auguri.

    La voce di lei quasi lo paralizzò. «Com’è andata?»

    «Bene, molto bene.»

    Forse era il caso di renderla partecipe. Magari l’avrebbe quietata. Le si sedette accanto mostrandole alcuni bigliettini con fierezza e accennando un sorriso alle parole tutti contenti.

    «E tu?»

    «Certo, anch’io... Un bel traguardo.»

    Con tutta l’acidità di cui era capace, Marisa disse: «Anche per me.»

    «Scusa, in che senso?»

    Accennò un mezzo sorriso. Doveva essere più arrabbiata del solito. «Non dovrò più prepararti la colazione; anzi, da domani sarai tu a portarmela a letto.» La frase le rimase quasi strozzata in gola, bloccata da un forte colpo di tosse. Quasi non respirava. Diventò tutta rossa con le vene sempre più in evidenza sul collo e lungo le tempie.

    Giacomo si sentì quasi in colpa. Aveva sperato così tanto che smettesse di accusarlo da sembrare quasi di averle tirato una maledizione affinché soffocasse lì, da un momento all’altro.

    Improvvisamente Marisa si riprese. Da un po’ le succedeva di avere quei ripetuti attacchi di tosse per cui il suo medico — che non era assolutamente Giacomo perché neanche come medico valeva

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