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Una notte di tempesta
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E-book199 pagine3 ore

Una notte di tempesta

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Info su questo ebook

Una raccolta di racconti apparentemente slegati tra loro, ma accomunati dalla sensazione di inquietudine che pervade le parole dell’autrice, scelte con accurata dolcezza e precisione. Niente viene lasciato al caso, ogni minimo dettaglio è importante, ogni riga racconta una storia a sé, come gli oggetti in una bottega di un antiquario. Un viaggio tra diversi livelli, tra realtà e immaginazione, che tiene incollati dalla prima all’ultima parola dipinta e fermata su queste pagine.

Anna Maria D’Agata nasce a Catania, dove vive fino alla maggiore età. Si laurea in sociologia con indirizzo antropologico presso l’Università “La Sapienza” di Roma. La bellezza grandiosa della città la incanta. Le manca il mare. Sogna di viaggiare in Paesi lontani e di scrivere. Inizia col suo primo diario all’età di dodici anni, per non smettere più. L’Europa la conosce, ma vuole spingersi più lontano, desidera sentirsi spaesata, sorpresa, meravigliata da culture esotiche. Il Perù, la Colombia, l’Ecuador in compagnia della bellissima e dolce sorella,
dell’adorata nipotina Lianca, passione mai uguagliata.
La Sicilia è lontana, la famiglia pure. Dopo un lungo vagabondare, il Messico, i Maya, le piramidi, paesaggi d’infinita bellezza, gli oceani tumultuosi, possenti; il deserto, il peyote, la dolcezza mite degli indiani, la violenza dei messicani. La scrittura la accompagna, a periodi la lascia da parte insoddisfatta, critica, stanca di parlare di sé… Incontra J.L., fa e disfa il mondo e lui la ascolta paziente, silenzioso, non ha bisogno di parlare, lui, è un artista, il suo lavoro dice quanto è necessario e molto di più. Si sposano qualche tempo dopo a Bruxelles, la città ha una bellezza segreta che si svela a poco a poco, vuole restare. Scrive, il suo desiderio più forte è quello… Si reinventa antiquaria, ha la passione per i mercati, i rigattieri, le fiere; l’ha sempre avuta, fa di un hobby il suo lavoro. Viaggia nel passato, non più per il mondo. Le sue inquietudini, i suoi desideri, i suoi sogni a occhi aperti rischiano di smarrirla. Comincia così l’analisi, che sarà il viaggio più vertiginoso della sua esistenza. Scrive senza una vera continuità, quei fogli bianchi luccicano minacciosi, decide di rinunciare ma è impossibile… Ora vive a Catania da qualche mese, è ritornata finalmente dopo il suo lungo, volontario esilio. Ha settant’anni e scrive con trepidante emozione, come il primo giorno.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2023
ISBN9788830690417
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    Una notte di tempesta - Anna Maria D'Agata

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    Anna Maria D’Agata

    Una notte

    di tempesta

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8570-3

    I edizione ottobre 2023

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Una notte di tempesta

    Andiamo incontro al tempo così come esso ci cerca

    Shakespeare, Cimbelino

    A Lianca

    A Jean-Luc

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Una notte di tempesta

    Tutto appariva immoto e desolato in quel lungo tratto di strada attraverso la campagna solitaria e disabitata per cui dovettero passare in quel tardo pomeriggio d’inverno. Nuvole basse e gravide di pioggia si addensavano nel cielo grigio e malinconico annunciando un temporale ormai prossimo.

    La vecchia automobile intraprese a fatica il lungo e dissestato declivio della collina spoglia e brulla dove pochi alberi muscosi e nudi si ergevano contorti e spettrali. L’aria era densa di umidità e sembrava vibrasse di tensione per l’approssimarsi della pioggia, i primi fulmini saettavano già in lontananza, seguiti a breve distanza dal rombo sordo e potente del tuono.

    Avevano intrapreso quel viaggio breve ma importuno per un impegno fortuito a cui non avevano saputo opporre, con quella prontezza incurante e necessaria, un netto rifiuto.

    Erano sposati da una decina d’anni ma già da qualche tempo un dialogo fastidiosamente laconico e sterile si era insediato tra loro dopo un lungo periodo di ostilità malcelata e dolorosa.

    Ora la pista correva ai piedi di un ripido pendio coperto di arbusti cespugliosi dalle foglie sempreverdi e croccanti. L’automobile sussultava sul cammino irregolare dove ogni tanto si apriva qualche buca che era difficile evitare, Leli guidava, lo sguardo fisso e attento sulla strada, mormorando ogni tanto a bassa voce qualche imprecazione stizzosa per lo stato malconcio del cammino. Aveva un viso magro e lungo dalla tinta pallida, gli occhi grandi e scuri sprofondati nelle orbite sembravano guardare dal fondo di un pozzo. Le mani strette sul volante erano piccole e le dite paffute come quelle di un bambino stupivano su di un uomo magro e allampanato qual era.

    Cominciarono a cadere le prime grosse gocce di pioggia, picchiettando il parabrezza dell’auto con un ticchettio deciso e metodico. Ora il cielo era livido e la luminosità lattea di poco prima andava scemando.

    «Comincia il temporale» disse lei con tono inespressivo e i tratti del viso restarono immoti e indifferenti. Aveva un piccolo, grazioso volto rotondo e cascate di riccioli bruni lo incorniciavano delicatamente, gli occhi castani vaghi e gentili ammiccavano leggermente di continuo. Era una donna bassetta e un inizio di pinguedine pareva minacciarla senza mai veramente farsi strada. Il marito annuì appena col capo e un pesante silenzio si insediò di nuovo tra loro, la pioggia cominciò a scrosciare con violenza rumoreggiando sopra il tetto dell’auto con le sue robuste sferzate. Ruscellava sui vetri e sul parabrezza copiosa, inclemente come una sinistra minaccia. Di tanto in tanto il cielo si illuminava della luce abbagliante di un fulmine, una cicatrice sfolgorante nel cielo uggioso, i tuoni seguivano di qualche istante minacciosi, ruggiti di fiere invisibili.

    Dentro l’auto la coppia non fiatava, il silenzio sembrava avere assorbito anche i loro respiri. La donna rabbrividiva stringendosi nel suo scialle come a proteggersi forse più dal quel gelido silenzio che dalla bufera che incalzava fuori.

    La strada ora serpeggiava lungo l’argine del fiume che scorreva più sotto, colmo di acque torbide che parevano nutrirsi ogni istante di più di quella pioggia abbondante e impetuosa. I meandri stessi del fiume così maestosi e suggestivi durante il bel tempo ora parevano ostili e pericolosi.

    Leli guidava piano, concentrato sulla strada, senza lasciare con lo sguardo dei suoi occhi attenti la pista ormai fangosa, la pioggia non accennava a diminuire, richiedendo tutta l’attenzione possibile, la tensione gli induriva i tratti del viso dalle labbra strette e il colorito livido sotto la luce smorta del temporale. D’un tratto l’auto cominciò a fare dei balzi regolari mentre il motore emetteva un rumore di cocci rotti che non presagiva nulla di buono.

    «Cosa succede?» disse la donna con voce smorta ma l’inquietudine le si leggeva negli occhi, adombrati e rimpiccioliti sotto le sopracciglia ad arco che ora si toccavano sotto l’effetto della fronte corrucciata.

    «Non lo so, forse il motore ha preso acqua…» Il suo tono era freddo mentre il boato di un tuono cupo e profondo rimbombò minaccioso.

    La donna emise un grido strozzato, quasi che non potesse più mantenere l’impassibilità di poco prima.

    «Questa maledetta pioggia m’impedisce perfino di vedere bene dove vado…» Lo disse con stizza mentre il suo corpo si inclinava a toccare lo sterzo con il petto. Dopo l’ennesimo balzo l’automobile si fermò emettendo una specie di rantolo, quasi avesse con quel rumore esalato l’ultimo respiro.

    Restarono per un lungo minuto silenziosi mentre Leli cercava di riaccendere il motore ma tutto fu inutile, l’auto sembrava definitivamente in panne.

    «Questa maledetta auto, è da tempo che avrei dovuto metterla allo sfascio!» Le sue mani da fanciullo colpirono con forza lo sterzo in un moto di collera impotente.

    «Non possiamo permetterci di comprarne una nuova, lo sai bene!» rispose lei con voce metallica e sgradevole guardando il marito con malcelato disprezzo.

    «Non è il momento per inutili recriminazioni» rispose lui gelido «meglio decidere cosa fare, la pioggia non accenna a diminuire, fra poco sarà buio e francamente non ho idea di dove siamo né se qui attorno possiamo trovare un’anima viva che possa ospitarci…»

    «Hai ragione, sarà meglio coprirci e uscire per cercare aiuto, dovrà pur esserci qualcuno che abita nei dintorni, in fondo non siamo così lontani dal villaggio!»

    Fuori la tempesta imperversava incessante e impetuosa, la stessa auto sembrava non potesse contenere ancora per molto quella furia, i due si coprirono alla bell’e meglio e uscirono dall’abitacolo alla ricerca di un rifugio. Un vago lucore precedeva l’ormai prossimo tramonto, un paesaggio piatto e roccioso dall’apparenza spettrale li circondava, tutto sembrava deserto, la strada ormai ridotta a una pista malconcia e grondante sembrava non portare da nessuna parte. La coppia si guardò intorno, ansiosa e affannata, mentre l’acqua schiumava fangosa attorno ai loro piedi e gli abiti cominciavano a non trattenere più la pioggia. Camminavano allacciati l’uno all’altra come a fare barriera alla violenza della burrasca. Quella prossimità li rassicurava e permetteva di andare più in fretta. Un abbraccio necessario che gli ricordò nello spazio di un secondo l’antica intimità perduta.

    A un tratto la strada curvò bruscamente, e una collinetta dalla forma di piramide apparve alla destra del cammino, la sua forma era così regolare e perfetta da non sembrare opera della natura. Lungo il ripido declivio, incastrata sul fianco, vi era una semplice costruzione vecchiotta e curiosa alla cui porta si giungeva per un vialetto scosceso pavimentato di grosse lastre di pietra nera e fiancheggiato da siepi ormai spoglie e appassite.

    Non fu necessario riflettere un istante, i due presero il vialetto e a fatica lo percorsero fino ad arrivare al piccolo cancello di ferro che rappresentava l’ultimo ostacolo alla porta d’entrata. Leli spinse con forza le colonnine di metallo e quasi subito la grata si aprì; finalmente riparati dalla tettoia in cima alla porta si guardarono un attimo, sollevati per avere trovato quasi certamente un rifugio. Un robusto battente di ferro pendeva sul portoncino malandato, la pittura verdastra era quasi tutta scrostata e il legno era fessurato e rigonfio in parecchi punti. Fu ancora Leli che senza esitazione picchiò forte col battente con ripetuti colpi. Dall’interno non veniva nessun rumore. Al contrario, pareva che la casa fosse disabitata. La coppia aspettava impaziente e inquieta. «Forse non c’è nessuno» disse la donna «sembra una vecchia casa disabitata!» A quelle parole Leli riprese a picchiare furiosamente, la pioggia continuava e il cielo si scuriva rapidamente, ora i lampi tagliavano il cielo provocando bagliori d’argento che ferivano gli occhi. Quando ormai avevano perso la speranza che qualcuno venisse in loro soccorso, ecco che un rumore sordo e prolungato giunse dall’interno e piano piano, a fatica, la porta scricchiolando sul telaio si aprì.

    Un uomo non più giovane, dall’aspetto austero e solenne, apparve sulla soglia. Non parlava ma fissava i due sconosciuti con i suoi occhi chiari che mettevano soggezione, Leli cominciò con imbarazzo la sua spiegazione, ma il vecchio l’interruppe con un gesto della mano e facendosi di lato li invitò a entrare.

    La casa era poco illuminata, un lume a petrolio poggiato sopra una panca di legno lungo il corridoio schiariva appena il cammino verso il resto dell’abitazione, l’uomo la prese e condusse i suoi ospiti lungo l’andito, diretto a una stanza in fondo. I loro passi facevano cigolare le assi del pavimento ma per il resto un silenzio pesante e circospetto sembrava abitare quel luogo. La stanza dove furono condotti dopo quel breve tragitto lungo il sinuoso corridoio era di modeste dimensioni, solo il caminetto acceso la illuminava, le agitate e danzanti lingue di fuoco delle fiamme e il crepitio dei ceppi rallegrarono gli ospiti che si precipitarono, dimentichi delle buone maniere, verso quella benefica fonte di calore tanto desiderata. L’uomo sorrise e con tono affabile disse: «Togliete gli abiti, sono zuppi d’acqua, vi porto subito qualcosa da indossare fino a quando la vostra roba non si sarà asciugata».

    Leli ringraziò restituendo il sorriso, si sentiva confuso e sollevato, una forte emozione a lungo trattenuta sembrava ora debordare senza ritegno impedendogli di parlare. La moglie al contrario parlava in fretta gesticolando in maniera affannata, cercava in quel suo modo agitato di raccontare quanto era accaduto e ripetutamente ringraziava il cielo di averli condotti da lui, un signore così ospitale e generoso. Il vecchio la guardava e nei suoi occhi vi era una punta di derisione ma nei suoi modi perdurava una cordiale tolleranza, e lasciato il lume su di un vecchio malandato cassettone, sparì nel buio inghiottito dall’oscurità. La pioggia fuori continuava a cadere, si sentiva lo scrosciare regolare e continuo ma il rumore era smorzato dai pesanti e logori tendaggi che ricoprivano la finestra. Davanti al caminetto, due grosse poltrone malmesse dal tessuto sciupato sembrava li invitassero a occuparle dopo anni di attesa, sui muri l’intonaco percorso da crepe si scrostava. La donna, passata l’agitazione dei primi momenti, guardava la stanza con curiosità e attenzione, lo stato quasi decrepito del luogo la turbò e inquietò, un brivido la percorse come se di nuovo fosse preda di un gran freddo.

    «Cos’hai, hai ancora freddo?» le chiese il marito in tono premuroso, quasi che quella insolita circostanza lo avesse reso più attento nei confronti della moglie. «No, non è nulla, sono ancora un po’ scossa…» rispose lei stringendo leggermente gli occhi in quel suo modo infantile.

    L’uomo apparve sulla soglia, non lo avevano sentito arrivare tanto i suoi passi erano silenziosi e cauti, la donna pensò che doveva indossare delle pantofole che attutivano il rumore ma fu sorpresa nel vedere che invece calzava degli alti gambali di cuoio piuttosto incongrui in quella circostanza. Con i suoi modi gentili ma sobri porse loro degli abiti e delle coperte.

    «Cambiatevi, non ho nulla di meglio ma almeno sarete asciutti e al caldo. » Ora il suo sguardo era vago e lontano, e poggiati gli indumenti su una delle poltrone, fece un gesto strano e inimitabile con la mano.

    Gli ospiti si coprirono in fretta, i vestiti erano antiquati e frusti, grossi pantaloni di tela ruvida e una vecchia giacca da pescatore per lui, un vestito di lana grezza e pungente di un triste colore grigio topo per lei, le coperte erano tarlate in più punti e tutto odorava di polvere e di muffa come se fosse stato chiuso da troppo tempo in un armadio. Leli e la moglie li indossarono di malavoglia ma sapevano che non avevano scelta se volevano togliere da dosso quella umidità che gli penetrava fino alle ossa. L’aver tolto finalmente gli abiti zuppi procurò loro una sensazione di benessere, si guardarono e scoppiarono a ridere nel vedersi conciati in quel modo strambo e desueto. «Sembri una contadina dei tempi andati!» disse lui ridendo di buon umore e con una punta di malizia toccò con le sue piccole mani paffute l’abito che lei indossava.

    «Se sapessi come gratta, non so se riuscirò a sopportarlo a lungo! Tu invece mi fai pensare a un pescatore che ha appena naufragato!» Questa volta fu lei a ridere di cuore e lo guardò con i

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