Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Pizza Mussolini: La prima saga familiare italiana afrodiscendente
Pizza Mussolini: La prima saga familiare italiana afrodiscendente
Pizza Mussolini: La prima saga familiare italiana afrodiscendente
E-book210 pagine2 ore

Pizza Mussolini: La prima saga familiare italiana afrodiscendente

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Marilena, nata e cresciuta a Bergamo, ha trascorso la sua giovane vita a difendersi dai colpi bassi del razzismo: «Negra!»; è l’insulto che le è stato rivolto più spesso. A migliaia di chilometri di distanza, in Malawi, la venuta al mondo di Luna è stata salutata con un presagio di sventura a causa di un colore troppo chiaro della pelle: «Strega!»; è ciò che da allora le hanno urlato contro ovunque. Senza che le due ragazze sappiano nulla del proprio passato, c’è qualcosa di importante a unire Luna e Marilena. Gli abusi che subiscono in quanto donne, prima di tutto: identici, sia pure all’interno di contesti tanto lontani. Ma la relazione è ancora più forte di quello che si potrebbe immaginare: il filo rosso di una scoperta che, pagina dopo pagina, attraversando tre nazioni, due continenti e la tormentata eredità storica italiana, l’autrice di Pizza Mussolini consegna alle lettrici e ai lettori come un dono prezioso. La vicenda di un legame impossibile da nascondere: una scoperta fondamentale affinché le due ragazze ritrovino, insieme a loro stesse, l’orgoglio per la propria identità.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2023
ISBN9788867183951
Pizza Mussolini: La prima saga familiare italiana afrodiscendente

Correlato a Pizza Mussolini

Ebook correlati

Memorie personali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Pizza Mussolini

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Pizza Mussolini - Marilena Umuhoza Delli

    copertina

    Marilena Umuhoza Delli

    Pizza Mussolini

    La prima saga familiare italiana afrodiscendente

    UUID: ce5d0a9c-5b38-4d30-a9d8-df1de46b6ebe

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice

    Le sorgenti del Nilo

    Il luogo del sangue

    Sano cibo italiano

    La strega bianca

    La baby prostituta

    You are not welcome here

    Nera come il carbòn

    Tabù

    Di dove sei?

    La conversione

    La vera Africa

    I sette samurai

    Di come Arlecchino diventò donna

    Chamba

    Brescia merda

    Coffins to go

    Una mosca nel cappuccio

    Ossa

    Via Negretta

    Gli Akafula

    Invia

    Il Papa

    L'intrusa

    E lei chi diavolo è?

    Così come sei

    Fantasmi

    Coloni

    Dalle tenebre

    Novocaina

    Quando le streghe si pettinano i capelli

    Via Quarenghi

    Integrata

    Le negre lo fanno meglio

    Gesù Bambina

    Arriva Mamma Natale

    Lardo

    Lo zoccolo duro

    Pornografia

    La famiglia Cuore

    Rebelot

    Abissine formato bambola

    Pizza Mussolini

    Trick or treat

    Sequestro di persona

    La bianchezza fragile

    Livingston non deve morire

    Tragedia di un naufragio africano

    L'albero degli zoccoli

    Terriccio

    Pallini di piombo

    Effetto camel toe

    Segno della croce

    Le due Italie

    Favole

    Pellagra

    Fiori di baobab

    Stereotipica sfrenatezza africana

    Il capobranco

    Via ol gat, bàla ol rat

    Acqua di pozzo

    Attacchi di panico

    Al leprosario

    Calimero

    Moyo

    Una barzelletta mal riuscita

    Zondiwe

    Il gondoliere nero

    Istinto di preservazione

    Ringraziamenti

    Questo libro è frutto dell’immaginazione dell’autrice. Personaggi e storie sono inventati. Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistite è interamente dovuto a quella casualità che siamo abituati a chiamare vita.

    A tutte le famiglie sommerse.

    Siamo anime scisse dallo stesso corpo.

    Derubate della nostra storia,

    unite dalla razza e dal dolore.

    Strega tu,

    negra io.

    Kigali, 13 giugno 1977

    Le lettere che ti scrivo continuano a tornare indietro, come gli schiaffi che mi hai restituito dopo averti annunciato la mia partenza.

    Jo

    Le sorgenti del Nilo

    Bergamo, 1981

    Tra le cosce divaricate all’aria, il sangue scorreva prendendo due corsi: il primo era quello dei glutei, il secondo quello dell’addome, dove si raccoglieva sull’ombelico prima di gocciolare sul pavimento. Un fiume Nilo al contrario, pensò Chantal, rievocandone le sorgenti tra le mille colline del suo Rwanda.

    « Ubufasha!». 1

    Festa della mamma, 1981.

    I medici del Servizio Sanitario Nazionale l’avevano lasciata nuda, a testa in giù, ancora allacciata alle staffe, la sua neonata che vagiva. Il pranzo gratis della mensa li attendeva.

    Dall’altra parte del corridoio, sputavano lamentele in dialetto tra le labbra macchiate di pomodoro. La pasta sempre scotta, la paga sempre schifosa, i negri sempre a urlare.

    Il luogo del sangue

    Namiasi, 1972

    Scacciata di casa, Mpazo portava il fardello non solo sulla sua testa, ma sulla pancia – un carico di nove mesi. All’inizio aveva cercato di nasconderlo, negandolo perfino a sé stessa, finché non si rese pienamente visibile.

    I quaranta gradi di calura non erano diminuiti ma aumentati, mentre il sole sembrava suicidarsi dentro al Lago Malawi.

    Mpazo crollò ai piedi di un baobab – lo stesso baobab dove un secolo prima la sua tribù incatenava famiglie intere, per venderle come schiave agli Arabi. Proprio lì, nel suo villaggio, Namiasi: il luogo del sangue.

    Sua madre aveva insegnato a Mpazo a patire il dolore più lancinante con stoicismo, da bravo soldato. Che avrebbe pensato ora nel vederla così, collassata e contorta dalle doglie?

    Dopo ore di gemiti e grida, una levatrice del villaggio era giunta finalmente in suo aiuto, aiutandola a far nascere il bimbo più per irritazione che gentilezza. Laggiù, nel buio pesto, mezza sommersa dalle acque del lago, Mpazo non aveva ancora chiaro se l’intenzione della donna fosse quella di aiutarla o assassinarla. Poi, alle prime luci del giorno, cacciò un urlo agghiacciante.

    Sano cibo italiano

    Marilena Umuhoza Gallitelli succhiò il latte fino al compimento dell’ottavo mese, quando fu strappata dal capezzolo di sua madre. Senza un giorno di svezzamento, fu scaricata a casa di estranei.

    I vicini avevano a lungo feticizzato l’Africa, adottando bambini neri dal muso triste a distanza ma votando risolutamente la destra più razzista a casa loro.

    Quando Giuseppe, il padre di Marilena, portava la figlioletta prima dell’alba per poi riprendersela alla fine di ogni turno da dodici ore, non aveva idea che la piccina avesse compiuto il giro dell’intero vicinato – una bizzarria esotica in mostra ad amici, sarti, giocattolai, panettieri e pediatri del paese. La famiglia affidataria ostentò in lungo e in largo quanto la povera bimba fosse affamata di giocattoli, affetto e sano cibo italiano.

    Giuseppe era troppo esausto per notare i capelli accettati o la cicatrice del vaccino apparsa un giorno sul braccio della figlia.

    E così passarono i mesi.

    Poi un giorno, a colazione, la porta si spalancò senza che nessuno avesse bussato. I genitori surrogati erano troppo presi dalla loro negretta per accorgersi che Chantal Mahoro in Gallitelli era entrata, lottando con due bagagli più la neve.

    « Nyagasani!». 1

    La coppia le corse incontro con finto entusiasmo.

    « Ciantal, che bella sorpresa… Giuseppe non ci ha detto nulla del tuo arrivo».

    Nonostante vedesse a malapena nella stanza buia, Chantal tenne volutamente addosso gli occhiali da sole. Abbandonò le valige ai piedi della coppia e puntò dritto verso la bambina.

    « C’est où mon bébé?». 2

    « L’a dicc cusè?». 3

    Chantal strappò le bambole bionde da ciascuna delle mani della figlia e le lanciò in un angolo, tossiche al solo contatto. Agguantò Marilena per il petto e fuggì via, come per scampare al risucchio di qualche corrente.

    « Qu’est-ce qu’ils t’on fait?», 4 mugugnò, zoppicando accanto ai bagagli, per poi lasciarseli alle spalle – incluso ogni capo d’abbigliamento che possedesse – come fossero vestiti di seconda mano.

    La strega bianca

    Mentre le acque del lago Malawi si ritiravano, barche di pescatori cominciarono ad apparire sul letto arido. Non pioveva da mesi. E ora gli anziani cominciavano a morire.

    Nessuno era in grado di ricordare una siccità così grave da che era al mondo.

    Ogni giorno venivano fatte offerte sacrificali al kachisi 1 di Mulungu. 2 Ma non c’erano galline a sufficienza per soddisfare una tale richiesta. E i litri di thobwa 3 al sorgo che servirono inizialmente a placare l’ondata di malcontento, ora spingevano la gente alla violenza.

    C’era solo una certezza: la sventura precipitata sul loro clan era tutta colpa di Luna, la strega bianca.

    L’avevano cercata in lungo e in largo, eppure di lei non c’era più traccia. Era scomparsa mentre pestavano sua madre, che avevano

    risparmiato a malapena. Eppure quella strega doveva essere viva. Altrimenti perché l’ira di Dio continuava a persistere?

    Lo mfumu 4 aveva da tempo fatto chiamare la profetessa della pioggia, ma lei non si era ancora fatta vedere. Nonostante avesse lui stesso esiliato sua figlia, la madre, erano in molti a essere sospettosi, la sua autorità ormai compromessa.

    Lo avevano visto vagare per il cimitero come gli mfiti. 5 Quando un mattino, il vento australe cominciò a levarsi.

    « Njala!». 6

    La jeep del muzungu 7 fu circondata prima che avesse il tempo di fermarsi. I mormorii della gente crearono un boato.

    Sfoggiando Ray Ban a specchio e tunica sacerdotale, lo straniero puntò dritto alla capanna dello mfumu, entrando senza invito.

    Fu mentre spalancava la porta, che tutti la videro: la strega bianca, parzialmente nascosta, sorretta appena dalle gambe di otto mesi.

    «Luna!».

    La mvula 8 cadde provvidenzialmente, riversandosi così abbondantemente che il villaggio fu presto allagato.

    La baby prostituta

    Era apparsa sulla soglia di casa sola e a mani vuote. Quindici anni, zero reggiseno, addosso solo una canotta arancione in paillettes e una mini stracciata. Pareva una baby prostituta.

    Giuseppe sollevò i riccioli che le coprivano il viso come se stesse esaminando un randagio, e li tenne lì per un po’.

    « Tà sét chi, po’?». 1

    Rimasero così per minuti interi, finché non esplose verso il suo rifugio, il pollaio sul retro.

    Dentro, Chantal e Giuseppe strillarono l’uno addosso all’altra per più di un’ora – lei in kinyarwanda, lui in bergamasco stretto. Fuori si formò un capannello di gente. Nessuno capiva una parola di quel che dicevano, men che meno loro. Ma la storia era già di per sé fin troppo chiara.

    Una volta tornata in sé, la coppia andò nel panico e sfrecciò d’istinto verso la stanza della figlia, la stessa che una generazione prima ospitava la neonata nipotina della shura Cazzani, la donna che oggi fungeva da padrona, affittando loro la casa a prezzo di favore —una manciata di lire in meno, somma designata a ricordargli che lei aiutava il terzo mondo.

    Marilena aveva dormito per tutto quel tempo, rannicchiata tra le braccia della cugina rwandese, carta igienica a tappare le orecchie di entrambe.

    You are not welcome here

    «You are not welcome here». 1

    Era partita prima dell’alba per intraprendere un viaggio a piedi di quattro ore verso Mangochi e aveva atteso il suo turno ai cancelli della missione.

    Dopo esserne stata buttata fuori, fu costretta a lanciarsi nel fossato ai lati della strada per evitare di essere schiacciata dalla jeep del vescovo. Un gruppo di giovani pescatori che rientrava dal mercato non mosse un dito per venirle in soccorso. Invece, a turno, le sputarono addosso dall’alto, per poi sfrecciare via, ridacchiando: «Mfiti!».

    Per rimanere nascosta, Mpazo seguì il fossato per poi arrampicarsi su fino alla strada una volta raggiunti i confini della città.

    Quando la donna rientrò nella sua capanna, l’unica luce era quella della luna. Abitava nel vuoto più totale: un paesaggio deserto, nessuna casa in vista, non una bestia a un tiro di schioppo.

    A volte, immersa in quell’esilio, contemplava seriamente l’idea di convertirsi a strega, girare nuda tra le lapidi e nutrirsi di cadaveri e sangue mestruale sepolto.

    Nel cortile sul retro, due figure avanzarono verso di lei in silenzio. Gli mfiti erano venuti finalmente a prenderla.

    « Odi!». 2

    Mpazo esitò un attimo prima di corrergli incontro. Tese la mano destra, quella sinistra piegata sull’avambraccio in segno di piena accoglienza. Rischiò quasi di incendiare la capanna nella fretta di bollire l’acqua per la msima. 3

    Mentre Mpazo sedeva illuminata dal calderone, la faccia impiastricciata di farina, Luna fu colpita dal fatto che la madre assomigliasse esattamente alla strega di cui tutti parlavano.

    Quando la piccola sgattaiolava di notte dal villaggio per visitarla, non accadeva più di una o due volte l’anno che il nonno la accompagnasse.

    « Mwamupeza?». 4

    La domanda del vecchio finiva sempre per scatenare un’improvvisa e lacrimosa fine alle loro visite. Ma dopo quattro anni senza una parola di Jo, Mpazo non si disturbò nemmeno a rispondergli.

    Luna si inginocchiò e cominciò a intrecciare la frangetta della madre, ma invece che resistere e protestare, Mpazo restò immobile. Poi, senza preavviso, il capo villaggio si protese verso di loro, quasi cadendo. Mpazo si alzò su due piedi, pronta a inchinarsi per il commiato. Ma l’altro le afferrò il polso e la strattonò verso di sé, avvolgendo la figlia in un abbraccio che lei sentì più come un’aggressione che una riconciliazione.

    Nera come il carbòn

    La famiglia di Marilena fu costretta a trasferirsi a Zingonia, il ghetto de Bèrghem. Era stata sfrattata senza preavviso, così che la nipote della shur a Cazzani potesse aiutare un amico di università che aveva da tempo bramato alla casa perché c’era un giardino per il suo volpino di Pomerania.

    Incustodite, Marilena e sua cugina Jolie spendevano le giornate a guardare soap opera e le notti a esplorare i drammi nelle strade sottostanti. Capannoni abbandonati e inquinati da generazioni di abusivi e disoccupati che si sparavano eroina e metadone nella stessa dose, le braccia strette dagli sciarponi dell’Atalanta mentre sedevano sulle auto ferme col motore acceso.

    Per evitare di essere scambiate per prostitute, il cimitero era reputato off limits.

    Chantal aveva cominciato a lavorare come badante a chiamata, di notte e a turni doppi. Gli anziani reclusi le erano sempre riconoscenti.

    « Certo che ta sét nighèr come ‘l carbù!».

    «Come faceva quella canzone? Sei diventata nera, nera, nera. Come il carbòn!».

    Ridevano delle loro stesse battute, mentre lei gli cambiava i pannoloni e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1