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Arborei. Lalil a Milano. Libro primo: Lalil a Milano. Libro primo
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E-book164 pagine2 ore

Arborei. Lalil a Milano. Libro primo: Lalil a Milano. Libro primo

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Info su questo ebook

Lalil, nome Arboreo di Mirta Lauro, aveva registrato in alcuni fogli la testimonianza del suo incontro con la stirpe Arborea, a cui alcuni suoi antenati si erano uniti in tempi lontani. Lo aveva fatto perché desiderava che i suoi figli e i cinque nipoti continuassero l'alleanza con gli Arborei e ampliassero le loro esperienze e conoscenze sul Segreto Dentro. Avrebbero così affrontato meglio le vicende inimmaginabili che li attendevano.

Gli scritti, documenti e diari, che ci sono stati donati dalla nipote Cloè Bramante, ci hanno permesso di raccontare in questo Libro Primo le sue esperienze, unitamente alle reazioni della nipote.

In un Libro successivo narreremo le avventure vissute a Torino intorno al duemilatrenta da Cloè, sua sorella Egle e i tre cugini Ghé.

Trascriviamo in lingua Terricola le informazioni che abbiamo raccolto, con lo scopo di favorire l'amicizia tra le diverse specie esistenti, che ci auguriamo sia sempre più stretta e feconda.

Il Consiglio dei Sofianici

Anno Terricolo Duemilacentoventisei
LinguaItaliano
Data di uscita11 ott 2023
ISBN9791221496796
Arborei. Lalil a Milano. Libro primo: Lalil a Milano. Libro primo

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    Anteprima del libro

    Arborei. Lalil a Milano. Libro primo - Loredana Amalia Ceccon

    1. LA NONNA

    Un dono inaspettato

    Cloè, erba che spunta, l'avevano chiamata perché era proprio minuscola quando era nata. Ora era una ragazzetta di quindici anni, ancora un po' spigolosa, con delle gambe lunghissime e due grandi occhi dorati che riflettevano in lampi la luce del sole. Non era ancora consapevole di essere attraente, anche se si accorgeva che ogni tanto qualche compagno la osservava con interesse.

    Ma questo non la riguardava oggi.

    Oggi quei suoi occhi splendenti erano gonfi e rossi di pianto. Stava come inebetita nella sua stanza, fissando il chiarore che veniva dalla finestra senza vederlo.

    La nonna era morta.

    Aveva visto la bara di legno chiaro coprirsi di terra scura e la mamma scoppiare in un pianto disperato. Poi papà le aveva prese per mano, lei e la mamma, e le aveva portate a casa insieme ad Egle, la sorella più piccola. Ed ora Cloè era nella sua stanza e le lacrime continuavano a scendere, senza rumore, senza fermarsi.

    Sentì un bussare leggero e poi la porta si schiuse lasciando entrare la mamma che, senza parole, la abbracciò forte. Piansero ancora un poco insieme, poi la mamma si sedette sul suo divano letto e le fece segno di andarle vicino. La voce le tremava un poco mentre diceva: «La nonna mi ha detto di darti questo quando se ne sarebbe andata. È la storia che non ti ha mai raccontato.». Le allungò un piccolo astuccio rosso di velluto dove c'era una vecchia chiavetta usb, insieme a un pacco di fogli un po' ingialliti.

    L’emozione risvegliò i suoi ricordi e Cloè rivide la nonna, circa due anni prima. Era affacciata al balcone e guardava fuori degli uccelletti che gridavano come pazzi sui cespugli della vicina. Era così assorta e concentrata che non si accorgeva di essere fissata. Ogni volta che la scopriva così Cloè era sconcertata: sembrava un'altra persona, non era solo la nonna che strillava di mettere a posto, che cucinava i suoi risotti preferiti, che l'aiutava a fare i compiti e la portava a passeggio con i cugini e il nonno.

    Quando era così pareva che stesse ascoltando delle storie segrete, a cui reagiva con piccoli movimenti del viso e del corpo, ma in un silenzio assoluto che non si poteva interrompere. Erano momenti brevi, ma intensi. Poi la nonna si girava e di solito diceva: «Andiamo!».

    Quella volta però Cloè non rispettò il silenzio, le si fece vicina e le chiese: «Nonna, mi racconti una storia?». Non sapeva nemmeno lei perché glielo aveva chiesto: in realtà la nonna non raccontava mai storie, le leggeva soltanto; era nonno che sapeva raccontare e inventare le storie, con le voci che facevano paura o facevano ridere tutti a crepapelle.

    «La nonna non sa raccontare le storie, lo sai. Vai dal nonno!», le rispose. «No, no nonna. Raccontamela tu!», ribatté Cloè. «Cara, non posso.», insistette la nonna. Ma Cloè non si diede per vinta: «Ma dai, se vuoi una storia la sai anche tu!». La nonna la guardò perplessa e poi aggiunse: «Ascolta, ti prometto che una storia te la racconterò, ma non adesso, non ho tempo, devo pulire le verdure!». Le diede un grosso bacione e si diresse in cucina, lasciandola lì un po' delusa.

    Ma la nonna manteneva sempre le promesse, così Cloè aspettava il momento della storia della nonna. Erano passati due anni da allora; Cloè aveva pensato che la nonna si fosse dimenticata e non le chiese più niente, neanche quando si accorgeva di essere osservata un po' di soppiatto da dietro i grossi occhiali da miope che la nonna portava sempre.

    Poi era accaduto, all'improvviso se ne era andata e ancora non se ne erano bene resi conto.

    E adesso la mamma gliel'aveva portata, la storia della nonna.

    Cloè iniziò a scartabellare i fogli ingialliti: la storia era stata raccontata alla mamma, ma la nonna desiderava che la conoscessero anche le sue figlie. Ed ora toccava a Cloè, la primogenita, leggere ciò che era stato scritto in quelle vecchie carte.

    2. L’INCONTRO

    Tutto si trasforma

    "Figlia carissima, ora che sei grande e so che sei in grado di comprendere, voglio raccontarti qualcosa che penso sia bello farti sapere, prima che svapori nella mente che si trasforma.

    Ecco il fatto: sono in amicizia da molto tempo con gli Arborei.

    Tu certamente ancora non li conosci, ma non è escluso che prima o poi prendano contatto con te, perché vedo in te i segni che rendono possibile questo incontro.

    La prima volta che li incontrai ero in bicicletta lungo una strada di quei luoghi di montagna della mia infanzia che anche tu e tuo fratello conoscete, quella Valle Camonica dalle numerose conche e vallette, dove avete trascorso le vostre estati di bimbi piccoli. Non ricordo il nome della località da cui ero partita né quale fosse la mia meta. So soltanto che dopo una salita piuttosto faticosa la strada curvava improvvisamente e non si poteva nemmeno intravvedere cosa ci fosse dopo. Arrancai faticosamente fino al culmine dell'ansa e…di colpo tutto era cambiato! Non c'era più il paesaggio che conoscevo e che avevo percorso altre volte, fatto di case sparse qua e là e di paesini abbarbicati sulla roccia come gufi sul ramo. Subito dopo la curva mi si apriva la strada sterrata e assolata di una collina che rincorreva altre colline simili, in un gioco di onde e culmini rotondeggianti che si sovrapponevano e si intricavano l'uno con l'altro. Di qua e di là dalla strada grandi distese di verdi di ogni sfumatura occupavano interamente lo spazio visivo entrando dentro di me da tutte le parti.

    Sono rimasta con la bocca aperta dallo stupore, mentre continuavo a pedalare per forza d'inerzia; improvvisamente ho sentito una voce imperiosa e urgente che gridava: «Scendi dai, vieni di qui!». Ho frenato di colpo e per poco non cascavo (per me non è tanto difficile, come sai): sugli alberi della collina alla mia sinistra pareva che d'improvviso si fosse levato il vento e le fronde dei pioppi e dei faggi si piegavano e turbinavano come se un'improvvisa tempesta li avesse colpiti. Ma non era così. Sulle loro cime e sopra i loro rami potevo vedere un folto gruppo di figure che si slanciavano di ramo in ramo con la leggerezza di un passero, allungando esili braccia e lunghe gambe per spostarsi lungo il fianco della collina. Non erano scimmie, né loro parenti o antenati ma, nonostante la velocità dei loro spostamenti, avevo potuto rendermi conto che avevano profili umani, con naso, occhi, bocca, orecchie; si poteva distinguere dalle fattezze se erano maschi o femmine, ma ero impressionata dalla lunghezza inimmaginabile dei loro capelli, lasciati liberi o raccolti in crocchie dalle fogge più strane, sia nei maschi che nelle femmine. L'abbigliamento sembrava formato dalla sovrapposizione di vari strati di veli nelle più diverse tonalità di verde e solo in alcuni era possibile distinguere qualcosa di azzurro o blu e in altri qualcosa di più vicino al giallo. Mentre questa folla numerosa si muoveva quasi silenziosa, provocando solo il suono di un leggero fruscio di vento di primavera, l'impercettibile piegarsi dei rami mostrava che essi avevano peso e consistenza, seppure minimi. Registravo tutto questo guardando attonita e la meraviglia mi aveva avvolta così tanto che solo dopo un poco risentii la voce che mi parlava: «Ma che fai? Sbrigati a scendere di lì! È ora di andare!». Parlava a me come se mi conoscesse, come se sapesse cosa dovevo fare e allungava una mano diafana verso di me perché io l'afferrassi e la seguissi, mentre l'altra era allacciata alla catena umana che la precedeva e che iniziava a scomparire davanti a me all'orizzonte.

    «Ma...Io...». Ero rimasta sbalordita per troppo tempo ed essi dovevano andare, proseguire il loro straordinario cammino. «Sarà per un'altra volta!», mi disse a mo' di consolazione la figura verde, mentre si allontanava agitando la mano in segno di saluto.

    Mi sono seduta senza fiato sull'erba punteggiata di piccoli fiori fucsia, abbracciandomi le ginocchia e cercando di capire se avevo avuto le traveggole per il caldo o se stavo sognando. Poi mi sono alzata e ho inforcato di nuovo la bicicletta, scendendo a gran velocità verso casa. Dietro la curva tutto era come prima, tutto era come lo sapevo e con sollievo mi trovai sulla strada asfaltata dove ogni tanto qualche automobile mi sfiorava lasciandomi respirare una scia di gas di scarico: tutto era tornato normale. A casa mamma mi sgridò, perché naturalmente ero in ritardo e dovevo farle delle commissioni in paese e intanto mi guardava: «Ma dove sei stata?», mi disse. «Sei piena di terra! Vai a cambiarti prima!». Era vero: ero piena di terra. Ma dove potevo averla raccolta se tutta la strada che dovevo percorrere era asfaltata? La domanda mi rimase in testa e divenne un punto di domanda gigantesco quando, togliendomi le scarpe da ginnastica, vidi incastrati tra i lacci due piccoli fiori fucsia dalla forma mai vista prima.

    Non avevo che una risposta, ma decisi di lasciarla in sospeso perché non la capivo; mi limitai a mettere in un libro a seccare i due piccoli fiori e poi andai a comprare l'aceto e il latte per mamma. Avevo circa quindici anni.

    3. GLI ARBOREI: LA STORIA

    Una diversa stirpe umana

    Gli antenati degli Arborei nacquero, contemporaneamente ad altre forme di vita simili a quelle che conosciamo adesso, verso la fine del Miocene: parliamo quindi di circa sei milioni di anni fa. La Terra si raffreddava e vi fu una grande diffusione di pioppi, platani, ontani, aceri, salici, querce e varie conifere, insieme a una grande abbondanza di piante erbacee ed erbe: se vai al Lago di Costanza, presso Ohningen, puoi trovare le tracce di un importante giacimento di piante fossili del Miocene inferiore.

    Di solito si racconta l'evoluzione dei Terricoli umanoidi, ma altre forme di vita presero slancio prima e insieme ad essi: non se ne parla perché nemmeno se ne sospetta l'esistenza e quindi non ne cerchiamo le tracce, oppure non sappiamo leggerle. Ma, ti dicevo, prima dell’uomo di Neanderthal, si formarono altre stirpi simili a noi, che però avevano caratteristiche fisiche e spirituali molto differenti. Intanto non si nutrivano di carne né di alcun derivato animale: niente latte, uova..., ma soltanto della linfa che succhiavano dai grandi alberi con lunghe canne che inserivano opportunamente nel tronco. La loro struttura fisica era quindi molto delicata, più simile alla nervatura delle foglie che a quella dello scheletro umano, restando anche molto più flessibile ed elastica. I loro corpi erano diafani e quasi trasparenti, pur con una forma simile a quella umana, con occhi bocca naso orecchie braccia gambe mani piedi stomaco cuore…

    Ciò che circolava in quei corpi non era il rosso sangue a cui noi siamo abituati, ma un liquido opalescente che prendeva di volta in volta il colore della linfa di cui si nutrivano, che però poteva essere mescolato al sangue umano.

    Anche la riproduzione era differente dalla nostra. All'epoca della maturità sessuale se due Arborei desideravano stare insieme per fare un figlio si rifugiavano in un albero cavo, lontani da tutti per un poco di tempo: se il loro amore era vero accadeva che lei restasse incinta e il figlio si formava nel tempo di quattro settimane. Poi usciva dal ventre della femmina ancora piccolo e bisognoso di cure, ma lo svezzamento durava soltanto tre mesi, dopo di che il bimbo Arboreo era già in grado di camminare e saltare sugli alberi con i suoi genitori.

    C'erano differenze, ti dicevo, anche nelle caratteristiche spirituali, pur se meno marcate soprattutto man mano che l'evoluzione dei Terricoli li portava a rendersi conto che per sopravvivere avevano bisogno di formare una società con altri. Anche gli Arborei soffrivano e piangevano per il dolore e per la perdita di qualche familiare: ti racconterò più avanti alcuni fatti. Si amavano tra loro e avevano molti modi per stare vicini e mostrare la tenerezza reciproca; erano molto creativi in questo. Non avendo necessità di cacciare non ebbero nemmeno bisogno di sviluppare potenza e confronto fisici: erano quindi tendenzialmente pacifici, anche se erano in grado di organizzarsi per difendersi da qualche pericolo. La violenza era una realtà che li faceva immensamente soffrire e solo vederla mettere in atto aveva condotto alla morte i più sensibili tra loro nel corso delle diverse epoche.

    Ti dico tutto questo perché alcuni amici Arborei hanno raccolto informazioni sul loro passato, sia orali che di altro tipo, e me le hanno raccontate. Le hanno conservate in un luogo segretissimo, che non hanno rivelato neppure a me.

    Parlo di passato, anche se in realtà la loro idea del tempo è diversa dalla nostra, molto più simile a quella delle piante, cioè ciclica, legata alle stagioni e al vivere e trascorrere delle loro popolazioni. È stato il contatto con i Terricoli che li ha resi consapevoli di un altro modo di vivere il tempo della vita e, pur comprendendo e conoscendo la nostra storia, hanno deciso di non utilizzare il nostro modo di contare il tempo.

    Ma, porta pazienza! Perché siamo arrivati al punto cruciale, che spiega tutto il resto, cioè il contatto con i Terricoli. Tu sai che alcune di noi, anche nel passato, sono o erano bellissime (be' anche tu non scherzi!).

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