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Trilogia delle Terre Elfiche 1 - Le Rune di Winslar
Trilogia delle Terre Elfiche 1 - Le Rune di Winslar
Trilogia delle Terre Elfiche 1 - Le Rune di Winslar
E-book132 pagine1 ora

Trilogia delle Terre Elfiche 1 - Le Rune di Winslar

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Info su questo ebook

Quando una coppia di elfi silvani trova un neonato umano sulle rive del fiume Samir, decide di tenerlo con sé e di crescerlo come un figlio. Il suo nome è Losnar. Ben presto i due si renderanno conto che per il piccolo le cose non saranno facili, poiché dovrà lottare contro i pregiudizi della comunità elfica rischiando di non venire mai accettato. Questo porterà il ragazzo a porsi delle domande sulla propria natura. Domande alle quali solo un manoscritto, custodito in una città ai confini delle terre conosciute, può dare risposta. Parallelamente, anche la vita di un giovane drow sembra destinata ad affrontare i conflitti che le crudeli leggi della società matriarcale degli elfi scuri generano nella sua anima. Il suo nome è Semak. Egli sarà costretto a prendere drastiche decisioni che cambieranno il corso della sua vita e quello di coloro che gli sono vicini, per sempre. Sullo sfondo di una guerra preparata per anni dalla matrona drow, la perfida e sensuale Deyre, i destini del giovane umano e dell’elfo scuro sono destinati a incrociarsi. I nostri giovani elfi riusciranno a compiere un viaggio oltre loro stessi per comprendere che la diversità, fino a quel momento considerata debolezza, è in realtà la forza più grande?
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2017
ISBN9788827538890
Trilogia delle Terre Elfiche 1 - Le Rune di Winslar

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    Anteprima del libro

    Trilogia delle Terre Elfiche 1 - Le Rune di Winslar - Daniele Conti

    Ringraziamenti

    Dedica

    In memoria di Marco, Renzo e Elio

    Quello ch e veramente mi interessa sapere è se Dio,

    quando ha creato il mondo, aveva possibilità di scelta

    ALBERT EINSTEIN

    Prologo

    « Gli elfi non erano stati sempre uniti fra loro. Ci fu un tempo nel quale alcuni furono sedotti da un antico culto, che da secoli attendeva di essere risvegliato. Questo manipolo di elfi voleva convertire l’intero territorio a un caos totale, nel quale ognuno avrebbe deciso per sé. Ben presto, molti altri elfi aderirono a tale progetto, elfi di ogni tipo. Alti, Grigi e Silvani. Fu combattuta una cruenta guerra che durò per quasi un ventennio, prima che gli ultimi elfi dediti al caos si arrendessero, ritirandosi spontaneamente nelle viscere dei Monti Oscuri.

    Là, nelle profondità della terra, scurirono la loro pelle e i loro occhi divennero rossi per la rabbia, che ancora oggi offusca le loro menti. Seguirono gli insegnamenti del loro nuovo Dio: Lolth, la Regina Ragno, una creatura immonda e crudele che si nutre delle emozioni e della rabbia dei suoi seguaci. Divennero quelli che gli elfi di superficie chiamano Drow, una razza senza regole né compassione, con la bramosia del potere come loro unico scopo di vita. La Regina Ragno plasmò le loro menti, aumentando l’odio che nutrono verso gli elfi di superficie. Questo bastò perché la loro cupidigia sfociasse in lotte fra le loro casate e tradimenti nelle loro stesse famiglie.

    Fu in quel periodo che fra gli elfi di superficie serpeggiava la paura di un ritorno dei drow. Per questo fu istituito il Consiglio Supremo, una riunione fra i più stimati studiosi di tutte le fazioni elfiche, affinché si trovasse una soluzione definitiva. Ogni elfo convocato fu incoraggiato con la promessa di fondi illimitati per le sue ricerche, sia in campo naturalistico, sia in quello militare, sia in quello magico. Solo uno di loro riuscì nell’impresa. Era un mago, un mago assai potente. Si chiamava Winslar ed era riuscito a creare sette rune magiche, il cui reale potere non è stato mai rivelato a nessuno, che furono disposte in punti strategici e ben definiti dal mago. Queste rune impedirono ai drow di lasciare il sottosuolo, creando una barriera magica fra loro e il mondo esterno. Ancora oggi, nonostante la morte del mago, le rune continuano a essere il baluardo più efficace contro gli elfi scuri.»

    Didascalia...

    Capitolo 1

    La giornata era tersa e il silenzio di quel pomeriggio di primavera era rotto soltanto dal lieve tonfo della pagaia nell’acqua. La donna stava seguendo il corso del fiume e di tanto in tanto lasciava che la corrente la trasportasse lontano dal suo luogo di origine. Non era tanto per sè stessa che aveva intrapreso il viaggio, quanto per il piccolo che portava avvolto nella coperta, adagiata con cura sul fondo della barca. Emise un colpo di tosse, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannato. Ogni colpo di pagaia risultava un dispendio notevole di energia, ma doveva farsi forza e proseguire. Il fiume in quel tratto era docile e la barca riusciva ad avanzare senza scosse e rollii. Questo consentì alla donna di coprire meglio il piccolo con la coperta. Il bambino non dava segno di paura. Continuava a guardare la madre con i suoi grandi occhi verdi, tendendole le mani ed emettendo piccoli vagiti, conditi da grandi sorrisi. La donna contraccambiò il sorriso al piccolo, prima di esplodere un nuovo colpo di tosse.

    Gli attacchi, si facevano sempre più frequenti e lei sapeva che ormai non le restava molto da vivere. La sua malattia non era stata curata a dovere fra la sua gente. Lei era troppo povera per potersi permettere le cure adeguate e anche le persone del suo villaggio non la vedevano di buon occhio, ma come un'appestata dalla quale stare alla larga. Giunse a una piccola ansa sul fiume e si dette subito da fare con la pagaia per avvicinarsi alla riva. Un po’ di riposo lungo la sponda avrebbe giovato a entrambi e magari poteva esserci un centro abitato nelle vicinanze. Per sua fortuna, la barca approdò senza sforzi e ben presto madre e figlio si distesero sull’erba soffice. La donna cercava di cantare una nenia al piccolo, ma il suo canto era interrotto dai continui attacchi di tosse. Si tolse le mani da davanti alla bocca, scoprendo con orrore il sangue su di esse. Si distese a riposare accanto al figlio, ma il suo respiro si faceva sempre più difficoltoso. Poco distante dalla riva c’era una foresta

    che si che si estendeva fino alla base della Dorsale Nord, la catena montuosa che attraversava l’intera regione. Per un istante la donna credette di aver solo immaginato le voci che stava udendo, ma pochi istanti dopo vide distintamente due figure uscire dalla boscaglia.

    Rimase distesa nell’erba, indecisa sul da farsi. I due individui parlavano una lingua a lei sconosciuta e sembrava che non l’avessero ancora notata. Sapeva bene di essere una straniera in quelle terre, ma se voleva salvare suo figlio doveva fare un tentativo disperato. Con non poca fatica si alzò in piedi prendendo in braccio il piccolo, quindi cominciò ad avvicinarsi ai nuovi arrivati. Adesso li distingueva bene. Erano un maschio e una femmina, di una razza diversa, ma che lei sapeva essere abbastanza simile alla sua. Le orecchie a punta dei due individui e le loro vesti dai colori verde e marrone non lasciavano dubbi sulla loro origine. I due elfi silvani smisero di parlare non appena videro la donna avvicinarsi.

    Non sapevano come comportarsi, dato che non ricordavano contatti tra le due razze da oltre tre secoli.

    Fu il maschio che si parò subito davanti alla compagna. La donna era ormai arrivata davanti a loro. Li guardò con aria supplichevole e la cosa non passò inosservata alla femmina di elfo. Allungò le braccia verso di loro nell’atto di porgere il suo bambino. La femmina scavalcò il compagno prendendo il piccolo fra le braccia. La donna sorrise alla giovane elfa, che dimostrava poco meno di trent’anni umani, quindi si piegò su se stessa, emettendo un nuovo colpo di tosse. Le mani erano di nuovo piene di sangue. La donna guardò i due elfi ancora una volta, poi i suoi occhi si fecero vuoti e cadde a terra con un rivolo di sangue che le usciva dalla bocca. L’elfo, dopo un attimo di incertezza, si chinò sul corpo della donna. Tastò la gola, all’altezza della giugulare, quindi si rivolse alla compagna.

    «Morta.»

    L’elfa teneva gli occhi fissi sulla donna, mentre il bambino che reggeva in braccio stava giocando con i suoi lunghi capelli biondi.

    «Adesso che facciamo?»

    Lei lo guardò, come se avesse dovuto intuire la risposta.

    «La seppelliamo. Mi sembra logico.»

    «E il suo piccolo? Che ne facciamo di lui?»

    «Lei lo ha affidato a noi. Lo porteremo con noi a casa.»

    L’elfo la guardò stupefatto. «Stai scherzando! È un bambino, un umano. Non possiamo tenerlo con noi.»

    «Certo che possiamo! Sua madre l’ha dato a noi poco prima di morire e non voglio attirare su di noi l’ira del suo spirito. Lo cresceremo come se fosse nostro figlio.»

    «Basta! Questa è la cosa più assurda che tu potessi dire, Leanor. Noi non lo porteremo a casa. Non lo terremo con noi e non lo cresceremo come un figlio!»

    «Questa poi! E tu abbandoneresti un cucciolo indifeso nel bel mezzo della foresta, condannandolo a morire? Credevo che tu fossi un elfo saggio, Antunes.»

    L’elfo avvampò di vergogna, prima di controbattere.

    «Io sono saggio. Proprio per questo ti dico che non possiamo tenerlo. Come faremo con gli altri della comunità?

    Lui sarà sempre un estraneo in queste terre. Cosa gli diremo, quando non potrà entrare di diritto nella società elfica. Inoltre, avrà dei genitori più giovani di lui, quando invecchierà.»

    Antunes non aveva ancora finito di parlare, che il bambino cominciò a piangere.

    «Hai visto! Sei contento adesso? Lo hai fatto piangere. Sssh. Papà non è così cattivo come sembra.»

    «Papà? Sia ben chiara una cosa. Io non sono suo padre, anzi, magari il vero genitore lo starà cercando.»

    «Io credo di no. Quella povera donna deve essere venuta da sola, da oltre le montagne della Dorsale Nord. Ha risalito il fiume con quella barca per dare a suo figlio la possibilità di sopravvivere. Tu vorresti negargliela. Lei non ha esitato a consegnarlo a noi, nonostante la differenza razziale. Ci ha sorriso accondiscendente, un attimo prima di morire. Sapeva ciò che stava facendo.»

    Antunes rimase per alcuni istanti a fissare sua moglie, quindi guardò il piccolo uomo che si stava calmando. Lo osservò attentamente e alla fine anche lui fu rapito dai suoi splendidi occhi verdi, che lo guardavano pieno di curiosità, mentre le manine andavano veloci alla sua veste color porpora.

    «Sia come vuoi. Adesso tienilo tranquillo per un po’, mentre provvedo

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