Dulcinea la laboriosa
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E' il primo libro di una trilogia che seguirà Dulcinea nelle sue fantastiche avventure a contatto anche con lo strano e pericoloso mondo degli umani.
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Anteprima del libro
Dulcinea la laboriosa - Maria Grazia Bertola
XIX
CAPITOLO I
LA NASCITA
Tutto è così buio e soffice, intorno. Spesso sento sfregare contro ciò che mi avvolge, ma non mi dà fastidio, anzi, mi rassicura. Ogni tanto ‘tutto’ viene spostato e mi gira la testa.
Questo provava il piccolo essere rinchiuso nel suo mondo: non sapeva chi era e dove si trovava, solo gli pareva di rotolare, di cadere su un grande tappeto morbido, oppure di volare, di planare.
Trascorso un po’ di tempo, l’involucro che lo conteneva cominciò ad incrinarsi e l’esserino se ne preoccupò. Cominciò ad intravedere dalle fessure una luce e contemporaneamente sentì penetrare all’interno un’arietta piacevole.
- Vediamo cosa c’è qui fuori! - disse, poi spinse ed uscì.
Era un bruchino biancastro con il capo a punta ripiegato ad uncino: ebbe subito voglia di muoversi freneticamente, agitando i vari segmenti del suo corpo che appariva cicciottello e peloso.
- Ci voleva proprio del movimento, visto che sono stato rinchiuso per tanto
tempo. Buono quest’odore… Ma chi siete? Aiuto, lasciatemi! Sono appena
nato!
Fu agguantato senza troppe premure da due paia di zampe, probabilmente amiche, ma sbrigative: la vista del bruchino era ancora confusa però distinse un enorme corpo scuro e una testa altrettanto grande con due protuberanze davanti.
- Tranquilla, piccola, ora ti porto nella nursery.
In un attimo il piccolo si ritrovò disteso su di un ripiano, affiancato da molti individui in tutto simili a lui che si dimenavano come ossessi.
- Che caldo fa qui! Mi sento tutto bagnato, vedo lucine gialle qua e là – mormorò.
La grande creatura nera rispose:
- C’è bisogno di molta umidità perché altrimenti la vostra pelle si seccherebbe e
voi morireste!
- Certo che uno viene al mondo e deve subito sentirsi augurare queste belle cose - pensò il bruchino per farsi coraggio, ma rabbrividì perché il tono con cui erano state pronunciate era terribilmente serio. Guardandosi intorno, riuscì a distinguere il soffitto tondeggiante e marrone del luogo in cui si trovavano, ma soprattutto l’indaffarato agitarsi di nere presenze che rigiravano e pulivano con cura il corpo di tutti i vermetti neonati come lui. Tutto avveniva nel silenzio più assoluto, nessuno piangeva o si lamentava.
- Sento una strana sensazione di vuoto più o meno a metà del mio corpo, ma non
so… mi viene voglia di masticare, di succhiare - disse tra sé il piccolo che non sapeva come attaccar discorso con i vicini.
Quello di destra gli si rivolse allora con gentilezza:
- E’ fame. Ascolta, io sono qui già da un po’ di tempo e se seguirai i miei consigli vedrai che scorpacciate!
Subito il vicino si mise a fregare le piccole sporgenze che aveva sul muso, producendo così un debole rumore: un attimo dopo, ecco arrivare il grande individuo scuro, il quale con mosse rapide, alzò il capo del piccolo e rigurgitò nella sua bocca qualcosa di bianco e molliccio che parve a lui molto gradito.
Lo stesso fece con il piccolo di sinistra che accompagnò l’arrivo del cibo con dei sonori mugolii compiaciuti. Il vermetto trovò quell’operazione disgustosa, però la
sensazione di vuoto non gli dava tregua e alla fine sfregò le sue sporgenze.
In men che non si dica la nutrice era lì, per lui, e gli fece ciò che aveva fatto ai suoi vicini. Il piccolo tenne gli occhi chiusi, mentre un gusto dolce gli invadeva la bocca: quando riaprì gli occhi, il suo amico chiese con aria sorniona:
- Allora… com’è?
- Molto piacevole, veramente squisito… e se chiamo ancora?
- Te ne danno finchè vuoi! Io ne faccio delle scorpacciate tali che poi mi viene un
sonno, ma un sonno, zzz, zzz…
Si era addormentato di botto, parlando, sopraffatto dalla digestione. Il verme sfregò ancora e solo dopo la terza chiamata si sentì pieno a tal punto da fare un riposino.
Nel sogno che fece domandava al suo vicino:
- Ma chi sono questi tipi neri che si occupano di noi? E se ci ingrassasserero per
poi … mangiarci?
Si svegliò di soprassalto: davanti a lui c’era la solita grossa testa che lo osservava. Osservò da vicino i grandi occhi sfaccettati posti ai lati del muso che riflettevano tante immagini: fu così che vide per la prima volta il suo musetto bianco ad uncino e chiese:
- Scusa se te lo chiedo, ma tu chi sei?
- Cara, io sono la formica Fifi, infermiera diplomata, e ho il compito di prendermi cura di te.
- E io chi sono?
- Sei una dei tantissimi figli della nostra regina Solidea. Sei una larva di formica.
- Sono… cosa? Ma se sono piccola, bianca e non ti assomiglio per niente.
- In poco tempo cambierai aspetto, credimi e capirai.
Il bruchino non era per niente convinto: se il discorso fosse stato corretto, allora i vicini sarebbero stati tutti suoi fratelli e sorelle? Molto strana come situazione.
La grande formica gentile riprese a pulire il suo corpo grassottello e la larva lasciò fare mentre cercava di adattarsi all’idea di essere una formica e di far parte di una famiglia decisamente numerosa.
CAPITOLO II
AMICI NELLA NURSERY
Cominciò così per i piccoli un periodo sereno, scandito da azioni molto ripetitive: a intervalli regolari di tempo venivano caricati su carretti cigolanti che percorrevano varie gallerie in salita; i bruchini erano poi sistemati su ripiani imbottiti di foglie e se ne stavano al caldo, chiacchierando tra loro. Tra uno spuntino e l’altro, facevano un riposino e, tutto sommato, era una gran pacchia che veniva interrotta solo dalle infermiere, le quali li ricaricavano sui carrelli per riportarli nella