Tempo per morire: Testimonianze di accompagnamento al fine vita dei nostri fratelli animali
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Anteprima del libro
Tempo per morire - Giusi Ferrari
Tempo per morire
Collana:
IL PONTE ARCOBALENO - Vol. 5
TEMPO PER MORIRE
Testimonianze di accompagnamento al fine vita
dei nostri fratelli animali
a cura di Giusi Ferrari
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Copyright ©2018 Impronte di luce
Immagine di copertina: Gloria Rosazza/123RF
Foto interne: copyright dell’autore del contributo in cui sono inserite
Design e impaginazione: Elena Grassi
**************
IMPRONTE DI LUCE di Elena Grassi
Via Fiorenza Castelli, 30
20017 Rho (MI)
www.improntediluce.it
info@improntediluce.it
ISBN 978-88-95946-32-0
Prima edizione cartacea settembre 2018.
Edizione digitale settembre 2018.
Versione digitale realizzata da ePubMATIC.com
Sommario
Prefazione di Stefano Cattinelli
Introduzione di Giusi Ferrari
Gilda – Essere, accettare, amare di Benedetta Galazzo
Nutella – Energia che si trasforma di Francesca Dondi
Lucky – Amare è lasciare la presa di Alice Zelaschi
Siria – Maestra dell’anima di Giorgia Dalla Fontana
Jordan – Rendere giustizia di Giusi Ferrari
Lupo – In attesa dell’alba di Giusi Ferrari
L’eredità di Blue & C. – Sulle tracce di questo libro (e postfazione dell’editore) di Elena Grassi
Biografie degli autori
Bibliografia
Prefazione
di Stefano Cattinelli
Il tempo per morire…
Quando parliamo della morte degli animali che vivono con noi, la dimensione temporale che caratterizza i loro ultimi periodi di vita è sempre chiamata a fare i conti con una specie di sentenza definitiva, che nel gergo scientifico viene denominata: prognosi infausta.
La prognosi infausta, e cioè che non c’è più nulla da fare, nessuno da guarire né tantomeno nessun animale da salvare, ha il potere di condurre il veterinario in una zona dove le armi
terapeutiche, studiate e applicate fino a quel momento per combattere il nemico assoluto (che sia un virus, un batterio o un tumore), perdono inesorabilmente tutta la loro forza di aggressività.
Il medico veterinario che si affaccia sulla soglia di questo nuovo territorio, uscendo così dalla sua abituale zona di comfort
, si trova improvvisamente e definitivamente nudo, dal momento che è costretto a vivere fino in fondo la sua impotenza nel non detenere il potere di cambiare lo stato delle cose.
Come uscire dunque da questa impasse?
Non rimane altro che interrompere bruscamente, e il prima possibile, questa strana, inusuale e disagevole situazione che appare, agli occhi scientifici, senza alcuna via d’uscita plausibile.
L’ago che viene conficcato nella vena dell’animale, per inoculare prima l’anestetico e poi il farmaco letale, inchioda per sempre la lancetta dell’orologio al suo quadrante sancendo in maniera definitiva la fine del tempo.
Il cessare del ticchettio che scandisce il passare del tempo corrisponde in maniera precisa alla fine del battito del cuore dell’animale.
Assumendo il ruolo di colui che decide il minuto esatto nel quale l’animale dovrà finire la sua esistenza, la scienza medica veterinaria si impossessa di uno spazio temporale che ancora non esiste e che non potrà neppure mai esistere, proprio perché l’esperienza che l’animale sta vivendo viene anzitempo interrotta.
Un tempo, un lasso di tempo che, guardandolo bene, appare più come uno spazio, uno spazio temporale.
Ma a chi appartiene questo spazio temporale? Quel periodo di tempo che va da quando la scienza decide che è sopraggiunto il momento di interrompere la vita dell’animale a quando la vita dell’animale si esaurisce da sé?
Cercando, per prima cosa, di definire la qualità di questo spazio potenziale (la quantità di questo spazio temporale non ci è assolutamente permesso di saperla e pecca drammaticamente di arroganza qualunque professionista che affermi di conoscerla) potremmo subito dire che tale spazio nulla ha a che fare con le modalità che abitualmente la scienza medica veterinaria offre.
Porre fine all’esistenza di un animale, su un freddo tavolo d’acciaio, inseriti in un contesto di animali che aspettano in sala d’attesa per un controllo, una vaccinazione o una dermatite che stenta a guarire, nulla ha a che fare con l’intensità, con la preziosità e l’unicità della fine di una perfetta ed indescrivibile storia d’Amore.
In questo c’è una differenza davvero abissale tra la percezione che il veterinario ha degli animali che vivono con noi e quella che abbiamo noi nei confronti dei nostri
animali.
Che fare dunque per cercare di armonizzare ed unire il più possibile queste percezioni così differenti?
Chi, tra i personaggi di questa rappresentazione
, tra il veterinario, l’animale che vive i suoi ultimi momenti di vita, la persona o le persone coinvolte nella malattia (famigliari, parenti, amici e vicini) ha maggiormente diritto di avere voce in capitolo?
In un’ottica che cerca di ristabilire un maggiore equilibrio, un ordine ed una giusta armonia all’interno di questo evento, per prima cosa sicuramente viene chiesto al veterinario di diventare maggiormente consapevole che la fine dell’esistenza di ogni animale è un evento assolutamente unico che coinvolge in maniera totalizzante (e sottolineo il totalizzante) l’intera esistenza della persona che gli ha portato l’animale in visita.
Totalizzante, per l’esistenza della persona, significa che la fine della relazione con il suo animale non solo la coinvolge emozionalmente nel qui ed ora rispetto alla conclusione di una relazione fatta di amore e non giudizio, ma che contemporaneamente la fine di questo legame, il dolore e la ferita che ne conseguono, risuonano con gli altri dolori e le altre ferite vissute in passato, le quali vengono riportate di nuovo alla luce a causa delle specifiche caratteristiche intrinseche di tale evento.
Chi non ha mai sofferto per la fine di una relazione d’amore nella sua vita? Chi non ha mai provato dolore per la morte di un proprio caro? Chi non ha mai pensato che, molti anni dopo, potendo rivivere quel determinato evento, avrebbe fatto o detto cose diverse?
Paradossalmente spesso la relazione con un animale si instaura proprio in seguito ad un profondo dolore.
Come un seme di girasole che, portato dal vento, nasce in un vecchio campo incolto superando ampiamente, nella sua crescita, tutte le altre piante, così anche il momento della morte dell’animale, per la sua complessità ed unicità, dovrebbe sopraelevarsi rispetto a tutti gli altri eventi che caratterizzano la quotidianità ambulatoriale.
Ed è solo a partire dal valore che assume nel professionista questo particolare e unico momento, che nasce la spontanea necessità di agire attivamente partendo proprio dalle azioni che può fare per valorizzare la qualità del tempo.
Del tempo a sua disposizione e del tempo che vuole dedicare a questo evento.
Più dilaterà lo spazio temporale, a volte anche con decisioni irremovibili (non rispondere al telefono e staccare o chiudere la suoneria del cellulare o, meglio ancora, scegliere di fare delle consulenze solo su appuntamento), partendo dal valore oggettivo che riconosce all’evento stesso, e più uscirà da quella vecchia e stanca consuetudine di pensare che la fine della vita di un animale debba concludersi solo ed esclusivamente con l’eutanasia bloccando così la spontaneità della vita (l’omeopatia la chiama forza vitale), che fisiologicamente tenderà ad esaurirsi da sola.
Questa circostanza, questo preciso momento, potrà così assumere un valore molto diverso dalla solita routine ambulatoriale, elevandosi notevolmente, come intensità esperienziale, rispetto ad una qualsiasi vaccinazione, diagnosi o terapia già fatta o ancora da fare.
Solo cominciando da questa prima dilatazione dello spazio temporale, come preciso risultato di un atto di volontà, il professionista potrà accedere ad uno spazio temporale che ancora non esiste.
Attenzione però, vorrei essere particolarmente chiaro nello spiegare questo passaggio: il veterinario, fermando la sua mano nell’atto di compiere l’eutanasia e quindi rinunciando ad infinite azioni già fatte, non diventa il creatore dello spazio temporale nel quale l’animale può morire da sé per morte naturale. Non è lui il protagonista di questo spazio.
Questo spazio esiste già di per sé.
Il tempo per morire, il giusto tempo per morire, è sempre esistito e sempre esisterà.
Già nell’antica Grecia si usavano due parole per definire il tempo. Kronos, che definiva il tempo lineare, la durata, quello che passa di minuto in minuto e Kairòs, che era il tempo opportuno, la buona occasione, il momento propizio o il tempo di Dio
.
Il tempo per morire è Kairòs, il tempo di Dio
.
Il veterinario, nel rinunciare all’atto eutanasico, decidendo inizialmente e semplicemente di allargare il proprio spazio temporale in modo da dare la possibilità alle dinamiche esistenziali della relazione tra la persona e il suo animale di manifestarsi, si offre