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Fantasticherie
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E-book118 pagine1 ora

Fantasticherie

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Info su questo ebook

Racconti fantastici
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2020
ISBN9788855129060
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    Fantasticherie - Umberto Manfredini

    Umberto Manfredini

    Fantasticherie

    Copyright© 2020 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizionidelfaro.it

    info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione digitale: aprile 2020

    ISBN 978-88-6537-544-0 (Print)

    ISBN 978-88-5512-906-0 (ePub)

    ISBN 978-88-5512-907-7 (mobi)

    http://www.edizionidelfaro.it/

    https://www.facebook.com/edizionidelfaro

    https://twitter.com/EdizionidelFaro

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    L’autore

    Umberto Manfredini è nato a Vienna nel 1936. Laureato in medicina a Pavia nel 1961 si è reso conto di essere diventato un vecchio quando l’Ordine dei Medici gli ha conferito la medaglia d’oro riservata a coloro che hanno compiuto i cinquant'anni di laurea. La cosa lo ha fatto incazzare e ha deciso di reagire scrivendo un breve romanzo, o se preferite racconto lungo, che vuole esprimere la speranza che i giovani ancora dotati di cervello si ribellino alla situazione in cui tanti disonesti li hanno posti facendo dell’economia un mostro e non un aiuto per l’uomo. Vi è molto di autobiografico, in quelle poche pagine, come sempre accade per qualunque cosa si scriva. A molti lettori sembreranno le parole di un sopravvissuto dinosauro, ma chi scrive spera che almeno due o tre lettori si trovino d’accordo con lui che si è reso conto di avere ancora il desiderio, e qualche residua energia, per fare, se necessario, una rivoluzione anche non del tutto pacifica per garantire un futuro ai suoi nipoti.

    Fantasticherie

    Prefazione

    Questi racconti fantastici, forse sarebbe più appropriato chiamarle novelle, mi son venuti in mente a spizzichi e bocconi stimolati da sogni fatti nel sonno o qualche volta a occhi aperti.

    Proprio perché fantastici hanno rapporti con una specie di rielaborazione di situazioni più o meno inconsce; sicuramente lo stimolo a scriverli nasce dal bisogno di dare libertà e parola a situazioni mentali che urgono dentro e al piacere di lasciarsi andare a dare loro sfogo come in un gioco leggero. Sul nucleo inventivo della situazione immaginata poi ti accorgi che si proietta la tua cultura come è venuta formandosi e sedimentandosi fin dalla prima infanzia, è da lì che attingi la tua capacità di esprimerti.

    In fondo sono desideri di cose che ti piacerebbe accadessero o fossero accadute, sono messaggi che vorresti mandare in giro per il mondo e sui quali forse vi è anche una esigenza etica e nello stesso tempo il desiderio di lasciarsi andare all’irrazionalità dopo una vita passata a risolvere problemi pratici tuoi e di coloro che hai incontrato, spesso per puro caso, durante il tuo cammino. In essi ritrovo certe malinconie, molti desideri irrealizzati e nello stesso tempo la voglia di ridere o meglio di sorridere e di prendere in giro me stesso e tanti altri. Tutto ciò che chiunque di noi riesce a scrivere e manifestare nasce da desideri irrealizzati, frustrazioni patite, felicità assaporate o anche solo fantasticate o da come vorrebbe che andasse il mondo. La cosa più importante, comunque, è di non prendersi troppo sul serio e di riuscire appunto a giocare con la immaginazione e la fantasia per alleviare quel pesante senso che ti coglie quando ti rendi conto dell’ineluttabile banalità di cui è fatta la gran parte della vita. Scrivere è come un processo di catarsi. Quando hai messo sulla carta ciò che ti urge dentro è come se tu avessi vomitato un pasto indigesto per avere sollievo, te ne puoi tornare alla vita o nell’Universo con più serenità.

    Il fico

    Fu una sorpresa per Claudio, che non aveva mai creduto nell’anima né a un’altra esistenza dopo la morte, quando entrato in coma profondo per una estesa trombosi cerebrale si ritrovò sul soffitto della stanza in cui sul letto stava il suo corpo e vide se stesso morire lentamente. Man mano che il respiro, là in basso, si faceva sempre più aspro e raro si guardò intorno ed ebbe netta la sensazione di staccarsi emotivamente da quell’involucro da cui la vita se ne stava andando. Vedeva i figli e il medico affaccendarsi sempre meno convinti attorno al suo corpo e gli venne voglia di gridare loro di smettere che lui si sentiva a suo agio nella situazione attuale, ma non riuscì a emettere alcun suono. Poi, abituato com’era ad avere una fisicità, cercò di tastarsi pensando di sentire qualcosa ma si rese conto di essere, per quel che poteva capire, un puro stato di coscienza.

    Fu a quel punto che sentì la necessità di trasferirsi dentro qualcosa di vivo fuori di lì per mettersi al sicuro, rilassarsi, e scoprire cosa gli accadeva.

    Così scivolò letteralmente fuori dalla finestra, che era semiaperta per far uscire l’odore della morte, e si ritrovò nel vasto giardino che aveva accudito negli ultimi anni con amore e fatica.

    Aveva sempre avuto uno splendido rapporto, quasi una comunicazione, con gli alberi e gli venne un forte impulso a entrare in uno di essi; scelse il Fico che aveva messo a dimora anni prima e che proprio allora metteva le prime foglie. Gli era sempre piaciuto quell’albero perché aveva subito dimostrato grande vitalità e dava dei frutti così dolci che aveva sempre gustato con gioia quei pochi che riusciva a sottrarre ai suoi più forti concorrenti: gli uccelli, i merli in particolare e i calabroni.

    Trovata nella corteccia della pianta una crepa, ci scivolò dentro lentamente e da lì prese a estendersi per tutto il Fico. Si rese conto che, riempiendo pian piano gli spazi in cui scorreva la vita dell’albero, le sue percezioni, che equivalevano a una nuova visione della realtà circostante, cambiavano, erano mediate dal suo nuovo corpo; vedeva in alto in basso a destra e a manca contemporaneamente, era alto nei rami alti, basso nel tronco principale, piccolo e al buio nelle radici. Fu colpito dal constatare che vedeva contemporaneamente il cielo dalla superficie superiore di una foglia e, dal lato inferiore della stessa il prato in una assolutamente nuova e molto più ricca integrazione con la materia di cui era formato l’Universo. Il suo orizzonte sensoriale spaziava su 360 gradi, ma su tutti i piani possibili che erano infiniti.

    Era una sensazione inebriante di immersione nella Materia ma ci mise del tempo ad abituarsi a questo nuovo modo di essere vivo e presente in una situazione spaziale sconosciuta, un po’ preoccupante ma insolitamente eccitante. Il colmo dello stupore e della gioia lo provò quando, essendo venuta nei giorni seguenti una nipotina a giocare all’ombra del grande Fico, la percepì come abbracciandola tutta da ogni lato e capì come era limitato, da uomo, il suo rapporto con la realtà fisica dell’Universo.

    Scoprì le sensazioni di nausea che gli procurava il vento muovendo foglie e rami, fu contento di sentire che la pioggia, da cui nel suo tempo umano si riparava, era un’amica che gli dava la sensazione di essere più vivo, idratato, rilassato. I raggi del sole lo riscaldavano piacevolmente ma avvertì che se faceva troppo caldo gli veniva voglia di ritirarsi verso le parti più profonde, più interne dell’albero e verso le radici e pensò che era come sentirsi la pelle secca.

    Poi cominciarono a maturare i primi frutti e desiderò che qualcuno se ne cibasse per sapere se così sarebbe entrato in contatto con altri esseri viventi, e fu contento di constatare che negli umani non si trasferiva ma in altre forme di vita sì. Nel livello umano non sarebbe più tornato, rilevò con sollievo, perché ci si sarebbe annoiato ormai. Gli uccelli invece lo portarono alle sensazioni più ardite del volo. Cose che aveva provato solo nei suoi sogni e spesso in forma angosciosa si tramutarono in esperienze e sensazioni inebrianti. Ebbe, però, la percezione che più si espandeva nella Natura meno era in grado di mantenere coscienza di sé. E un mattino, in un soprassalto di concentrazione, ricordò che un problema l’aveva sempre agitato, quello dell’esistenza di Dio e provò a parlargli ma nessuno dalla Natura rispose e si sentì invadere da una gran pace: non doveva più preoccuparsi di Dio perché lui ne faceva parte. La materia dell’Universo era Dio e le leggi che la regolavano ne erano lo spirito e nulla poteva cambiare questo. Questa era la serenità e l’estasi che aveva sempre cercato e che invece in varie forme i tanti educatori che aveva avuto dentro e fuori dalla famiglia, avevano indirizzato su vie assurde e fuorvianti, durante la sua educazione giovanile al sapere, per la limitatezza della loro intelligenza e per obbedire a false verità cui loro stessi erano legati in una forma di dipendenza psichica. Per anni aveva cercato, in parte riuscendovi, a staccarsi dalle forme di superstizione in cui fin da bambino era stato allevato, ora una parte dei suoi convincimenti si rivelavano più vicini alla verità che non quelli di molti filosofi e maestri.

    Così si placò e, fico, divenne divino; comprese che tutto era collegato dal più piccolo all’immenso in un ingranaggio perfetto, la morte era solo una trasformazione e pensò con allegria alla poesia di Orazio, dove proprio un Priapo ricavato da un fico, metteva in fuga con un sonoro peto due fattucchiere impegnate in un rito nato dalla superstizione.

    I concetti di giusto, ingiusto, grande, piccolo, bello, brutto lentamente scomparirono per lasciare il posto a una completa, naturale accettazione della realtà dove anche la parola amore voleva dire nulla più di una reazione chimica. Ogni giorno lentamente perdeva memoria di tutto ciò che aveva imparato, letto, ascoltato e un mattino non ebbe più coscienza di sé e non sentì più amore né desiderio per nulla e nessuno;

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