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Il valore del perdono: Tra Scienza e Spiritualità
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E-book338 pagine4 ore

Il valore del perdono: Tra Scienza e Spiritualità

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Info su questo ebook

Quest’opera, frutto della canalizzazione estemporanea del sentire, di esperienze, conoscenze, inclinazioni e propensioni di due autori accomunati dalla ricerca oltre il materico, ha vissuto e vive di vita propria: a ogni rilettura si è modificata, a ogni impasse essa ci ha guidati verso la soluzione e mantenuti saldi sull’obiettivo, facendosi percepire tutta nostra in un momento e, in quello dopo, togliendoci la possibilità di riconoscerla. Esattamente come accade con un figlio, da due anime creato, che diviene un universo di proprietà unicamente sua, libero di mutare, avvicinarsi e allontanarsi dai suoi stessi genitori.
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2022
ISBN9788893693486
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    Anteprima del libro

    Il valore del perdono - Valerio Sgalambro

    Prefazione

    Il perdono libera l’anima e cancella la paura.

    Nelson Mandela

    Il rivoluzionario campo dell’amore e del perdono

    Noi siamo l’autocoscienza dell’Universo, abbiamo il potere di rigenerare il corpo fisico, fatto di cellule pensanti connesse chimicamente con altre cellule, luogo della nostra anima immortale, memoria di ciò che siamo: qualcosa di più dell’assemblaggio di carne ed ossa.

    Questa prefazione è una nota introduttiva all’inconsueta struttura di quest’opera tutt’altro che compiuta, che apre un dialogo, senza voler dare l’illusione di aver trattato gli argomenti in modo definitivo.

    Sebbene ogni genere di libro e documento possa ben contribuire alla crescita e possa soddisfare molte delle nostre domande, questo lavoro cattura ed entusiasma.

    Rivolto ad un pubblico profano per rendere comprensibili nozioni complicate, concetti scientifici difficili e questioni profonde dell’animo umano, questo libro racconta di come è cambiata la nostra concezione dell’Universo dalla prima metà del ventesimo secolo e del radicale mutamento del nostro senso comune.

    Mette in luce le nuove frontiere emerse negli ultimi decenni, le straordinarie nuove idee per definire noi stessi, liberandoci dalla densità dei nostri corpi fisici. Tra le pagine puoi leggere di esperimenti ben studiati, che rispondono ad una grande quantità di informazioni, e con un approccio facile alla fisica quantistica puoi andare al di fuori dell’Universo, per guardare al suo interno come mente consapevole che osserva.

    È evidente l’esigenza degli autori di esplorare gli argomenti, dalla medicina alla biologia, dalla materia allo Spirito, di parlare di pedagogia e psicoanalisi, di osservazione e misurazione, del rivoluzionario mondo dell’Amore e del Perdono. Dei nostri cervelli, delle nostre menti, dei nostri cuori, della nostra memoria.

    Con un balzo quantico nella consapevolezza, questo scritto forse insegna anche un po’ a lasciare andare il passato, a riscoprire la propria ricchezza interiore, a lasciare cadere la maschera della personalità. Riporta i messaggi dei Maestri, elabora la fiducia, l’amore e le relazioni, parla di libertà e di responsabilità.

    Un testo utile senz’altro per chiarire, precisare ed elaborare, ma anche un po’ per… sognare.

    Prof.ssa Silvia Pellegrino,

    Presidente Nazionale UNI-PRO

    Unione Italiana Professionisti Olistici

    Le relazioni interpersonali come sistema aperto

    L’incontro di due personalità

    è come il contatto tra due sostanze chimiche:

    se c’è una qualche reazione, entrambe

    ne sono trasformate.

    Carl Gustav Jung

    Se consideriamo l’universo come una rete interconnessa di relazioni intelligenti, in continuo cambiamento, che tendono all’infinito e di cui è impossibile tracciare l’origine, emerge chiaramente l’immagine di un’onda permanente di attività e azioni, costituita da un insieme di elementi connessi tra di loro. All’interno di questa visione, possiamo rilevare alcune parti o relazioni funzionali che interagiscono fra loro con una struttura propria e una logica intrinseca che segue delle specifiche funzionalità di auto mantenimento.

    Questi apparati sono definiti dalla fisica classica Sistemi. La stessa scienza ammette che non esistono sistemi chiusi poiché essi non possono non scambiare con l’esterno.

    Ogni sistema si muove dunque in questo flusso con un proprio equilibrio mutevole trovando una posizione dinamica nel rapporto diretto tra l’interno ed esterno. Considerando che l’autonomia di tutti i sistemi che noi possiamo immaginare, in realtà non esiste, dato che questi sono in continua espansione e quindi in movimento, possiamo, per praticità, definirli statici. In effetti, ogni sistema è regolato da un principio dinamico unificato che regola questo flusso, tale movimento è meglio conosciuto come entropia[1]; Aristotele lo definiva, nella metafisica, il motore primo o coscienza assoluta. A fronte di quanto sostenuto, non esiste differenza tra un sistema e un processo, poiché ogni sistema in realtà è un vero processo trasmutativo in continuo divenire.

    La concezione olistica, sebbene contempli e riconosca i singoli sistemi o processi nella loro identità e autonomia, è perfettamente consapevole che il limite che si pone a un sistema/processo, è relativo e assolutamente arbitrario, poiché ognuno di essi partecipa a quest’onda di attività con interconnessioni illimitate. Perciò, quando parliamo di sistema, intendiamo una realtà costituita contemporaneamente da un insieme imprescindibile di sistemi e processi. Per rendere più chiaro questo concetto possiamo pensare a un sistema come una foto e al processo come un video. Il primo è fisso e immutabile nel tempo il secondo è attivo e in movimento.

    Il termine sistema, collegato alla fisica, ci riporta a qualcosa di meccanico o in qualche modo a un mero oggetto di laboratorio. In un’ottica antropologica, invece, al sistema possiamo includere l’essere umano; esso, infatti, è costituito da parti in equilibrio dinamico tra di loro che scambiano con l’esterno. Dall’incontro con un altro sistema umano può scaturire una coppia, se poi sopraggiungerà un/a figlio/a si chiamerà famiglia e via dicendo.

    Partendo dal presupposto di un sistema in equilibrio quale una coppia, benché questa sia in continua evoluzione, esso possiede al suo interno una forza che lo mantiene vivo e unito il sistema. La relazione di coppia, genera un sistema che si muove all’interno di un flusso polare e intelligente: da una parte tende a mantenere la propria integrità (eros) mentre dall’altra, poiché il sistema (interno) interagisce con il flusso (esterno), si ha una corrente disgregante, sempre in agguato che tende alla distruzione (thànatos). L’equilibrio può essere, dunque, destabilizzato da un elemento nuovo ed esterno, che interagisce col sistema stesso turbandone la quiete e, potenzialmente, può condurre alla sua distruzione. Non è un caso che il tre sia considerato il numero dell’instabilità e del cambiamento. Un terzo elemento può portare a uno stacco netto, a una condizione inaspettata del sistema e, nella fattispecie, a una nuova identità di coppia.

    Il medesimo processo avviene nel caso del seme: quando un elemento esterno entra in contatto col sistema seme, quest’ultimo può rinsecchire o prosperare; in ogni caso, attraverso l’interazione con un elemento esterno, il sistema non può rimanere inalterato. Ogni qualvolta un sistema entra in contatto con un altro sistema a esso esterno, questo lo può ampliare, espandere oppure distrugge, disintegrandolo.

    La capacità di sopravvivenza di un sistema dipende dalla sua componente di assimilazione (rendere simile a sé): tanto più questa qualità è elevata, tante più sono le possibilità che il sistema ha di sopravvivere ed espandersi. Nel caso del sistema coppia, da noi preso in esame, alcuni degli elementi che potrebbero interferire (ferire da dentro) e portare alla destabilizzazione dello stesso, sono ascrivibili entro un insieme di convenzioni sociali, opposte alla logica naturale (è bene specificare che non sempre la logica morale è in linea con quella naturale).

    Da ricerche condotte in ambito socio-antropologico, è emerso che, nel caso del sistema coppia totalmente isolato, il quale vive svincolato da tutti i condizionamenti esterni ad esempio su un atollo, questo ha molte più possibilità di potersi integrare con un eventuale terzo elemento poiché c’è una maggiore difficoltà, o addirittura impossibilità, all’espulsione di questo dal sistema per via della vicinanza imposta.

    Date le convincenti condizioni di coesistenza, l’elemento terzo sarebbe naturalmente inglobato nel sistema coppia non trovando possibilità di uscita e non avendo altre contaminazioni etiche o sociali di riferimento. In alternativa la coppia dovrebbe ricorrere a un’azione violenta e definitiva di espulsione, la quale avverrebbe, per forza di cose, con la soppressione fisica dell’elemento destabilizzante.

    Riferendoci, invece, a un sistema inserito in una realtà più ampia quale quella societaria, quando questo entra in contatto con un altro sistema, sia esso costituito da una persona, un elemento o se vogliamo l’ambiente inteso come luogo elettivo di contenimento, lo stesso modifica, oltre a sé, anche l’altro sistema con cui si trova in contatto. Se un sistema è stanco, viene attaccato, l’elemento destabilizzante o corpo estraneo catalizza il naturale collasso o sfaldamento del sistema di partenza. Quando, invece, il sistema è vivo e forte, l’ingerenza di un altro elemento può generare un’eventuale destabilizzazione la quale può essere vissuta come un’ingiustizia[2].

    So-stare

    Il vostro compito non è cercare l’amore,

    ma, semplicemente, cercare e trovare dentro di voi

    tutte le barriere che avete costruito contro di esso.

    Gialal al-Din Rumi

    È un luogo comune mettere in relazione l’innamoramento con un processo incantevole, profondo e affascinante che attraversa l’essere umano in un periodo particolare della propria esistenza. Tutti noi manifestiamo evidente contentezza di fronte a una persona che ci comunica di essersi innamorata. Tuttavia, tale condizione è poco durevole e sicuramente destinata a finire. Gli addetti ai lavori stabiliscono, come durata standard di tale fase, un arco di tempo orientativamente compreso tra i sei mesi e un anno. Il periodo temporaneo dell’infatuazione è dovuto al fatto che, nell’innamoramento, non vediamo mai l’altro per quello che è, ma per quello che vorremmo; l’altro diventa uno specchio autoriflettente che ci rimanda l’immagine di noi stessi. Quello che scorgiamo in realtà è la nostra stessa bellezza riflessa nello sguardo dell’altro. Questa capacità rappresentazionale è talmente forte da essere persino in grado di trasmutare le stesse immagini del mondo che ci circonda. Non è un caso che il rospo possa diventare un bellissimo principe azzurro e la strega sdentata una stupenda signorina. La transitorietà di questo processo è dovuta all’inesorabile presa di coscienza, che avviene gradatamente col tempo e ci consente di svelare le parti nascoste dell’altro non ancora conosciute.

    L’altro non esiste se non come nostra stessa inventiva generata dai bisogni intimi e reconditi, dal desiderio di riconoscimento e dalla necessità di essere amati. Attraverso il magico incontro ci gongoliamo nell’illusione che un altro ci possa dare tutto quello di cui sentiamo la mancanza. Il nostro ego esulta, ci distoglie dalla realtà, ci fa vivere in un mondo fantastico nel quale noi siamo gli unici protagonisti di un film che ha sempre lo stesso copione e che finisce sempre allo stesso modo: Il risveglio dall’incantesimo.

    Questo primo momento normalmente termina quando l’altro incomincia a mostrare la sua vera natura, uscendo dalla posizione passiva di specchio riflettente. Inizialmente l’immagine sembra quella di un fantasma che prende corpo sotto il telo dello schermo bianco proiettivo; poi, sempre più si staglia come immagine autoctona carica di un proprio contenuto vitale. Tale immagine comincia a prendere le sembianze caratteristiche che contraddistinguono l’altro dal sé. Le nuove fattezze iniziano a definire un profilo estraneo, a noi sconosciuto, fino a quando non riusciamo più a rappresentare l’altro a nostra immagine e somiglianza.

    La necessità naturale di tale illusione non è altro che un escamotage che l’intelligenza della specie adotta per assicurarsi la procreazione. Un Cavallo di Troia che permette la valicazione dell’altro all’interno della nostra cintura egoica protettiva. Nella misura in cui l’altro ormai si trova di là di tale recinto, abbiamo due possibilità: o lo espelliamo, andando a cercare poi altri specchi riflettenti come faceva il noto personaggio di Peter Pan creato dallo scrittore scozzese James Matthew Barrie[3] in alternativa, e nella maggior parte dei casi, la scelta più comune, ma più triste è quella di tenercelo, giacché ormai siamo stati fecondati dall’idea dell’altro. In questo caso ci attiviamo per fronteggiare un’accettazione passiva dell’emergenza Altro cercando delle strategie di sopravvivenza al rapporto. Ciò può portare a grande frustrazione, senso d’immobilità/ prigionia o d’incapacità con conseguente irrequietezza e colpevolizzazione nei confronti dell’Altro. Altrimenti spesso avviene l’intrusione da parte di un terzo elemento clandestino all’interno della coppia. L’intrusione del famigerato amante, letteralmente colui che è deputato agli affari dell’amore, in questo contesto si trasforma tranquillamente in un conoscente delegato a risolvere questioni di natura sessuale. Il corpo estraneo può far ritardare di un settennio la separazione qualora la coppia scelga di avere un figlio per distrarsi e spostare il baricentro dal rapporto di coppia su di un’inconsapevole anima novella. Vi è, in fine, un’ulteriore possibilità, spesso remota e, senza ombra di dubbio, ben distante da questi presupposti: quella di riuscire ad amare incondizionatamente l’altro.

    Se vogliamo uscire da questo infinito gioco proiettivo, la prima cosa da fare è amare noi stessi, al punto tale da diventare noi stessi Amore. Come diceva l’Oracolo di Delfi: Amare l’essere ci fa essere amore. L’Amore non è un fare, ma è una questione ontologica che appartiene all’essere stesso. Per questo l’Amore non si può fare, ma si può solo esserlo. Questo sentimento è qualcosa più grande di noi stessi, non potremmo mai farlo, semmai sarà lui a fare noi se ci arrendiamo consegnandoci a questa forza metamorfica. Tale processo autotrasmutativo avverrà esclusivamente nel nostro intimo e ci consentirà di andare di là dai nostri bisogni per non essere più guidati da questi senza quindi dover fluttuare come un’immagine stroboscopica da uno specchio all’altro.

    Nei Vangeli è detto che l’Amore è sinonimo di verità: diventando Amore diventiamo contemporaneamente Verità. In questa nuova luce non possiamo più accontentarci dell’apparenza dell’altro, ci permettiamo di vederlo nella sua più intima essenza, di raggiungerlo in trasparenza, da cuore a cuore.

    Prima di conquistare tale trasparenza, coloro che sono ancora spinti dai propri bisogni egoici di incontrare l’altro per colmare una voragine interiore, avranno due possibilità:

    1) se si trovano di fronte una chiusura da parte dell’altro, si sentiranno costretti a fuggire impazienti alla ricerca di un altro e più accogliente specchio riflettente;

    2) talvolta, benché l’altro sia aperto, questi non sono in grado di vederlo. Lo attraverseranno, senza neanche accorgersene, per andare più in là: spinti dal bisogno dell’incessante ricerca della cosa perduta vivranno sempre nel tentativo di ritrovare un qualcosa che non potranno mai raggiungere.

    Il bisogno di colmare questo vuoto esistenziale è come un fuoco perenne che arde e ci spinge a muoverci continuamente alla ricerca dell’altro in un inappagabile, affannoso e interminabile pellegrinaggio. Così come quando crediamo di non essere visti, di non esistere per nessuno, mentre in realtà siamo noi stessi che, arsi dal bisogno, non ci sentiamo esistere e finiamo per incontrare un altro che, a sua volta, non è in grado di vederci. Chi è in fuga da se stesso non può amarsi, sente il bisogno di essere amato a tutti i costi, ed è disposto a svendersi o a manipolare l’altro. Se ciò non accade, cercherà di essere ammirato assumendo ruoli di prestigio; se questo ancora non avviene, si accontenterà di essere temuto; se ciò non succede, piuttosto di non essere considerato, preferisce essere disprezzato. Basta essere, non importa quale sentimento suscita negli altri[4].

    L’innamoramento che scaturisce dal bisogno è sempre fallimentare ed è funzionale solamente per tamponare momentaneamente un’emergenza, ma non c’è sosta né nell’altro né in noi stessi. Smetti di cercare e troverai dicevano i Vangeli Apocrifi, detto altrimenti significa fermare l’ansia della ricerca perché non ci permette di vedere. Quando siamo in macchina a una velocità piuttosto sostenuta, è veramente difficile scorgere i particolari che sono lì davanti a noi. Le cose di valore vanno sapute apprezzare, non s’impongono con prepotenza, ma sussurrano all’orecchio attento di chi sa ascoltare, non si manifestano all’occhio frettoloso, fugace e rapace di chi è inaridito dai propri bisogni. Al contrario si rivelano nella loro intrinseca maestosità a colui che ha la capacità di So-stare: sapere, appunto, stare accanto ai propri bisogni senza farsi bruciare dall’inquietudine, di saper restare davanti al mistero del non avere certezze. Stare di fronte all’Amore con un cuore puro e una mente aperta, a colui che ha saputo domare le proprie bramosie più violente e impetuose per poter sostare prima in sé e poi nell’altro. Il vero guerriero è chi vince se stesso: il nostro unico e permanente amico-nemico[5]. Solo quando riusciamo a fare pace con noi stessi riusciamo a essere pace per gli altri, per poi essere Amore. La camera nuziale è dentro di noi, gli alchimisti già sapevano che il vero matrimonio è quello interiore, quello che avviene al nostro interno conciliando gli opposti, quando il maschile e il femminile riposano in noi e vibrano in un’armoniosa e permanente danza.

    Oltre l’abbandono

    Arrendersi è il più grande vantaggio

    che si può dare al nemico.

    Confucio

    Nel rapporto di coppia sarebbe molto più semplice, per entrambi i partner, so-stare nella gioia e trasmettersi entusiasmo, sensualità e complicità piuttosto che condividere l’angoscia, la paura e la rabbia i quali solitamente conducono all’isolamento e a una palpabile incomprensione. Tuttavia, la condivisione delle emozioni negative e pesanti che fa nascere questa forte chiusura relazionale diventa un processo iniziatico per le coppie che veramente vogliono esplorare a fondo le profondità del proprio essere.

    La paura di essere inghiottiti dall’altro raggiunge i massimi livelli poiché non c’è alcun sistema di ancoraggio o di riferimento esterno di là dalla coppia stessa: i due partner rappresentano un sistema chiuso che, in quanto tale, non mostra nessuna via d’uscita. Tutte le dinamiche che sorgono devono necessariamente essere risolte all’interno del sistema stesso. La paura e l’angoscia della sofferenza nell’organismo-coppia, non possono essere triangolate per altre vie, delegate o mercanteggiate in circuiti esterni. La responsabilità della trasformazione di questi sentimenti avversativi è qualcosa di più grande dei singoli attori della coppia stessa. È necessario, quindi, oltrepassare il confine dell’ego per arrendersi al processo evolutivo.

    Di frequente, al contrario, si preferisce isolare il problema soffocandolo nel rapporto sessuale che, se vissuto in maniera superficiale e meccanica, garantisce una via di fuga e un rifugio sicuro in quel luogo dove non esiste il confronto spirituale con l’altro e dove non permeano sentimenti di negatività, immaginazioni elevate o progetti di vita.

    Qualora la coppia, invece, sia ormai consolidata e strutturata nel tempo e non sia disposta a liberarsi della rispettiva co-dipendenza affettiva, come abbiamo visto prima, per salvare l’immagine del rapporto e concedersi una possibilità di sopravvivenza, può adottare l’espediente dell’introduzione dell’elemento esterno: l’amante.

    Il partner che si trova nel malessere tende a voler trascinare l’altro nel suo campo energetico di sofferenza, nella speranza di essere compreso e assecondato, di essere tenuto per mano in quel suo momento di consistente impatto angosciante. In realtà sta cercando di provocare l’altro al fine di suscitare una qualsiasi reazione, fosse anche quella di scontro, pur di evitare l’indifferenza. La non-reazione dell’altro genera, nelle persone che non sono state amate da piccoli, quel senso di abbandono di cui hanno bisogno per sperimentare il rifiuto poiché è l’unico modo che riconoscono come amore. Tali dinamiche reattive sorgono dalla nostra infanzia, quando i genitori non ci ascoltavano o non ci capivano e noi facevamo i famosi capricci per ottenere considerazione. La risposta che ci arrivava era inevitabilmente di sopraffazione, imposizione o peggio ancora di un’allampanata e interminabile spiegazione logico/razionale attraverso la quale ci rendevamo conto ripetutamente di non essere per niente compresi. In forme estreme, nelle donne ad esempio che sono state picchiate o hanno subito violenza da persone a loro vicine soprattutto durante l’infanzia, si può arrivare a giustificare la negazione del piacere attraverso il senso di colpa e a perpetrare la ricerca dell’amore nella violenza.

    Quando il nostro compagno si allontana, per cercare i propri spazi vitalizzanti e di sopravvivenza, la nostra parte bambina reagisce generando nel nostro immaginario il classico mantra: quando sto male tu non ci sei mai. Conseguentemente ci si lascia sopraffare dalla paura e si assume un atteggiamento di chiusura e indifferenza per, seppur inconsapevolmente, sperimentare nuovamente il senso dell’abbandono che si riconosce come qualcosa di proprio e di familiare scambiandolo ancora una volta per amore. In questo caso può succedere che la persona, la quale ha introiettato il modello del non essere amato, entri in un mutismo e in un livello di sofferenza cosmica incommensurabile che lo conduce a chiudersi ulteriormente nel suo crogiolo alchemico erigendo confini invalicabili al suo mondo interiore.

    Allorché i sentimenti che legano i due partner sono molto intensi, accade che sia anche l’altro a sperimentare l’abbandono e il rifiuto. Questi, però, non è disposto ad accertarlo poiché lo riconosce come un sentimento estraneo che lo conduce inevitabilmente alla ricerca dello scontro. Il conflitto aggrava la situazione poiché fa scattare anche il bisogno di protezione e di accudimento di sé che rendono più difficoltose la rottura di questo circolo vizioso e la possibilità di far aprire l’altro.

    Solo le persone che hanno effettuato un importante e autentico cammino di conoscenza di sé potranno assumersi la responsabilità e la piena consapevolezza di voler restare accanto al partner accogliendolo nella sua totalità, fragilità e disperazione.

    È proprio questo l’aspetto principale del processo evolutivo dell’essere che ci consente di cogliere il valore della crescita interiore intesa come abilità a superare i propri limiti che, altrimenti, ci ricondurrebbero nel bisogno stagnante d’identificazione e alla ricerca di nuovi specchi riflettenti che ci impedirebbero di raggiungere nuovi livelli di cognizione di sé.

    Rimanere in contatto con le nostre parti oscure è il solo modo per iniziare a conoscerle e, più le conosciamo in noi più ci accorgiamo che non sono solo nostre, ma appartengono all’infinito mondo dell’esperienza umana. Tanto più siamo disposti ad accoglierle in noi stessi, tanto più saremo disposti ad accoglierle nell’altro.

    È a questo punto che avviene l’inevitabile scelta di so-stare. Non siamo più nel bisogno, ma nella capacità di fermarci e di essere noi stessi l’unica strada percorribile tra le infinite possibilità.

    Essere amore significa percepire e vivere i limiti e le sofferenze dell’altro con la viva consapevolezza che ogni limite è solo un’illusione generata dalle nostre paure; rivelare la disponibilità ad aprire una finestra di scambio tra due mondi ricolmi di amore incondizionato e interminabile, in altre parole smettere di alimentare quel noi egoico e circoscritto che ci imprigiona negli oscuri automatismi possessivi dell’altro.

    L’illusione dell’abbandono e della solitudine è presente in noi solo fino a quando restiamo ancorati alla fantasia che un altro possa essere causa e scintilla scatenante di un nostro stato d’animo negativo o che noi possiamo esserlo per l’altro. Abban-donarsi all’altro letteralmente significa donarsi a se stessi per offrirsi all’altro nell’assoluta disponibilità di un cuore libero. L’abbandono non esiste se non come perdita di contatto con noi stessi che poi, inevitabilmente, coincide col senso di morte. Dal momento in cui decidiamo di arrenderci e offrirci alla potenza magnetica del nostro potere personale, niente ci potrà più ferire, siamo disposti a perdonare noi stessi per tutto il male che ci siamo fatti e a perdonare gli altri che sono ancora incagliati in quell’angosciante illusione.

    La contaminazione del male

    Il fatto che siamo separati gli uni dagli altri

    è un’illusione ottica della coscienza

    Albert Einstein

    Il concetto di male e bene può esistere là dove vi è l’essere umano poiché si tratta di un’immagine generata esclusivamente dalla nostra coscienza. Difatti, se accadesse un’eruzione vulcanica su un pianeta disabitato, nessuno si porrebbe il problema se ciò può essere considerato male o bene: esso sarebbe solo un fenomeno. Al contrario, quando lo stesso avvenimento va a distruggere un’intera città provocando delle vittime, questo diviene automaticamente un evento negativo. Gli animali non hanno il concetto del bene e del male: se un giaguaro attacca e uccide una giovane antilope non può essere giudicabile da alcuno, è un processo che fa parte della catena naturale di sopravvivenza. Nel globale processo di evoluzione dell’essere umano, il primo segnale oppositivo alla catena naturale è avvenuto quando il primate ha iniziato a seppellire i morti, adagiando sopra il tumulo di terra un ceppo di legno o delle pietre per ricordare il defunto. La ribellione alla morte, attraverso la salvaguardia della memoria, può essere considerata già un primo moto di opposizione alle leggi che governano l’Universo. Questa negazione ha innescato una polarità tra due opposti: bene e male. La facoltà del ricordare e ipotizzare, difatti, rappresenta già un primo elemento che ci consente di uscire dal normale stato di natura, perché proietta l’essere umano nel passato e nel futuro. L’animale invece vive esclusivamente nel presente perché non ha il concetto di tempo. L’uomo, sviluppando la progettualità del futuro, deve per forza interrogarsi su cosa è meglio o peggio fare per raggiungere i propri obiettivi. Il passaggio dagli obiettivi individuali ai valori condivisi ha segnato poi la nascita dell’etica e successivamente della morale. Questa polarità tra male e bene rimanda fortemente alla dicotomia luce/tenebra che viene, in seguito, portata all’esasperazione nel dualismo del micro e macrocosmo da Mānī[6]. Secondo l’estensione metafisica della dottrina manicheista, il virtuoso è colui che protegge e salvaguarda la luce (principio del bene), poiché questa è incatenata nella

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