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Sguardi sul presente 1: Economia Politica Società Cultura
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E-book466 pagine4 ore

Sguardi sul presente 1: Economia Politica Società Cultura

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Info su questo ebook

Lo sguardo appassionato dei giornalisti e collaboratori del quotidiano on line L'Indro viene raccolto in una sorta di "best of" che raccoglie gli articoli più significativi apparsi nel mese precedente la pubblicazione del volume. Un modo per non far cadere la notizia tra le mille che si affollano ai nostri occhi, mantenendo alto il valore dell'evento o del fatto commentato. Per avere sempre una chiave di lettura attenta e aggiornata della realtà. In questo primo ebook testi sul Giappone, le vicende dell’Ucraina, il virus Ebola, il punto sullo stato dell’educazione musicale, un inedito ritratto di John Belushi a fumetti e una imperdibile intervista al nostro grande attore Giorgio Albertazzi.
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2015
ISBN9788899214111
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    Anteprima del libro

    Sguardi sul presente 1 - Carolina Molino

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    Sguardi sul presente

    1

    Politica Economia Società Cultura

    A cura di Carolina Molino

    Gli eBook di L’Indro

    KKIEN Publishing International è un marchio di KKIEN Enterprise srl

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Prima edizione digitale: 2015

    ISBN 978 88 99214 111

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    Questo ebook è concesso in licenza solo per il vostro uso personale. Questo ebook non è trasferibile, non può essere rivenduto, scambiato o ceduto ad altre persone, o copiato in quanto è una violazione delle leggi sul copyright. Se si desidera condividere questo libro con un'altra persona, si prega di acquistarne una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo libro e non lo avete acquistato direttamente, o non è stato acquistato solo per il vostro uso personale, si prega di ritornare la copia a KKIEN Publishing International (kkien.publ.int@kkien.net) e acquistare la propria copia. Grazie per rispettare il duro lavoro degli autori.

    SOCIETÀ / NEWS

    Indonesia

    UN GOVERNO AL FEMMINILE

    L’Amministrazione del Presidente Joko Widodo ha più donne nel Governo che nel resto dell’Asia

    Bangkok - L’Indonesia che non ti aspetti: più donne nel proprio Governo di qualsiasi altra Nazione dell’area asiatica. Nel Paese islamico più popoloso al Mondo, nella quarta Nazione al Mondo per estensione. Per caso o per scelta, la compagine governativa del Presidente indonesiano Joko Widodo - composta nel suo gabinetto di Governo da 34 Membri - ha oggi un numero record di donne che rivestono il ruolo di Ministro, il che contribuisce ad un notevole innalzamento del profilo femminile governativo soprattutto nella gestione di alcuni ministeri con portafoglio di non scarso rilievo.

    Tutto ciò comprende un mix di politici e di burocrati ed include qualche sorpresa, in special modo per quel che riguarda i titoli di studio, soprattutto dopo l’ingresso di alcuni elementi come la proprietaria di una compagnia charter Susi Pudjiastuti nel ruolo di Ministro per la Pesca e le questioni marittime e la diplomatica Retno Marsudi che riveste il ruolo di prima donna nella delicata posizione di Ministro degli Esteri. La prima volta in Indonesia, corre l’obbligo di ribadire. «Almeno cinque donne vestono ruoli chiave a livello ministeriale collocate in posizioni strategiche per ridurre o qualora sia possibile eliminare la povertà aspetto verso il quale le donne sono particolarmente vulnerabili», ha affermato Dian Kartikasari, Segretario Generale della Coalizione delle Donne, un gruppo di attiviste impegnate nell’ambito del Diritto.

    Il suo predecessore, Susilo Bambang Yudhoyono, aveva quattro donne ministro nel suo primo Gabinetto di Governo e sei nel secondo. Si trattava di donne altamente rispettate come il suo Ministro per le Finanze ed oggi Direttrice Manager della Banca Mondiale Sri Mulyani Indrawati e prima Commercio e successivamente Ministro per il Turismo e l’Economia Creativa, Elka Pangetsu.

    Mentre l’economia più vasta del Sud Est Asia ha vissuto il suo pieno boom economico nel decennio scorso, le donne hanno ancora dovuto vivere in ruoli di subalternità rispetto agli uomini e spesso sono state marginalizzate nel settore informale. Gli attivisti affermano che non vi è né importanza né attenzione focalizzata sulla questione dell’innalzato numero di donne nel Governo. In ogni caso, vi è speranza che la crescita delle donne ministro possa anche significare che tematiche di questo tipo possano essere meglio definite nel futuro del Paese.

    Le otto donne ministro costituiscono di fatto il 24 per cento del Gabinetto dei Ministri ponendo l’Indonesia al di sopra della media locale del 17 per cento, secondo quanto confermato dalla Unione Interparlamentare che ha sede a Ginevra, una associazione dei Parlamenti di tutto il Mondo. Questa percentuale è più alta di quella della Gran Bretagna dove cinque donne su 22 sono Ministro e 3 su 16 negli Stati Uniti mentre è più bassa che rispetto alla Francia con 17 donne ministro su 34 componenti del Gabinetto di Governo. Singapore ha una sola donna ministro su 18 componenti, il che rappresenta il 6 per cento.

    Alcuni studiosi di materie sociologiche e politiche locali confermano che l’Indonesia si basa su una società di stampo patriarcale ma bisogna anche riconoscere che vi è una effettiva crescita progressista nella regione in termini di champagne attiviste in difesa dei Diritti delle donne. Gli stessi studiosi ricordano che poche nazioni nel Sud Est Asia hanno avuto una donna come Presidente. Megawati Sukarnoputri divenne Presidente nel 2001 e prima di lei Corazon Aquino divenne Presidente delle Filippine nel 1986.

    Ma tutto ciò non è rose e fiori, le critiche anche velenose non mancano. Gli scettici affermano che alcune scelte sono un risultato  più dell’interferenza di Megawati, il Presidente del Partito Indonesiano Democratico per la Lotta PDI-P di Joko Widodo che un risultato ottenuto dalle donne basandosi sulle loro specifiche capacità. Gli stessi critici citano a mò di esempio gli impegni della figlia di Megawati, Puan Maharai come Coordinatrice Ministeriale per lo Sviluppo Umano e della Cultura ed il suo precedente impegno come Ministro per il Commercio e l’Industria e la lealista Rini Soemamo, come Ministro per l’Imprenditoria a Proprietà Pubblica. Ma Puan Maharani ha respinto tali annotazioni e critiche mentre il predecessore di Rini Soemarno, Dahlan Iskan, ha difeso le sue credenziali affermando che lei era un reale Amministratore Delegato nella casa produttrice automobilistica Astra.

    Allo stesso tempo, il Ministro per la Pesca e le questioni marittime Susi, è madre di tre figli, i cui tatuaggi su temi sportivi sulle sue gambe sono stati variamente mostrati online, nel momento in cui è stata fotografata sul prato presidenziale a fumare in attesa della dichiarazione ufficiale dei Membri del Gabinetto governativo. Tatuaggi per i quali nella sua vita è stata anche estromessa. In risposta agli attacchi personali, ha risposto: «Sono un po’ infastidita poiché la questione mi distrae». Ma ha poi subito aggiunto: «Proverò che ho senso di responsabilità e manderò avanti il mio nuovo incarico».

    Coloro che l’hanno difesa hanno affermato che lei è una che lavora sodo e ciò è molto più importante di qualsiasi altro aspetto o qualifica nel grado di istruzione. «I tatuaggi sono affari suoi. La cosa più importante è che non è una criminale e che  nella vita ha raggiunto il successo solo grazie al suo duro lavoro», ha affermato un noto navigatore web Eddy Yusran nel suo profilo Facebook. La esponente politica Sumenep Dwita Andriyani del Partito Mandato Nazionale ha anch’essa difesa la collega Susi ed ha affermato che la scelta del Presidente Joko a favore di donne come lei e Rini mostra che non vi è alcuna materia di interesse nelle divisioni di genere in quanto i Ministri sono stati scelti solo in base alle loro capacità. «Il successo non dipende dal livello di istruzione. D’altro canto, queste donne hanno dimostrato che hanno avuto successo nei loro singoli settori specifici d’azione che sono risultati loro più congeniali nelle loro vite». «In quanto donne, vogliamo anche noi che esse dimostrino di avere le stesse capacità degli uomini, senza compromettere in alcun modo le loro differenze», come riportato da vari media e quotidiani locali.

    Francesco Tortora

    Giappone

    GIAPPONE, FUORI CASTA NEL XXI SECOLO

    Discriminazioni antiche resistono nella società attuale, ce ne parla Kazuhiro Kawamoto

    Una delle cose che più salta all'occhio ad un turista straniero in visita per la prima volta in Giappone è l'assoluta omogeneità della sua popolazione. La società giapponese è infatti incredibilmente compatta, composta per più del 98% da discendenti del popolo Yamato, giapponesi doc.

    Nonostante questa omogeneità anche qui sono presenti minoranze etniche. Si tratta per lo più di coreani, cinesi e brasiliani spesso nati e cresciuti in Giappone. In alcuni casi come quello degli Ainu, antica popolazione autoctona ancora esistente nell'estremo nord del paese, il loro stanziamento è addirittura precedente a quello giapponese.

    Secondo un rapporto del 2006 a cura delle Nazioni Unite è emerso che, nonostante dei significativi miglioramenti nel corso degli ultimi anni, persiste ancora una forte discriminazione nei confronti delle minoranze etniche del paese. Questo è dovuto in larga parte alla convinzione che solamente i giapponesi stessi possono capire a fondo la propria cultura e che gli stranieri, siano essi americani o discendenti di coreani che vivono in Giappone da tre generazioni, saranno sempre considerati esterni a questa cultura.

    Ma c'è una discriminazione che per certi versi è ancora più odiosa ed è quella che riguarda i  ''burakumin'', letteralmente gli ''abitanti dei villaggi''. Si tratta di circa due milioni di persone (le stime sono molto altalenanti), giapponesi a tutti gli effetti che vengono discriminati solo per il tipo di lavoro fatto dai loro antenati, spesso più di cento anni fa.

    Questa discriminazione è presente sin dai tempi più remoti del paese, legata a credenze religiose dello Shintoismo e in parte del Buddismo stesso ma si radicalizzò solamente in epoca Tokugawa (1603-1868), quel lungo periodo di pace e di isolamento totale che precedette la scoperta dell'Occidente. In una società divisa in quattro caste principali, samurai, contadini, artigiani e mercanti, tutti coloro che avevano a che fare con la 'morte' e tutto quello che vi era associato – becchini, macellai, conciatori – erano considerati ''eta'' ovvero persone fuori dalle caste,  indegne di essere considerate esseri umani. Il sistema delle caste giapponese non prevedeva nessuna mobilità sociale e i figli degli ''eta'' erano destinati allo stesso trattamento dei genitori senza possibilità di cambiare il proprio destino. Fu in questo periodo che presero ad organizzarsi in piccole comunità, dei veri e propri ghetti e ad essere marginalizzati dalla società. 

    Con l'arrivo dell'era moderna, nel 1871 fu promulgato l'editto d'emancipazione che mise definitivamente la parola fine al sistema delle caste. Ma molto tempo ancora è dovuto passare prima che le condizioni degli abitanti dei buraku potessero realmente migliorare. Negli anni la condizione sociale, economica e l'accesso all'educazione è stata infatti nettamente al di sotto degli standard nazionali e si stima che ancora oggi oltre il 60% degli affiliati alla Yakuza, la potente mafia giapponese, provenga da abitanti dei buraku, segno tangibile di quanto sia difficile scrollarsi di dosso la 'macchia' di essere un 'burakumin'.

    Ma com'è la situazione oggi? L'abbiamo chiesto a Kazuhiro Kawamoto che si occupa dell'argomento per conto dell'Asia-Pacific Human Rights.

    Qual è la situazione dei 'burakumin' oggi? Vivono ancora confinati in ghetti?

    I programmi governativi (1969-2002) per diminuire il gap tra burakumin e non hanno migliorato enormemente le condizioni ambientali dei distretti buraku che tuttavia ancora esistono. In ogni modo oggi è quasi impossibile distinguerli dalle altre parti della città. Ciononostante vivere nelle aree buraku rimane sempre molto difficile sotto diversi aspetti incluso lo status economico, l'accesso all'educazione, la ricerca di un lavoro ecc. La situazione poi cambia da distretto a distretto. Può essere d'aiuto per capire la situazione attuale un sondaggio effettuato ad Osaka secondo il quale le persone del buraku senza un'educazione scolastica sono il 4,8% (la media è lo 0,2%) mentre il tasso di disoccupazione è del 9,7% per gli uomini e del 8,2 per le donne (la media è del 6,6% e 5,6%. Infine le persone che hanno accesso ad internet sono la metà rispetto le persone che non vivono in aree buraku.

    Sono frequenti i matrimoni tra burakumin e persone non buraku?

    E' difficile da dire, sicuramente c'è un trend positivo. Ma alla domanda ''saresti felice se tuo figlio sposasse una persona di origine buraku?'' solo il 20% ha risposto positivamente. Da questo è facile dedurre che per un 'burakumin' ci saranno sicuramente molte più probabilità di non essere accettati da genitori o amici del proprio partner. In questo senso si, esistono ancora forti barriere nei matrimoni.

    Nel 1975 ci fu lo scandalo ''Tokushu buraku chimei sokan''. Fu scoperto che più di duecento grandi aziende, tra cui Toyota, Nissan e Honda, per decidere se assumere o meno un dipendente consultavano abitualmente un libro nel quale erano elencati i nomi di tutti gli abitanti dei buraku. Quelle liste furono vietate all'epoca perché discriminanti ma ancora oggi vi sono copie che girano illegalmente su internet. C'è ancora discriminazione sul posto di lavoro?

    Quella lista dei buraku ebbe un grande impatto su tutta la società, dando una enorme visibilità al problema della discriminazione dei burakumin. Dopo quel evento tutte i settori dell'economia hanno fatto un grande sforzo per eliminare ogni tipo di discriminazione che riguardasse l'origine delle persone. Questi sforzi, inclusi la sensibilizzazione e il sostegno alla ricerca del lavoro, ci hanno portato oggi in una situazione in cui è molto raro assistere ad incidenti del genere.  Se una compagnia subisse uno scandalo del genere oggi, sarebbe travolta da una critica feroce da parte della intera società.

    Nel 2002 il governo ha interrotto il programma trentennale di aiuto a favore dell'assimilazione della comunità buraku, considerando il problema 'sostanzialmente risolto'. Nonostante questo il problema sembra essere invece ancora molto presente. Perché non esiste una legge contro la discriminazione in Giappone, così come richiesto anche dalle Nazioni Unite? Potrebbe essere di aiuto per una maggiore integrazione?

    Quella legge ha aiutato molto il processo d'integrazione della comunità buraku migliorandone la qualità di vita sotto tutti i livelli. Tuttavia penso che la maggior parte dei Burakumin oggi non vogliano più essere trattati come persone ''speciali'', bisognosi di una legge che li tuteli. In qualche modo questo trattamento li ha posti come diversi di fronte alle altre persone. Un aspetto negativo di quella legge è stato il rendere i buraku dipendenti da quegli aiuti, mentre le persone non buraku o le altre minoranze meno tutelate diventavano invidiosi o critici rispetto a questo trattamento privilegiato. Ha creato una sorta di frattura. La soluzione potrebbe essere la promulgazione di una legge che aiuti indistintamente tutte le persone con difficoltà o problemi e non solo una singola comunità piuttosto di un'altra.

    I modi per risolvere il problema dei buraku si dividono generalmente in due visione opposte. La prima, seguita dal Ministero dell'Educazione, da alcune delle maggiori organizzazioni per i diritti dei buraku e dalla quasi totalità dei mezzi d'informazione, è quella di non parlare del problema. Abbracciano l'approccio secondo il quale se non si parla di un problema questo non esiste.  Dall'altra parte c'è l'approccio auspicato dalle Nazioni Unite, quello di dare il maggior risalto possibile alla tematica, essere aperti e non nascondere il problema ma informare e sensibilizzare il più possibile. Quale pensa sia la soluzione migliore per affrontare la cosa?

    Quello del Governo è l'approccio che in Giappone chiamiamo ''non svegliare il bambino che dorme''. Spesso le persone credono che vada tutto bene, che non ci sia nulla di cui preoccuparsi, ma non è così. C'è una lunga storia di discriminazione verso i burakumin che dura da secoli e non vi è nessuno sforzo da parte del governo di sensibilizzare l'opinione pubblica verso questo tema. Il risultato è che la situazione buraku esiste ancora oggi ed esisterà sempre fino a quando non cambierà questo atteggiamento. La gente dovrebbe capire che aumentare l'interesse e la sensibilità verso il tema dei buraku è l'unico modo per risolvere la situazione. E' fondamentale a mio avviso promuovere l'educazione sui diritti umani sin dalla scuola, cosa che viene invece spesso ignorata.

    Attilio Viglione

    Identità  e non solo

    L’EUROPA, IL SUO SENSO, E IL SUO FUTURO

    Intervista a due giovani cittadini europei

    Da sempre, l’Unione Europea con la sua raison d’être, la sua struttura, e il suo futuro, è stata stata vista da diverse prospettive.  Ma la vera essenza dell’Unione, con le sue visions contrastanti, affonda le sue radici nello storico Trattato di Maastricht. Come spesso accade, l’opinione pubblica viene plasmata e influenzata da elementi di varia natura, come la cultura e l’interesse personale verso la nazione. Sin dal principio, il concetto di integrazione europea è stato molto dibattuto, diventando spesso motivo di reale disaccordo. E, se da un lato il famigerato trattato ha rappresentato un forte motivo di entusiasmo per il Presidente francese François Mitterrand, dall’altro lato, quella stessa fonte incontrò lo scetticismo di Margaret Thatcher. Infatti, molte delle questioni che oggi accendono gli animi, erano viste come taboo già all’epoca.

    L’identità dell’Europa, con la sua integrazione, la sua indipendenza, la sua espansione, e l’avvento della moneta unica, sono tutti temi spesso dibattuti in ambito pubblico, ma evidentemente non abbastanza, se si considerano i recenti sviluppi dell’Unione in fatto di politica, economia e società. Nel tentativo di far ulteriore luce su queste problematiche, ho intervistato due giovani appartenenti alla stessa classe sociale, almeno in apparenza. Entrambi sono membri della comunità europea per gli affari, ed entrambi sono cittadini d’Europa. Si tratta di una giovane spagnola che lavora in banca – che chiameremo Dipendente di Banca Spagnola – e di un un giovane commercialista della Germania – che chiameremo Commercialista Tedesco. A seguire, le domande a cui hanno risposto i due giovani, in separata sede.

    Le due interviste non vogliono rappresentare un sondaggio. Come già detto, si tratta del risultato di un’occasione che ha voluto fare il punto su alcune problematiche al centro del dibattito dell’Unione Europa e sul suo futuro.  

    Lei si sente di appartenere all’Europa?

    Dipendente di Banca Spagnola: In generale sì, mi sento europea, ma non in primis. Sono spagnola prima di tutto.

    Commercialista Tedesco: Sì, certamente.

    Qual è il significato che associa all’ identità europea?

    Dipendente di Banca Spagnola: Se osservo la bandiera europea, non ho l’impressione di essere davanti a un’ identità precisa. Cosa che sentirei, invece, dinanzi a una bandiera della Gran Bretagna. Sono europea, ma ciascun Paese ha caratteristiche proprie. Non si può chiedere alla Spagna di diventare tedesca, né alla Germania di diventare spagnola. Perché le culture sono ben distinte.

    Commercialista Tedesco: Si tratta di una identità della diversità. Gli europei arrivano da Paesi diversi e parlano lingue diverse, hanno abitudini, tradizioni e modi di pensare diversi. Siamo diversi, ma uniti in un grande sistema che porta con sé la pace.  

    Cosa vuol dire essere cittadino europeo?

    Dipendente di Banca Spagnola: Essere cittadino europeo è sinonimo di libertà. È facile viaggiare in Europa senza troppe complicazioni. L’Europa è un ambiente sicuro, ricco di storia, cultura e diversità. Se mettiamo da parte i problemi attuali UE (principalmente politici ed economici) , l’Europa rappresenta davvero un gran bel posto in cui vivere.

    Commercialista Tedesco: Per me vuol dire spostarmi tranquillamente col mio passaporto, acquisire e rivendicare gli stessi diritti in tutti i Paesi europei, non sentirmi straniero in terra d’Europa, avere amici su tutto il territorio UE, beneficiare di alcune uniformità (es. patente, mercato del lavoro). Essere europeo è essere parte di qualcosa di realmente grande e lontano da discriminazioni.

    Tra il Nord – es. Germania e i Paesi Bassi – e il Sud – es. Spagna e Grecia – dell’Unione Europea esistono differenze. A suo parere, il Sud dovrebbe impegnarsi per eguagliare il Nord, o crede che le differenze vadano rispettate e mantenute come tali?

    Dipendente di Banca Spagnola: Credo che dovremmo imparare dagli altri. In particolar modo, questo concetto vale per il Sud che ha molto da imparare dal Nord, anche se le differenze sono ciò che rendono unico ciascun Paese dell’Unione, e alcune delle differenze esistenti non cambieranno mai. Esistono differenze culturali, con una lunga storia alle spalle, e al tempo stesso, non bisogna trascurare il fatto che ciò che funziona bene in un posto potrebbe non funzionare in un altro posto. Per questo, a volte accade che ciascun Paese debba riuscire a diventare il Maestro di se stesso.

    Commercialista Tedesco: Le differenze dovrebbero restare tali. É proprio la diversità che fa l’Europa. Noi europei riusciamo a distinguere a malapena che non esiste una grossa differenza tra chi arriva dal Dakota del Nord e chi dall’Oklahoma, pur trattandosi della stessa distanza che divide Monaco da Madrid. Parlano la stessa lingua, hanno la stessa cucina, si comportano allo stesso modo. Quante regioni diverse culturalmente e linguisticamente, invece, si attraversano lungo la tratta Monaco-Madrid? Perciò, l’obiettivo dell’Europa non è quello di rendere il tutto omogeneo. Gli usi e i costumi regionali devono essere mantenuti. I millenni di storia europea hanno fatto l’Europa con la sua identità, e nessuno dovrebbe diventare qualcun altro. I Nord-europei possono senz’altro imparare dal Sud e viceversa. Essere aperti e saper ascoltare è una vera opportunità da non sottovalutare. E gli Stati Uniti non hanno questa fortuna.

    L’Indro: Avverte la presenza di differenze culturali con la gente della sua età di altri Paesi europei, specialmente con chi arriva dal Nord Europa, tedeschi o scandinavi per esempio? Se sì, quanto sono grandi e forti queste differenze?

    Dipendente di Banca Spagnola: Sì, esistono chiaramente delle differenze. Anche nella stessa Spagna si avvertono differenze culturali regionali. Ma ‘diverso è buono’. La sinergia e il lavoro di squadra che ne deriva è proprio ciò che serve all’Europa per migliorarsi. Si tratta di cooperare per un obiettivo comune, insieme. E per agire in questa direzione bisogna conoscere le differenze e capirle, imparare gli uni dagli altri, senza mai perdere di vista la propria identità, proprio quel quid ciò che ci rende tedeschi, spagnoli o greci.

    Hatem Younes

    Dopo 25 anni

    LA SOVRANITÀ DEGLI STATI-NAZIONE NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE

    25 anni dopo la caduta del muro di Berlino, cosa è cambiato?

    La scorsa settimana, in occasione del 25° anniversario della caduta del Muro di Berlino, simbolo della Guerra Fredda, Mikhail Gorbaciov, ex capo dell’Unione Sovietica, ha dichiarato: Il mondo è sull’orlo di una nuova guerra fredda. Alcuni sostengono persino che sia già iniziata. L’eventualità o meno che nel mondo vi sia un’altra guerra fredda è una questione importante per lo stato attuale degli affari internazionali. Tuttavia, anche se lo spettro di una guerra fredda è più teorico che reale, nel contesto internazionale dilagano pericoli, norme violate, minacce e rovine. Ad aggravare ulteriormente la situazione il recente deterioramento della relazione tra Russia e Occidente relativamente alla crisi in Ucraina, ora diventata una vera e propria guerra civile, a cui fa da scenario un conflitto tra potenze forti.

    Mentre siamo qui riuniti, un’epidemia dell’Ebola travolge i sistemi sanitari pubblici nell’Africa occidentale e minaccia di spostarsi rapidamente oltre i confini. L’aggressione russa in Europa ricorda i giorni in cui le grandi nazioni opprimevano quelle minori spinte da ambizioni territoriali. La brutalità dei terroristi in Siria e delle forze in Iraq ci costringono a esaminare il centro dell’oscurità. Questa la dichiarazione del Presidente Barack Obama, in un discorso tenuto alle Nazioni Unite a settembre. In poche parole, il Presidente americano non solo considera le azioni della Russia in Europa una minaccia globale, ma le classifica come la seconda minaccia preceduta da quella di un virus mortale ad ampia diffusione e di un’oscura impresa atroce di terroristi barbari. Naturalmente, la Russia ha espresso stupore di fronte a tali commenti tramite il suo Ministro degli esteri, Sergei Lavrov

    La sottigliezza in questo caso è che la crisi in Ucraina, cui Obama fa riferimento nella sua dichiarazione, non rappresenta la causa di tale situazione. Si tratta, piuttosto, di un sintomo e un risultato di una tendenza più ampia, più pericolosa che coinvolge l’intero mondo, che esista o meno una guerra fredda.

    Dietro alla crisi in Ucraina e alle violazioni di cui entrambe le parti si accusano reciprocamente, vi è una profonda diffidenza nata col tempo e cristallizzata a un tale livello da non poter essere dissolta in un futuro prossimo. Queste presunte violazioni sono legate ad alcuni principi del diritto internazionale e delle relazioni internazionali:

    Il principio di non interferenza: tutela gli Stati-nazione dall’interferenza di altri Stati-nazione nelle questioni interne

    La definizione di uno Stato-nazione: gli Stati-nazione sono delimitati da confini giuridicamente definiti. È previsto che vengano rispettati e tutelati in conformità al diritto internazionale

    La sovranità degli Stati-nazione: gli Stati-nazione hanno il potere di decisione all’interno dei propri territori e non devono interferire nelle questioni reciproche

    Il diritto all’autodeterminazione: il diritto delle persone di decidere del proprio futuro. Ne consegue talvolta l’indipendenza/secessione.

    Principi che non sempre vengono rispettati. Ad esempio, il principio di non interferenza e quello di sovranità degli Stati-nazione potrebbero essere messi da parte in caso di crisi umanitarie catastrofiche. Tuttavia, si prevede che ciò avvenga attraverso degli accordi in seno alle Nazioni Unite. Altrimenti, tale azione è considerata illegale. Nel caso dell’Ucraina, la Russia ha accusato l’Occidente di interferire negli affari del Paese incitando e sostenendo una rivolta – ad esempio, il senatore statunitense John McCain ha tenuto un discorso in sostegno della rivolta Maidan a Kiev, mentre l’Occidente ha accusato la Russia di sostenere i Ribelli nell’Ucraina orientale.

    La questione della sovranità degli Stati-nazione è

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