Rivoluzione Tunisia: la costruzione della democrazia
Di Lia Valetti
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Veniva rovesciato in tal modo un regime autoritario e corrotto, quello di Ben Ali, che godeva di fortissimi appoggi in Occidente e soprattutto in Francia, al punto che la ministra degli interni francese dell’epoca si spinse ad offrire l’intervento dei CRS per garantire la sopravvivenza del regime.
La rivolta dei Tunisini, contro Ben Ali ma anche contro i suoi protettori, aveva la meglio anche grazie alla neutralità delle Forze armate, e dava il via a un effetto domino in tutto il mondo arabo dove pure esistevano giustificati malumori nei confronti di tutti i governi allora al potere.
A sette anni di distanza da quegli avvenimenti, il bilancio appare fortemente negativo.
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Anteprima del libro
Rivoluzione Tunisia - Lia Valetti
Rivoluzione Tunisia
La costruzione della democrazia
Lia Valetti
RIVOLUZIONE TUNISIA
EDIZIONI SIMPLE
Via Trento, 14
62100 Macerata
info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it
ISBN: 978-88-6924-346-2
Realizzato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand
Via Trento, 14 - 62100 Macerata
Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.
Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.
Prima edizione: gennaio 2018
Copyright © Lia Valetti
Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.
Tempi Moderni aps
Tempi Moderni è un’associazione di promozione sociale che si occupa di studi, ricerche, formazione e indagini di carattere scientifico. Si occupa anche di promuovere e pubblicare inchieste giornalistiche in grado di tenere insieme approfondimento, rigore metodologico ed espositivo. Promuove infine saggi ed articoli, monografie e collettanee attraverso pubblicazioni, l’organizzazione di eventi specifici come seminari, corsi di alta formazione e master in collaborazione con università ed enti di formazione e ricerca riconosciuti.
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Gli articoli pubblicati da Tempi Moderni sono sottoposti a procedura di referaggio anonima
Sommario
Prefazione di Fabio Marcelli
Premessa
1. I fattori della rivoluzione
1.1 L’eredità storica: il patrimonio transculturale
1.2 L’economia tunisina tra benessere economico relativo e crisi strutturale
1.2.1 Le ragioni economiche della rivolta
1.3 I protagonisti delle rivolte: la chiave dell’eccezionalità tunisina
1.3.1 La società civile: il ruolo dell’UGTT e dei giovani
1.3.2 Le donne: quintessenza della rivolta
1.3.3 L’associazionismo e l’autogestione dei gruppi non rappresentati
1.3.4 Le forze politiche dopo Ben Ali
2. Dinamiche sociali, istituzionali, costituzionali
2.1 L’Islam, un fattore incompatibile con democrazia e diritti umani?
2.1.1 Islam e politica
2.1.2 Islam e democrazia
2.1.3 Islam e diritti umani
2.2 La costruzione del compromesso tra islamisti e secolaristi
2.2.1 Le fasi del processo costituente
2.2.2 Costituzione: aporie e conquiste in direzione dei diritti umani
2.2.3 La fatica di gestire il pluralismo: quando il compromesso maschera l’appiattimento
2.3 Il diritto post-rivoluzionario tra giustizia transizionale e governance dei diritti umani
2.3.1 La giustizia rivoluzionaria e le leggi di lustrazione
2.3.2 La giustizia transizionale e le criticità incontrate dall’Istanza Verità e Giustizia
3. Le ombre sul processo di democratizzazione tunisino
3.1 Sicurezza e terrorismo
3.1.1 Il paradosso della sicurezza: senza dittatore ce n’è più bisogno
3.1.2 La democrazia richiede riforme urgenti anhe nel campo della sicurezza
3.2 L’esodo migratorio
3.2.1 Le migrazioni contemporanee come fenomeno strutturale
3.2.2 L’Unione europea e le migrazioni mediterranee
3.2.3 Le migrazioni italiane in Tunisia e tunisine in Italia
3.3 Il necessario sostegno alla neonata democrazia
3.3.1 Il confronto con la minaccia estremista
3.3.2 Il sostegno alle politiche giovanili
4. Relazioni internazionali
4.1 L’economia che tira le relazioni (nel verso sbagliato)
4.2 Le relazioni tra Tunisia e Stati Uniti
4.2.1. Quadro generale della politica estera statunitense
4.2.2 Il sostegno degli Stati Uniti tra Boughiba, Ben Ali e il nuovo governo
4.2.3 Dalla teoria alla pratica: le tre fasi della politica estera statunitense in Tunisia
4.3 L’Unione europea e la Tunisia
4.3.1 L’inesorabile allontanamento dell’ex potenza protettrice: il ruolo della Francia
4.3.2 La vicinanza con l’Italia: geografica, economica, culturale
4.4 I diritti umani come aspetto fondamentale della politica estera
4.4.1 I diritti umani: un’esigenza solo occidentale?
4.4.2 L’allineamento tunisino agli standrd internazionali
5. La Tunisia che verrà: un percorso in evoluzione
5.1 Il percorso recente della politica tunisina: la caduta del governo di unità nazionale
5.2 La questione del debito estero
5.2.1 Debito odioso, debito ingiusto nel caso tunisino
5.2.2 Le dimensioni del debito tunisino
5.2.3 Gli errori del Fondo Monetario Internazionale
5.2.4 La cancellazione del debito odioso nell’esperienza internazionale
5.2.5 Strumenti alternativi per la ripresa economica
Prefazione
di Fabio Marcelli [1]
Il lungo saggio monografico scritto da Lia Valetti sulla Tunisia è frutto di una permanenza di qualche mese presso l’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR nell’ambito del programma della Regione Lazio Torno subito
. Seguendo la logica di tale programma, Lia Valetti ha messo a frutto in tale sede le conoscenze acquisite nei mesi precedenti presso un’università francese, procedendo a scrivere il saggio.
Il tema è molto interessante per le specifiche caratteristiche della Tunisia, Paese di frontiera del Mediterraneo e del Mondo arabo dove sono iniziate, nell’autunno 2010, parallelamente alla grande manifestazione svoltasi a Gdeim Izik nel territorio saharawi occupato dal Regno del Marocco, quelle che, forse un po’ troppo frettolosamente e troppo ottimisticamente furono denominate primavere arabe
.
Veniva rovesciato in tal modo un regime autoritario e corrotto, quello di Ben Ali, che godeva di fortissimi appoggi in Occidente e soprattutto in Francia, al punto che la ministra degli interni francese dell’epoca si spinse ad offrire l’intervento dei CRS per garantire la sopravvivenza del regime.
La rivolta dei Tunisini, contro Ben Ali ma anche contro i suoi protettori, aveva la meglio anche grazie alla neutralità delle Forze armate, e dava il via a un effetto domino in tutto il mondo arabo dove pure esistevano giustificati malumori nei confronti di tutti i governi allora al potere.
A sette anni di distanza da quegli avvenimenti, il bilancio appare fortemente negativo. La Libia è in preda alla guerra tra bande contrapposte e praticamente non esiste più come Stato. La Siria è in preda alla guerra civile anche se si comincia ad intravvedere una soluzione con il contrattacco delle forze fedeli ad Assad e il successo sul piano politico militare delle formazioni multietniche egemonizzate dai Kurdi della Rojava. Lo Yemen è anch’esso teatro di una furibonda guerra civile che vede il diretto intervento delle Forze armate saudite che compiono stragi con le armi acquistate a peso d’oro in Occidente e, in particolare, in Italia. La Palestina è nello stallo a fronte delle politiche espansionistiche di Netanyahu che promuove l’avanzata dei coloni e consolida lo Stato dell’apartheid al suo interno. In Egitto si è insediato oramai da qualche anno un governo che sembra perfino peggiore di quello di Mubarak per le violazioni dei diritti umani sotto forma di sparizioni, tortura, detenzioni arbitrarie ed esecuzioni extragiudiziali. Nel Marocco dell’illuminato
monarca Mohammed VI tornano la lotta sociale e la repressione, in particolare nella regione del Rif, mentre è più che mai aperta la questione saharawi da risolvere mediante referendum di autodeterminazione delle popolazioni coinvolte.
Per limitarsi alle principali situazioni coinvolte a suo tempo dalle cosiddette primavere, quindi, il bilancio appare molto negativo, sia per i limiti dei movimenti di massa che si erano registrati, sia per le pesanti ingerenze di potenze straniere, in particolare occidentali.
In questo quadro non particolarmente felice, la Tunisia sembra rappresentare un’eccezione, in virtù di taluni risultati raggiunti in questi sette anni, in particolare una Costituzione abbastanza avanzata e un sistema politico tutto sommato in grado, a quanto pare, di continuare ad esistere mediando in modo più o meno pacifico le contraddizioni e divergenze esistenti.
Un altro motivo di interesse dell’esperimento tunisino è costituito senza dubbio dalla promozione dei diritti delle donne, pur mantenendo la Costituzione in parte un carattere confessionale. Una dimostrazione, forse, della non incompatibilità tra Islam, correttamente inteso e praticato, e diritti delle donne.
Anche in Tunisia, tuttavia, vi sono problemi acuti, testimoniati dall’assassinio di taluni dirigenti politici della sinistra, Chokri Belaid e Mohammed Brahmi, dal fatto che buona parte dei foreign fighters attivi nell’ISIS ed altre formazioni armate fondamentaliste viene proprio da questo Paese, e soprattutto dai problemi economici e sociali ancora irrisolti, specie per quanto riguarda la disoccupazione giovanile. Si temono d’altronde contraccolpi reazionari anche sul piano delle libertà personali e del costume, attestati da una decisione giudiziaria, avvenuta poco tempo fa, di condannare alla reclusione un ragazzo e una ragazza che si baciavano per strada.
Il saggio di Lia Valetti, notevole per materiale documentario consultato e citato, attraversa la storia della Tunisia, con particolare riguardo agli ultimi sei anni, mettendo in luce problemi aperti, successi ed insuccessi, e chiamando tutti noi a un atteggiamento finalmente effettivamente cooperativo e solidale nei confronti di Paesi e di popoli finora considerati solo come fonte di risorse utili alle multinazionali o luoghi dove costruire avamposti dei muri necessari, secondo la visione purtroppo dominante in Italia e altrove a livello politico, per contenere gli inevitabili fenomeni migratori.
In questo senso ben può dirsi che il saggio di Lia Valetti metta il dito sulla piaga costituita dall’assenza di una politica estera adeguata da parte dell’Italia e dell’Europa che sia in grado di affrontare nodi strutturali, come quelli del debito estero, che sono alla base dell’attuale crisi tunisina e di molti altri Paesi del Bacino mediterraneo, trasformandoli in terreno fertile per il fondamentalismo.
1. Dirigente di ricerca dell’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR, dirigente dei giuristi democratici a livello internazionale, europeo e nazionale e membro del comitato scientifico di Tempi Moderni aps.
Premessa
Il Mediterraneo è un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che, dalle più modeste alle medie, alle maggiori, si tengono tutte per mano.
[2] È così che lo storico francese Fernand Braudel giustificava il suo considerare il Mediterraneo uno spazio-movimento
, un luogo geografico e storico, culla di grandi civiltà, che hanno saputo per secoli raccogliere i frutti di un mare immenso ai tempi delle triremi, che è oggi diventato poco più di un canale stretto. Appena decollati da Palermo, già quasi si scorge Tunisi. Nonostante la navigazione fosse talvolta difficile, in quanto soggetta al capriccio dei venti, Fenici, Cartaginesi, Cretesi, Micenei, Greci, Romani, Turchi, Veneziani tenevano tra loro fitte relazioni commerciali che venivano stimolate da scambi culturali altrettanto preziosi. Anche quando i rapporti divenivano conflittuali, le civiltà comunicavano naturalmente tra loro; eppure oggi sembra che il Mediterraneo nasconda degli abissi, tanto lo si guarda con sospetto, più che con entusiasmo.
Da quando Carlo Martello vinse a Poitiers, la costa settentrionale del Mediterraneo si arroccò nella sua presunta superiorità, per poi ritornare sulle sponde Sud da colonizzatori predatori. In seguito ai processi di decolonizzazione le fratture cominciarono a rimarginarsi e rimase, in tutti i Paesi che affacciano su quel mare, la promettente convivenza tra culture che avevano imparato a trarre il meglio le une dalle altre. Nonostante la generosità di risorse e le abbondanti relazioni economiche tra le due sponde del Mediterraneo, nel ventunesimo secolo, l’area del Maghreb e l’Egitto sembrano essere ricordate maggiormente quando si cerca una destinazione turistica piuttosto che come partner commerciali e politici paritari, fino a quando, tra il 2010 e il 2011, le popolazioni del Nord Africa e del Medio Oriente iniziano a protestare violentemente contro i loro regimi autoritari.
Dal sacrificio del giovane tunisino Mohamed Bouazizi, che si dà fuoco in seguito all’ennesima confisca del suo carretto di frutta e verdura da parte delle autorità corrotte, si solleva un’onda rivoluzionaria che parte dal Marocco e arriva fino alla Siria. Mediaticamente le rivolte vengono chiamate Primavere arabe
, nonostante la protesta tunisina sia scoppiata in pieno inverno. Le popolazioni scendono nelle piazze per rivendicare le proprie libertà, i propri diritti, la fine della fame, la cessazione della corruzione. È così che la sponda Nord del Mediterraneo sembra ricordarsi dell’esistenza di quei Paesi, una volta così vicini, e con interesse assiste alla richiesta di democrazia di quei popoli, una volta fratelli. Nel corso dei mesi le rivolte sono evolute in direzioni diverse, le blande concessioni di Mohammed VI e di Bouteflika hanno riportato una certa stabilità in Marocco e in Algeria, la Libia è stata dilaniata da una guerra civile tribale, in Egitto Mubarak è stato costretto alle dimissioni, ma il neo-eletto Morsi è stato destituito da un colpo di mano militare, che ha portato alla presidenza il generale Al-Sisi. La Tunisia costituì sin da subito una delle Primavere
più promettenti e, ad oggi, rappresenta l’unico vero successo del periodo di sommosse popolari che hanno sconvolto la regione.
Quando ho pensato al progetto di ricerca, ho scelto la Tunisia senza conoscerne a fondo le caratteristiche. La scelta fu in qualche modo, incosciente: serviva individuare un Paese abbastanza piccolo, magari vicino, che risultasse promettente per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e intrattenesse delle relazioni piuttosto interessanti con diversi attori diplomatici. A quasi un anno da quella scelta la Tunisia è forse l’unico dei Paesi, che hanno vissuto la rivolta, che è stato travolto da una rivoluzione nel pieno senso della parola ovvero nel senso letterale del termine. C’è stato, infatti, un capovolgimento completo del precedente sistema di governo e l’avvio di una transizione democratica, che sembra oggi poter esser assunta a modello per l’evoluzione storico-politico-economica anche dei Paesi vicini. Certamente gran parte del successo finora goduto è dovuto all’ eccezionalità del Paese, tra cui vanno sin da subito ricordate l’eredità storica e l’attivismo di una società civile transculturale; tuttavia, il percorso che è stato intrapreso non sarà né lineare né semplice, quindi è importante che gli obiettivi a cui tendeva la rivoluzione rimangano la bussola delle azioni dei prossimi governi. Proprio per questo è necessario che più che mai venga ricordato che Biserta si trova non più sud di Lampedusa
[3] e che si sostengano i processi di democratizzazione in atto. In altre parole, si deve reimparare a dialogare con i nostri vicini per far sì che il Mediterraneo torni a dare i suoi frutti.
2. F. Braudel, Il Mediterraneo, Saggi Tascabili Bompiani, Bergamo 1994, p. 51.
3. Dal titolo della giornata di studi organizzata il 7 marzo 2016 all’Università La Sapienza di Roma, dove sono intervenuta con un contributo dal titolo Le rivoluzioni arabe e la Costituzione tunisina
.
1. I FATTORI DELLA RIVOLUZIONE
1.1 L’eredità storica: il patrimonio transculturale
La Tunisia deve molto del successo che sta accompagnando la sua transizione verso la democrazia alla sua storia, che ha forgiato una società transculturale e tesa al dialogo con i propri governanti. Quando l’espansione islamica toccò il Paese, alla fine del Seicento (VII secolo), la cultura dei popoli berberi del deserto, così come quella delle popolazioni ebree o cristiane, non venne cancellata. L’Islam, infatti, è per sua natura sopranazionale, trova fondamento nella comunità dei credenti (umma) e garantisce alle minoranze religiose monoteiste uno status di protezione (dhimma) in cambio del rispetto di alcuni doveri, ad esempio la tassa di capitolazione, la jizya. Dalla storia più antica, quindi, la Tunisia ospita sul proprio territorio popolazioni dalle culture differenti, che parlano lingue diverse, praticano credi differenti, pensano secondo schemi di vita appartenenti a civiltà contrastanti.
I domini stranieri si susseguono, i Bizantini, gli Arabi e poi gli Ottomani presero il controllo del Paese fino a quando il Bey Mohamed es Sadok e il generale Bréart convennero lo status di Protettorato con il Trattato del Bardo del 12 maggio 1881. L’Italia contava allora il più alto numero di coloni, ma, data la sua debolezza politico-militare, dovette capitolare di fronte all’organizzazione della diplomazia francese, che aveva già sancito definitivamente il Protettorato con le Convenzioni della Marsa nel 1883 e aveva già colonizzato l’Algeria 50 anni prima [1].
Nonostante la colonizzazione francese, Tunisi respirò sempre un clima piuttosto disteso, infatti, l’organizzazione politica veniva gestita formalmente dalla dinastia Husseinide attraverso i Bey, mentre i Francesi controllavano i gangli del potere militare e la politica estera. Le libertà principali erano garantite da un’importante tradizione costituzionale. A metà del 1800 Bey Ahmed e il suo successore, Mohamed, intrapresero un percorso di riforme politiche che ebbe inizio con la lotta allo schiavismo e vide il suo momento apicale nella promulgazione del