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Yakuza: Il Giappone criminale
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E-book337 pagine3 ore

Yakuza: Il Giappone criminale

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"Yakuza, Il Giappone criminale" rivela per la prima volta al pubblico italiano uno spaccato del tutto sconosciuto e spesso volutamente ignorato del paese dei samurai. Tatuaggi, dita mozzate, spade affilate e arti marziali, le yakuza giapponesi sono conosciute in campo internazionale più per l’aspetto folkloristico che per quello criminale. Tuttavia, un Paese orgoglioso del suo rigore e famoso per i suoi bassissimi tassi di criminalità "ospita" le organizzazioni criminali più ricche al mondo. Si tratta di pericolose organizzazioni il cui contrasto è reso più difficile dal fatto che sono a tutti gli effetti delle imprese registrate, e quindi legali dal punto di vista del diritto penale e amministrativo giapponese. "Yakuza, Il Giappone criminale" ne analizza la storia, i rapporti con la politica e le forze dell'ordine, per poi scoprirne la struttura, le fonti di profitto e i tratti culturali che le rendono organizzazioni uniche al mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita23 nov 2016
ISBN9788893690201
Yakuza: Il Giappone criminale

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    Anteprima del libro

    Yakuza - Massimiliano Aceti

    978-88-9369-020-1

       Introduzione

    Questo libro rappresenta il lavoro di ricerca sulle yakuza giapponesi. Queste organizzazioni sono conosciute in campo internazionale più per l’aspetto folkloristico che dal punto di vista criminale: tatuaggi, dita mozzate, spade affilate e arti marziali sono molto spesso ciò che ce le fa riconoscere immediatamente, dimenticandoci che queste sono dedite all’organizzazione di attività criminali. Il mondo Occidentale ha per molto tempo evitato di riconoscere il potere delle yakuza, evidenze empiriche dimostrano però che quest’ultime sono attive nel mercato americano, australiano e anche europeo fin dagli anni ‘60, oltre ad essere molto attive nei paesi dell’Asia centro-orientale fin dagli inizi del XX secolo. L’approccio giapponese al crimine organizzato non ci aiuta di certo a capire il peso di queste organizzazioni nel mercato criminale mondiale. Secondo la Global Agenda Council on Illicit Trade il mercato criminale giapponese, con 84 miliardi di dollari, è il terzo preceduto da quello italiano e statunitense e la forza delle organizzazioni criminali giapponesi si classifica al terzo posto, preceduta dalle mafie italiane e dalle triadi cinesi. Uno dei problemi principali, che molto spesso stupiscono e spesso impediscono un approccio di tipo criminale allo studio di queste organizzazioni, è che siano a tutti gli effetti delle imprese registrate e quindi legali dal punto di vista del diritto penale e amministrativo giapponese. In questo libro scopriremo una cultura molto diversa da quella italiana, ma ciò che ci potrebbe far sorprendere sarà scoprire che anche in Giappone esistono organizzazioni di tipo mafioso e cosa ancora più sorprendente che queste sono strutturate con modi molto simili a quelle italiane. Il fattore criminale ha da sempre travalicato le differenze culturali, o forse è meglio dire che il crimine si è da sempre sviluppato all’interno delle società umane. Il crimine è quindi presente anche in una società come quella giapponese che è spesso accostata ai tassi di criminalità più bassi a livello mondiale. Una volta accertata l’esistenza di un fenomeno mafioso anche in Giappone scopriremo che la storia di queste organizza-zioni non differisce molto da quella delle organizzazioni mafiose italiane. Stati e culture molto diverse hanno quindi sviluppato al proprio interno organizzazioni criminali simili. Dal banditismo sociale del Medioevo, alla conversione di questi rivoluzionari tradizionalisti ad associazioni organizzate, alla collaborazione mafiosa con le forze alleate del dopo-Guerra, fino alla in parte dichiarata collaborazione dello stato per il controllo del territorio fino agli anni ‘70, ritroveremo somiglianze con lo sviluppo delle mafie in Italia. L’evoluzione storica delle mafie non è stata sicuramente influenzata dalla globalizzazione considerando che, lo sviluppo di questa, trova le proprie origini in un mondo che di globalizzato aveva ben poco. Il fatto, quindi, che oggi ci ritroviamo in un mondo globalizzato non ci permette di pensare che questa sia la causa di questa somiglianza, piuttosto possiamo avanzare l’ipotesi che il mondo globalizzato stia permettendo un’evoluzione simile delle attività criminali delle organizzazioni criminali italiane, giapponesi, russe, sudamericane e cinesi. Le teorie di Varese, Gambetta, Arlacchi sulla criminalità organizzata e le illuminanti interviste di Falcone ci permetteranno di considerare il fenomeno delle yakuza giapponese come un fenomeno a tutti gli effetti di tipo mafioso. In questa discussione vedremo, quindi, come le organizzazioni giapponesi possono essere considerate a tutti gli effetti un’espressione del fenomeno mafioso. Definiremo cosa significa organizzazione mafiosa e cos’è un’impresa mafiosa, applicando queste definizioni alle yakuza. Analizzeremo l’evoluzione storica di queste organizzazioni iniziando dai gruppi di banditi del Medioevo giapponese fino al periodo attuale. Scopriremo le relazioni che queste organizzazioni hanno instaurato con le forze politiche e le forze dell’ordine. In seguito prenderemo in esame cosa sia un’organizzazione yakuza oggi, descrivendone la struttura attuale, i rituali di affiliazione, il controllo interno, le modalità di reclutamento fino ad arrivare a scoprire le fonti finanziarie di queste organizzazioni. Le organizzazioni criminali, in qualsiasi parte del globo si siano sviluppate, operano con modi simili per produrre profitto. Quelle giapponesi non differiscono molto, sono coinvolte nei mercati dell’estorsione, della prostituzione, della droga e del gioco d’azzardo, tuttavia dobbiamo aggiungere attività che come vedremo sono prettamente indigene, come l’organizzazione di falsi movimenti politici, di falsi movimenti antidiscriminatori, attività di minbo e soprattutto dei sokaiya. Vedremo poi, come le yakuza operano attivamente anche nel mercato legale, ovviamente attraverso i vantaggi di un’impresa mafiosa. Analizzeremo le contromisure legali che la politica giapponese ha fornito ai magistrati per contrastare queste organizzazioni. La legge Botaiho del 1991-92 è sicuramente importante per capire l’approccio giapponese al crimine organizzato. Una legge che sorprendentemente fa parte del diritto amministrativo e non penale. Dal punto di vista occidentale si rivela quindi estremamente sorprendente scoprire che delle organizzazioni criminali siano represse con una legge amministrativa. Per comprenderne il senso è bene accettare il pragmatismo giapponese che considera impossibile l’eradicazione del crimine organizzato e che piuttosto preferisce utilizzare un approccio di controllo e limitazione. Tratteremo anche una comparazione tra la Cosa Nostra e la Yamaguchi-gumi, che sono le due organizzazioni più rilevanti del panorama italiano e giapponese. Per concludere analizzeremo i mercati mondiali nei quali le yakuza sono coinvolte, dall’Europa passando per i paesi asiatici fino ad arrivare agli USA e Australia.

    Fonti e Metodologia

    Considerando l’inesistente bibliografia sulle yakuza in Italia, per la ricerca ci siamo dovuti affidare principalmente a libri in lingua inglese principalmente di provenienza statunitense, oltre a ciò, sono state molto importanti le fonti in lingua inglese forniteci dalla Diet Library di Tokyo e dalla British Library di Londra. Inoltre ci siamo avvalsi di fonti, documentari e film in lingua giapponese. Molto importante è stato il ruolo della sezione anti-boryokudan della NPA di Osaka che ci ha fornito informazioni aggiornate e critiche attuali sul fenomeno delle yakuza in Giappone. Abbiamo potuto ottenere informazioni anche dal Centro Anti-boryokudan di Osaka che ci ha illustrato come queste organizzazioni operino attualmente nella società civile. La ricerca si è avvalsa di tre interviste principali realizzate: ai membri della divisione anti-boryokudan della NPA, al direttore del centro anti-boryokudan di Osaka e ad un ex poliziotto (che ha preferito rimanere anonimo, considerando la pericolosità del suo ruolo) che fornisce supporto legale alle vittime delle yakuza. Oltre a ciò è stato realizzato un questionario di appoggio che ci ha permesso di capire la percezione dei giapponesi nei confronti delle yakuza e nei confronti della nuova legge Botaiho. Oltre a questo, abbiamo potuto ottenere informazioni dai giornali in particolare dal Japan Times, dallo Yomiuri Shinbun e dallo Asahi Shinbun. Si sono rivelate fondamentali le informazioni ricavate dagli archivi elettronici della NPA, del Ministero degli Interni, del Ministero della Giustizia e della Dogana giapponese, oltre agli archivi elettronici dell’UNODC. Abbiamo deciso di fornire il libro di un glossario per facilitare la comprensione dei termini giapponesi, inoltre sono state aggiunte schede di approfondimento di punti cruciali per la comprensione del fenomeno delle yakuza giapponesi.

    Come utilizzare questo libro

    Il primo capitolo è dedicato a spiegare il fenomeno della mafia in generale. La parte finale introduce il fenomeno delle yakuza chiedendosi se queste siano o no delle manifestazioni del fenomeno mafioso. Il secondo capitolo tratta degli albori delle yakuza definendone l’origine e i tratti culturali fino all’inizio della Seconda guerra mondiale. Il terzo capitolo tratta dell’evoluzione delle yakuza dopo la Seconda guerra mondiale rilevandone i tratti estremisti e la commistione con la politica. Il quarto capitolo rivela le fondamenta dell’impero economico delle yakuza. Il quinto capitolo ci spiega l’invasione delle yakuza nelle attività della popolazione civile e il conseguente cambio d’immagine che queste organizzazioni assumono agli occhi dei cittadini giapponesi. Il sesto capitolo rivela come le yakuza moderne si siano evolute, spiegandone: la struttura, i ruoli dei membri, i metodi di arruolamento, le cerimonie e i rituali che si svolgono all’interno di queste organizzazioni. Il settimo capitolo è dedicato all’analisi delle fonti economiche da cui le yakuza traggono profitto. Sono analizzate le azioni classiche di accumulazione di denaro tipiche della mafia giapponese che possiamo riscontrare anche per le altre mafie come per esempio droga ed estorsione, tuttavia sono rivelate anche forme esclusivamente giapponesi come quella dei sokaiya e dei falsi movimenti politici e sociali. L’ottavo capitolo tratta della legge antimafia giapponese comparandola con le controparti statunitensi ed europee per poi descriverne i tratti fondamentali e gli effetti reali sulle yakuza e sulla società giapponese. Il nono capitolo è una comparazione con la Cosa nostra italiana, ci sembrava opportuno dedicare un capitolo per approfondire le similitudini e le differenze tra organizzazioni criminali così lontane geograficamente ma vicine dal punto di vista degli interessi pratici. Il libro si conclude con una breve analisi delle yakuza moderne nei mercati internazionali. Sono state aggiunte delle schede esplicative che trattano sinteticamente alcuni argomenti citati ma non approfonditi nei capitoli del libro. Infine è stato aggiunto un glossario dei termini giapponesi per favorirne la comprensione.

    Capitolo 1 - Mafia e Stato

    Il termine mafia nasce nell’Italia meridionale, in Sicilia, e fin dal 1862 è utilizzato per definire i gruppi di delinquenti. Tuttavia la mafia non è un fenomeno esclusivamente italiano. Mafia non significa solamente Cosa Nostra, mafia significa anche 14K, Yun see on e  Yamaguchi-gumi, mafia significa potere, gestione del potere, gestione del potere in contrapposizione a quello dello stato. Dove esistono associazioni di potere che si contrappongono a quello dello stato esistono organizzazioni mafiose. Il potere di queste organizzazioni si definisce in quattro elementi: è un potere della violenza, un potere economico-finanziario, un potere umano che si realizza nel consenso e un potere politico diretto o indiretto. La mafia costituisce un mondo logico, razionale, funzionale e implacabile, frutto di un’evoluzione storica che la vede passare attraverso precise fasi in qualsiasi luogo del mondo in cui si manifesti. Studiosi come Jamieson e Lupscha individuano tre fasi della criminalità organizzata rispetto al rapporto con lo stato. La mafia passa attraverso una fase predatoria seguita, da una parassitaria e infine da una simbiotica. Tuttavia l’esperienza giapponese ci permette di introdurre una quarta fase che può essere definita repulsiva. Nella fase predatoria la criminalità è essenzialmente una forma di gangsterismo urbano, il gruppo criminale è asservito al potere politico, facilmente strumentalizzato e represso qualora oltrepassi certi limiti di tollerabilità. La fase parassitaria si definisce quando il potere legale sviluppa il bisogno di utilizzare servizi illegali. La fase simbiotica è caratterizzata da un reciproco bisogno tra stato e organizzazioni criminali, lo stato dipende dall’esistenza dell’organizzazione criminale poiché leggi, forze dell’ordine e magistratura sono state invase dalla presenza mafiosa.  Possiamo introdurre anche una nuova fase, quella repulsiva, nella quale gli interessi dello stato e quelli delle organizzazioni mafiose sono in contrasto, in questa fase lo stato inizia a ripulirsi dagli elementi deviati e adotta politiche serie di controllo e contrasto delle organizzazioni mafiose. Per capire il fenomeno giapponese dobbiamo innanzitutto definire: chi e che cosa possiamo definire col termine mafia e i rapporti tra mafia e stato. Solo a questo punto avremo la capacità di considerare le organizzazioni criminali giapponesi come delle organizzazioni mafiose.

    Definizioni: cosa significa mafia?

    Per prima cosa è quindi necessario trovare delle definizioni che ci aiutino a definire chiaramente quale sia il significato del termine mafia. Arlacchi illustra le caratteristiche della mafia italiana in due periodi storici ben definiti: il periodo pre-guerra e il periodo post-bellico. Nel periodo pre-bellico la mafia in Italia non è un’organizzazione formale è piuttosto un comportamento e un potere. Il tratto principale del mafioso è quello di essere una persona onorevole. La mafia o meglio i mafiosi di questo periodo hanno già il potere di ciò che in futuro sarà un’organizzazione formale: protezione espressa nel pagamento de ‘o pizzu; repressione, come nel caso di Calogero Vizzini che si fa carico dell’omicidio di 62 banditi; mediazione, cioè agire come un vero e proprio giudice di pace[1]. Fino agli anni ‘60 lo stato delega ai mafiosi locali la gestione del potere. Nel periodo post-bellico lo stato italiano inaugura una politica di non-collaborazione con i mafiosi locali. La mafia siciliana si converte in un’organizzazione segreta diretta da una commissione. Tommaso Buscetta, Pietro Torretta e i fratelli La Barbera sono gli stereotipi dei mafiosi del tempo. La mafia si mantiene subalterna al potere politico allo stesso tempo, però s’insinua nella società con il racket e attraverso la gestione diretta d’imprese edili, sono gli anni del clientelarismo, di persone assunte a chiamata diretta attraverso la promessa di favori. Il mercato edilizio, del credito, dell’assunzione negli enti pubblici e persino i mercati generali ricadono sotto la gestione mafiosa. Il potere politico si serve del potere territoriale dei mafiosi per regolare la concorrenza politica. È proprio in questi anni che la mafia italiana si trasforma in una vera e propria entità imprenditoriale, inizia l’assimilazione d’imprese attraverso l’uso delle intimidazioni e di una concorrenza sleale[2]. Arlacchi ci suggerisce quindi che per definire il concetto di mafia è necessario introdurre quello d’impresa mafiosa. Il concetto di mafia imprenditoriale deve essere assunto per capire se le yakuza giapponesi possano essere definite organizzazioni di tipo mafioso. Questo concetto non è comunque ancora sufficiente, è necessario sintetizzarlo con il concetto di criminalità, da cui deriva la definizione comune di crimine organizzato e da cui si ricava una più articolata definizione d’impresa criminale. A questo punto abbiamo bisogno di una vera definizione sociale di criminali organizzati. Possiamo avanzare la definizione che sia un gruppo di persone che la polizia o altri organi dello stato considerano come veramente pericoloso per la propria integrità. La US Task Forse On Organized Crime dichiara che il fulcro dell’attività del crimine organizzato è il rifornimento di beni illegali come: servizi di gioco d’azzardo, usura, narcotici e altre forme di vizio a un numero indefinito di consumatori.  Questa però non è una definizione, anche se ci può tornare utile per porre l’accento su una differenza fondamentale tra il crimine organizzato e altri tipi di criminalità motivata da questioni finanziarie. Il crimine organizzato esiste perché funziona come un business dedito a soddisfare una domanda di beni e servizi tra i membri del mondo legale. Questa è una considerazione cruciale per capire questo fenomeno: tutti noi staremmo meglio se non ci fossero ladri, rapinatori ed estorsori, ma alcuni di noi si sentirebbero perduti se il rifornimento di droghe illegali, gioco d’azzardo e servizi sessuali scomparissero. Schelling, un membro della Task Force del 1967, sviluppa l’idea che il rifornimento di questi beni e servizi illegali non sia tuttavia sufficiente a qualificare un’entità criminale organizzata. Quello che Schelling considera fondamentale è che un gruppo criminale organizzato tenta di ottenere un controllo monopolistico di un mercato nel quale esso è attivo[3]. Questa prospettiva è stata criticata da Reuter il quale suggerisce che quest’enfasi sul controllo monopolistico non sia supportata da evidenze empiriche. Reuter fornisce una definizione più generale di crimine organizzato: Un’organizzazione caratterizzata da durabilità, gerarchia e coinvolta in una molteplicità di attività criminali[4]. Quest’approccio è stato ridefinito da Gambetta nei suoi studi sulla mafia siciliana. Gambetta definisce che la mafia sia fondamentalmente: Una specifica impresa economica, un’industria che produce, promoziona e vende protezione privata. Seguendo le tracce di Gambetta, possiamo definire che il termine mafia possa essere applicato non solo alla mafia siciliana ma che possa essere usato come termine generale per gruppi che condividono le caratteristiche fondamentali della mafia siciliana[5]. Possiamo giungere a definire che il crimine organizzato non sia solo un’organizzazione che mira alla monopolizzazione di mercati illegali, ma che il suo business fondamentale sia l’estorsione/protezione di questi mercati. Concludendo possiamo equiparare il termine crimine organizzato col termine mafia mantenendo chiaro il concetto che la mafia sia definita come un gruppo che provvede una protezione extra-statale a consumatori fondamentalmente, ma non esclusivamente del settore di mercato illegale.

    Consumatori di protezione

    Se assumiamo che il termine mafia si possa utilizzare per definire imprese che tentano di monopolizzare il mercato della protezione privata, stiamo immediatamente facendo l’asserzione implicita che, essendo un mercato, non ci siano solo fornitori (le mafie) ma che ci sia anche una domanda di servizi. Questo è un tipo particolare di mercato nel quale i partecipanti hanno già dimostrato di essere preparati a violare le leggi (in questo caso il sistema legale), perciò come possono rispettare e obbedire ad un altro sistema di leggi? Esistono varie strategie per evitare la violazione di queste leggi alternative. La prima è il controllo del mercato illegale, cioè: limitare la clientela-base a consumatori conosciuti e fidati. Questa strategia pone grandi limiti sul numero di consumatori e sull’espansione del mercato, inoltre pone un’insormontabile barriera a chi aspira ad entrare in questo mercato come consumatore. La seconda è una strategia più diretta, consiste nel fatto di avere meno barriere e spazi di contrattazione più ampi ma allo stesso tempo un controllo per individuare i predatori, seguito da un’attenta repressione per chi cerca di ingannare o derubare i controllori di questo mercato illegale. Ovviamente questo tipo di controllo e repressione non sono gratuiti ma allo stesso tempo sono necessari per dare stabilità a questo tipo di mercato. Possiamo dire perciò che i consumatori di protezione abbiano una scelta molto limitata entro cui scegliere e allo stesso tempo che i fornitori di protezione si ritrovino in una situazione nella quale non solo fanno pagare la protezione contro altri predatori ma anche contro se stessi, in questo caso la protezione diventa estorsione[6].

    Ma come nasce questo sistema illegale di protezione? Se prendiamo in esame il caso siciliano, possiamo notare che la mafia sia originariamente nata come risposta a una transizione imperfetta dall’economia feudale durante il diciannovesimo secolo. Questo cambio genera un grande incremento del numero di transazioni economiche che spesso falliscono, la mafia nasce proprio per fornire un meccanismo efficace di risoluzione delle dispute nate da queste transizioni fallite. Nel caso americano la mafia nasce negli anni ‘20-’30, il suo sviluppo è dovuto al trasferimento del business legale della vendita di alcolici in un business illegale. Gli anni del proibizionismo hanno la necessità di persone incaricate della protezione di questo nuovo mercato illegale. Per quanto riguarda le yakuza, al pari della mafia siciliana, possiamo tracciarne le origini nel periodo di transizione del Giappone dal periodo feudale all’età moderna, all’incirca durante il periodo della Restaurazione Meiji alla fine del diciannovesimo secolo. Questa transizione crea un vasto esercito di ronin (samurai senza padrone), delinquenti e contadini senza terra che sono la prima manodopera delle giovani organizzazioni yakuza. Quest’affermazione ci suggerisce che la transizione crea anche una grande domanda di protezione, dovuta all’incremento del volume di transazioni economiche a cui il governo non può sopperire. Possiamo definire quindi due diversi tipi di origine nello sviluppo delle mafie: il primo tipo di mafia nasce in seguito alla creazione di un mercato illegale da parte dello stato, come nel caso della mafia americana nata durante il periodo del proibizionismo. Il secondo tipo di mafia nasce dall’incapacità dello stato di fornire protezione come bene pubblico all’interno delle aree dove possiede giurisdizione, esempi di questa incapacità sono la Sicilia, l’ex URSS e come vedremo anche il Giappone.

    All’interno del business della protezione possiamo notare che si sviluppano considerevoli economie di scala. Più ovviamente possiamo affermare che questa industria dipende dalla grandezza del potere militare di ciascun gruppo in competizione. Allo stesso tempo dobbiamo considerare che non esiste un protettore che protegge l’intero sottosistema economico illegale. Una delle motivazioni più convincenti è che ci sono delle controindicazioni all’espansione. Un territorio ha bisogno di essere ben conosciuto per essere controllato e protetto efficacemente. Un territorio più ampio ha bisogno di più persone che lo controllino, la presenza fisica nelle strade di un esercito che mostra la propria presenza è efficace per il controllo ma allo stesso tempo dispendiosa dal punto di vista economico. A volte può succedere che una gang aumenta il numero dei propri membri tanto che il proprio capo non riesce più a riconoscere i limiti del suo territorio, a questo punto il leader corre il rischio non solo di essere truffato dai propri acquirenti ma anche dai suoi propri impiegati. Una volta che un gruppo raggiunge un certo numero di membri nascono tendenze allo scisma, specialmente quando fazioni diverse interne al gruppo competono per la successione. Le attività mafiose hanno perciò una forte tendenza al parrocchialismo e ad avere gruppi limitati nel numero[7]. Per quanto riguarda la mafia siciliana possiamo vedere che i vari gruppi difficilmente superano le cento unità, la mafia americana al massimo quattrocento unità, i gruppi cinesi delle Triadi di Hong Kong che operano a livelli di strada

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