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La donna nel socialismo italiano
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E-book191 pagine2 ore

La donna nel socialismo italiano

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Info su questo ebook

La riedizione a distanza ormai di decenni dalla prima stesura di questo volume vuole riproporre all’attenzione storica e politica, allo studio e alla ricerca, l’impegno delle donne socialiste per ottenere molti di quei diritti che oggi appaiono scontati e che hanno contemporaneamente aperto e sostanziato la strada alle ulteriori rivendicazioni espresse dalle donne nel corso del tempo fino ad oggi. Scritto in una fase in cui il movimento femminista sembrava trovarsi in una situazione di stallo, le socialiste avvertirono la necessità di ripercorrere la storia della lotta per l’emancipazione della donna all’interno del Psi, la prima forza politica che ha dato spazio alle rivendicazioni femminili nel contesto del movimento di classe. Il lavoro, la famiglia, i diritti, costituiscono i nodi centrali attraverso cui si dipana un itinerario politico di vaste proporzioni e forte complessità.
Il volume coglie i punti problematici a volte contraddittori, in un’analisi che esige chiarezza e non si accontenta di formule variamente acquisite.
L’intervista a Riccardo Lombardi, storico rappresentante socialista, approfondisce in un esame critico le posizioni assunte dal Partito, le sue resistenze, i suoi contributi, le ipotesi di rapporto tra il Psi e il movimento delle donne.
Infine, con questa riedizione, speriamo di fornire un contributo alle ricerche di chi studia le politiche di genere, la loro storia e il loro andamento.

Marta Ajò, scrittrice, giornalista. Dirigente nazionale del PSI dal 1973 al 1993. Si è occupata in particolare di politiche di genere. Ha rivestito importanti incarichi istituzionali. Dal 1995 al 2004 ha realizzato il sito internet della Commissione Nazionale di Parità presso la PCM, di cui è stata content manager. Nel 2005 ha creato il sito d’informazione www.donneierioggiedomani.it che ancora oggi dirige. Ha pubblicato diversi libri tra cui, Viaggio in terza classe (seconda edizione, KKIEN Publishing International 2017).
LinguaItaliano
Data di uscita14 ott 2022
ISBN9788833261263
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    Anteprima del libro

    La donna nel socialismo italiano - Marta Ajò

    Presentazione

    Le donne nel socialismo italiano 1870/1978 ed oltre…

    Marta Ajò*

    Ci separano ormai molti decenni da quando ci ritrovammo, io ed altre dirigenti socialiste, ad uscire dalla stanza delle riunioni della Sezione Nazionale Femminile e percorrere i lunghi corridoi del grande palazzo di via del Corso 476 a Roma, sede del Partito Socialista Italiano.

    Avevamo appena finito di ragionare sulla metodologia da mettere in atto per affrontare temi che ritenevamo centrali e del nostro operare.

    Ritenevamo infatti inadeguati l’attenzione e l’impegno dei gruppi dirigenti rispetto ad una visione di emancipazione complessiva della società come noi l’intendevamo. In cui le differenze di genere potessero rappresentare una maggiore ricchezza ed opportunità.

    Al centro delle nostre analisi il lavoro e l’occupazione ma, non secondi o ultimi, anche tutti gli altri temi che erano emersi dall’approfondito dibattito delle donne nel corso degli anni ‘70.

    Sicuramente arricchite dalla discussione sviluppata in seno alla rivoluzione femminista, non solo in Italia, ci ponevamo, sentivamo, la responsabilità politica e collettiva come classe dirigente di dare risposte concrete e non suggestive come a volte offriva il Movimento femminista.

    Non fu un caso che nella prima fase, alcune donne di diversa provenienza confluite in massa nelle piazze e in più generale nella nuova cultura femminista, opponessero una critica e una diffidenza al limite dello scontro fisico (durante un’assemblea aperta, furono gettate dal loggione un paio di forbici) verso quelle ritenute ancora troppo legate a logiche politiche.

    Ad esse si contrapponeva la nostra resistenza partigiana a trovare i contatti necessari per mediare ed avviare un confronto tra quel Movimento e il partito.

    D’altra parte, per la formazione del gruppo dirigente delle socialiste di allora e la storia che ancora alcune rappresentavano, era difficile non tentare di convogliare il Movimento verso un orizzonte riformista.

    Abituate contemporaneamente ad un conflitto, perenne quanto debole, con il gruppo dirigente maschile che le emarginava, questa inaspettata rivoluzione, questo vento dirompente e apparentemente indomabile, furono recepiti come l’occasione per porsi come ago della bilancia tra il nuovo che emergeva e il conservatorismo della politica.

    Nelle lunghe e numerose riunioni, necessarie a discutere e trovare una linea d’intervento in autonomia dal Partito, fu deciso che l’unico modo per dare risposte organiche e praticabili, o quantomeno proponibili, fosse quello di non opporre resistenza né al corso innovativo di quel Movimento né ai rigidi canoni dell’appartenenza. Al contrario, partecipare ad entrambi per svolgere un ruolo di mediazione tra le rispettive rigide posizioni.

    Il Partito lasciò loro l’arena dello scontro.

    La spaccatura tra quelle due visioni era però profonda e, in parte, rispecchiava il distacco, la sfiducia di una larga parte della popolazione verso i luoghi decisionali e le istituzioni. Era tutta la cultura di una società, nelle sue varie forme, che veniva messa in discussione.

    La protesta contro lo sfruttamento di sistema, che si manifestò dapprima nelle lotte del Movimento studentesco e nelle altre categorie sociali poi, trovò le donne pronte a schierarsi sui vari fronti. Ma fu proprio in queste circostanze che esse presero coscienza del ruolo marginale in cui erano state relegate spostando la loro attenzione verso il vero elemento innovativo costituito dalla dimensione della differenza.

    Il permanere di concetti come famiglia patriarcale, ruoli diversificati per genere e la continuità di un dominio maschile in varie forme, diedero vita a nuove pratiche di analisi, forme di lotta, una nuova presa di coscienza e conoscenza del sé fino al separatismo.

    Il Movimento femminista non tenderà ad esaurirsi, come avvenne per gli altri, ma anzi si rafforzerà per tutto il corso degli anni ’70/80.

    Esso rimane permanentemente in conflitto nonostante che nel tempo importanti riforme si siano realizzate. Per citarne alcune, lo Statuto dei lavoratori a firma del socialista Gino Giugni, la legge sul divorzio del socialista Fortuna, il nuovo diritto di famiglia, la legge sulla depenalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza.

    In questa modalità il Movimento, o meglio quello che rimane di esso in forma organizzata, resterà sempre più lontano dal contesto politico, spesso marginale e autoreferenziale.

    Non c’è dubbio però che i valori di uguaglianza, libertà e autodeterminazione che le femministe avevano espresso, spianarono la strada anche a tutte le altre.

    Non più solo politiche familiari e servizi ma, al primo posto, il diritto all’autodeterminazione e alla libertà di scelta sul proprio corpo.

    La diffidenza e il sospetto che la nostra militanza all’interno di un partito della sinistra suscitava fra esse, era giustificata dal fatto che, indubbiamente, noi vedevamo nel Movimento una possibile sottrazione di consensi all’area di voto da recuperare.

    D’altra parte, il PSI era strutturato in modo verticistico ed organizzativo, in cui la dirigenza politica a tutti i livelli prevedeva una rigida formazione ideologica ed una pratica sul territorio, fra le varie espressioni della società.

    Era altresì fortemente organizzato attraverso la divisione in ruoli dirigenziali, dal centro alla periferia, nelle federazioni e nelle sezioni, presente nei circoli ricreativi, culturali e nel sindacato. Fungeva da supervisore sul rispetto delle linee guida e dei comportamenti una sezione di controllo di probi viri.

    Non a caso la Sezione Nazionale Femminile, che non aveva alcuna autonomia, doveva sempre passare ogni proposta alla valutazione finale degli organi decisionali da cui esse furono a lungo praticamente escluse o marginali.

    La loro visione della donna al centro dello sviluppo complessivo del Paese non trovava la giusta considerazione.

    Famose le assemblee nazionali, i congressi, conferenze, ecc. in cui gli interventi delle dirigenti venivano sempre messi nelle ore in cui le sale erano più vuote, durante gli intervalli, nell’indifferenza generale dei pochi o nel brusio generale.

    La dirigenza femminile, pur avendo fatto la gavetta necessaria ed avendo acquisito più di un merito, non aveva quindi sostanzialmente mai raggiunto gli standard decisionali in cui si discuteva la linea del Partito.

    Proprio per l’estraneità del Movimento a queste regole, le socialiste poterono rivestire un ruolo d’interlocutrici privilegiate di un’area sociale che il Partito aveva fortemente trascurato recuperando in parte anche quelle donne di area socialista che aderivano o si consolidavano nel Movimento stesso.

    L’anarchia iniziale che l’aveva preceduto e che affannava alla ricerca di una linea comune quanto autoreferenziale, stava in realtà convogliando il dibattito sul tema privilegiato della libertà della donna piuttosto che su quello della parità.

    Tra Movimento e donne di Partito l’approccio fu difficile né ci furono mai vincitrici o vinte.

    I partiti del quadro istituzionale, quelli più ideologicamente conservatori di destra e di sinistra, non ressero al confronto.

    Al contrario, le donne del PSI avevano da sempre opposto all’appartenenza di sistema la libertà dell’elaborazione costruttiva, al paternalismo l’azione.

    Emerse allora la necessità di avvicinare-trasferire quella rivoluzione nell’unico sistema di gestione dei bisogni, quello della politica.

    Questo fu, allora, il ruolo principale quanto necessario svolto dalle donne socialiste. E le dirigenti di ogni livello irruppero nell’organizzazione ferrea del Partito apportando un prezioso contributo alla discussione, che contribuì fortemente a cambiare anche la pelle del Partito stesso per gli anni successivi.

    Esse portarono di fatto, all’interno di un dibattito che rischiava di arenarsi nella tuttologia politica, la specificità femminile irrompendo dalle sezioni territoriali al centro, con una nuova visione d’insieme, nuovi approfondimenti di analisi, nuova cultura della partecipazione che spiazzarono il Partito e i suoi rigidi steccati. Da allora si può far partire la seconda stagione delle socialiste.

    Alla domanda posta alla fine nella prima edizione del libro Sarà capace il Psi di porsi in modo corretto di fronte alla questione femminile? Riuscirà a sentire il dovere di assumerla come obiettivo primario e a prendere realisticamente coscienza che facendo di essa un nodo fondamentale della sua politica potrà allargare i suoi consensi?, le socialiste non hanno fatto in tempo a dare una risposta conclusiva perché il loro percorso si è interrotto nel 1993, insieme a quello di tutto il PSI. È dovere storico ricordare la loro azione politica, il loro contributo culturale, troppo spesso strumentalmente dimenticati.

    Nel decennio 80/90, sotto la guida del segretario del Partito Bettino Craxi, esse ebbero modo di sviluppare forti tematiche e condurre battaglie legislative importanti, di creare strumenti istituzionali per il raggiungimento della parità di genere e di organismi preposti all’uopo, che ancora oggi sono presenti, attivi e riconosciuti. Un’azione che ha posto sostanzialmente le basi dell’attuale politica di genere.

    Nessuna analisi sarebbe oggi corretta se non partisse da quegli anni e da quelle elaborazioni{1}.

    Ma non si vuole essere così orgogliose da pensare che una volta sparito il PSI nessun’altra sia stata in grado d’interpretare la cultura delle donne. Perché essa, messa in marcia e radicata in quegli anni, ha continuato a vivere nei territori, nelle istituzioni, negli organismi di parità, nelle associazioni, nella volontà di cambiamento e della cultura ormai radicata nell’universo femminile.

    Tutto ciò ha impedito alla politica di sottrarsi obbligandola ad adeguarsi.

    Il Progetto socialista di quegli anni aprì uno spazio mai prima ricoperto sui temi dei diritti civili, di cui certamente le donne avvertivano l’importanza in prima persona, ritenendo che la sfera dei diritti non potesse contemplare esclusioni, la loro. Le rivendicazioni non furono mai separatiste (come avvenne fra le femministe) e si batterono all’interno del Partito stesso.

    Il PSI, sotto la guida e la linea craxiana, diede vita ad un profondo confronto con la società civile, i radicali, e gli stessi militanti. Attraverso un sistema complesso, sistematico, di propaganda e divulgazione a cui anche le socialiste parteciparono con numerosi materiali.

    Si aprirono nuovi orizzonti.

    Sensibile ai movimenti ma anche spinto dalle donne della sua corrente, alle quali egli affidò dirigenza e ruoli, Craxi diede il via alla soluzione pratica del concetto parità tra uomini e donne. Sulla spinta delle direttive europee, i socialisti istituirono e firmarono decreti attuativi di organismi istituzionali di Parità, innescando un meccanismo di trascinamento nelle Commissioni regionali, comunali e provinciali. Nacquero commissioni aziendali e sindacali a vigilare sui contratti per l’inserimento dei principi di parità e di azione positiva.

    Nel 1983 il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, il socialista Gianni De Michelis, istituì il primo Comitato Nazionale per le Pari Opportunità tra Lavoratori e Lavoratrici (CNPO). Nel Comitato furono studiate, proposte e realizzate le politiche d’attuazione di azioni positive nelle aziende e la nomina delle consigliere di parità nazionali e territoriali.

    Poco dopo, nel 1984, il Presidente del Consiglio Bettino Craxi insediò la Prima Commissione per la Parità presso la PCM.

    Grazie all’impegno di tutte le presenze, politiche, associative, sindacali, docenti universitari, economisti e legislatori, il CNPO convocò la Prima Conferenza Nazionale sul lavoro delle donne (1986) e successivamente quella sulla Occupazione femminile nel Mezzogiorno.

    I due organismi, Comitato e Commissione, per quanto simili nella formulazione, nella sostanza avevano differenti operatività.

    L’uno si rivolgeva al complesso campo del lavoro, l’altra aveva un ruolo di studio e di proposte per il raggiungimento di una cultura di parità. Entrambi gli organismi avevano veste consultiva.

    Il grande lavoro svolto nel tempo da entrambi, ha segnato la più importante avanzata delle donne nel lavoro e nel sociale. Se le donne oggi possono essere o pretendere di esserci, lo devono sicuramente a queste azioni.

    Va riconosciuta alle socialiste l’abnegazione con cui pretesero il massimo dalle loro forze. Pur soffrendo di una malcelata, quanto presente, rivalità tra il gruppo dirigente che faceva capo al Segretario e quello che rispecchiava le correnti minoritarie, non misero mai in discussione il ruolo unitario da svolgere nel complesso della loro azione in favore delle donne.

    La loro lungimiranza fu, comunque, di fare tesoro di tutte le loro esperienze e metterle a disposizione con generosità anche quando ciò poteva comportare delle scelte personali difficili.

    Le loro analisi, le loro proposte, i luoghi in cui esse spesero i loro saperi e la loro forza si sono rivolti in modo lungimirante verso temi che ancora oggi si rivelano di primaria importanza. Il rapporto donna e tecnologia, l’etica dell’ambiente, la società multietnica, sono alcuni fra essi.

    Con una visione di futuro esse furono sempre interpreti attente e profondamente consapevoli rivolgendo la loro attenzione ad una società equa e solidale. Scuola, comunicazione fra generazioni, minori, lavoro autonomo, casalingo e dipendente, finanza, pubblica amministrazione, rappresentanza, istituzioni, quadro internazionale, Europa, pace.

    Quello che emerge dal loro operato è un’azione tesa a rappresentare una fusione tra libertà individuale e principio di uguaglianza, di equità di diritti. Le socialiste infine, scelsero la politica dei valori, della solidarietà fra pari, senza mai dimenticare i valori della cultura femminile e femminista cui ancora oggi si fa riferimento.

    Nota: I numerosi materiali a cui si fa cenno, i libri e l’archivio storico che costituiscono il Fondo Marta Ajò sono stati donati alla Fondazione Pietro Nenni e sono a disposizione degli studiosi.

    * Scrittrice, giornalista. Dirigente nazionale del PSI dal 1973 al 1993. Si è occupata in particolare di politiche di genere. Ha rivestito importanti incarichi istituzionali. Dal 1995 al 2004 ha realizzato il sito internet della Commissione Nazionale di Parità presso la PCM, di cui è stata content manager.

    Nel 2005 ha creato e ancora oggi dirige il sito d’informazione www.donneierioggiedomani.it. Ha pubblicato diversi libri tra cui, Viaggio in terza classe (2a ed., KKIEN Publishing International, 2017).

    Introduzione

    Simona Colarizi*

    La lettura di questo prezioso libro sul percorso delle donne socialiste dalla nascita del partito 1892 fino al Congresso di Torino del 1978, mi ha riportato alla mente una stagione di entusiasmo e di speranze iniziata nel 1976 quando il Psi aveva iniziato un processo di rinnovamento interno destinato a cambiare la sua identità. In questo stesso

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