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Futuro presente - Idee per una nuova Politica, democratica e popolare
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E-book323 pagine4 ore

Futuro presente - Idee per una nuova Politica, democratica e popolare

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Info su questo ebook

Quando ero giovane mi capitava di ascoltare persone che erano parti della Storia. Ricordo l’emozione di allora. Ero sorpreso. Sorpreso di ascoltare persone che dicevano quello che io non sapevo dire ma che avrei voluto dire. Le avvertivo come maestri perché capivo che quanto dicevano veniva da quello che avevano attraversato in nome di una parola semplice e forte. Libertà.
Poi ho cominciato a diventare vecchio e ho capito che ora tocca a te dire a un giovane quello che lui già intuisce. Ora tocca a te essere per lui un’idea, una radice nel passato per alzare rami verso il futuro.
Tutto quello che qui ho scritto e tanto altro che qui non è scritto e che io e voi e altri scriveremo è pronto. È già coscienza condivisa. Per fare ciò che è necessario fare, per iniziare ciò che è tempo di fare, non dobbiamo attendere nessun evento storico, nessun giorno a venire. Tutto è già qui. Il futuro è presente.
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2012
ISBN9788867553365
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    Anteprima del libro

    Futuro presente - Idee per una nuova Politica, democratica e popolare - Adriano Podestà

    A Enrico Berlinguer: comunista (1922 – 1984)

    Non da utopisti che inseguono chimere o da schematici che si abbarbicano ai testi; non da estremisti che si lanciano in velleitarie fughe in avanti, ma neppure da opportunisti che si acconciano al presente, naviganti di piccolo cabotaggio che seguono il tracciato delle coste: mentre noi vogliamo affrontare le sconfinate distese del mare aperto per approdare a una nuova società a misura dell’uomo.

    *******************************************************************

    A Iqbal Mashi: bambino operaio e sindacalista (1982-1995)

    Chi uccide un bambino spegne il sorriso di una fata.

    Alle mie giovani donne, Debora e Martina

      Il metodo

      Io sono educato al dubbio permanente, che è esercizio dinamico del pensiero e fondamento della tolleranza e del dialogo. Tuttavia, in questa fase della vicenda umana in cui l’incertezza dissolve ogni tradizione ed è iniziata una complessa transizione a un diverso assetto economico, si è fatto urgente in me il bisogno di sospendere l’analisi ed esprimere una sintesi da offrire alla riflessione altrui. Ho esitato a lungo prima di impugnare la parola scritta, consapevole di quanto una prospettiva individuale possa essere limitata, ma è ormai urgente la responsabilità, il dovere di non tramutare il senso democratico in silenzio colpevole, di non ridurre il rispetto delle opinioni altrui a viltà, al nascondimento opportunista di sé.

    In questi anni, l’ambizione personale ha mortificato e desertificato la Sinistra nei Paesi ad economia avanzata e il pensiero unico dominante, con l’acquiescenza colpevole e ignorante di troppi, ne ha desolato il terreno morale e ristretto l’orizzonte culturale.

    Questo libro, di conseguenza, si occuperà di molte e diverse questioni, anche inusuali per la comunità politica corrente ma essenziali per la produzione di una buona politica. Per questa ragione, l’ordine degli argomenti non rifletterà alcuna gerarchia di importanza. La lettura potrà iniziare in ogni punto, senza il pregiudizio di non aver letto le pagine precedenti, anche perché il libro è congegnato in modo da favorirne una lettura circolare e non lineare. Questo poiché esso non ha come fine la descrizione di un sistema di idee quanto piuttosto la condivisione di un metodo. Non l’organizzazione di un pensiero compiuto, stabile ed immobile, con i tratti di un’ideologia, quanto piuttosto l’esemplificazione di e l’educazione a un modo del pensiero politico, un approccio alla posizione individuale e collettiva nella storia contemporanea, un insieme di idee ove non conta il contenuto ma il modo con cui ad esso si perviene. Renderò visibile la natura del contributo, lasciando nel testo pagine bianche, in posizione affatto casuale, perché in ogni momento sia sensibile l’attesa di altri contenuti.

      Il momento attuale

      Non è vero che il pensiero corrente sia dominato dal relativismo etico. Esso è piuttosto caratterizzato dalla confusione e dall’incertezza e dominato dalla mediocrità, che sono altra cosa dal dubbio e dalla comprensione del relativo. I momenti della Storia in cui si esaurisce una fase e il futuro è incerto si accompagnano da sempre al venir meno della capacità ordinatrice delle ideologie, laiche o religiose. Ora, tuttavia, il fenomeno si manifesta, per la prima volta, in una situazione in cui lo sviluppo tecnologico ha prodotto una realtà il cui grado di complessità e la cui velocità di trasformazione sono assolutamente superiori alla capacità di adattamento epigenetico dell’encefalo di Homo sapiens. Nei Paesi ricchi, ogni cosa sembra possibile e disponibile, ogni opportunità di desiderare, ottenere, dominare è offerta in modo virtuale mentre l’individuo vive invece una condizione reale in cui i suoi riferimenti emotivi e logici sono persistentemente instabili, la famiglia si dissolve, la genitorialità si rivela inetta o inefficace, l’amicizia diviene uso reciproco dell’altro, la condizione materiale degrada e si fa incerta, la vita individuale è irrilevante, statistica, assolutamente semplificabile, mentre un flusso soverchiante di eventi e informazioni concorre al disorientamento permanente, sia nella gestione della quotidianità sia nella produzione di senso comune e di modelli sociali.

    Nel Mondo, anche nei Paesi ricchi, l’ingiustizia, l’oppressione dei deboli, i bisogni primari insoddisfatti crescono intanto a dismisura, anziché ridursi. Il senso di oppressione, il sentimento che non esista alcun’altra strada per sopravvivere se non quella della violenza, dell’intolleranza, del conflitto, in ogni sua forma, dalla guerra, ormai inutile, all’indifferenza alla legge crescono e si fanno sistema e folle sterminate premono per cercare in qualche luogo e in qualche tempo la speranza che non hanno più.

    L’ essere umano ha bisogno di almeno una speranza, verso cui orientare la propria vita. Oggi ne è privo, in questa stagione della storia umana in cui tutto corre, in cui è esercizio corrente il rapinoso appropriarsi di idee, la banalizzazione di contenuto e valore e dove l’uomo distrugge ogni bene naturale e sé stesso. Facendo di tutto, anche di sé stesso e delle proprie passioni, oggetto di consumo. Eppure, lo sviluppo delle conoscenze deve pur aver prodotto qualcosa che sia profittevole a vivere il tempo corrente e prospettare un possibile sviluppo futuro, offrendo una nuova occasione prospettica. Non è difficile intuirlo ma è assai difficile riconoscerlo, soprattutto se si è persistentemente non educati a vedere il mondo mentre lo guardiamo.

    È sconfortante, talora desolante, osservare come chi si occupa di scienze sociali o giuridiche o politiche sia spesso affatto ignorante in tema di scienza naturale e anzi talora di questa ignoranza si vanti. Come se non disporre di assai più di metà della conoscenza umana possa costituire un pregio. E peggio ancora, come se non disporre di un’intera logica, di un intero linguaggio, di categorie intellettuali dedicate al pensiero superiore possa costituire un segno connotativo di vantaggio.

    Certo, esser così contraddistingue, ma ahimè contraddistingue in senso negativo. Vantarsi di non saper nulla degli atomi, dei numeri, delle molecole e similia è come vantarsi di avere una gamba sola. Un atteggiamento che conduce, tra l’altro, anche a ritenere per vero ciò che è assolutamente falso. Ovvero che la realtà esista solo in funzione dell’uomo, che sia l’uomo a determinarla, attraverso tutte le declinazioni del suo spirito. Salvo poi finire la benzina a Ferragosto, a 40 chilometri dal distributore più vicino e con il telefonino scarico, due figli, una moglie, una suocera in fase menopausale e neanche un cucchiaino d’acqua. Là dove si comprende come stanno le cose: che la realtà non è prodotta dalle idee ma che le idee, quando con tanta fatica emergono, derivano dalla realtà. È bizzarro che occorra spendersi in banalità, iniziando questo libro, ma che altro fare se, da decenni, nessuna voce nel campo politico neanche balbetta per irridere il pensiero e la propaganda idealiste, nelle sue molteplici manifestazioni ed espressioni, dalle sciocchezze sul fine vita, alla crisi economica come crisi psicologica e di fiducia, alle imponderabili stupidaggini propalate intorno alle questioni di genere, alla procreazione, alle diversità, alla crisi della politica, alla crisi della rappresentanza…

    A taluno sembrerà che quanto ci accingiamo a discutere non abbia attinenza alla politica, perché avvezzo a riflettere intorno alla tecnica della politica e in ciò assai capace o perché convinto che quanto discusso non possa produrre effetti politici immediati. O semplicemente perché supponente e presuntuoso. Di questi non curiamoci, perché, se le idee non creano la realtà naturale, esse animano la politica, che è costrutto umano, la muovono, la determinano, assai più delle tecniche del politicare e della comunicazione, della produzione di immaginario caduco. Soprattutto in periodi di profonda trasformazione dell’assetto economico, sociale, politico e istituzionale quali quelli che si annunciano o, invero, sono già cominciati.

    In altri, susciterà irritazione, sdegno, sufficienza, quando verrà in chiaro come la loro interpretazione del mondo non li preservi per nulla dalle sue dinamiche. Anche di ciò non curiamoci, perché le riflessioni seguenti non procurano loro un difetto ma semplicemente lo svelano.

    Il termine natura indica ciò che è esterno all’animo umano. Solo in questo senso il concetto di natura è corretto e consente una discussione utile intorno a ciò che alla natura appartiene, ivi comprese le comunità umane. La natura come principio ordinatore, volontà o manifestazione sensibile di una Volontà non esiste. Essa non compie alcun miracolo, non è né prodiga né gentile né aggressiva o malvagia né amica o ostile poiché non pensa e non decide.

    L’uomo può produrre senso e comprensione dei fenomeni naturali, può riconoscere struttura e logica degli eventi naturali, può razionalizzarli ma la loro comprensibilità non li rende per nulla espressione di un disegno, di una volontà imperscrutabile e meno che mai il sostegno e la giustificazione di una qualsiasi organizzazione storica o sociale delle comunità umane.

    Non c’è alcuna legge di natura, alcuna raccolta di codici o regole che sottenda gli ordinamenti, gli usi e i costumi delle società umane. È vero anzi il contrario. Ovvero che le società umane tentano di proiettare se stesse sulla natura, piegandola ai propri desideri e timori, fino a renderla umanamente sciocca e ottusa, umanamente insensibile e violenta.

    L’interpretazione della natura come essere cosciente o manifestazione di un essere cosciente non ha altro significato se non quello di giustificare il proprio desiderio di dominio sul mondo, senza nemmeno il sacrificio di spendersi per comprenderlo e produce e ha prodotto mostri, lutti e infelicità. L’idea che in natura alcune forme di vita sono inferiori e non degne di vivere ha sostenuto il folle disegno nazista (iniziato verso i disabili, non lo si dimentichi), anima ideologicamente i conflitti etnici, permette la devastazione dell’ambiente naturale, la sistematica e persistente spoliazione della biodiversità e delle risorse naturali. Pensate a quante volte è stato affermato che il nemico è un essere inferiore per natura, che il nero, per natura, altro non avrebbe potuto essere se non uno schiavo, che il povero merita di esserlo poiché per natura inferiore al ricco.

    In un tragico paradosso, aggregati di carbonio ridotto quasi puntiformi, tremanti piagnucolosi ignoranti di fronte alla prospettiva certa della propria morte, si eleggono a interpreti autentici di un mondo immaginario mentre distruggono, umiliano, compromettono il mondo reale.

    È tempo di smetterla e di informarsi e riflettere su ciò che questo breve palpito di vita che ci accade sia davvero.

      Lo stato vivente della materia

      La vita è un sistema termodinamico aperto (capace di scambiare materia e energia con il proprio esterno), in grado di aumentare il proprio ordine locale a scapito del disordine ambientale e di produrre autonomamente copie tendenzialmente identiche di sé. È un fenomeno che interessa i sistemi planetari di stelle di seconda generazione. Su tali corpi freddi e non altrove, infatti, si trovano i diversi elementi chimici, in proporzioni approssimativamente decrescenti rispetto al crescere del numero atomico, a una temperatura sufficientemente bassa da mantenere intatti i legami chimici che gli atomi formano spontaneamente tra loro, formando molecole (la più piccola parte di materia capace di esistenza indipendente). Tra l’altro, i principali elementi presenti nelle forme dello stato vivente della materia sul pianeta Terra sono quelli di dimensione più piccola che più facilmente raggiungono la stabilità chimica unendosi in molecole.

    A dispetto dell’estrema variabilità di forme, strutture e funzioni degli organismi terrestri, le classi di molecole presenti in tutte le forme di vita, siano esse monocellulari o multicellulari, vegetali o animali o fungine o batteriche, sono in numero assai limitato. L’aspetto decisivo delle molecole biologiche è che esse sono, spesso, di grandi dimensioni (macromolecole), con centinaia o migliaia di atomi e una forma (conformazione) asimmetrica. Questa proprietà conferisce loro un’identità e, soprattutto, una funzione, poiché la funzione deriva dalla struttura e dalla forma che la struttura assume. Un cacciavite è un cacciavite perché ha la forma asimmetrica del cacciavite ed esercita la propria funzione perché non ha la stessa forma in tutte le direzioni dello spazio. Che la forma determini la funzione è peraltro affatto ovvio. Tant’è che gli esempi sarebbero illimitati, visto che non c’è eccezione alcuna. Tuttavia su alcuni ci diffonderemo a che il lettore sia indotto a scorgere egli stesso ulteriori esempi e faccia definitivamente proprio il concetto. L’esercizio non sarà banale perché andrà a insistere su uno dei pregiudizi umani più radicati, privo di significato ma gravido di conseguenze nell’incomprensione del reale e nell’organizzazione sociale.

    Un uomo si leva la maglia con movenze diverse da quelle di una donna, perché le dimensioni del suo torace e del cingolo scapolare rendono assai più pratico trarre la maglia afferrandola, a braccia alzate, dal bordo posteriore della scollatura che prendendola, a braccia incrociate, al suo margine inferiore, per liberarsene rovesciandola. Un uomo non sta seduto come una donna perché ha una forma che rende assai poco confortevole sedersi a gambe serrate e non cammina con le movenze di una donna perché ha una forma del bacino diversa da quella femminile. Così, un bambino e una bambina non stanno nelle medesime posizioni durante il gioco a terra. Il gatto non afferra alla collottola la gatta per affermare la sua conquista maschile (i gatti non sono stupidi come molti umani). Lo fa perché avverte dolore: il glande ha papille dirette dalla punta alla base del pene e in direzione radiale. Così che, nell’erezione, il pene è trattenuto in vagina e il gatto è alquanto interessato a che la femmina stia ferma. Il gatto mangia il sorcio e non una patata perché dispone del dente ferino e di solo assai modesti incisivi, l’elefante tritura corteccia perché ha quattro molari, che, come potete immaginare, sono piatti e piuttosto grandi. L’aquila non mangia miglio perché ha il becco adunco e il canarino si trova piuttosto male con le noci adorate dal pappagallo. Pensate quanto è sciocco l’uomo, a porsi a misura delle cose. La troia è la femmina di maiale condotta alla monta. In italiano, tale parola è usata anche per indicare una prostituta, perché l’uomo si sente in grado di giudicare il comportamento di un individuo di un’altra specie assimilandolo al proprio. Ma per fortuna il maiale è un maiale e un uomo maiale è solo un disadattato sociale. E via così. Qui mi fermo, per non tediare e perché si rischierebbe di non farla mai finita. Sì, è la struttura che determina la funzione e non viceversa.

    Se qualcuno pensasse che in fondo queste cose sono ovvie, provi a domandarsi perché pensa. La domanda è mal posta e il suo contenuto assai incerto poiché la congiunzione perché ha un elevato grado di incertezza logica. Ma non sarà poi così difficile comprendere che pensa se ha il cervello, pensa da Homo sapiens se ha il cervello di Homo sapiens. Il fatto che alcuni umani dotati di encefalo non pensino o perlomeno non pensino abbastanza non cambia nulla sulla verità di quanto affermato. Quali siano i meccanismi di funzionamento della struttura è un altro paio di maniche, che nulla toglie al fatto che la funzione esiste se esiste la struttura che la sottende e non viceversa.

    Gli organismi delle diverse specie sono caratterizzati da gradi di complessità strutturale diversi e sono a diversa complessità anche sotto il profilo funzionale, poiché le attività che essi manifestano sono la diretta conseguenza delle strutture che hanno a disposizione.

    Questo punto di vista, che a una lettura disattenta appare tanto scontato da poter essere sottovalutato, è, in realtà, una delle difficoltà maggiori nel passare da opinioni spontanee alla conoscenza della vita. Istintivamente, infatti, l’uomo interpreta ciò che gli accade intorno attraverso le lenti deformanti della sua sensibilità, dei suoi riferimenti etici e comportamentali e della società che conosce. Così, l’aquila (fam. Accipitridae) gli appare un animale fiero, a causa di un ispessimento dell’arcata orbitaria che è caratteristico degli uccelli predatori, che ne traggono il vantaggio di proteggere il bulbo oculare da possibili insulti traumatici nell’atto della caccia col colpo di becco. E tale impressione è così forte da suscitare ritrosia anche solo ad avvicinare l’animale, persino quando esso è quieto, sazio e riposato, nonostante mantenga quello sguardo che l’uomo così superficialmente interpreta. Nello stesso modo, il serpente (infraordine Serpentes) è percepito come subdolo e insinuante perché striscia. Ma il serpente non striscia perché ha un brutto carattere bensì perché non ha arti. Striscia, non perché li ha persi e si è dovuto adattare, antico tapino, ma perché la sua struttura somatica lo colloca in una relazione con l’ambiente che si rivela efficace. Lo colloca in una particolare nicchia ecologica, che è fatta di luoghi, comportamenti e strategie vitali in cui le strutture disponibili sono efficaci. Così, lo sguardo dello squalo (sottoclasse Elasmobranchii) è freddo perché lo squalo, tranne che nei cartoons, è privo di muscoli mimici facciali. Provate voi a essere espressivi con una paralisi bilaterale del nervo facciale e conseguente impotenza funzionale totale dei muscoli del viso.

    Le strutture disponibili rendono possibile la funzione mentre l’utilità di una funzione non determina la comparsa di strutture adeguate. Esistono persone che stirano muovendo verticalmente il ferro da stiro (disprassia) o ripetono indefinitamente una sillabababababa (logoclonia), non riuscendo a modificare la propria intenzione a seguito di una lesione intracerebrale. Esse non rigenerano i neuroni perduti nonostante il recupero della funzione sarebbe utile. Un uccellino non canta per delimitare il territorio. Il suo canto, flebile all’orecchio umano, delimita un territorio nel raggio di centinaia di metri, nei confronti dei soggetti della stessa specie, perché essi condividono la stessa anatomia dell’organo del Corti dell’orecchio interno, con una membrana basilare rilassata a bassa impedenza acustica identica in tutti i soggetti della specie. Non è l’utilità a far comparire il canto, e il mondo, quindi, non è popolato da uccellini tenore. Una talpa non è cieca perché vive sottoterra, ma vive sottoterra perché è cieca.

    La funzione non crea l’organo. Già il verbo creare mi determina brividi, dal momento che significa far comparire dal nulla. Pur tuttavia, discutiamo la questione. Citando lo stranoto e abusato esempio della giraffa. Secondo il modo spontaneo di pensare, assai diffuso, dai e dai, allunga allunga, la giraffa raggiunge le foglie sull’albero facendo crescere la lunghezza del proprio collo. La domanda sorge spontanea: ma non si poteva spostare un po’ più in là come fanno tutti gli altri erbivori? Oltretutto, la giraffa, quando nasce, è una piccoletta. Anche quando la madre la svezza dal latte. E dove sono le foglie da mangiare? In cima all’albero no, dal momento che non ci arriva. Sicché le tocca brucare in basso, con quel collo, che ne converrete, è piuttosto scomodo per volgere la testa in basso, con il rischio di essere sorpresi dai predatori con facilità o, semplicemente, di ribaltarsi. La giraffa, oltre ad essere un tipo ostinato, con questa faccenda d’allungarsi, si rivela poi tutt’altro che astuta. È un ruminante. Inghiotte il cibo, lo rigurgita, lo mastica, lo inghiotte nuovamente. Tutto il santo giorno, con un collo lungo così. Già che c’era, non si poteva sforzare un po’ di più e smetterla con questa faccenda del ruminare? O smetterla con la faccenda di allungare il collo a tutti i costi volendo continuare a ruminare? E ancora: con tutte le foglie che ci sono sugli alberi, proprio quelle dell’acacia bisogna mangiare? Come non bastasse il collo, adesso tocca farsi venire anche una lunga lingua con un rivestimento mucoso assai tenace, capace di resistere alle trafitture delle spine d’acacia. Passando il giorno ad inghiottirne. È del tutto evidente l’aspetto grottesco di tale modo di pensare. Le cose stanno esattamente al contrario. La giraffa non allunga il collo per mangiare le foglie in alto, mangia le foglie in alto perché ha il collo lungo, che è codificato nell’informazione genetica di cui la giraffa è la conseguenza e mangia le foglie d’acacia perché ha una mucosa che glielo consente. In questo modo trae il vantaggio di accedere a fonti alimentari precluse ad altre specie.

    Gli esempi potrebbero continuare ma è indispensabile cogliere l’aspetto centrale della questione. Le strutture e i processi biologici non sono presenti o si verificano perché servono. Serve solo ciò che deriva dall’attività umana. Una casa, un vestito servono, perfino un amico, talora e per taluno, che non sa ancora cosa sia l’amicizia, può servire. Non ciò che è parte della natura. La pioggia, ad esempio, non serve per le piante ma al contadino. La realtà è: in una stagione, con un’intensità, con una frequenza, su un tipo di terreno, su un tipo di pianta, la pioggia ha determinati effetti. Una pianta grassa lasciata su un davanzale, esposta a una stagione piovosa o troppo amorevolmente assistita da un annaffiatoio, muore.

    Cambiamo punto di osservazione. In fondo, se le strutture ci sono perché servono, perché gli animali non dispongono di tutto ciò che può loro servire? Perché noi uomini non abbiamo le branchie, per esempio? Nessuno affogherebbe. E un bel paio d’ali non sarebbe meraviglioso?

    Ancora un’altra prospettiva. Perché accadono eventi che non servono? Ad esempio, morire, magari a tre anni per una malattia congenita. Magari, come un bambino arlecchino, che cresce in una cute che non cresce come lui ma si spezza in losanghe, come quelle del vestito della maschera che dà il nome all’affezione. La reazione più comune di un paziente cui è comunicata la diagnosi di cancro è domandare: perché proprio a me, che sono sempre stato buono(a)? La risposta è desolantemente semplice: perché il cancro non è né buono né cattivo. Non è un soggetto morale e non è conoscibile in termini morali. È un oggetto, che ha una determinata struttura e proprietà che da essa discendono, indipendenti dalle qualità umane del suo sfortunato ospite. Se ne conosciamo struttura e funzioni, specialmente a livello molecolare, possiamo disegnare una strategia per sconfiggerlo. Se ci limitiamo ad assegnargli proprietà umane, ne saremo sconfitti.

    La questione è chiara. Sono le strutture a disposizione che rendono possibile la prestazione e non è la necessità a determinare la struttura: le gambe non servono per correre ma si corre perché si hanno le gambe. E le gambe non ci sono perché devono esserci, ma se l’organismo dispone dell’informazione genetica per produrle. Se le informazioni mancano o non possono essere utilizzate, le gambe mancano. Come accade nella focomelia, in cui sostanze teratogene impediscono l’espressione fenotipica dell’informazione, pur presente nel patrimonio genetico dell’individuo: alcune dita nascono alla spalla o il corpo termina alla spalla o all’anca (nelle forme più severe).

    Dunque è affatto chiaro che le strutture biologiche non esistono in quanto rivolte a uno scopo, a un’utilità, bensì come conseguenza dell’espressione di un’informazione. È bene convincersi che gli organismi sono la conseguenza del DNA che per essi codifica. O, meglio ancora, che il DNA, attraverso gli individui, produce altro DNA. Fino a quando gli organismi da esso codificati continueranno ad essere in grado di riprodurre il DNA che li codifica, tale DNA resterà sulla superficie del pianeta. In caso contrario, esso sparirà e con lui gli individui che ne sono la conseguenza. Per il pianeta nulla sarà cambiato. Esso continuerà le proprie rotazioni e rivoluzioni, i propri eventi fisici e chimici in modo del tutto indifferente.

    L’uomo quindi non gode per natura del diritto di vivere. Egli ha piuttosto il dovere di vivere. Il dovere di elevare al massimo grado il rispetto della vita.

    Quando un delfino muore soffocato da una busta di plastica dispersa dall’uomo in mare, quando si estingue una specie, nulla cambia per il mondo, tutto cambia per l’uomo. Gli atomi del delfino tornano all’ambiente, prima o poi saranno di nuovo costituenti di un altro organismo. Una specie scomparsa non fa rumore, non dà notizia di sé, che ci sia o non ci sia è indifferente, l’equilibrio delle specie verrà modificato, alcune prevarranno, altre regrediranno, altre ancora giungeranno persino ad estinguersi anch’esse ma il sole continuerà a sorgere, la pioggia a cadere, il vento a soffiare, senza di loro. Per l’uomo tutto cambia, perché se l’ambiente in cui vive varia a una velocità superiore rispetto a quella dell’evoluzione della sua specie, la specie umana diverrà inadatta e semplicemente sparirà, perché il mondo può fare benissimo a meno di lei. Le costruzioni umane, i pensieri umani, le loro passioni, l’accumularsi di ricchezze, contano meno di un soffio se l’uomo non rispetta la vita, le sue forme, tutte, non sta al proprio piccolo posto nella complessità del mondo.

    Poiché abitiamo la terra siamo terrestri, tutti noi, animali a sangue caldo o freddo, vertebrati o invertebrati, mammiferi o uccelli, rettili, anfibi, pesci o vegetali. Noi umani, quindi, non essendo l’unica specie sul pianeta, condividiamo questo mondo con milioni di altre specie viventi e insieme con esse evolviamo, in un processo divergente-convergente, inevitabilmente rivolto alla crescita di complessità in ragione della disponibilità di energia libera offerta dalla nana gialla Sole.

    Ciò nonostante, una frazione di terrestri umani tratta gli altri viventi come meri oggetti, il che ha dell’incredibile: individui di questo tipo rifiutano la consapevolezza di essere essi stessi oggetti e trattano gli altri viventi, anche umani, come oggetti. Essi si basano sull’assunto arbitrario che la forza è la base del diritto. Il termine specismo indica il pregiudizio e la tendenza a favorire i membri della propria specie a scapito degli altri viventi, permettendo che gli interessi della propria specie prevalgano sui più importanti aspetti della vita di altre specie, quali la riproduzione, il libero movimento, la qualità dell’esperienza sensibile (nelle specie in cui esistono) e le modalità di conclusione della vita. I razzisti violano il principio di uguaglianza fra i viventi

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