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Il femminismo e la parola scritta: L'esperienza milanese dalla libreria delle donne al gruppo della scrittura
Il femminismo e la parola scritta: L'esperienza milanese dalla libreria delle donne al gruppo della scrittura
Il femminismo e la parola scritta: L'esperienza milanese dalla libreria delle donne al gruppo della scrittura
E-book346 pagine1 ora

Il femminismo e la parola scritta: L'esperienza milanese dalla libreria delle donne al gruppo della scrittura

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Info su questo ebook

I movimenti di rivolta degli anni Settanta hanno modificato profondamente il volto dell’Italia. Fra questi, come sosteneva la studiosa Mariella Gramaglia, fu il più tardivo, il femminismo, a ottenere i risultati più duraturi. Le attiviste dell’epoca, consapevoli dei complessi vincoli che legano il potere alla parola scritta, si adoperarono per conquistare il primo attraverso quest’ultima. Attraverso testimonianze e documenti, ripercorriamo le tappe del femminismo milanese, dai primi manifesti alle traduzioni, dalle case editrici alle autopubblicazioni, senza tralasciare le esperienze in cui lo strumento della scrittura si rivelò inadeguato. Un viaggio nel clima violento e bellicoso, fertile e stimolante degli anni Settanta, per capire meglio il movimento che cambiò l’Italia, (anche) con la forza delle parole. E stupirsi di fronte all’attualità e alla forza di quei libri vecchi di quattro decenni. Una vera rivincita, dopo secoli di svalutazione della scrittura femminile.
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2018
ISBN9788899735425
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    Anteprima del libro

    Il femminismo e la parola scritta - Anna Travagliati

    Introduzione

    In questo saggio tratterò del femminismo milanese e del suo rapporto con la parola scritta. Ho scelto questo argomento a causa del mio interesse per il movimento femminista in Italia e per l’impatto che ebbe sulla società.

    Il Novecento ha assistito a un inaspettato cambiamento del ruolo delle donne nel mondo occidentale: la conquista del diritto di voto, l’apertura di università e professioni un tempo vietate, il rinnovo legislativo in direzione paritaria, un’attenzione inedita per il corpo e la psiche femminili, la legalizzazione dell’aborto, e così via. Un mutamento tanto radicale è impressionante, soprattutto se pensiamo a quanto sia stato violento e sanguinoso il secolo scorso. Ero curiosa di studiare il risveglio collettivo delle donne, quel momento che li ha spinte a reclamare maggiore dignità e a lottare per il riconoscimento dei loro diritti.

    Avevo già avuto modo di approfondire in parte l’argomento, durante le ricerche per la mia tesi triennale, incentrata sul referendum sul divorzio (1974) e l’inaspettata vittoria dei no, ovvero dei progressisti. In quell’occasione, oltre a ricostruire l’iter che aveva portato prima alla legge e poi alla consultazione popolare, avevo studiato la battaglia politica dal punto di vista delle riviste femministe.

    Ho voluto ampliare proprio quest’ultimo tema, trattando del rapporto fra il movimento e la scrittura. Da sempre la capacità di leggere e scrivere è un importante strumento di potere, pertanto volevo osservare il modo in cui le femministe se ne erano impadronite e l’avevano utilizzato.

    Mi sono concentrata sugli anni Settanta, il decennio della contestazione, per la particolare importanza che hanno rivestito riguardo i movimenti di protesta e il rinnovamento della società. Ho scelto inoltre di limitare il mio campo di ricerca a Milano, la città più importante per il femminismo italiano insieme a Roma.

    Il saggio è diviso in cinque capitoli. Nel primo inizio col tracciare un quadro storico-sociale dell’Italia del tempo, quindi parlo della storia e delle caratteristiche del movimento femminista, dalla sua comparsa (fine anni Sessanta) alla sua crescita (metà decennio) fino alla decadenza e al riflusso (inizio anni Ottanta). Infine sottolineo il suo carattere anarchico e frammentato, composto da minuscoli gruppi che agivano autonomamente.

    Nel secondo e nel terzo capitolo tratto dei libri che circolavano all’epoca nei gruppi e nei collettivi femministi. Mi è sembrato particolarmente significativo scoprire quali erano le letture delle donne impegnate dell’epoca, quali idee proponevano quei testi e che impatto ebbero sulle lotte politiche e sociali. Nella seconda parte, in particolare, parlo dei libri di saggistica, sia italiani che stranieri; mentre nella sezione successiva mi concentro sulle altre pubblicazioni: manifesti, riviste e narrativa.

    Nel quarto capitolo parlo di due significative esperienze della Milano dell’epoca: la Libreria delle Donne e le case editrici dedite al femminismo. Nell’ultima parte, infine, approfondisco due situazioni dove la scrittura si rivelò uno strumento insoddisfacente per le esigenze delle donne dell’epoca: il fallimento del Gruppo della Scrittura e il difficile rapporto fra la parola scritta e i gruppi di autocoscienza.

    Dopo la lettura di alcuni testi storiografici sul movimento, per reperire materiale mi sono affidata soprattutto a documenti dell’epoca: riviste, volantini, semplici fogli diffusi nei collettivi, libri scritti in quegli anni, tomi stampati in proprio dai gruppi. Ho trovato queste fonti soprattutto in biblioteche specializzate, come quella dell’Unione Femminile Nazionale di Milano (per quanto riguarda l’argomento del femminismo) e il Fondo Feltrinelli (a proposito del decennio preso in considerazione).

    Prima di cominciare, una precisazione: non si può parlare di un unico femminismo, perché in verità ne esistettero (ed esistono tuttora) diverse correnti, a volte in forte contrasto fra loro. Avrò modo di trattare della complessità del movimento più avanti, per ora mi limito a sottolineare che il movimento femminista dell’epoca era molto diverso da quello di oggi. Era un momento storico peculiare, con un universo politico proprio, con priorità e strumenti differenti.

    Per comprendere quel movimento è necessario calarsi nell’atmosfera degli anni Settanta, e leggere i suoi successi e i suoi limiti collegandosi a questo particolare decennio.

    1. La contestazione femminista in Italia

    1.1 - Le coordinate politiche e sociali del movimento femminista dopo il ‘68

    Contrariamente a quanto comunemente si pensa, le origini del movimento femminista in Italia non sono da ricercarsi esclusivamente nel ‘68: prima della rivolta studentesca erano già stati fondati importanti gruppi come il DEMAU (Demistificazione Autoritarismo Patriarcale) o l’UDI (Unione Donne Italiane)¹.

    Ovviamente queste realtà non potevano ancora definirsi femministe nel senso che verrà attribuito al termine negli anni Settanta, ma erano senza dubbio gruppi che si battevano a favore delle donne, talvolta riuscendo a ottenere importanti risultati.

    L’UDI in particolare, «un’organizzazione di massa, strategicamente articolata e diffusa sul territorio nazionale»,² arrivò a contare nel 1982 210.000 iscritte, fra comuniste, socialiste e cattoliche.³ Nata dall’esperienza delle donne partigiane, si batteva per l’emancipazione e la parità, obiettivi che non di rado l’avrebbero portata a scontrarsi con i gruppi femministi nel nuovo decennio, sostenitori invece della differenza sessuale. Fra le sue conquiste più importanti possiamo ricordare il provvedimento per la parità retributiva (1956), la chiusura delle case di tolleranza (1958), l’abolizione della norma che prevedeva il licenziamento in caso di matrimonio (1963). A conti fatti, potremmo dire che l’UDI fu il volto pragmatico del movimento delle donne, là dove diversi gruppi degli anni Settanta rappresentarono quello idealista e utopistico.

    Detto questo, non si può tuttavia ignorare l’importanza che il Sessantotto ebbe per la nascita e lo sviluppo del pensiero femminista in Italia. Alcune, come Carla Lonzi, arrivarono a dire che il femminismo era sorto «malgrado il ‘68 e non grazie al ‘68»,⁴ ma la verità è innegabile: nel bene o nel male, dal suo entusiasmo o dalla sua delusione, il movimento delle donne trovò nella rivolta studentesca l’evento che gli diede slancio, un potente catalizzatore.

    Molte giovani entrarono con entusiasmo nell’ambiente della contestazione. Come osserva Aida Ribero, «La loro partecipazione fu appassionata, spontanea, priva di secondi fini ed esse ne ricavarono, almeno in un primo momento, un grande senso di libertà e apertura».⁵ Solo in un secondo momento si accorsero della supremazia dei compagni nelle assemblee e si resero conto che le poche ragazze che diventavano leader ci riuscivano solo adottando comportamenti prettamente maschili. Inoltre le contestatrici arrivate ai vertici non riuscivano ad avere un rapporto con le altre ragazze del gruppo, che le guardavano con sospetto e a volte con odio.⁶ Era solo un’anteprima di una questione che avrebbe tormentato le partecipanti nei decenni successivi: il difficile rapporto fra donne e potere, destinato spesso a trasformarsi nel leaderismo di poche e nel silenzio rancoroso di molte.

    Fra le centinaia di gruppi che sorsero in tutta Italia (soprattutto al nord e al centro), possiamo ricordare Rivolta Femminile a Roma e a Milano (1970), Lotta Femminista a Padova (1971), il Collettivo di via Cherubini (1972) e l’Anabasi (1970) a Milano, le Nemesiache a Napoli (1972), il Movimento Femminista Romano (1971), il Cerchio Spezzato di Trento (1970).

    Durante gli anni Settanta un grave problema venne presentato dalla particolare organizzazione anarchica di queste formazioni, che impediva di eleggere capi in quanto la gerarchia veniva considerata un sistema prettamente maschile. Le donne quindi si illusero di partecipare a un ambiente perfettamente egalitario, dove ciascuna potesse avere lo stesso potere delle altre, ma la realtà fu ben diversa. In ogni formazione non tardarono a sorgere figure di spicco, dal potere incontrollabile. Erano capi de facto, non leader eletti, e quindi non avevano alcuna responsabilità nei confronti del gruppo, per non parlare del fatto che era impossibile destituirle dal loro ruolo, in quanto ufficiosamente non ne avevano nessuno.

    Le femministe non credevano nella pratica del voto, considerata anche questa maschile, e quindi di fatto non possedevano strumenti adeguati a risolvere i conflitti. Tutto veniva discusso all’infinito, dal momento che in teoria ogni opinione era valida e meritevole di attenzione. I gruppi finivano per diventare possesso di una stretta minoranza di donne, particolarmente aggressive o carismatiche, che imponevano le loro idee senza che le altre avessero i mezzi per contrastarle.

    Sempre riguardo il carattere anarchico del femminismo, è opportuno ricordare che le varie formazioni «non avevano presidenti né statuti ed erano privi di una struttura nazionale unificata».⁹ Il che significava che il movimento era estremamente frammentato, senza possibilità di coordinazione. I gruppi erano liberi e indipendenti, certo, ma proprio per questo anche deboli: molti di loro si sciolsero velocemente senza lasciare alcuna traccia del proprio operato.

    Il movimento femminista venne associato fin da subito a diverse correnti dell’epoca: quelle di sinistra, quelle di stampo marxista, quelle anarchiche, quelle pacifiste, quelle per la liberazione degli afroamericani, e così via. In effetti ci fu una particolare attenzione per il parallelismo fra neri da una parte e donne dall’altra, fra il colore e il sesso. Basti pensare che uno degli slogan preferiti dalle militanti italiane era Donne è bello, basato sull’americano Black is beautiful.¹⁰

    La Spagnoletti dedicò un intero paragrafo all’argomento nel suo libro I movimenti femministi in Italia, pubblicato nel 1971. Si tratta di una lettura di grande interesse, in quanto all’epoca il movimento era sorto da pochi mesi e già il testo presentava tratti e idee che lo avrebbero caratterizzato per tutto il decennio (il rifiuto dell’emancipazione, il problema del lavoro domestico gratuito, la prigione della famiglia, e

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