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Estrema destra
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E-book636 pagine9 ore

Estrema destra

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Chi sono oggi i nuovi fascisti?
Un'inchiesta esclusiva e scioccante sulle organizzazioni nere in Italia e nel mondo

Dalla strada al Parlamento: chi sono i protagonisti del nuovo fascismo mondiale? Lupi solitari o gruppi strutturati? Giovani esaltati o uomini di governo? Le loro idee si fermano agli slogan o possono tradursi in violenza? Populisti, xenofobi, identitari, i nuovi fascisti del Terzo millennio fomentano l’odio razziale e spesso cavalcano l’onda dell’antieuropeismo e del rifiuto del mondo globalizzato, “colpevole” ai loro occhi della grande crisi economica. Dall’Italia all’Inghilterra, dall’Europa dell’Est alla Francia, dalla Scandinavia alla Grecia, fino agli Stati Uniti, la nuova destra estrema sta prendendo sempre più potere persino in Paesi dalla lunga tradizione democratica, che insospettabilmente stanno aprendo i loro “salotti buoni” a idee e personaggi che fino a pochi anni fa ne sarebbero stati banditi. Eppure le istanze degli estremisti neri prendono piede anche per le strade di periferia, puntando sul malcontento popolare, sull’islamofobia post 11 settembre, sulla rabbia dei delusi della politica tradizionale. Guido Caldiron – giornalista che da anni studia l’ascesa della destra estrema – analizza, grazie a una vastissima documentazione, un fenomeno inquietante e in espansione, che sta passando dal sottobosco della cultura underground a forme sempre più evidenti di esercizio del potere.

Un'indagine globale sulla nuova galassia nera
Da Alba Dorata a CasaPound

Tra i temi trattati nel libro:

• Ungheria. Il partito del pogrom e la Woodstock nera
• Germania. La casa comune del neonazismo
• Gran Bretagna. Un partito per soli bianchi
• La “fascistopoli” nelle città
• Fascio-hit: musica alternativa e rock identitario
• Teste rasate, l’Italia è una skinhouse
• L’internazionale negazionista
• Il nuovo razzismo dopo l’11 settembre
• Il Gesù ariano della Christian Identity
• Da Roma a Belgrado: guerra al Gay Pride
• Il bestseller delle SS
• Londra, Berlino, Parigi: neonazismo 2.0
• L’antisemitismo e la crisi


Guido Caldiron
giornalista, studia da molti anni le nuove destre e le sottoculture giovanili, temi a cui ha dedicato inchieste e analisi pubblicate da riviste e quotidiani. Ha collaborato con radio e TV italiane e del resto d’Europa. Tra le sue pubblicazioni, I fantasmi della République, L’impero invisibile, La destra sociale, Populismo globale e Banlieues.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854156821
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    Anteprima del libro

    Estrema destra - Guido Caldiron

    118

    Prima edizione ebook: giugno 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5682-1

    www.newtoncompton.com

    Guido Caldiron

    Estrema destra

    Chi sono oggi i nuovi fascisti?

    Un’inchiesta esclusiva e scioccante

    sulle organizzazioni nere in Italia e nel mondo

    logonc

    Newton Compton editori

    Introduzione

    «Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società».¹

    È il settembre del 1962 quando Pier Paolo Pasolini scrive questi frasi per rispondere a chi gli chiede cosa pensi della diffusione del neofascismo tra le nuove generazioni. Due lettori gli hanno inviato una lettera auspicando che l’intellettuale friulano li aiuti a riflettere e a comprendere cosa sta accadendo. «Signor Pasolini, perché tante giovani menti vengono attratte dal pericolo dell’idea fascista?», gli chiedono da Torino. All’epoca Pasolini anima una rubrica di corrispondenza sul settimanale «Vie Nuove», nella quale, intervento dopo intervento, propone la sua critica radicale della situazione italiana. In particolare, sui temi della società, è il diffondersi di un preoccupante senso comune basato sull’indifferenza, l’egoismo, quando non sull’attitudine a discriminare l’altro da sé, che lo preoccupa di più. In questa prospettiva, per lui, il vero problema non è rappresentato tanto dalla crescente adesione dei giovani alle tesi dell’estrema destra, quanto dalla banalizzazione di tutto ciò che, all’interno di una cultura, può arrivare a considerare simili tendenze come semplici estremizzazioni di atteggiamenti diffusi e, perciò, normali. Il punto, sembra dire Pasolini, non sono i pochi estremisti, ma i tanti che stanno a guardare, quando non plaudono, anche se silenziosamente. La deriva dell’estremismo comincia nel cuore stesso della società. «L’Italia» – prosegue infatti l’intellettuale – «sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo».²

    Per quanto paradossale possa apparire per un libro che annuncia di voler compiere un viaggio nella nuova internazionale nera, è questo frammento dei Dialoghi con Pasolini degli anni Sessanta – raccolti in un volume con il titolo di Le belle bandiere alla fine del decennio successivo e pubblicati dopo la morte violenta del poeta – che ci aiuterà a illuminare la strada lungo il percorso. Questo perché l’intuizione polemica di Pasolini ci invita a non soffermarci esclusivamente sui rami che spuntano dall’albero, ma ad addentrarci nel bosco, per analizzarne l’estensione e le forme; coglierne, se così si può dire, l’essenza. Per dirla con il linguaggio della cronaca, non limitarsi a lanciare l’allarme quando una bandiera con la croce celtica viene sventolata allo stadio da un gruppo di teste rasate, ma saper cogliere le proposte razziste e discriminatorie verso ogni tipo di minoranza. Ad esempio, la riabilitazione, almeno parziale, del fascismo e della sua cultura intollerante proveniente da partiti che si presentano come moderati e fanno parte del mainstream della scena politica.

    Il senso del viaggio a cui vi invitiamo a prendere parte attraverso le pagine del libro è del resto questo: indagare le forme contemporanee dell’estrema destra, da un punto di vista politico, culturale e, se si vuole, antropologico, senza tralasciare alcun aspetto, da quelli più evidenti e scioccanti a quelli meno noti ma non per questo meno inquietanti. Vale a dire cogliere tendenze, scattare fotografie, rintracciare fili apparentemente invisibili e ricomporre immagini frammentate fino a definire un disegno unitario, che mostri strategie, responsabilità e pericoli. Il tutto con una consapevolezza: parlare di estrema destra non significa più soltanto occuparsi di gruppi minoritari di nostalgici che celebrano nell’ombra la loro dedizione ai miti di morte del passato, all’ideologia dello sterminio, al nazismo di Hitler e al fascismo di Mussolini. Ma significa, ogni giorno di più, guardarsi intorno, analizzare quanto accade in gran parte delle società occidentali, dove movimenti e partiti che non adottano più né il linguaggio, né i simboli del passato – ma che diffondono programmi e parole d’ordine basati sulla discriminazione degli stranieri e delle minoranze, talvolta un vero e proprio nuovo vocabolario dell’odio – raccolgono inquietanti percentuali elettorali, influenzano le scelte dei governi, quando non ne fanno stabilmente parte. E, all’ombra di tale fenomeno, il razzismo si diffonde nella società, si fa spesso senso comune presso le giovani generazioni, costituendo l’humus su cui si sviluppano teorie radicali e si moltiplicano azioni violente sempre più brutali e spietate.

    Già all’inizio degli anni Duemila, il giornalista e scrittore svedese Stieg Larsson – autore della fortunata trilogia di romanzi polizieschi Millennium³, ma anche attento studioso dell’estrema destra europea e fondatore della rivista antirazzista «Expo» – aveva fotografato in questi termini l’evolversi della situazione nel Vecchio continente:

    Gruppi che ancora negli anni Settanta si riunivano negli scantinati e ottenevano percentuali risibili alle elezioni, adesso sono movimenti di massa sostenuti da milioni di elettori. Abbiamo assistito a un drammatico cambiamento del clima politico [...]. In 25 Paesi su 37 (Bulgaria e Romania sono entrate nella UE solo nel 2007, nda) ci sono gruppi di estrema destra o spiccatamente nazionalisti rappresentati in parlamento. Sette di questi sono presenti al parlamento europeo. In sei Paesi dell’ex blocco sovietico l’estrema destra ha qualche influenza sul governo. Confrontando i dati elettorali dei vari Paesi, è risultato che in alcuni dei più popolosi l’estrema destra non era mai stata così forte dalle ultime elezioni libere degli anni Trenta, prima della salita al potere delle dittature fasciste.

    Questo, senza considerare che in Austria, Danimarca e Ungheria, solo per citare i casi più eclatanti, forze della nuova estrema destra avrebbero avuto nell’arco degli ultimi quindici anni (Larsson è scomparso nel 2004), un ruolo decisivo per far vivere maggioranze parlamentari, formare governi o influenzarne in modo decisivo le scelte, spesso in senso xenofobo e nazionalista. E che, come spiegava già nel 2003 lo storico Pierre Milza, grande studioso di Mussolini e profondo conoscitore del nostro Paese, «in Italia una coalizione populista, parzialmente votata alle idee dell’ultradestra circa l’immigrazione, il rifiuto della classe politica, l’epurazione culturale, ecc, ha preso le redini del potere».

    Tutto ciò non significa probabilmente che siamo di fronte al rischio di un ritorno del fascismo, perlomeno così come lo abbiamo conosciuto, ma che le culture che a quella eredità politica e culturale si rifanno a vario titolo e in diversi modi sono tornate a giocare un ruolo importante nelle nostre società. Mentre altre forze e tendenze che nulla hanno a che fare con la storia del Novecento, ma che interpretano una visione fortemente autoritaria, discriminatoria e riduttiva della democrazia, hanno fatto la loro comparsa e ottengono sempre nuovi consensi, spesso sotto la guida di leader carismatici che dicono di agire e parlare in nome del popolo.

    «Ogni raffronto con il passato è rischioso, la situazione degli anni Trenta non è paragonabile con quella di settant’anni dopo», sottolineava ancora Stieg Larsson, che aggiungeva:

    La presenza di questi gruppi antidemocratici può però darci un’indicazione sullo stato della nostra democrazia. Il denominatore comune di tutti questi partiti è (sul fondo) la messa in discussione della legittimità della società democratica. Il messaggio propagandistico più comune è che, in un modo o nell’altro, i politici democratici sono tutti mascalzoni che si sono arricchiti a spese del popolo e hanno venduto o tradito il Paese.

    Quanto al modo in cui questi fenomeni si manifestano, sempre Larsson precisava: «A differenza degli attivisti degli anni Trenta, la nuova guardia non indossa uniformi nere, ma completi di Armani e marcia sul parlamento europeo e sui governi nazionali con sorrisi affabili e assicurazioni di essere partiti assolutamente democratici». Con il risultato che coloro «che vogliono minimizzare il significato della crescita di questi gruppi, sostengono che l’estrema destra parlamentare si adatta al sistema democratico, diventando così innocua e inoffensiva. In realtà, invece, sono spesso i partiti democratici ad adattarsi alla retorica e al messaggio dell’estrema destra».

    Ma come si è arrivati a questa situazione? Quali, almeno in termini generali, le cause e le condizioni storiche e sociali in cui ha avuto luogo il ritorno dell’estrema destra nel corso degli ultimi decenni, ancor più oggi? È cercando di trarre profitto dapprima dall’inquietudine e dai timori provocati dai grandi cambiamenti che hanno investito il mondo già negli anni Ottanta – in quella che è stata definita come l’età della globalizzazione – e, più di recente, speculando sul malessere e l’impoverimento di fasce sempre più consistenti della popolazione a seguito della grave crisi economica che ha scosso in particolare gli Stati Uniti e gran parte dell’Europa negli ultimi cinque-sei anni, che la nuova internazionale nera si è andata costruendo.

    Se i fascismi europei erano apparsi negli Venti e Trenta del Novecento, in una fase già di crisi finanziaria e politica dell’Europa (dovuta agli esiti della prima guerra mondiale, prima, e al crollo della Borsa di Wall Street nel 1929, poi), ma anche in un periodo che annunciava lo sviluppo moderno di società di massa, il fenomeno delle nuove estreme destre ha accompagnato negli ultimi decenni l’avvento della globalizzazione e una profonda trasformazione dell’economia occidentale. Non a caso c’è chi, come il politologo dell’Università di Bologna Piero Ignazi, noto a livello internazionale proprio per i suoi studi sulle nuove destre, ha proposto di definire la nuova ondata nera come «estrema destra postindustriale». Ha spiegato infatti lo stesso Ignazi:

    I (nuovi) partiti dell’estrema destra, sorti negli anni Ottanta, non sono una rivitalizzazione del mito palingenetico del fascismo: essi offrono una risposta ai conflitti della società contemporanea (ed è questa la chiave del loro successo). La difesa della comunità naturale dalle presenze straniere (da cui razzismo e xenofobia) è soprattutto una risposta in termini di identità all’atomizzazione e alla spersonalizzazione; l’invocazione di legge ed ordine, l’appello diretto al popolo e il fastidio per i meccanismi rappresentativi, rispondono al bisogno di autorità e di guida di una società dove l’autorealizzazione e l’individualismo hanno lacerato le maglie protettive dei legami sociali tradizionali; il recupero dei valori morali tradizionali è la risposta al libertarismo postmaterialista.

    Nel corso degli anni, l’offerta politica della nuova estrema destra si è poi via via arricchita di ulteriori elementi. Dopo l’11 settembre, infatti, al rifiuto nei confronti degli immigrati si è affiancato e talvolta sostituto quello contro i musulmani, presentati spesso come una minaccia o, tout-court, come dei potenziali terroristi. Questo, mentre complessivamente sono emerse: una critica radicale verso l’Unione europea, quando non un vero e proprio euroscetticismo; le spinte identitarie, comunitariste e secessioniste, quasi sempre nel segno della xenofobia; la richiesta di uno Stato-sociale che privilegi i nazionali a scapito di stranieri e minoranze; la denuncia della presenza dell’islam nelle società europee, presentato sempre come oscurantista, in nome dei diritti delle donne; l’opposizione ai diritti dei gay, in difesa della famiglia tradizionale; la criminalizzazione dei rom, per esigenze di sicurezza; la lotta contro l’aborto, per contrastare il calo della natalità occidentale. Ma non mancano la critica della globalizzazione o delle scelte economiche dei governi, come denuncia di presunti complotti della grande finanza, o il considerare inevitabile e imminente lo scontro di civiltà tra l’Occidente e il mondo islamico. Il tutto in un mescolarsi continuo di posizioni che si presentano, almeno in apparenza, come campagne moderate a base di referendum popolari, alternate però a sortite dai toni radicali e improvvise fiammate di violenza.

    Ma l’architrave della politica proposta da gran parte dei partiti e dei movimenti di questa natura risiede soprattutto, come si è detto, nella denuncia del pericolo che sarebbe rappresentato dall’immigrazione, fenomeno ritenuto responsabile da un lato della crisi dei sistemi del Welfare-State – in realtà messi in discussione già dai tagli decisi dai governi alle spese sociali, in un clima generale di austerity e di contenimento complessivo della spesa pubblica – e, dall’altro, considerato all’origine dell’insicurezza della società. Come ha spiegato in modo acuto uno dei più noti sociologi contemporanei, Zygmunt Bauman:

    Logorata ed esausta a seguito di sempre inconcludenti test di adeguatezza, spaventata a morte dalla misteriosa, inesplicabile precarietà delle loro fortune e dalle nebbie globali che nascondono ai suoi occhi qualunque prospettiva, la gente cerca disperatamente dei colpevoli per le proprie pene e tribolazioni. E come c’è da attendersi, li trova sotto il lampione più vicino, nell’unico posto premurosamente illuminato dalle forze della legge e dell’ordine: «Sono i criminali che ci rendono insicuri, e sono gli stranieri che generano criminalità».

    Ma proprio il tema dell’immigrazione – come si è visto, al centro della propaganda delle nuove destre e all’origine della loro affermazione sociale – lascia intravedere in quale modo, attraverso questi fenomeni, possa riemergere anche la cultura che caratterizzò i movimenti fascisti d’anteguerra. È ancora Pierre Milza a descriverne dettagliatamente il pericolo:

    Legata alle questioni dell’insicurezza e della disoccupazione, l’immigrazione è oggi al centro della propaganda elettorale della destra nazional-populista e ha l’aria di fare incetta di consensi presso le persone che subiscono direttamente gli effetti della globalizzazione, della deindustrializzazione e dell’anomia urbana. Ma rappresenta anche il setaccio attraverso il quale transita nella parte del corpo sociale più interessata da questo problema tutto ciò che attiene all’identità nazionale minacciata dall’invasione straniera, dai nemici dell’interno, dal capitalismo apolide, fino ad arrivare ad una classe e a un sistema politici giudicati incapaci di difendere l’orticello nazionale e di frenare la decadenza.

    Ed è in questo contesto che, a detta dello storico francese, possono riemergere «temi come il razzismo e l’antisemitismo a lungo considerati tabù».¹⁰

    Quel che è certo è che, all’ombra dei successi del populismo anti-immigrati e anti-islam e delle nuove estreme destre, si è diffusa nella società anche una cultura radicale e violenta. L’idea che sia in atto una sorta di guerra tra locali e immigrati (sebbene chi viene definito in questo modo spesso sia cittadino europeo, figlio di immigrati negli anni Sessanta o Settanta nel Vecchio continente), e che l’orizzonte del conflitto sia anche il solo che potrà regolare i rapporti tra l’Europa cristiana e i Paesi islamici, ha costruito il clima di fondo per il diffondersi sempre più minaccioso di aggressioni e violenze. I responsabili di questa stagione di terrore, che ha attraversato negli ultimi Vent’anni l’Europa, ma anche gli Stati Uniti – dove l’elezione del primo presidente afroamericano ha poi visto scatenarsi ulteriormente i peggiori umori razzisti –, sono stati militanti neonazisti e adepti dei circoli clandestini che sostengono la supremazia della razza bianca, ma anche figure che incarnano a pieno il profilo del nuovo estremista di destra. Ne è un esempio Anders Behring Breivik, il giovane che il 22 luglio del 2011 ha portato la morte e il terrore per le strade della Norvegia, uccidendo in poche ore 77 persone. Formatosi ideologicamente su Internet siti e blog che denunciavano l’invasione musulmana, aveva frequentato un partito populista e anti-immigrazione. Come ha spiegato lo specialista dell’estrema destra europea Jean-Yves Camus, il clima che si respira da tempo in Europa non ha solo contribuito a banalizzare il razzismo nella società, ma ha reso ogni giorno più pericolosa la situazione: «La minaccia del terrorismo razzista è ormai diffusa e non c’è bisogno, come in passato, né di direttori d’orchestra, né di strutture organizzative piramidali. Proprio Breivik è il prototipo del nuovo militante di estrema destra: prima ha pensato di combattere il nemico sostenendo i populisti, poi ha deciso di passare all’azione».¹¹

    Perciò, data la complessità, l’articolazione e l’ampiezza del fenomeno, per raccontare la nuova internazionale nera, questo libro si propone idealmente di compiere un viaggio in tre tappe. Il lettore potrà, però, attraversare a suo piacimento anche in altro modo l’intero testo, visto che ogni capitolo del libro costituisce lo sviluppo e l’analisi di un elemento a sé, da inserire poi, liberamente, nel quadro complessivo.

    Quanto ai tre momenti che scandiscono il percorso della ricerca, si possono identificare con gli aspetti più minacciosi dell’attuale emergenza estremista: il consenso sociale, la strategia violenta e l’offensiva ideologica.

    Così, nella prima parte del libro ci si occuperà delle piazze, vale a dire delle strategie politiche e della diffusione dei maggiori partiti, movimenti e gruppi dell’estrema destra e del nuovo populismo. Dopo aver attraversato buona parte d’Europa, e esserci spinti fino agli Stati Uniti, giungeremo così alla realtà del nostro Paese. Dalla Grecia di Alba Dorata e dall’Ungheria di Jobbik – i fenomeni più recenti e inquietanti di affermazione di partiti razzisti (se non più o meno esplicitamente neonazisti) – alla Francia di Marine Le Pen – che annuncia le trasformazioni dell’estrema destra tradizionale – ai populismi euroscettici e anti-musulmani dell’Olanda e della Scandinavia, fino al movimento del Tea Party – che sta radicalizzando la linea politica del Partito Repubblicano americano – giungeremo fino all’Italia del berlusconismo, della nuova destra xenofoba di governo e del neofascismo giovanile.

    Nella seconda parte, si seguirà invece il filo drammatico della violenza, descrivendo, a partire da una serie di vicende specifiche, quali evoluzioni abbia conosciuto la minaccia più terribile incarnata dall’estrema destra. Analizzando le radici del fenomeno a partire dalla strategia della tensione con le stragi in cui furono coinvolti i neofascisti italiani a partire dalla fine degli anni Sessanta, si arriverà a definire il profilo degli attuali lupi solitari, i protagonisti del terrorismo individuale di oggi. Questo, passando in rassegna l’offensiva violenta scatenata dagli skinheads neonazisti, prima in Germania e quindi in Russia, il terrorismo razzista e anti-establishment della destra radicale americana, fino a ripercorrere proprio la storia di Breivik. E senza dimenticare le vittime che, perfino nell’Italia degli ultimi anni, ha lasciato dietro di sé la violenza di strada dei fascisti del nuovo millennio.

    Infine, nella terza parte si prenderanno in esame le idee dell’estrema destra, ovvero i programmi, le tesi maggiormente diffuse, a partire dalle formulazioni teoriche del razzismo e dell’islamofobia. In parallelo, si cercherà di definire il profilo culturale e storico di quest’area, ma anche il modo in cui si è costruita l’identità delle formazioni politiche che ne fanno parte, ad esempio la continuità o meno con la cultura neofascista e neonazista. Esamineremo anche l’operazione culturale messa in atto da taluni gruppi e partiti attuali nel tentativo di riabilitare il passato (in particolare, si pensi al revisionismo storico, come la negazione dell’Olocausto). Allo stesso modo, ci si occuperà degli strumenti con cui, a partire da Internet, queste idee si sono diffuse in modo sempre più allarmante, specie tra le giovani generazioni.

    Ad accompagnare il nostro viaggio, oltre alle voci, ai volti e alle azioni dei protagonisti di tale fenomeno, ci saranno le analisi e i commenti di studiosi ed esperti europei e internazionale, nonché i dati e i risultati di ricerche e inchieste svolte in tutto il mondo da istituti accademici e ONG antirazziste. Questo perché, nel cercare di comprendere cosa rappresenti e cosa riunisca in sé l’internazionale nera di oggi, si deve tentare di capire fino in fondo i nuovi pericoli e quelli provenienti dal passato che solleva; quelli che un buon uso della memoria storica democratica può contribuire a sconfiggere e quelli che non possono essere eliminati, se non combattendo anche il disagio sociale di cui tale fenomeno si nutre, oltre al clima di paura e incertezza creato dalla crisi economica, che ne rappresenta il più generale sottofondo storico ed epocale.

    Perché, per cercare di sconfiggere l’estrema destra, come ha scritto Pierre Milza, «noi non dobbiamo né sbagliare storia, né dimenticare la storia».¹²

    1 Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, Editori Riuniti, 1977.

    2 Ibid.

    3 Nel nostro Paese pubblicata dall’editore Marsilio in tre volumi (Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava col fuoco, La regina dei castelli di carta).

    4 Stieg Larsson, La voce e la furia, Marsilio, 2012.

    5 Pierre Milza, Europa estrema, Carocci, 2003.

    6 Stieg Larsson, op. cit.

    7 Piero Ignazi, L’estrema destra in Europa, il Mulino, 2000.

    8 Zygmunt Bauman, Amore liquido, Laterza, 2004.

    9 Pierre Milza, op. cit.

    10 Ibid.

    11 Intervista in «Les Inrockuptibles», n. 860, 23 maggio 2012.

    12 Pierre Milza, op. cit.

    Parte prima

    LA MAPPA

    I movimenti in Italia e nel mondo

    1.

    Europa e Stati Uniti,

    dal neonazismo

    alle nuove destre populiste

    Grecia. Alba Dorata, una svastica sul Partenone

    Il simbolo è un elemento decorativo tradizionale dell’arte greca, noto come meandro di Rodi, caratterizzato da linee che si ripiegano su se stesse a partire da un punto centrale, anche se c’è da credere che sia stato scelto soprattutto perché è quasi identico alla svastica adottata dai nazionalsocialisti di Adolf Hitler, nella Germania degli anni Trenta. Il nome sembra rimandare alla società segreta Golden Dawn (alba dorata, appunto), gruppo esoterico inglese della seconda metà dell’Ottocento, cui si ispirarono i fondatori del nazismo, e futuri leader del Terzo Reich, a partire dallo stesso Führer.¹³

    Il giorno in cui i loro deputati sono entrati per la prima volta nel parlamento di Atene, lo hanno fatto marciando in formazione militare, con il leader alla testa del gruppo. Questo mentre i loro militanti attaccavano a suon di bastonate e bombe molotov un centro di accoglienza per immigrati nel porto di Patrasso. «State attenti, stiamo arrivando. I traditori della patria devono cominciare ad aver paura»¹⁴, erano state del resto le prime parole pronunciate dal loro capo, Nikos Michaloliakos, all’indomani dell’elezione di diciotto deputati del partito, votato – tra il maggio e il giugno del 2012, in occasione di due elezioni politiche ravvicinate – da poco meno di 430mila greci, pari a circa il 7% dell’elettorato del Paese.

    E poi ci sono i simboli, le parole e i gesti. Tutti terribili, tutti inequivocabili, tutti che sembrano riemergere, in un drammatico ritorno al futuro, dall’angolo più buio e terribile della storia europea. I neonazisti greci di Alba Dorata – sebbene preferiscano presentarsi come nazionalisti – incarnano uno dei segnali più inquietanti di ciò che l’estrema destra può rappresentare nelle società europee scosse dalla crisi economica, impaurite quanto al loro futuro e pronte a cercare dei facili capri espiatori cui far pagare il malessere e i timori che le attraversano. In un mix di razzismo, violenza, apologia del fascismo e rigetto delle politiche della UE, il caso di Alba Dorata indica fino in fondo quali pericoli possa correre oggi il Vecchio continente. Ma di cosa si tratta esattamente?

    Nata a metà degli anni Ottanta come Laïkós Sýndesmos – Chrysí Avgí (lega popolareAurora Dorata), questa formazione – che chiameremo per semplicità Alba Dorata, così come fa la stampa internazionale – è stata a lungo considerata come una sorta di network delle bande di skinhead neonazisti presenti in alcuni quartieri del centro di Atene, resisi protagonisti di una lunga serie di aggressioni contro i loro avversari politici. Alba Dorata, infatti, ha cominciato a strutturarsi in termini organizzativi solo di recente, sfruttando il clima di ostilità nei confronti degli immigrati che si è diffuso parallelamente al precipitare della situazione economica e sociale locale. E oggi, in un Paese sull’orlo della bancarotta – sottoposto a una politica fiscale di forte rigore e di tagli a stipendi e servizi, dettata dalla cosiddetta troika composta da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – sbandiera il tema della cacciata degli immigrati come soluzione a tutti i mali della Grecia. Spiega Nikos Marantzidis, docente di Scienze politiche all’Università di Salonicco:

    Nel nostro Paese in molti hanno voluto vedere, in questa situazione e nello sviluppo di questo tipo di estrema destra, un’analogia con quanto accadde durante la Repubblica di Weimar (1919/1933) che precedette l’ascesa al potere dei nazisti. Come in quell’epoca, anche oggi la colpa di ogni male è attribuita agli stranieri. Allora era il trattato di Versailles, che seguì la prima guerra mondiale, ad aver imposto delle sanzioni dure alla Germania. Ora, per la Grecia, ci sono le scelte della troika e le condizioni poste per ottenere il prestito per non fallire. Per una grande parte della popolazione, gli stranieri ci hanno imposto delle condizioni umilianti. E questo sentimento di umiliazione va di pari passo con la crisi economica, esattamente come accaduto ai tempi di Weimar. Inutile aggiungere che come allora, nella Grecia di oggi la classe politica e i partiti tradizionali sono attraversati dalla corruzione e sono giudicati come sempre meno capaci di risolvere la situazione.¹⁵

    Perciò, dietro allo slogan «la Grecia appartiene ai greci», scritto su un largo striscione, che domina la sede del partito nel centro di Atene (prima dell’exploit elettorale era una libreria di testi sul nazismo e t-shirt per skinhead razzisti¹⁶), Alba Dorata indica una strategia complessiva che si nutre proprio ogni giorno di più della crisi che attanaglia il Paese. Due i punti decisivi del programma dell’estrema destra: lotta con ogni mezzo contro l’immigrazione e denuncia del piano di austerity imposto dall’Europa.¹⁷ Secondo gli esponenti del partito, devono essere arrestati ed espulsi immediatamente tutti i clandestini, mentre si devono aumentare i controlli e la sorveglianza alle frontiere, utilizzando le forze speciali dell’esercito e seminando di mine antiuomo i confini del Paese. E alla denuncia dell’«immigrazione-invasione», specie nelle zone della periferia ateniese dove la convivenza sociale è ogni giorno di più minacciata dagli effetti della crisi, i militanti di Alba Dorata hanno affiancato anche azioni sempre più violente verso gli stranieri. Vediamo qualche esempio. Nel settembre del 2012 gruppi di attivisti hanno organizzato delle ronde per controllare i mercati gestiti dagli immigrati sia ad Atene che nell’Ovest del Paese, e hanno aggredito coloro che non avevano il permesso di soggiorno e distrutto i loro stand. Per queste violenze, documentate in alcuni video che circolano su YouTube, sono indagati anche tre parlamentari del partito. In un’altra occasione, un uomo appena uscito da una sezione di Alba Dorata nel nord della Grecia, ha aggredito un giovane musulmano che stava attaccando alcuni manifesti contro il razzismo. L’estremista di destra è stato condannato a una pena di otto mesi. E diversi esponenti locali e nazionali del partito razzista sono in attesa di processo per essere stati coinvolti in atti di violenza contro gli immigrati.¹⁸

    In un simile contesto – caratterizzato «dall’inquietante moltiplicarsi di aggressioni a carattere razzista imputabili a dei membri dell’estrema destra», come ha denunciato Amnesty International alla fine del 2012 nel rapporto Greece: The End of the Road for Refugees, Asylum-seekers and Migrants (Grecia: la fine della strada per rifugiati, richiedenti asilo e migranti)¹⁹, e come era già stato illustrato dalla ONG anti-razzista Human Rights Watch nel dossier Hate on the Streets (Odio nelle strade)²⁰ – si inscrivono l’omicidio di un giovane iracheno, ucciso a coltellate nel centro di Atene nell’estate del 2012, e quello di un ragazzo pakistano ammazzato nello stesso modo, sempre nella capitale greca, il 16 gennaio di quest’anno, rendendo evidente la pericolosità del clima creato dall’estrema destra.

    Spiega Sthatis Kouvelakis, politologo greco che insegna al King’s College di Londra:

    Alba Dorata è organizzata in squadre di picchiatori che si allenano per attaccare fisicamente gli immigrati e i militanti di sinistra. Armati di sbarre di ferro e bastoni, i neonazisti impongono così la loro legge in alcuni quartieri di Atene dove c’è una forte concentrazione di immigrati. Il tutto sotto gli occhi della polizia. [...] In questo senso si può dire che la situazione della Grecia si stia trasformando in un incubo, il Paese assomiglia sempre di più alla Repubblica di Weimar: invece di preoccuparsi dei problemi veri, una parte della popolazione crede che il proprio malessere si risolva dando letteralmente la caccia agli immigrati.²¹

    Queste vere e proprie spedizioni godrebbero in molti casi anche della connivenza delle forze dell’ordine. Come ha spiegato il quotidiano greco «To Vima», «i sondaggi condotti in occasione delle elezioni del maggio 2012 lasciavano intendere che in alcuni quartieri urbani fino al 50% degli agenti della polizia greca avesse votato per il gruppo razzista».²² E come ha confermato il giornalista Dimitri Psarras, autore di un libro-inchiesta pubblicato in Grecia (dal titolo traducibile in La bibbia nera dell’Alba Dorata): «Nei reparti speciali della polizia ci sono membri delle squadre paramilitari del partito».²³

    Ma la campagna violenta nei confronti degli immigrati non rappresenta che un aspetto, sebbene il più evidente, della strategia del partito. L’altro strumento con cui cerca di raccogliere consensi è quello di mostrarsi vicino ai settori della popolazione greca più toccati dalla crisi. Così, ad esempio, come raccontato dall’inviata di un grande giornale italiano, «nel quartiere di Agios Panteleimonas, che prende il nome dalla grande chiesa ortodossa in piazza, in fila per la pasta e l’olio ci sono gli abitanti del centro storico di Atene, a decine, ridotti alla fame dalla crisi».²⁴ I militanti di Alba Dorata distribuiscono generi alimentari ai cittadini greci in difficoltà: unica condizione richiesta, mostrare la propria carta d’identità, visto che qui di stranieri non si vuole neppure sentir parlare. Non a caso, «la sera Agios Panteleimonas è una piazza di apartheid: solo bianchi. Islamici e sporchi negri fuori», spiegano i simpatizzanti del partito razzista che, alternando interventi solidaristici e minacce agli immigrati, puntano a controllare le zone dove sono presenti.²⁵

    Del resto, Nikos Michaloliakos non fa mistero di quali siano le idee del suo partito: «Vogliamo che la Grecia appartenga ai greci. Siamo fieri di essere greci; vogliamo salvare la nostra identità nazionale, la nostra storia millenaria. Se questo vuol dire essere razzisti, allora lo siamo».²⁶ Per capire qualcosa di più dell’ideologia di Alba Dorata, ci si potrà perciò volgere alla figura di Michaloliakos, fondatore del partito, nato dall’omonima rivista da lui creata già all’inizio degli anni Ottanta, in cui alternava l’apologia della Germania nazista alla ripresa della mitologia, parlando di «difesa del sangue e delle tradizioni greche». Michaloliakos (1957) è cresciuto nel neofascismo ellenico, è stato sottufficiale dei paracadutisti e ha subìto condanne per diversi atti di violenza e possesso di armi ed esplosivo durante gli anni Settanta.²⁷ La sua carriera militante è iniziata nel movimento 4 Agosto, che si rifaceva al colpo di Stato fascista del generale Ioannis Metaxas, avvenuto appunto il 4 agosto del 1936. Alla guida di quel gruppo c’era Konstantinos Plevris, una figura centrale dell’estrema destra greca, tra l’altro uomo di collegamento tra il regime fascista dei Colonnelli – la dittatura militare al potere nel Paese dal 1967 al 1974 – e il gruppo neofascista italiano di Ordine nuovo (di cui si parlerà nel Capitolo 2). Negli ultimi anni, Plevris è tornato alla ribalta come autore, nel 2006, di Jews: The Whole Truth (Ebrei, tutta la verità), un libro violentemente antisemita, che riprende tra l’altro le tesi dei Protocolli dei Savi di Sion, uno dei classici del razzismo anti-ebraico (di cui si parlerà nel Capitolo 12).²⁸

    Prima di dar vita a Alba Dorata, all’inizio degli anni Ottanta Michaloliakos è stato responsabile dei giovani del partito Ethniki Politiki Enosis (EPEN), formazione fondata da Georgios Papadopoulos, che aveva guidato la dittatura dei Colonnelli, dal carcere dove scontava l’ergastolo. Quando, nel 2010, Michaloliakos sarà eletto nel consiglio comunale di Atene, annunciando la futura affermazione nazionale di Alba Dorata, si metterà in posa facendo il saluto fascista davanti ai fotografi. E, ospite della rete televisiva «Méga» all’indomani del successo elettorale nel 2012, il leader dell’estrema destra greca avrebbe trovato il modo di chiarire fino in fondo quale sia la sua visione del mondo: «Adolf Hitler? Una grande figura storica del XX secolo. Auschwitz? Non saprei, che cosa dovrebbe essere successo da quelle parti? Io non ci sono mai stato, voi sì? In ogni caso non credo proprio che ci fossero delle camere a gas, quella è una vera menzogna».²⁹

    Nel maggio del 2010 Michaloliakos ha partecipato a un comizio a Milano, accanto a Laszlo Toroczkai del partito ungherese Jobbik, e a Roberto Fiore, su invito del gruppo italiano di Forza Nuova.³⁰ Insieme ad altri partiti e movimenti dell’estrema destra europea, compreso l’NPD tedesco, queste formazioni hanno infatti fatto parte del cosiddetto Fronte nazionale europeo.³¹

    Ungheria. Il partito del pogrom

    e la Woodstock nera

    Le bandiere sono quelle bianche e rosse che i fascisti ungheresi usavano durante la seconda guerra mondiale, in ricordo della dinastia degli Árpád che regnò nel Paese prima dell’anno Mille. Le divise sembrano uscite da un catalogo di tragici cimeli storici degli anni Trenta: camicia bianca, pantaloni e gilet nero, per cappello una bustina di foggia militare. Sul braccio sinistro ci sono delle mostrine, anche queste bianche e rosse, a ribadire che non si tratta di un abbigliamento casuale, ma di una vera e propria uniforme: quella di un piccolo esercito nazionalista e razzista. Del resto, le divise di oggi ricordano molto da vicino quelle delle Croci frecciate, il movimento fascista a cui molti dei presenti non nascondono di rifarsi, che tra il 1944 e il 1945 collaborò con i nazisti nella deportazione e nello sterminio di una gran parte degli ebrei ungheresi. Dopo la guerra, in 546mila non fecero più ritorno: ¾ della comunità ebraica del Paese era stata eliminata.³²

    Quando, nell’estate del 2007, la Magyar Gárda Hagyományorzo és Kulturális Egyesület (Guardia ungherese per la difesa delle tradizioni e della cultura) ha prestato per la prima volta giuramento, «sulla corona dell’antica monarchia e sulla bandiera della patria», davanti al castello di Buda al centro della capitale ungherese, il tempo sembrava essersi fermato, come si fosse tornati d’un tratto alla stagione terribile tra le due guerre mondiali. Una cinquantina di uomini in divisa – tra loro, diverse le teste rasate degli skinheads neonazisti e i tatuaggi in caratteri gotici – celebrava questo rito sinistro; e tutt’intorno, altri militanti del partito di estrema destra Jobbik Magyarországért Mozgalom (Movimento per un’Ungheria migliore) – noto semplicemente come Jobbik (Migliore) e fondatore della Gárda come proprio corpo di autodifesa – sventolavano bandiere e intonavano l’inno nazionale. «La Guardia Magiara è stata istituita per realizzare un vero cambio di regime e per salvare gli ungheresi», spiegava alla piccola folla convenuta Gabor Vona (1978), leader di Jobbik, che ha dato vita alla struttura di ispirazione paramilitare anche allo scopo di «preparare la gioventù spiritualmente e fisicamente a situazioni in cui potrebbe essere necessaria la mobilitazione delle persone».³³

    L’istantanea che della situazione ungherese ha proposto il giuramento della Guardia Magiara, è solo uno degli elementi nel clima inquietante che si respira negli ultimi anni nel Paese. Nel 2010, il partito di centrodestra Fiatal Demokraták Szövetsége – Magyar Polgári Szövetség (alleanza dei giovani democratici – unione civica ungherese), noto con l’acronimo di FIDESZ, ha vinto le elezioni politiche con il 52,73% dei consensi e, grazie a una legge ultramaggioritaria, ha conquistato i due terzi dei seggi in parlamento. Sotto la guida del suo leader, Viktor Orbán (1963), divenuto poi primo ministro, il FIDESZ ha così potuto dare il via a una serie di riforme, mettendo in allarme l’intera Europa e facendo parlare le organizzazioni internazionali di tutela dei diritti umani di svolta autoritaria. Concretamente, come ricorda il corrispondente di «La Repubblica» Andrea Tarquini, la destra «ha riscritto in senso autoritario e nazionalista la Costituzione garantendo al premier poteri quasi assoluti», ha «varato una legge-bavaglio in materia di libertà d’informazione che istituisce un’autorità di controllo sui media e ha chiuso diverse redazioni giornalistiche scomode e testate indipendenti», ha «imposto l’uso a scuola di testi revisionisti» che, in particolare, glorificano il regime para-fascista ungherese guidato tra il 1920 e il 1944 dall’ammiraglio Miklós Horthy, ed «espongono tesi apertamente antisemite»; e, infine, ha minacciato di togliere la nazionalità ungherese a scrittori, intellettuali e artisti che esprimano posizioni critiche rispetto al potere politico di Budapest o capitoli giudicati sensibili della storia nazionale.³⁴ E, in particolare, la nuova costituzione ha stabilito anche uno stretto legame tra l’identità nazionale e la cittadinanza, puntando sul recupero e la valorizzazione delle «radici etniche della nazione ungherese», offrendo così, tra gli altri effetti negativi, un ulteriore contributo all’ostilità, già molto diffusa specie nelle aree rurali del Paese, nei confronti della minoranza rom (formata peraltro da cittadini ungheresi a tutti gli effetti e stimata intorno alle 600mila unità, su una popolazione totale di poco più di 10 milioni di abitanti). Più volte, infatti, gli stessi esponenti del FIDESZ si sono uniti all’estrema destra nel denigrare i rom: uno dei parlamentari del partito di governo ha definito addirittura «animali» gli appartenenti a questa comunità³⁵, mentre una legge varata dalla maggioranza di destra ha stabilito che i disoccupati, per la stragrande maggioranza rom, si prestino al lavoro volontario di manutenzione delle strade di campagna o delle aziende agricole di Stato, se non vogliono perdere il diritto a usufruire di sussidi pubblici.³⁶

    All’ombra di questa nuova destra di potere, il cui ruolo è cresciuto e si è andato radicalizzando politicamente fin dalla metà del decennio (Orbán era già stato premier tra il 1998 e il 2002, ma senza segnalarsi per gli eccessi attuali), sono emersi nella società ungherese un’estrema destra razzista e nostalgica e una vera e propria ondata di violenza xenofoba. Per cercare di comprendere cosa sia accaduto, possiamo tornare a occuparci della Guardia Magiara. Due anni dopo la sua nascita, nell’estate del 2009, la Gárda sarebbe stata sciolta dalla Corte d’appello di Budapest per «le sue azioni ripetute di intimidazione e discriminazione verso i rom ungheresi». «La corte» – ha scritto in quell’occasione un quotidiano della vicina Romania – «mette così fine a una lunga serie di azioni violente, perché i membri della Guardia hanno creato un’atmosfera di paura e le sue attività hanno umiliato la dignità della minoranza rom».³⁷ Cos’era accaduto? Gruppi della Gárda, forte di oltre mille membri in tutta la nazione, hanno battuto le campagne ungheresi spaventando le famiglie rom e sostenendo la propaganda elettorale di Jobbik, secondo cui ai nomadi vanno negati sussidi e assistenza pubblici. Un esempio della situazione arriva da una cittadina situata a meno di 100 chilometri dalla capitale, come ha raccontato l’inviata di un grande giornale italiano:

    Gli uomini restano, donne e bambini salgono sui pullman diretti al campo estivo: 277 rom in fuga da miliziani dell’estrema destra, in un’Ungheria che sembra aver riportato indietro le lancette di un secolo. È la prima volta dalla seconda guerra mondiale che la Croce rossa evacua civili ungheresi minacciati da un’organizzazione paramilitare È da oltre un mese che a Gyöngyöspata e in altre località delle zone rurali, le organizzazioni militanti dell’estrema destra conducono pattugliamenti «per ristabilire l’ordine e difendere la maggioranza ungherese terrorizzata dalla criminalità zingara»³⁸.

    Ma l’attività dei gruppi paramilitari di estrema destra non si è limitata alle ronde. Come ha sottolineato, in un’analisi della situazione di Ungheria e Repubblica Ceca, Roni Stauber – ricercatore dello Stephen Roth Institute for the Study of Contemporary Antisemitism and Racism dell’Università di Tel Aviv, uno dei maggiori centri internazionali di studio dei fenomeni razzisti – i rom ungheresi sono stati vittime negli ultimi anni di una campagna di odio e di violenze sistematiche, culminate, tra il 2008 e il 2009, nell’omicidio di sei persone. «Famiglie rom che vivevano nei villaggi della campagna o nelle estreme periferie delle città di provincia hanno subìto aggressioni e attentati compiuti con bottiglie molotov ma anche con armi da fuoco», ha spiegato lo studioso, prima di descrivere una di queste azioni: «Il 23 febbraio del 2009 nel villaggio rom di Tatárszentgyörgy, una cinquantina di chilometri da Budapest, poco dopo mezzanotte, uno sconosciuto ha lanciato delle bottiglie molotov su una casa. Quando i suoi abitanti hanno cercato di fuggire, l’aggressore ha sparato su di loro, uccidendo un uomo e il figlio di cinque anni».³⁹

    In molti casi, i superstiti a questi attacchi hanno descritto gli assalitori come una squadra della morte allenata e priva di incertezze. Mentre nelle inchieste, per altro poche e dagli esiti inconcludenti, condotte per scoprire i responsabili di questi omicidi, sono emersi più volte collegamenti tra gli attentatori e gli aderenti alla Guardia Magiara. È però difficile immaginare che si arrivi alla verità, nel clima che contraddistingue l’Ungheria di oggi, come suggerisce ancora Roni Stauber; egli segnala anche che, proprio all’interno delle forze dell’ordine, è sempre più forte la presenza di esponenti dell’estrema destra:

    Uno dei sindacati di polizia, il Tettrekész, che rappresenta circa il 10% degli agenti, è esplicitamente legato a Jobbik, con cui ha stretto un’alleanza politica e elettorale, al punto che la sua segretaria, Judit Szima, nota anche per aver espresso più volte la convinzione che sia in corso una «macchinazione degli ambienti ebraici ai danni del Paese», è stata candidata nel 2009 dal partito razzista nelle elezioni europee.⁴⁰

    Nel tracciare nel suo complesso il quadro della situazione ungherese, il ricercatore dello Stephen Roth Institute ha segnalato come la gravità di quanto sta avvenendo negli ultimi anni sia data dalla «convergenza tra gli effetti della crisi economica che favorisce, anche qui, nella popolazione più toccata dai tagli allo Stato-sociale, la ricerca di un capro espiatorio, che viene trovato nei rom e l’emergere sia in termini di consenso sociale alle sue parole d’ordine, che di voti, dell’estrema destra nazionalista, razzista e antisemita di Jobbik».⁴¹

    In effetti, Jobbik ha puntato molto sugli stereotipi xenofobi contro i rom, presentati nella sua propaganda sempre come dei criminali o degli «approfittatori» che «vivono alle spalle (del resto) degli ungheresi». Racconta il sociologo ungherese Zoltán Pogatsa: «Dicono alla gente: guardate, soffriamo a causa della crisi e loro approfittano dei contributi sociali concessi dallo Stato. Questo denaro potrebbe essere speso in modo migliore».⁴² Così, alla prima seduta del parlamento ungherese dopo le elezioni politiche del 2010, il leader di Jobbik Gabor Vona ha indossato in segno di provocazione l’uniforme dell’ormai fuorilegge Guardia Magiara, il simbolo della violenta offensiva anti-rom del partito; e, in seguito, ne ha rilanciato le attività sotto la denominazione di Guardia nazionale ungherese.

    E se il razzismo contro i rom ha rappresentato l’ingrediente propagandistico determinante nell’ascesa politica dell’estrema destra ungherese, Jobbik è passato dal 2% del 2006 al 16,6% dei nelle politiche del 2010, con 47 parlamentari; attualmente è il terzo partito del Paese e nel 2009 aveva eletto tre rappresentanti nel parlamento europeo. In particolare, Jobbik, nato nel 2003 su iniziativa di alcuni giovani leader dei movimenti studenteschi universitari di estrema destra, si vuole erede del nazionalismo ungherese più radicale: addirittura ancora oggi sul proprio sito (così come nei manifesti e nel logo) riproduce una cartina dell’Ungheria che non corrisponde ai confini attuali del Paese, bensì a quelli antecedenti al Trattato del Trianon del 1920, con cui le potenze vincitrici della prima guerra mondiale ridefinirono l’entità territoriale dell’Impero austro-ungarico. Jobbik evoca così ancora oggi il ritorno alla madrepatria ungherese di regioni comprese nelle odierne Slovacchia, Austria, Serbia, Croazia, Romania e dei circa tre milioni di cittadini di origine ungherese che vi abitano.

    Oltre all’irredentismo, sono l’insieme delle teorie nazionaliste e delle correnti patriottiche ungheresi del Novecento che riemergono nella cultura evocata da Jobbik: il passato monarchico e imperiale, la semi-dittatura dell’ammiraglio Horthy, l’ungarismo delle Croci frecciate, il turanismo, un’ideologia sorta dopo la Prima guerra mondiale in chiave anti-occidentale che annunciava un destino comune per i popoli di origine ugro-finnica, dall’Europa all’Asia centrale, e che è ancora oggi presente tra i neofascisti turchi del movimento dei Lupi Grigi. E, non a caso, Jobbik è ferocemente anti-israeliano, ma altrettanto pronto a denunciare «la lobby finanziaria internazionale» e «le correnti cosmopolite della società ungherese», adottando il più classico vocabolario dell’antisemitismo. Alla fine del 2012, un parlamentare del partito, Marton Gyongyosi, è arrivato a proporre che venga stilata una lista dei cittadini ebrei del Paese «per sapere chi disponga della doppia cittadinanza»⁴³. E tra le sue file si guarda con ammirazione all’Iran della Repubblica Islamica e «ci sono persino gemellaggi tra Comuni dove governa Jobbik e città iraniane».⁴⁴

    Non a caso, insieme a xenofobia e nazionalismo, gli elementi centrali della propaganda di Jobbik hanno a che fare con la denuncia della corruzione dell’élite politica progressista, del ruolo crescente dell’Europa nella vita del Paese e della corruzione della democrazia. «Non siamo fascisti, ma non siamo democratici perché oggi la democrazia vuol dire solo i miliardi del capitale internazionale», ha affermato il Gabor Vona⁴⁵. E una delle chiavi con cui si può spiegare il suo successo è proprio lo sviluppo di una nuova cultura identitaria di destra. Bálazs Ablonczy e Bálint Ablonczy – rispettivamente storico dell’Università di Budapest e direttore della rivista «Kommentar», che hanno dedicato a questo tema un’inchiesta – parlano di una sorta di rivoluzione culturale dell’estrema destra, spiegando come «negli ultimi anni, una parte della società ungherese sopraffatta dall’insicurezza, dalla precarietà e dalle turbolenze del mondo nuovo che gli è apparso intorno, ha preferito volgersi verso un passato lontano, glorioso e ignorato dalla cultura mainstream».⁴⁶ E in questo ambito si capisce perché «anno dopo anno, sempre più persone si sono messe a studiare le rune ungheresi, che si suppone fosse la lingua dei primi ungheresi, e i festival che evocano gli usi e i costumi degli antichi magiari hanno attirato vere e proprie folle».⁴⁷ Jobbik si è inserito da tempo in questo fenomeno, cui contribuisce con istituzioni come l’Atilla Király Népfoiskola (l’Università popolare Re Attila) o attraverso la vendita di t-shirt e abiti che riproducono motivi tradizionali del folklore locale, molto in voga tra i sostenitori del movimento. Il partito dell’estrema destra fa poi convergere su tale terreno i diversi settori giovanili cui si rivolge, ad esempio organizzando ogni estate, non lontano da Budapest, il festival Magyar Sziget (l’isola ungherese, quasi omonimo del ben più famoso festival di musica internazionale che nulla ha a che vedere con la politica) che mette insieme, in una sorta di piccola Woodstock nera, i cultori della riscoperta delle radici magiare e i giovani neonazisti di mezza Europa. «Nel 2011, l’eroina del pop razzista svedese Saga ha tenuto un concerto nell’ambito di questo festival, tra ultranazionalisti fiamminghi, militanti del British National Party arrivati da Londra e skinheads di estrema destra ungheresi».⁴⁸

    Germania. La casa comune del neonazismo

    Le band si chiamano n’Socialist Soundsystem, Division Germania, Confident of Victory, Disbeliever (Miscredente), Agnar, come una figura della mitologia nordica. Le canzoni parlano di «National und Sozial», di una patria da riconquistare, di un Paese che risorge dalle proprie ceneri come una fenice, di tedeschi che devono tornare a essere fieri di se stessi, ma anche di «troppa immigrazione», di «élite corrotte», della sconfitta nella Seconda guerra mondiale e della repressione della polizia verso i concerti «nazionalisti». Le voci dei cantanti sono cupe, aggressive, rese ancora più profonde dagli effetti che le fanno sembrare la colonna sonora di un film dell’orrore. La musica è, prevalentemente, altrettanto dura, ritmata, metallica, accompagnata da cori e suoni che fanno pensare a un bombardamento o a un’azione di guerra. Ma ci sono anche brani in stile hip-hop e qualche ballata accompagnata solo dalla chitarra.⁴⁹

    Schulhof cd (il CD del cortile di scuola) è un disco venduto via internet dagli Junge Nationaldemocraten, l’organizzazione giovanile del Nationaldemokratische Partei Deutschland (NPD, il partito nazionaldemocratico

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