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Ernesto e il pirata Jonathan - Portamare
Ernesto e il pirata Jonathan - Portamare
Ernesto e il pirata Jonathan - Portamare
E-book334 pagine4 ore

Ernesto e il pirata Jonathan - Portamare

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Info su questo ebook

Ernesto, undici anni, si trasferisce con i genitori a Portamare, luogo di nascita della nonna. Cinquecento anni prima, Portamare fu un ricco principato, al centro di importanti scambi commerciali, poiché situato in una porzione di costa tranquilla e fertile, vicina alle “bocche dell’oceano”. Un brutto giorno la città venne assaltata dai pirati, che ne depredarono i beni e i tesori, distruggendo la cittadella del vecchio porto e uccidendo il maresciallo Donato Malassi. Il mondo in cui si svolgono le vicende è regolato da energie naturali in equilibrio con forze oscure, create dai sentimenti negativi e dall’eccessivo attaccamento ai beni materiali. Prima dell’arrivo dei pirati, Gigliola, moglie del maresciallo, era in grado di mantenere questo equilibrio attraverso la magia, ma la crudeltà dei pirati e la conseguente sofferenza dei cittadini di Portamare crearono degli importanti turbamenti energetici, manifestabili alla gente comune come rari fenomeni atmosferici. Negli anni, la donna riuscì in parte a ripristinare l’equilibrio naturale, anche grazie all’aiuto di un ragazzino, fuggito da una nave dei pirati.
Cinquecento anni dopo, Ernesto e Jonathan continuano il lavoro di Gigliola, con l’aiuto di alcuni oggetti antichi e magici. Jonathan appare alla gente di Portamare come uno strano commerciante del mercato, che vende oggetti antichi e vecchie cianfrusaglie, apparentemente inutili. In realtà è un pirata redento in incognito, che viene dal passato. L’uomo è figlio di pirati e sta cercando di eliminare tutti i residui dell’energia oscura di cui si sente ancora impregnato, con l’aiuto di Ernesto, che rappresenta “quell’energia nuova che fa funzionare cose vecchie”.
Ernesto si muove in un paesaggio apparentemente comune, in cui scopre luoghi misteriosi e fantastici, intesse meravigliose amicizie, conosce persone affascinanti e vive avventure straordinarie, nella cornice colorata e ricca di natura di Portamare. Vecchie questioni ancora irrisolte si ripresentano dal passato, ma con un aiuto inaspettato, Ernesto e Jonathan riescono a ristabilire l’equilibrio naturale delle cose, in un finale sorprendente.
LinguaItaliano
Data di uscita25 apr 2024
ISBN9791223033371
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    Anteprima del libro

    Ernesto e il pirata Jonathan - Portamare - Banfi Giorgio

    1. PORTAMARE

    Dalla statale il mare azzurro si confonde con il cielo all’orizzonte. I tetti colorati delle case riflettono la luce dorata del pomeriggio, formando contrasti brillanti col verde florido della pineta. L’utilitaria modello Riviera frena di colpo. Qualcuno dietro suona il clacson.

    «Chiedo scusa! Stavo per perdermi la svolta a destra».

    L’indicazione per Portamare è in parte nascosta da alcuni pini, che sporgono dalla sala esterna di un bar ad angolo.

    «Ecco, ci siamo».

    Il cartello della cittadina li accoglie con una scritta di benvenuto. Il viaggio è stato breve e piacevole, tra una canzone dei fratelli Giano e un rap di Dubeira. A Ernesto piace viaggiare con la mamma. Mettono una canzone a testa nell’autoradio e cantano sempre. Ogni tanto fanno una pausa per gustarsi il paesaggio, mentre i pensieri e le fantasie entrano ed escono dalla testa.

    «Non vedevo l’ora di andare ad abitare vicino alla nonna».

    «Te l’avevo promesso Ernesto… non è stato facile ottenere il trasferimento, ma alla fine ce l’ho fatta».

    «Brava, mamma… così la nonna non avrà più bisogno di prendere la corriera per venire da noi e potrà fare la spesa tutte le mattine al suo amato mercato».

    Il sorriso della mamma riempie lo specchietto retrovisore, mostrando quelle simpatiche fossette che le spuntano quando è felice. La strada passa in mezzo a una grande pineta e, dopo una curva, costeggia un ripido colle di roccia. Si cominciano a vedere le case di Portamare, ognuna di un tono pastello differente. La città non è così piccola come si ricordava Ernesto. Ci sono fontane, giardini, parcheggi.

    Di solito non passano per il centro, prendono l’uscita successiva dell’autostrada, che è più vicina alla casa della nonna. Per le strade di Portamare si respira un’aria rilassata, tra il profumo dei fiori e la brezza di mare. Alcuni bambini girano tranquilli con la bici, altri giocano a pallone in un ampio parcheggio.

    «Qui c’è meno traffico che a Fonza. Quando abbiamo sistemato i bagagli, andiamo subito a trovare la nonna, poi andiamo a farci un bel un giro a piedi, così puoi esplorare la città. Che ne dici, Ernesto?»

    «Buona idea, mamma».

    Passano davanti a un edificio rosa, con grandi vetrate al piano terra e ampie finestre ai piani superiori.

    «Quella è la tua nuova scuola».

    Davanti all’edificio c’è un vasto prato, circondato da piccole collinette, ombreggiate da pini, lecci, cipressi, qualche olivo.

    «È bella grande».

    «Sì, ci sono più di mille studenti. Vengono anche da Rivafoce, Rivazzurra e dai paesi delle colline intorno a Portamare».

    «Non vedo l’ora di conoscere i miei nuovi compagni».

    «Mi spiace che tu abbia dovuto cambiare scuola nel bel mezzo dell’anno scolastico. Avrei preferito che finissi l’anno a Fonza».

    «Non vedevo l’ora di venire qui, mamma… ho sempre sognato di vivere al mare».

    «Lo so, Ernesto… è da quando sei piccolo che me lo dici».

    Attraverso lo specchietto, la mamma lo osserva, mentre guarda con aria sognante il parco davanti alla scuola. I suoi occhi seguono la camminata di una ragazzina, più o meno della sua età, capelli neri, lunghe gambe da cerbiatto e matita in bocca.

    «Ti rincresce aver dovuto salutare la tua fidanzatina Francesca?»

    «Guarda che è soltanto un’amica».

    «Sì, certo…»

    La mamma gli strappa una risata.

    «Sì, un po’… ma ci siamo promessi di vederci una volta al mare. Lei viene spesso qui vicino».

    «Dove? A Bagnoriva?»

    «A Rivazzurra mi pare».

    «E il tuo amico Dario?»

    «Quando andiamo a recuperare le altre cose a Fonza, magari lo passo a trovare. A proposito, quando torna papà?»

    «Ci ha promesso che tra due settimane sarà qui anche lui, ma sai come sono le promesse dei marinai…»

    «Da grande farò anch’io il marinaio, come papà, ma non sulle navi commerciali. Voglio

    girare il mondo, diventare un esploratore».

    L’automobile rallenta, mentre la mamma guarda qualcuno sulla pista ciclabile.

    «Guarda un po’ chi c’è, Ernesto».

    «Il signor Piero, l’amico dei nonni!»

    Tutto vestito in colori sgargianti, con un gran cappello di paglia, il signor Piero pedala con fatica, su una buffa bici a tre ruote, mentre traina un grosso carrello traboccante di sedie, cerchioni di bicicletta, cuscini e cianfrusaglie di ogni tipo. La mamma di Ernesto lo saluta con un colpetto di clacson e accosta al lato della strada.

    «Buon giorno, Piero, vuoi una mano?»

    «Buongiorno, Carolina… ciao, Ernesto, allora siete arrivati finalmente!»

    «Sì, da oggi abiteremo anche noi a Portamare. Domani Ernesto andrà nella sua nuova scuola e per me inizierà l’ultima settimana di lavoro nell’ufficio di Fonza».

    «Benone, chissà come sarà felice la nonna Giada. E tu Ernesto, sei contento di esserti trasferito qui?»

    «Contentissimo!»

    «Allora, benvenuti».

    «Grazie… ma non vuoi che ti aiutiamo a portare quelle cose?»

    «Non preoccuparti Carolina, ce la faccio da solo».

    «Ma cos’è quella roba, signor Piero?» gli chiede Ernesto.

    «È roba vecchia, che la gente butta via. Io la recupero, la sistemo e in poco tempo, è tutta merce nuova, pronta da rivendere».

    «Bravo, Piero… buon lavoro e buona domenica, allora».

    «Ciao, Carolina… ciao, Ernesto, salutatemi la nonna».

    «E il nonno, no?», gli chiede Ernesto.

    «Quel vecchio pescacefali è sempre in giro. Mai una volta che viene a bere un bicchiere da me… ma sì, dai, salutatemi anche lui».

    L’auto riparte, girando per gli ampi spazi del centro.

    «Anche il nonno è di Portamare?»

    «No, lui è di Fonza. Ha conosciuto la nonna lì, poi si sono sposati e hanno avuto me».

    «La nonna invece abitava già qui, prima di trasferirsi a Fonza?»

    «Sì, è nata a Portamare. Poi i nonni bis si sono spostati per lavoro, quando lei aveva quindici anni».

    «E come mai è tornata a vivere qui?»

    «Dodici anni fa, prima che tu spuntasti dentro la mia pancia, passai una domenica insieme ai nonni a Bagnoriva. Nel pomeriggio, proposi loro di andare a fare un giro a Portamare, perché volevo vedere dove era cresciuta la nonna e loro mi accontentarono. Prendemmo un gelato e passeggiammo per il lungomare. Poi facemmo due passi per le vie dietro al porticciolo dei pescatori, dove abitava lei da piccola e vedemmo una casetta in vendita con un bel giardino. Alla nonna si illuminarono gli occhi. Mi parlava sempre di Portamare, del mercato, della scuola, del colle del vento e delle sue amicizie d’infanzia. Capii che le sarebbe tanto piaciuto tornare a viverci, così mi informai all’agenzia. Il prezzo della casa era molto basso e siccome avevo da parte un po’ di soldi, decisi di comprargliela. Quando la nonna l’ha saputo, al momento si è un po’ arrabbiata, o ha finto di farlo, ma poi è stata felicissima. Dopo appena due mesi, ha venduto la sua casa a Fonza e ha voluto a tutti i costi restituirmi i soldi, sai come sono fatti i nonni…»

    «Così è venuta a vivere qui e dopo sono nato io…»

    «Infatti. Quando sei nato tu, i nonni facevano avanti e indietro tutti i giorni in macchina, da Portamare a Fonza, per aiutarmi a fare la spesa, sistemare casa, badare un po’ a te. Papà lavorava al porto, cominciava prestissimo e arrivava a casa a metà pomeriggio. I nonni riuscivano ad aiutarmi e ritornare nella loro casa a un orario ragionevole. Poi lui ha trovato quel nuovo lavoro sulle navi e ha cominciato a star via anche qualche settimana».

    «E come facevi da sola con me?»

    «Alcune volte si fermava la nonna da noi, altre stavamo io e te qualche giorno dai nonni. Poi tu sei diventato più grande e me la sono cavata senza il loro aiuto. La nonna veniva a trovarci un paio di volte a settimana con la corriera e una volta al mese venivamo noi qui, a passare il weekend».

    Ernesto e la mamma passano davanti a un grosso spiazzo vuoto, con qualche cartone e poche cassette di legno impilate a lato, vicino alla strada.

    «Cos’è quello, mamma?»

    «Quello è il mercato, Ernesto… e questa è la nostra nuova casa».

    Carolina parcheggia di fronte a una palazzina bianca a tre piani, con ampi balconi e grandi finestre, con le ante in legno verniciate d’azzurro. Sui balconi dei primi due piani sono stese delle lenzuola colorate, che pendono nell’aria, mosse dalla delicata brezza.

    Il portone al piano terra è grande. Carolina tira fuori un mazzo di chiavi e lo apre.

    «Tieni un mazzo anche tu, così sei indipendente».

    «Grazie, mamma».

    L’interno della palazzina è luminoso, fresco, arioso. Ernesto corre sulle scale con due valige in mano.

    «Fai piano!»

    Quando la mamma lo raggiunge sul ballatoio del terzo piano, Ernesto ha già trovato la chiave e aperto la porta di casa. L’appartamento è ampio e luminoso, esposto sui due lati. La cucina è a vista sul salotto, dove c’è un tavolo rotondo in legno chiaro, un comodo divano e una porta a finestra, che dà sul balcone vista mare. Sull’altro lato, un’ampia finestra guarda verso il centro della città e sulle colline. La cameretta di Ernesto è stretta e lunga, con un armadio in legno giallo, un letto e una scrivania, da cui si vede il mare.

    «Ti piace la tua nuova stanza?»

    «Sì, molto».

    Ernesto salta in braccio alla mamma e la stringe a sé.

    «Come sei grande, quasi mi fai cadere…»

    «Andiamo dalla nonna?»

    «Sì, fammi giusto sistemare i vestiti nell’armadio».

    La porta di casa si apre, mostrando la simpatica figura della nonna Giada, piena e armonica nel suo bel vestito azzurro, rossa in viso, coi ricci bianchi e gli occhietti azzurri che brillano tra le lenti degli occhiali.

    «Carolina… Ernesto?»

    «Mamma, sei già qui?»

    «Nonna!»

    Ernesto le corre incontro.

    «Non mi saltare addosso, che mi fai volare».

    Ernesto la abbraccia e le dà un bacio sulla guancia, stando attento a non sbilanciarla.

    «Che bel bastone, nonna… è nuovo?»

    «L’ho comprato al mercato, in una bancarella piena di cianfrusaglie, a te piacerebbero».

    «Noi volevamo venirti a trovare e poi fare un giro a piedi».

    «Andate pure, io ho portato il mio pesto appena fatto, con il basilico fresco, colto dal mio giardino».

    «Olé! Lo sai che la pasta al pesto è il mio piatto preferito…»

    «Lo so, caro… ma voi non sentite un po’ odore di chiuso?»

    «No, mamma».

    «È perché siete abituati all’inquinamento della città… apriamo le finestre».

    La nonna gira la maniglia e fa entrare una fresca brezza nella stanza. Chiude gli occhi e annusa il mare con il piccolo naso a punta.

    «Dov’è il nonno?»

    «Indovina un po’, Ernesto».

    «È a pescare?»

    «Bravo, vedo che lo conosci bene. È sempre a pescare, ma prende solo qualche cefalo ogni tanto. In realtà lo fa per chiacchierare con qualcuno al porticciolo e guardare le barche che vanno e vengono».

    «Non viene qui a mangiare?»

    «No, torna nel pomeriggio. Stasera, se avete voglia, ci mangiamo una pizza tutti insieme nel giardino di casa mia, così lo saluti e dopo non avete nemmeno i piatti da lavare. Sei d’accordo Carolina?»

    «Volentieri, mamma… tanto ho già preparato i vestiti per domani. Questo è il tuo zainetto per la scuola, Ernesto, mettilo in camera tua».

    «Siete ancora qui, cosa aspettate? Andate, dai… penso io a sistemare i bagagli e preparare il pranzo».

    Ernesto e la mamma vanno a fare un giro sul lungomare.

    Ci sono tante persone che passeggiano. Alcune bevono una limonata fresca al bancone di un baracchino, altre chiacchierano appoggiate alla ringhiera, mentre si lasciano accarezzare dalla brezza. C’è un gatto bianco fermo sul parapetto, che guarda in basso, come se volesse saltare. Tra la ringhiera e la sabbia ci saranno un paio di metri di dislivello. Il gatto guarda per un attimo Ernesto. Ha gli occhi viola, belli e penetranti. Guarda ancora giù, si abbassa sulle zampe e comincia a muovere la coda a destra e sinistra. Spicca un salto e scompare dietro un muretto.

    «Non c’è più!»

    «Forse ha visto un granchio, qui ce ne sono, Ernesto. Ti ricordi quando li prendevi dagli scogli e me li portavi?»

    «Sì, mi ricordo, non andavo ancora a scuola… ma chissà dove si è cacciato?»

    Ernesto scende dalla scaletta che porta in spiaggia.

    «Andiamo a farci un bagno, mamma?»

    «Non abbiamo portato nemmeno un asciugamano… ma tu hai già su il costume?»

    Prima che la mamma finisca la domanda, Ernesto sta già saltando tra le onde, che decrescono verso il bagnasciuga.

    «Sì!»

    Si tuffa appena l’acqua gli arriva alle cosce e nuota verso le nuvole che cambiano forma. Un gabbiano gli vola vicino, come per salutarlo.

    Mentre esce dall’acqua, la mamma gli porta un piccolo asciugamano.

    «Tieni, asciugati con questo… ne avevo uno di scorta nella borsa. È fredda l’acqua?»

    «Un pochino, ma nuotando ci si abitua subito».

    Ernesto e la mamma si siedono a guardare le onde, che spariscono all’orizzonte.

    «Il bello di abitare al mare è che puoi farti un bagno quando vuoi».

    «È vero Ernesto».

    «Quando esci la mattina, prima di andare a scuola, puoi farti un bagno, quando esci da scuola pure, la sera d’estate…»

    «In pratica sarai sempre in mare».

    «Ah, ah, ah… sì, mamma, a parte d’inverno».

    Seguendo l’esempio di Ernesto, un gruppo di ragazzi entra in acqua, tra le risate e gli schiamazzi. Una ragazza coi capelli corti spinge un ragazzo dentro un’onda, poi lui si rialza e la insegue. È ancora primavera, ma il sole è già caldo e invita a ritrovare contatto con l’abbraccio del mare.

    «Ti sei asciugato?»

    «Sì, ora mi vesto».

    «Andiamo a vedere un po’ il centro e la collina, che ne dici?»

    «Ottima idea, mamma».

    Dal centro di Portamare, Ernesto e la mamma risalgono una scalinata nera in ferro, che li porta a un giardino terrazzato. Percorrendo una stradina di sassolini bianchi, passano di fianco a un’aiuola di camelie, ombreggiata da una siepe di oleandro, seguita da un mandorlo fiorito. Dopo una breve salita, attraversano un arco, da cui pendono i fiori del glicine e giungono in uno spiazzo circolare. Al centro c’è una statua di pietra, ai lati dei bellissimi ciliegi fioriti. Il monumento raffigura un uomo con la spada alzata, che guarda verso l’alto, assaltato da tre brutti ceffi con sciabole e piccoli fucili. Sotto la statua c’è una targa.

    All’eroico maresciallo Donato Malassi, che con irreprensibile risolutezza, ha affrontato i turpi bucanieri, con la virtuosa spada, erta verso il burrascoso cielo.

    «Mamma, lo conosci Donato Malassi?»

    «A dir la verità no, prova a chiedere dopo alla nonna».

    «Guarda, il giardino continua di là».

    «È già mezzogiorno, Ernesto… non credi sia ora di tornare a casa? La nonna ci aspetta».

    «Comincia ad andare tu, mamma… io voglio esplorare ancora un po’ questi giardini».

    «Va bene, ma non fare tardi. Ti ricordi la strada?»

    «Certo, non siamo mica in una grande città, basta guardare di sotto. Là c’è il lungomare, la piazza del mercato e… guarda, si vede anche la nostra casa».

    «È vero, Ernesto… va bene, a dopo allora».

    Ernesto percorre una stradina attorniata da cespugli di oleandri, che termina di fronte a un cancello di ferro. È aperto, vi entra. Il sentiero di sassi fa posto a un percorso irto, di erba e pietre. Ci sono piante più basse, lavande, una menta, dei ciuffi di malva. La vegetazione si fa più fitta, fino a diventare un boschetto. Tra gli alberi scorre un ruscelletto, che devia sulla sinistra. Costeggiando il piccolo corso d’acqua, arriva a una piccola scalinata in pietra, che conduce a uno spiazzo, ombreggiato da pini marittimi. Di sotto si vede la cinta in ferro battuto, che circoscrive questa porzione di giardino, sopraelevata sulle altre terrazze. Da una parte si vede il mare, dall’altra le colline, che dopo una leggera discesa, risalgono verso le montagne. Mentre cammina, Ernesto nota un pozzo in pietra. Sulla pietra c’è un cappello da marinaio, con dentro due collanine, fatte con stringhe di corda e ossi di seppia, a forma di mezzo cuore. Ce n’è un’altra di fianco al cappello, con un laccio spesso e un pendente in pietra rotondo, con incastonati dei pezzi di vetro colorati. Ernesto la prende e la indossa. Gli sta bene e gli dà una bella sensazione di forza e pace. All’interno del pozzo c’è una scala verticale in ferro un po’ arrugginito. Una luce debole brilla in fondo. Ernesto scende.

    La scala termina in una stanza rotonda con la parete di pietra, intervallata da spazi vuoti, ricoperti esternamente dal glicine, da cui filtra la luce. Al centro della stanza c’è un bauletto di legno con sigilli in ferro, chiuso a chiave. Per terra, di fianco allo scrigno, c’è un foglio di canapa arrotolato, chiuso da un nastro viola. Ernesto scioglie il nastro e lo apre, è una lettera.

    " Caro Jonathan, non saprò mai come ringraziarti. Con la tua saggezza e la tua gentilezza, saprai prenderti cura di questo piccolo borgo e custodirne i segreti. Non preoccuparti, non dovrai fare nulla, se non permettere alle energie di fluire e di essere bilanciate.

    Eri soltanto un bambino quando dalla barca guardavi spaurito, mentre la tua gente depredava i nostri tesori. Ricorda, avrai bisogno di alcuni oggetti, che messi nelle mani giuste, serviranno allo scopo. Ora stai ancora dormendo, potrà passare molto tempo prima del tuo ritorno, tempo che per me non scorrerà più e per te sembrerà un attimo. Lo sapevo, i cuori più puri spesso emergono dalle paludi più cupe e finiscono tra le braccia di chi li sa sentire.

    Tua Gigliola, la nonna che non hai mai avuto".

    Il foglio di canapa gli si sbriciola tra le mani. Una luce aranciata pervade la stanza, che svanisce. Ernesto si ritrova fuori, davanti al cancello di ferro, ma ora è chiuso. All’interno riesce a vedere le pietre, su cui ha camminato poco fa, le piantine di lavanda, sente il rumore del ruscello.

    Ma cos’è successo? Stavo sognando a occhi aperti? Eppure…

    Ernesto percorre la stradina circondata dagli oleandri e arriva alla piazzetta del monumento.

    Sarà meglio tornare a casa.

    Ai lati dell’arco circondato dal glicine, nota due mosaici in vetro colorato, con la cornice di pietra. Un mosaico raffigura un ragazzino che nuota nelle onde, con alle spalle una nave. L’altro è il ritratto di una donna con gli occhi viola, il nasino a punta e i capelli grigio argentati. Ha in mano un mazzo di fiori arancioni. Assomiglia alla nonna, anche se ha uno sguardo triste. Ernesto ripercorre la stradina e ridiscende la scala in ferro, attraversa il centro di Portamare e ritorna a casa.

    «Ernesto, sei puntuale come la corriera del lunedì! Lavati le mani e siediti a tavola, un minuto e scolo la pasta».

    Un vapore morbido e profumato risale dal piatto giallo e verde.

    «Che buona, nonna… il tuo pesto è il migliore del mondo!»

    «Grazie, caro, è tutto merito del mio giardino, è in una posizione perfetta e il basilico cresce come una sequoia in una foresta pluviale».

    Il piatto di Ernesto si svuota in un attimo.

    «Ne vuoi ancora?»

    «Sì, grazie, nonna».

    «Hai poi visto qualcos’altro di interessante nel giardino?» gli chiede la mamma.

    «Sì, c’era una stradina circondata da siepi che portava a un cancello e oltre c’era un bellissimo giardino, con alberi, fiori… perfino un ruscelletto».

    «Siete andati ai giardini delle terrazze?», gli chiede la nonna.

    «Sì, quelli dietro il centro, verso la collina».

    «Quindi sei entrato nel boschetto, Ernesto?»

    «Sì, nonna».

    «Strano, di solito è sempre chiuso».

    Ernesto finisce anche il secondo piatto di pasta. Si va a sedere sul divano accanto al tavolo, appoggiando le gambe sul tavolino.

    «Nonna, tu conosci il maresciallo Donato qualcosa?»

    «Donato Malassi… sì, era un uomo valoroso che ha combattuto contro i pirati».

    «Contro i pirati? A Portamare c’erano i pirati?»

    La nonna gira la sedia verso Ernesto e lo guarda seria.

    «I pirati razziarono la città più di cinquecento anni fa e portarono via un sacco di oggetti preziosi. Portamare era un piccolo borgo di porto, diventato un principato, al centro di importanti scambi commerciali. Il mercato era il più ricco della costa. I mercanti della città avevano accumulato molti beni e anche qualche tesoro, che in parte avevano donato al principe e alla comunità. Quando vennero i pirati rubarono quasi tutto. Il maresciallo guidò la resistenza, ma fu ucciso nella battaglia. Per fortuna, negli anni seguenti i cittadini di Portamare seppero risollevarsi. Abbandonarono il vecchio porto commerciale, anche perché era diventato troppo ventoso, e costruirono il porticciolo per le barche da pesca. Bonificarono le paludi dietro Rivafoce e costruirono il canale Azzurro, per irrigare i campi e le terrazze sulle colline. Da commercianti, in molti si riciclarono come pescatori, contadini, operai edili e la città rifiorì. Il mercato è rimasto fino a oggi, ma è decisamente ridimensionato. Lo sai, Ernesto, ci vado tutte le mattine a prendere il pesce fresco…»

    «Lo so, nonna… e Gigliola, chi era?»

    Il viso della nonna si illumina in un sorriso a mezze labbra.

    «È un po’ che non sento pronunciare quel nome, tu dove l’hai sentito?»

    La mamma li guarda incuriosita.

    «Prima, al giardino delle terrazze, ho visto un suo ritratto».

    «Ah, il mosaico della donna con i fiori arancioni, che c’è all’ingresso della piazzetta del monumento… non le assomiglia affatto in realtà, ha un viso così triste. Ma sotto c’è scritto il suo nome?»

    «Mi pare».

    Ernesto non crede che sia una buona idea raccontare di essere sceso nel pozzo da una scala arrugginita e tentare di spiegare alla nonna e alla mamma quella specie di sogno a occhi aperti. La nonna alza lo sguardo, frugando nella sua memoria.

    «Gigliola è una nostra antenata. Quando ero bambina, mia nonna mi ha raccontato la sua storia. Era una donna affascinante e carismatica, moglie del maresciallo Donato. Lui era un burbero, coraggioso e pratico, ma poco incline alla parola, mentre lei aveva un’innata capacità di comunicare con gli altri».

    «Non sapevo di questa tua antenata, mamma, né che fossimo in qualche modo imparentati con un maresciallo», commenta la mamma di Ernesto.

    «Non mi è mai capitato di raccontarti questa storia, Carolina, o forse ho sempre preferito tenermela per me».

    «Racconta, nonna».

    La nonna Giada si fa seria e tira fuori dalla mente una pagina dei suoi ricordi.

    «La gente la considerava una maga, qualcuno le dava della strega. Era esperta di erbe medicinali e la gente di Portamare andava da lei, per farsi curare con i suoi intrugli. Il maresciallo ne era innamorato pazzo e confidava molto nei suoi consigli, prima di intraprendere un’indagine o partecipare a una battaglia. Lei lo convinceva sempre a non combattere e risolvere tutto dialogando. Due o tre parole giuste, buttate lì, anche da un uomo burbero come lui e ogni controversia

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