I palloncini del Vajont: Storia di una diga cattiva
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Lucia Vastano
Lucia Vastano è giornalista professionista dal 1982, collabora con testate italiane e statunitensi. Come inviata o su incarico, ha seguito le guerre in Libano, Angola, Salvador, Cambogia, nel golfo e in Iraq, nei Balcani, in Albania, Afghanistan e Kashmir. È autrice di reportage da vari Paesi africani, dalla Cina, dall’India, dagli stati islamici dell’Asia Centrale e dall’America. Ha vinto numerosi premi giornalistici tra cui, nel 2005, il prestigioso Premio Saint Vincent, e il premio UNESCO 2003 «Comunicare i diritti umani» riservato agli inviati di guerra. Per Salani ha pubblicato "Tutta un’altra musica in casa Buz" (2005), vincitore di diversi premi letterari, "Un cammelliere a Manhattan" (2008) e il più recente "La magnifica felicità imperfetta" (2013).
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Anteprima del libro
I palloncini del Vajont - Lucia Vastano
I PALLONCINI DEL VAJONT
C’erano una volta, tanto tanto tempo fa, quando io ero ancora un ragazzo e vostro papà non era ancora nato, dei paesi che si chiamavano Longarone, Erto e Casso e Castellavazzo. E c’erano anche le loro frazioni...
Ma nonno, ci sono ancora! La tua casa è qui, a Longarone e oggi siamo anche andati a Erto e Casso...
Non abbiate fretta, bambini, lasciatemi raccontare con calma. Una volta tutti questi paesi erano molto diversi da adesso. Ci abitavano persone diverse, la vita che si faceva era molto diversa, e anche i sogni di chi li abitava erano molto diversi.
Ah sì, e com’era la vita allora?
Quando io ero piccolo, mio papà faceva l’operaio in una fabbrica a Faè, una frazione qui vicina, dove lavoravano il legno. Abitavamo in una bella casetta di sassi a due piani, proprio qui, dove siamo adesso. Come adesso mettevamo i fiori alle finestre e nel retro, come adesso, c’era un pollaio con le galline che facevano le uova che bevevamo a colazione.
Il belvedere di Longarone prima dell’ondaIl belvedere di Longarone prima dell’onda
Ma allora la casa era vecchia, l’avevano costruita nell’Ottocento, come quella in cui voi vivete a Milano.
Ogni anno, in estate, andavamo su alla casera tra i boschi...
Quella casetta dove hai detto che ci porterai domani?
Sì, proprio quella. Portavamo al pascolo le nostre tre mucche, tagliavamo il fieno per dargli da mangiare e raccoglievamo la legna che serviva in inverno per riscaldare la casa e per cucinare sulla stufa.
disegno caseraMolte famiglie di queste parti avevano una casera dove passavano l’estate. Non era una vacanza vera e propria perché si lavorava sodo. Ma per noi bambini era divertente lo stesso. Non c’era niente che a me piacesse di più che stare nei boschi e giocare con i miei fratelli e sorelle. In genere si tornava in paese all’inizio delle scuole.
Hai dei fratelli e delle sorelle? E dove sono adesso? Perché non li abbiamo mai conosciuti?
Una cosa per volta, dovete avere pazienza. Io e i miei fratelli e sorelle, come tutti i bambini di qui, conoscevamo ogni cosa di questi boschi: gli animali che li abitavano, i funghi che crescevano dopo la pioggia e anche il nome di tutte le piante. Andavamo a raccogliere le more, le corniole, le fragole e le nocciole selvatiche. Non avevamo certo bisogno di tutti i giochi che avete voi per divertirci e nemmeno guardavamo la televisione per passare le serate. Quando faceva buio, i bambini ascoltavano le storie dai nonni. Si andava a dormire presto, e ci si alzava presto, appena il sole spuntava da dietro le montagne.
Era proprio una bella vita. Anche per i bambini di Erto e Casso l’estate era un periodo magico in cui ci si divertiva un mondo.
Eravamo insomma liberi e selvatici come gli animali dei boschi. Il mio amico del cuore, Pietro, viveva a Erto e la sua famiglia aveva una casera in una frazione che si chiama Le Spesse. Per andarlo a trovare salivo a piedi lungo la strada che portava lassù. Una bella e faticosa passeggiata. Mi portavo nella borsa per la merenda un panino che mi aveva preparato la mamma, con burro e marmellata o con il formaggio, e una borraccia con l’acqua.
immagine gelataioAllora non c’erano le merendine. Eravamo tutti più poveri. La vita era dura e molti papà erano costretti ad andare a lavorare all’estero per poter sfamare le loro famiglie, in genere molto numerose. Per noi bambini anche il lavoro era un gioco, come andare a pescare nelle cascatelle per portare i pesci in tavola, o dopo una pioggia, raccogliere i funghi o le lumache da mangiare con la polenta, aiutare nei lavori dei campi, portare il latte alla latteria. Un gelato era un lusso che ci veniva concesso ogni tanto la domenica, soltanto se in famiglia c’erano soldi che avanzavano. A me quello che piaceva di più era quello del gelataio Scussell che passava con il suo carretto e suonava la campanella. Crema e cioccolato erano i miei gusti preferiti.
Ora, per molti versi, si vive meglio. La vita di tutti i giorni è più facile, con la lavatrice, le case senza spifferi, le scarpe senza i buchi e i vestiti non lisi che proteggono dal freddo. C’è più benessere. Ma per noi che ora siamo vecchi era più bello allora, quando bastava poco per essere felici ed eravamo pieni di sogni e di fantasia, capaci di trasformare in un pallone quattro stracci cuciti insieme e un pezzo di legno in una slitta.
Purtroppo allora si finiva di essere bambini troppo presto. A quattordici anni io con mio fratello Mario sono dovuto andare in Germania a lavorare. Mio padre si era ammalato di cuore e non poteva più andare in fabbrica. Quello che guadagnavamo vendendo il latte delle mucche e i formaggi non bastava per vivere.
I primi anni da immigrato, lontano da casa, piangevo tutte le sere. Mi mancavano la mamma, i miei fratelli e la nonna che aveva sempre una carezza per me.
immagine trenoSono stato molto felice quando hanno cominciato a costruire la diga. La diga del Vajont porterà benessere a tutti
, così ci dicevano quelli della Sade, la ditta che costruiva la diga. Nessuno dovrà più emigrare. A Longarone, Erto e Casso, Castellavazzo, diventerete tutti signori
.
Una diga fa diventare ricchi?
Con una diga si produce energia elettrica, con la quale si illuminano le case e si fanno andare avanti le fabbriche. E poi per costruirla servono tante persone, e così i negozi vendono cibo, vestiti e quanto serve agli operai che lavorano. Si guadagnano tanti