La mia vita è un mosaico: Racconti di Domenico Turchi
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Anteprima del libro
La mia vita è un mosaico - Domenico Turchi
Lina.
PREMESSA
Scrivo perché non ci sono più palchi da calcare. Non so quanti spettacoli ho fatto in quarant’anni di teatro con testi tutti improvvisati e mai scritti.
Mi vanto di appartenere al genere del racconto orale, ai contastorie. Sono un antropologo comico: così mi definì Bruno Voglino al programma RAITRE GNU
(Giovani Nuovi Unici
– 1999).
Sono stato fortunato ad avere il dono dell’ascolto e dell’osservare.
Ho la soffitta piena di libri, pochissimi letti, gli altri alle prime pagine li ho chiusi! Lo so che per scrivere bisogna leggere ma io ho tanto da raccontare.
Non ho mai rinnegato e nascosto le mie origini, i lavori fatti, le persone che mi hanno circondato, le storie che ho vissuto e quelle che mi hanno raccontato. Dunque ho tanto da scrivere di mio prima di attingere, semmai lo farò, agli scritti di altri.
Certo la mia scrittura non è esempio di grammatica corretta! Per esempio la punteggiatura: uso dei puntini, più che una virgola, perché quando scrivo recito.
I puntini stanno per una pausa teatrale, per un momento di ispirazione, per creare un’atmosfera, un’attesa per creare un tempo comico.
Vivete la lettura come un pubblico seduto in una platea di una piazza o di un teatro.
Confesso che ho amato e amo tutte le persone che ho incontrato, perfino chi mi ha dato fastidio come questa mosca che mi gira intorno senza darmi pace.
MIA NONNA
Mia nonna era del 1900 e come diceva lei «so de lu 100!» Era analfabeta ma pregava in latino, vestiva con la gonna alla caviglia, mi prendeva per mano e ad un tratto si fermava, sostava ispirata e alla ripartenza lasciava una pozzanghera fumante. Era in pace con tutti, sorrideva sempre in pubblico, piangeva sempre di nascosto, amava il suo uomo meraviglioso che accarezzava con gli occhi e con lui condivideva tutti i lavori. Era una chioccia per i figli e per i nipoti, non faceva mai mancare un suo aiuto per chi ne aveva bisogno, cucinava per noi e per chi era di passaggio, aveva cura di tutti gli animali senza fare distinzioni tra una gallina per un uovo e una mucca che arava. Mai fatto uno shampoo ma usava olio e pettinessa per i suoi capelli d'argento. I miei cugini grandi la chiamavano Regina
e lei rispondeva con un nascosto sorriso.
Quando sentì che il Signore la stava chiamando si preoccupò che tutti i componenti della famiglia fossero in pace tra loro, poi si mise a letto e mi disse: «È arrivata l'ora!» E con un sorriso se ne andò dal Signore...
Tra un po' sarà l'8 marzo: AUGURI REGINA.
NONNA E I POLITICI
Mia nonna Marnicole (Maria Nicola) era una donna mitica!
Mio padre, assessore democristiano per quindici anni, spesso organizzava cene o pranzi per discutere finanziamenti per la frazione. Nonna alimentava l'abbuffata con questo invito:
«Magnete, magnete! Ca' nu accusci' li mitteme a lì purce!!» ( Mangiate, mangiate! Altrimenti noi lo diamo in pasto ai maiali!!)
Grande nonna!
MIO NONNO
Mio nonno, contadino, era un gran lavoratore e cattolico osservante. Si alzava alle quattro di mattina durante la mietitura. Andava nel campo di grano maturo e faceva 40 o 50 covoni. Tornava a casa e dopo essersi lavato e vestito calzava il suo inseparabile Borsalino marrone e andava alla prima messa.
Un anno fu costretto a rimanere a casa per giorni, costretto da giorni e giorni di pioggia! Un mattino arrivò una pioggia, portata da un venticello, carica di sabbia. Mio nonno commentò:
«Mo’ li sta fa' proprie sporche!!!»
NONNO E IL SUO GATTO METEOROLOGO
Nonno era un gran lavoratore. La sera, prima di coricarsi, svolgeva un rito: si sedeva di fronte al bel fuoco del grande focolare e davanti a lui si accucciava il gatto di casa che usava come meteorologo.
Nonno prendeva dal piccolo ripostiglio, ricavato lungo il montante del camino, la sua pipa di terracotta; la riempiva di tabacco e imboccava la lunga cannuccia; con le mani prendeva dalla brace un carbone ardente e lo poggiava sul tabacco della pipa; tirava due o tre pipate facendo uscire il fumo dalle narici e guardandomi abbozzava un sorriso di soddisfazione. Con un ritmo preciso scatarrava al fuoco e lo sputo sfiorava la testa del gatto. Certe volte la prendeva in pieno e il gatto pazientemente si puliva la faccia con la zampetta. A questo gesto nonno, di scatto, prendeva il soffiaturo e con violenza colpiva