Bim...Bum...Ba...Le....Giu'-Una giornata con gli amici nel 1982 (Quando tutto era fantastico)
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Anteprima del libro
Bim...Bum...Ba...Le....Giu'-Una giornata con gli amici nel 1982 (Quando tutto era fantastico) - Luca Nazzarri
INDIMENTICABILI………
Il sole dalla finestra
Il primo giorno di vacanza, di quel sabato di Giugno, si aprì con il mio amico sole che faceva l’occhiolino da dietro la persiana socchiusa. La dolce e fresca aria che entrava da fuori mi dava il benvenuto alla prima giornata del periodo vacanziero. Da dietro la porta chiusa, rumori e movimenti, mi facevano sapere che mia madre era in attività da un pezzo e ,allungando l’orecchio, forse già in dirittura d’arrivo.
Dopo una bella stiracchiata scesi dal letto e scalzo(ancora oggi uso raramente le ciabatte) mi avvicinai verso la cucina.
« Buongiorno Ma’».
« Buongiorno, già ti sei alzato?», rispose mia madre con il latte già pronto sul fornello( dopo tutti questi anni non ho ancora capito come faceva).
« Perché che ore sono?».
« Le otto e un quarto».
« Vabbè ,ormai me sò alzato».
« Che biscotti vuoi con il latte?».
«Quali ce stanno?»
« I Novellini e i Bucaneve».
Per me la battaglia era ardua ma, come tutte le mattine finiva in pareggio; sei per squadra
.
Ma la cosa superlativa era il mare bianco dove farli tuffare; il LATTE.
Trovarne uno, oggi , che è buono la metà di quello è quasi impossibile, ma negli anni ottanta ragazzi. Negli anni ottanta era fantastico. Ogni sorso portava con se l’odore dei fiori e il sapore della campagna incontaminata. Il lavoro paziente e l’amore dei vecchi allevatori. Insomma, il sano vivere di quegli anni.
Il tavolo della cucina era posizionato davanti al camino e ogni mattina, per tutto l’anno, trovavo uno dei miei giochi a farmi compagnia.
In quel momento trovai il mio mitico Cubo Magico. Finita la colazione me ne tornai in camera per continuare l’eterna battaglia con il Cubo. Ogni giorno completavo dalle tre alle quattro facciate, ma puntualmente andavo a dormire la sera con tutti i colori mischiati per l’arrabbiatura( lo completai barando qualche anno dopo, staccando i tasselli colorati per riposizionarli nel modo giusto con la colla). Quando apro il cassetto della mia vecchia scrivania ancora se la ride, il mio amato Cubo.
Presi pantaloni e maglietta andai in bagno. La lavatrice girava tutta orgogliosa, con il grande oblò che gli dava un tocco di importanza. Completate le mie questioni, tutto pimpante, presi qualche lira da sopra il camino e salutai mia madre « A Mà io esco».
«Non fare tardi come al solito, per l’ora di pranzo rientra».
« Va bene, promesso».
Negli anni ottanta le uniche raccomandazioni erano queste. Nè Non andare li
….. ne occhio con chi vai
…. niente di tutto questo. C’era fiducia, c’era tranquillità, c’era sicurezza…..
Ma torniamo a noi.
Spalancata la porta di casa, eccolo qua, pronto ad accogliermi a braccia aperte, il Rione Monti
di Magliano Romano. Calpestato ogni singolo sasso, ogni singola pietra di quel lembo del paese fin dal primo giorno di vita, non potevo cominciare la giornate senza fare un bella panoramica della mia seconda casa
.
Qui si rideva, si litigava e si andava in bicicletta. Nelle giornate calde ci si bagnava nella mitica fontanella all’angolo della piazzetta. Si giocava a nascondino e a campana con le femmine, a biglie sul lungo marciapiede che finiva proprio davanti casa mia e a pallone sulla porta di quel povero garage che ancora oggi ha il mal di testa. Ci si fermava all’ombra ad ascoltare le tante storie dei vecchietti che poi, dopo la pennichella pomeridiana, si deliziavano a guardarci nelle nostre sfide e le tante guerre finte.
Per non parlare della prima volta che l’ho attraversato con il fiocco e il grembiule per andare all’asilo. Tutti i migliori ricordi sono passati sopra questo piccolo borgo di case.
Fatta questa bella panoramica, i miei occhi si spostarono verso di lei: la mia bici, parcheggiata al solito posto, rossa, con sellino marroncino chiaro, la mia super Atala Duemila
.
Mi aspettava sempre lì, sotto la finestra, sempre pronta per una nuova avventura. Era la mia macchina personale, il mio robot, il mio drago volante. Era l’emozione pura che mi faceva volare a braccetto con la fantasia; era il salto nell’altro mondo.
Tolto il cavalletto partii di botto, con le solite tre-quattro pedalate al massimo della forza. Come quasi tutto il paese, in quel sabato di giugno, regnava la tranquillità. La maggior parte degli uomini, mio padre quasi sempre di pomeriggio, si trovavano in campagna, chi per curare gli orti, chi per gli ultimi scampoli di raccolta del fieno e chi per governare
gli animali( che non è un esercizio di potere, ma dargli da mangiare. Il dialetto è fantastico).
Arrivato al centro del rione cominciai la discesa che porta verso la piazza principale, ma prima feci una tappa fondamentale. Mi fermai per chiamare il mio migliore amico, Giampietro( il nome è più lungo, ma in paese i nomi vengono cambiati a piacimento).
Capii che non era uscito dal suo bolide parcheggiato davanti alla porta di casa.
« Gianpiè!!!», strillai come sempre.
« Aò» ,rispose affacciandosi dalla finestra « stò a rivà, me pio qualche soldo spiccio e scenno».
A quei tempi qualche soldo spiccio voleva dire avere nelle tasche un grande valore. Cinquanta, cento, duecento e cinquecento lire…( coniata lo stesso anno, l’unica al mondo di composizione bimetallica), possederle tutte nello stesso giorno era come essere un re, ma la metà bastava per diventare un principe.
Arrivato il mio amico, partimmo come saette, sgusciando tra i vicoli come anguille in fuga.
Come