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La Scommessa dei Creatori: Una storia vera
La Scommessa dei Creatori: Una storia vera
La Scommessa dei Creatori: Una storia vera
E-book287 pagine3 ore

La Scommessa dei Creatori: Una storia vera

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Info su questo ebook

In questo libro l’autore invita a seguirlo in un’avventura che trascende il confine tra il quotidiano e il misterioso. Questo romanzo autobiografico è un viaggio attraverso le influenze di un soprannaturale che interviene nella vita di tutti i giorni in maniera sottile e insieme sbalorditiva, trasformando le esistenze. Carmelo, inaspettatamente, inizia un percorso di scoperta e crescita spirituale; una spiritualità tanto più profonda quanto più si svincola da idee e preconcetti, religiosi, filosofici o spiritualisti.  Attraverso uno stile narrativo che coniuga il personale con l’universale, questo libro offre una prospettiva unica e affascinante sulla vita e sui poteri nascosti che ciascuno di noi può liberare.
La scommessa dei creatori non è solo la storia di un uomo che ritrova se stesso, o una delle infinite versioni di se stesso, ma è anche un invito a guardare il mondo intorno a noi con occhi nuovi per cercare i significati arcani di quell’infinito che siamo.

L’autore
Carmelo Bucca è nato in Svizzera da genitori italiani. Ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza a Castroreale (Sicilia). Ha vissuto a Milano, Dublino e Londra anni spensierati fatti di tantissimi incontri e divertimenti. “Mi sentivo un uomo, bambino e adolescente, e vivevo ogni istante con una spensieratezza tale da credere che quella fosse la massima felicità e la più bella espressione di me stesso” dice.
Dopo quegli incredibili anni sono arrivati periodi bui durante i quali ha sviluppato pensieri profondi che hanno fatto nascere in lui domande come: chi sono? Cosa sono? Cosa voglio essere? Perché esisto? Qual è lo scopo della mia vita?
Così è emersa una realtà impensabile…
“Non mi vedevo né nel presente né nel futuro, ma non potevo fare nulla per cambiare lo stato delle cose, tantomeno la mia natura. Avrei voluto fuggire da tutto, ma non potevo scappare da me stesso. Quell’infinità di strane cose che fluttuavano nella mia mente mi faceva anche pensare che, forse, stavo vivendo in un mondo tutto mio. Nella mia immaginazione e nel mio animo, continuavo a credere nei sogni e nella magia, e che un giorno sarebbe successo qualcosa che avrebbe cambiato la mia vita.”
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2024
ISBN9788890727863
La Scommessa dei Creatori: Una storia vera
Autore

Carmelo Bucca

I born in Switzerland to Italian parents, my childhood and teenage years were spent in Castroreale (Italy) and I then moved to Milan. I have worked in Milan (Italy) for nine, Dublin (Ireland) for eleven and London (England) for four years. My travels around the world has given me valuable experience and first hand knowledge of the problems of a variety of peoples and enabled me to explore my inner world and hope for global brotherhood in the future. The central event in a life marked out by a constant search for meaning - and thus, in a way, adventurous - by pure contact with nature, generous openness to others free of prejudice of any kind nor religious or caste divisions, has been an extraordinary encounter with the Divine which took the form of energy, which is Love.

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    La Scommessa dei Creatori - Carmelo Bucca

    La Scommessa dei Creatori

    di Carmelo Bucca

    © 2024 Carmelo Bucca, tutti i diritti riservati

    Prima edizione cartaceo: maggio 2024

    I diritti di elaborazione in qualunque forma od opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualunque tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualunque mezzo, i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. Per ogni domanda o richiesta relativa a diritti e permessi, contattare l'autore.

    Email autore:

    carbu1111@gmail.com

    carmelobu70@gmail.com

    L'oltre non c'era.

    Il mondo non sarebbe esistito senza di noi.

    Dedicato a mia moglie Chiara,

    che avrebbe voluto essere una farfalla azzurra.

    Capitolo 1

    Alla ricerca di me stesso

    Anno 2007: Dublino

    Negli ultimi anni avevo dato tutto me stesso per aprire un ristorante di mia proprietà e ciò aveva assorbito gran parte delle mie energie: lo stress mi aveva quasi divorato. Ero giunto a condurre una vita in cui pareva che la razionalità avesse preso il controllo sui sentimenti: ero diventato schiavo del lavoro, dei soldi e di me stesso. La quotidianità era diventata una monotona routine, anche mascherare la mia infelicità era entrato a far parte di quel meccanismo. Ero smarrito, mi sentivo vuoto e solo. Ero in preda a un groviglio di sentimenti stranianti e repressi e mi chiedevo perché la vita fosse così insensibile. Pensavo che essa avesse deciso di sfidarmi per l'intero corso della mia esistenza. Odiavo la vita, odiavo sentirmi in quel modo: mi sembrava di essere un'anima chiusa in gabbia, che combatteva contro la tristezza e la razionalità.

    Non ero più io, non ero la persona che avrei voluto essere. Mi venivano in mente i primi anni nella capitale irlandese, quando, insieme ai miei amici, lavoravo per vivere e non il contrario. Ero simultaneamente un uomo, bambino e adolescente, e vivevo ogni istante con una spensieratezza tale da credere che quella fosse la massima felicità e la più bella espressione di me stesso. Pensavo a quei momenti eccezionali che sembravano senza tempo…

    Mi rendevo conto di aver vissuto una favola, che io stesso ero stato quella favola. Mi domandavo dove fossero andate a finire quella spensieratezza e quella gioia. Dove?

    Avevo avuto la forza di abbandonare il progetto del ristorante e tornare a lavorare come barista, così da avere quel tempo libero che avevo dimenticato cosa fosse; ma, anche facendo ciò, nulla era cambiato. Continuavo a vagare da un estremo all'altro della mia mente, la quale sembrava essere diventata un labirinto che mi faceva paura. Da essa venivano fuori domande come: Chi sono? Cosa sono? Cosa voglio essere? Perché esisto? Qual è lo scopo della mia vita?

    Non riuscivo ad accettare che alla mia intensa, spensierata e felice vita si fosse sovrapposto, senza che me ne rendessi conto, un sentimento di tristezza. Non riuscivo a capire perché io e la vita eravamo così uguali e così diversi. Ragionavo, analizzavo, osservavo, progettavo, ma niente. Mi ero perso! Pensavo che soltanto una nuova favola avrebbe potuto dare una svolta alla mia esistenza. Il problema era che questa volta la magia bisognava crearla, dato che l'incoscienza adolescenziale – che mi aveva seguito fino a una certa età – non c'era più.

    In Sicilia, nel mese di dicembre di quell'anno, dopo tanto tempo, rincontrai Orazio, un caro amico sempre allegro, anche se introverso. Lo avevo conosciuto da giovane e avevamo condiviso molti anni delle nostre vite, in Italia e all'estero. Avevamo intrapreso strade diverse, ma l'amicizia era rimasta salda.

    Gli parlai di quello che stavo vivendo e di come mi sentivo. Mi rispose che anche lui si poneva tante domande e che, come me, era alla ricerca del suo posto nel mondo. Era la prima volta che vivevamo insieme momenti tristi: le emozioni che stavamo provando erano talmente intense che finimmo quella conversazione con le lacrime agli occhi.

    Continuammo poi a chiacchierare, ricordando i magnifici momenti del passato, e gioimmo per tutta la serata. Infine, prendemmo la decisione di tornare a Londra entro pochi mesi, per ricominciare. Quella decisione ci rese felici: ambedue avevamo bisogno di ritornare a vivere.

    Dopo quasi 11 anni a Dublino, nella primavera del 2008 – a trentotto anni – tornai nella capitale inglese. Orazio ed io affittammo un appartamento a Barking, nella periferia est. Iniziai a lavorare come team leader al Café del City Airport, ma, col passare dei mesi, per via degli orari di lavoro irregolari, cercai un altro impiego. Ne trovai uno come barista in una caffetteria presso gli uffici di una banca, a Canary Wharf.

    Trascorsero altri mesi, durante i quali capii che la mia esistenza andava ben oltre quel trasferimento e la grande amicizia con Orazio.

    Rimuginavo spesso.

    Quell'infinità di strane cose che fluttuavano nella mia mente mi faceva anche pensare che, forse, stavo vivendo in un mondo tutto mio; che, probabilmente, ogni persona a modo proprio sta vivendo il suo incomprensibile e segreto universo, fatto di sogni e di idee inattuabili.

    Nella mia immaginazione e nel mio animo, continuavo a credere nei sogni e nella magia, e che un giorno sarebbe successo qualcosa che avrebbe cambiato la mia vita. Nella mente avevo creato uno spazio che mi diceva che quello che stavo vivendo era soltanto un periodo transitorio. Nel contempo, la mente mi diceva che quei pensieri erano solo inutili speranze.

    A volte pensavo che soltanto una donna che comprendesse la profondità del mio animo sarebbe riuscita a riempire la mia vita; allo stesso tempo, mi domandavo se esistesse e se la mia felicità dipendesse da lei.

    Mi trovavo di fronte a un futuro oscuro e illeggibile e paradossalmente mi capitava di sfogarmi, bestemmiando un Dio che pensavo non esistere.

    Non mi vedevo né nel presente né nel futuro, ma non potevo fare nulla per cambiare lo stato delle cose, tantomeno la mia natura. Avrei voluto fuggire da tutto, ma non potevo scappare da me stesso.

    Tale situazione mi causava forti mal di testa, ma purtroppo non riuscivo a fermare il fluire dei pensieri.

    Un giorno accadde una cosa strana. Il mal di testa che mi portavo dietro da tempo sparì di colpo e sorse in me una emozione nuova. Non riuscivo a spiegarmi quella particolare sensazione che mi attraversava: credevo di conoscerla, ma mi sfuggiva.

    Capitolo 2

    La svolta

    Era dicembre del 2009 ed era trascorso all'incirca un anno e mezzo da quando ero tornato a Londra. Una mattina, mentre stavo lavorando, mi venne in mente di scrivere un libro. Pensavo di raccontare del periodo da favola vissuto durante il primo anno a Londra e poi durante gli anni trascorsi a Dublino; confidavo che quei momenti, che tanto mi avevano reso felice, mi avrebbero portato a scrivere un gran bel libro. Pensavo anche di scrivere dell'infanzia e di quant'altro di positivo mi avrebbe ispirato. Molti anni prima avevo parlato a un amico di questa idea e avevamo conversato sulle difficoltà di realizzarla.

    La voglia di riprendermi la mia vita, di fare qualcosa di diverso, in cui forse avrei trovato la mia strada, sembrava aver tracciato un sentiero nella mia mente, dando un'anima a quell'idea.

    Mi feci trasportare dalle sensazioni: mi sentivo ispirato. Mi resi conto che questa nuova energia era diventata una costante; mi sentivo diverso, come se quest'energia mi stesse dicendo di fidarmi del mio intuito e di ciò che avevo pensato di fare. Ero sicuro che scrivere quel libro avrebbe rivitalizzato la mia esistenza.

    I mal di testa erano un lontano ricordo. In poco tempo mi convinsi – e lo feci sapere a Orazio, che però espresse perplessità – che il libro mi avrebbe cambiato la vita.

    Comprai il mio primo notebook di seconda mano e lì trascrissi tutte le idee e i pensieri che nel frattempo avevo scribacchiato su vari foglietti. Portavo carta e penna sempre con me: ogni momento sarebbe stato buono per scrivere. Mi sarei fermato a prendere appunti in qualunque luogo e mi sarei alzato anche di notte, quando credevo di aver avuto una grande idea e non volevo lasciarmela sfuggire.

    Lavorando cinque giorni a settimana, mi dedicavo al libro la sera e i weekend. Iniziai a scrivere sia in italiano sia in inglese, secondo i pensieri che mi si presentavano. Dopo qualche settimana, avevo già annotato alcune idee su come intitolare il libro.

    Col passar del tempo, però, mi resi conto di aver iniziato il lavoro più difficile della mia vita.

    Un sabato mattina, andai in biblioteca a cercare alcuni testi sulle regole principali per strutturare un libro. A casa, diedi un'occhiata ai vari libri che avevo preso, poi mi concentrai solo su uno. Lo lessi e trascrissi su un quaderno le nozioni più importanti; giornalmente, durante il tragitto per andare al lavoro, studiavo gli appunti. Feci installare la linea Internet, così da trovare informazioni anche in lingua italiana.

    Talvolta, per riflettere e rilassarmi, andavo al parco vicino a casa dove, un giorno, mentre camminavo, vidi a terra un luccicante cuoricino color argento: lo presi e lo conservai.

    A marzo, andai in Sicilia per una settimana, per stare un po’ con la famiglia, ma non dissi nulla di quello che stavo facendo: prima volevo terminare il libro e solo quando sarebbe stato pronto lo avrei fatto leggere ad altri.

    L'esperienza mi suggeriva di non condividere con nessuno quello che stavo facendo. Non volevo che qualcuno interferisse con il mio pensiero e magari mi condizionasse. Ma soprattutto non avevo bisogno di sentirmi dire che non ero all'altezza, che stavo perdendo tempo, che non ce l'avrei fatta o che a quarant'anni era troppo tardi per diventare uno scrittore. Nessuno sapeva quello che avevo in testa, nessuno conosceva il mio stato d'animo e, soprattutto, nessuno era al corrente che in me si era acceso qualcosa che solo io potevo comprendere.

    In quei giorni, curiosai in un negozio di libri nella cittadina di Milazzo e acquistai un testo: Nulla succede per caso: le coincidenze che cambiano la nostra vita, di Robert H. Hopcke.

    Dopo, in auto, ripensando al titolo, mi chiesi il perché di tale scelta: in realtà non mi passava neanche per la mente che esistessero coincidenze che cambiano la vita.

    Tornato a Londra, iniziai il nuovo turno di lavoro, questa volta part-time, che avevo concordato con la manager della caffetteria. Finalmente avevo più tempo da dedicare al testo e mi ci immersi completamente. Anche se la paga mi sarebbe bastata appena per vivere, avevo abbastanza risparmi per non perdermi in preoccupazioni.

    Le prime pagine che scrissi mi entusiasmarono: decisi che sarebbero state l'introduzione. Credevo che io e il libro stessimo per diventare un'unica cosa.

    Ecco un estratto di quelle pagine.

    Un giorno, mia mamma, durante una chiacchierata in famiglia, disse a mio papà: «Nostro figlio ha la magia».

    Sentendo quella frase, sorrisi, ero felice. In verità pensavo che fosse vero.

    La magia si deve cercare, scoprire, inseguire; tutto dipende da ciò che si vive e da come si vive.

    Un filo invisibile e infinito lega ogni individuo al cuore dell'universo: è importante scoprirlo.

    Posso fare un viaggio fuori dalla realtà?

    Il viaggio della mia vita si può trasformare in magia?

    Partire per un viaggio senza sapere quando finirà è già magia…

    La passione per la vita è qualcosa che ognuno ha dentro e va oltre qualunque orizzonte: la si scopre soltanto aprendo il proprio cuore. La passione si manifesta in qualunque azione, avvenimento, incontro…

    Ho sempre avuto bisogno di libertà. Probabilmente è per questo desiderio che da piccolo, la notte, sognavo di volare; dopo essere saltato dalla vetta di una montagna, prendevo il volo come un'aquila.

    Oggi, dopo circa trent'anni, ogni tanto mi succede ancora di volare.

    Ho sempre sognato di volare, di notte, di giorno…

    Durante la mia vita, ho scoperto tante cose e ho riscoperto il bambino che vive in me. Così, da grande, ho iniziato a vivere come un bambino, ma spesso, durante il giorno, mi calavo nei panni di un adulto. Ero costretto a pensare e a fare le cose che fanno i grandi, ma continuavo a sognare come un bambino. Non ero il solo; anzi, ne ho incontrati molti come me.

    Ero sempre attivo, immerso nella vita, con quell'energia che, adesso me ne rendo conto, proviene da qualche luogo dell'universo. Sembrava fossi arrivato da una stella, l'energia cosmica mi stava facendo volare. Tutto quello che stavo vivendo era un sogno, solo che ancora non lo sapevo. Ero dentro un film, il tempo si era fermato. Non sapevo che qualcuno stava filmando, non sapevo che quel film era la realtà di un viaggio indimenticabile…

    Iniziai a scrivere di Dublino e degli amici incontrati e, scrivendo, affioravano molti ricordi.

    Mi soffermai a pensare a una ragazza di nome Sophie che aveva lavorato insieme a un mio amico in un altro Bewley's Café vicino a quello dove lavoravo io. La prima volta che l'avevo vista, avevo avuto la sensazione di conoscerla già. Per lei avevo provato qualcosa di particolare e misterioso, mi era sembrato di conoscerla da sempre, ma non ero riuscito a capire tale percezione.

    Avevo voluto saperne di più, ma avevo pensato che non sarebbe stato facile scoprirlo, anzi, che sarebbe stato impossibile. Ero stato certo solo del fatto che non si era trattato di un colpo di fulmine o di amore a prima vista. Non avevo detto niente a nessuno, perché avevo pensato che tra i miei amici neanche uno sarebbe riuscito a darmi una spiegazione.

    Erano trascorsi tanti anni e, pensando a lei, avvertivo una certa emozione senza riuscirne a capire il motivo. Mi sarebbe piaciuto parlarle, così la rintracciai, grazie al numero di telefono di sua madre che lei mi aveva dato quando era andata via da Dublino.

    Credendo che una telefonata potesse disturbarla, le scrissi un messaggio. Mi rispose entusiasta e la sera la chiamai.

    L'emozione di risentirci fu intensa. Durante quella lunga chiacchierata, mi raccontò degli studi che stava svolgendo e del lavoro nel servizio sociale; era certa che aiutare i bambini con problemi di adattamento fosse lo scopo della sua vita. Io le parlai un po’ della mia vita, ma principalmente del testo che stavo scrivendo e delle sensazioni che mi procurava. Le chiesi se mi avrebbe aiutato a scrivere il libro, parlandomi delle emozioni di quegli indimenticabili anni nella capitale irlandese. Mi rispose che l'avrebbe fatto volentieri e mi invitò ad andare a trovarla per un weekend. Fui felice della sua proposta e rimanemmo d'accordo di rivederci durante l'estate.

    Capitolo 3

    L’11:11

    Una mattina – era la fine di aprile –, mentre ero intento a scrivere, mi girai per guardare l'ora: erano le 11:11. L'indomani successe nuovamente e ritenni fosse insolito. Il terzo giorno ancora, questa volta pensai fosse un avvenimento fuori del comune. La settimana andò avanti così, si verificò pure qualche sera. Anche se quelle coincidenze erano sorprendenti, ero così preso dalla scrittura che non vi davo peso.

    Le 11:11 continuarono a presentarsi nei giorni seguenti e ciò mi spinse a pensare che fosse più di una banale coincidenza.

    Ogni mattina, mentre ero intento a scrivere, quando non vedevo le 11:11 sulla sveglia digitale, mi succedeva di vederle sul notebook o sul telefonino quando mi arrivavano chiamate o messaggi.

    Perché non guardo l'orologio alle 11:10, alle 11:12 o alle 11:13? mi domandavo.

    Quella sequenza di quattro numeri 1 consecutivi si mostrò anche in altre circostanze: al supermercato, il cassiere mi lasciò a bocca aperta quando mi chiese di pagare 11 sterline e 11 pennies. All'ufficio postale, dopo aver pagato una bolletta, mi accorsi che la transazione era stata fatta alle 11:11. Mi chiesi perché avessi guardato quel minuscolo orario, senza nessuna intenzione di farlo.

    Non ero mai stato un appassionato di numerologia, i numeri mi servivano soltanto per svolgere le attività di ordinaria amministrazione.

    Le 11:11 che sparivano per qualche giorno, per poi inaspettatamente ritornare per diversi giorni consecutivi, attiravano sempre più la mia attenzione. Tuttavia, non riuscivo a capire, né a darmi una spiegazione del perché accadesse.

    Dopo circa un mese, una sera decisi di parlarne con Orazio.

    «C'è una cosa importante che devo dirti, promettimi che resterà tra noi.»

    «Okay dimmi, sai che di me ti puoi fidare.»

    Orazio mi osservava. «Ti è mai capitato di guardare l'orologio alle 11:11 per diversi giorni di fila?»

    «No. Perché?»

    Gli raccontai ciò che mi era successo.

    Dopo qualche minuto, Orazio mi chiese: «Stai parlando seriamente?».

    «Da quanto tempo mi conosci? Saranno vent'anni, forse di più. Ti ho mai fatto un discorso del genere?»

    «No, mai.»

    «Per favore, siediti dieci minuti, anzi 11!» Gli sorrisi. «Sta succedendo qualcosa. Finora non ti ho detto niente perché non pensavo fosse importante: in verità non so se lo sia. Sono possibili tutte queste coincidenze? Non ti sembra parecchio strano?»

    «È strano, ma cosa vuoi che ti dica.»

    «Quante sono le probabilità di vedere l'orologio alle 11:11 in una giornata composta da 1440 minuti? Capisci cosa ti voglio dire? Sono solo due volte! Centoventi secondi in ventiquattro ore! Le probabilità sono quasi nulle.»

    Orazio mi guardò perplesso. La conversazione si concluse con lui che mi diceva che sicuramente un giorno non sarebbe più accaduto, mentre io cercavo di dare una spiegazione razionale al motivo per cui quell'orario era sempre davanti ai miei occhi.

    Avevamo deciso di andare insieme in vacanza, in Grecia, e così, una mattina, mi recai in centro a fare shopping per l'imminente stagione estiva. Comprai magliette, pantaloncini e calze di diversi colori; alcuni di quegli indumenti erano decorati con piccole stelle. Mi domandai il motivo di quella scelta per me piuttosto insolita.

    Agli inizi di luglio partimmo per Kos. Sull'isola, ogni mattina, uscendo dalla camera dell'hotel, lasciavo il telefonino nel cassetto del comodino. Volevo allontanare quelle coincidenze numeriche dalla mia vita, ma in spiaggia, le poche volte in cui chiesi l'ora a Orazio, il suo orologio segnava le 11:11. Ci guardavamo sorpresi, non ci sembrava vero. Alcune volte, quell'ora si mostrò anche quando andavo a bere un caffè al bar. Non credevo ai miei occhi quando, alla cassa o seduto al tavolo, mi ritrovavo ad alzare lo sguardo e vedere l'orologio appeso al muro che segnava le 11:11.

    Quelle coincidenze erano andate oltre ogni possibile fondamento razionale, ma ancora non sapevo cosa pensare.

    Riflettevo spesso su come scrivere il libro, quindi sui momenti vissuti a Londra, a Dublino, e scrivevo su carta i pensieri che mi accompagnavano. Parlavo spesso con Orazio degli straordinari momenti vissuti insieme e ciò mi aiutava a sviluppare altre idee. Quando credevo d'aver scritto qualcosa di bello e importante, la sera glielo leggevo.

    A volte improvvisamente sensazioni mai provate mi attraversavano; avveniva in qualche istante e non riuscivo a spiegarmi cosa mi succedeva. Era come se qualcosa d'invisibile, piano piano, si stesse facendo largo dentro di me. Certe volte pensavo che quegli istanti appartenessero alla mia infanzia, altre, che fossero qualcosa di simile ai momenti spensierati vissuti con i miei amici.

    Quelle percezioni mi ispirarono di tatuarmi un'aquila in volo: sentivo che stavo iniziando nuovamente a volare. Sognavo a occhi aperti pensando al testo che stavo scrivendo; ero sempre più convinto che quel libro mi avrebbe cambiato la vita.

    Tornai a Londra pieno di energie. Avvertivo in me la freschezza di un adolescente e mi sentivo ispirato. Cominciai ad alzarmi presto, scrivevo prima di andare al lavoro e poi la sera.

    Dopo qualche giorno, ripresi a vedere le 11:11, e con esse sopraggiunsero ulteriori domande. Avevo bisogno di una spiegazione razionale, ma non avevo idea di cosa fare. Visto che quell'orario, ogni volta, sembrava volesse cogliermi di sorpresa, per capirci qualcosa decisi di concentrarmi su di esso e provare io a vederlo. Non so, era come se avessi deciso di sfidarlo. Fu una settimana di tentativi vani: ogni volta che si avvicinava quell'orario, qualcosa mi distraeva dal mio intento e così vedevo sempre le 11:12 o le 11:13. Il giorno in cui smisi di cercarlo, i miei occhi caddero sulla sveglia digitale: segnava le 11:11.

    Sorrisi. Un vero e proprio mistero.

    È difficile spiegare come mi sentissi, ma le 11:11 sembravano voler farmi compagnia, comunicarmi qualcosa…

    Dopo qualche settimana, in giro per il mercato di Camden Town, fui colpito da alcuni cartelloni esposti da un uomo all'incirca della mia età che leggeva la mano. Appresi che Gary era un ipnoterapista, un sensitivo, un Reiki Master, uno Spiritual Healer e chiromante qualificato. Oltre ad aiutare la gente in molte cose – ad esempio recuperare la salute dopo un trauma, o smettere di fumare – sapeva cantare, componeva canzoni e scriveva articoli per un giornale nazionale, nonché per la gazzetta della sua zona. Grazie alle sue capacità, era spesso ospite di

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