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Quando Chiudo gli Occhi. Storia sul Coraggio di Rinascere: Storia sul Coraggio di Rinascere
Quando Chiudo gli Occhi. Storia sul Coraggio di Rinascere: Storia sul Coraggio di Rinascere
Quando Chiudo gli Occhi. Storia sul Coraggio di Rinascere: Storia sul Coraggio di Rinascere
E-book222 pagine3 ore

Quando Chiudo gli Occhi. Storia sul Coraggio di Rinascere: Storia sul Coraggio di Rinascere

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Info su questo ebook

Julien è al volante della sua automobile. Non ricorda né perché né da dove sia partito, ma riconosce la città verso cui sta viaggiando: la città dove ha vissuto con sua moglie. Inspiegabilmente riceve un messaggio proprio da lei, lei che è malata e ormai ridotta a uno stato vegetativo, in cui gli chiede di raggiungerla nel loro posto segreto. Julien chiude gli occhi e inizia così un viaggio alla sua ricerca che lo costringerà a ripercorrere gli eventi che hanno causato la nascita dei suoi sensi di colpa, percorrendo un tragitto alla riscoperta di se stesso e della natura umana, dell'istinto e della coscienza, dell'affermazione dell'io e della legge morale: un tragitto che potrà guidarlo all'eterno dolore oppure all'alba di un nuovo giorno.

Quando Chiudo gli Occhi è un romanzo psicologico in cui la narrazione degli eventi si intreccia con riflessioni introspettive e filosofiche. È un libro che porta a mettere costruttivamente in discussione le proprie convinzioni morali, permettendo di guardare gli eventi passati e presenti, oltre alle scelte future della vita, sotto una nuova luce. È un viaggio interiore che consentirà di osservare e rielaborare criticamente i propri pensieri, di destrutturare e analizzare i ricordi per trarne nuovi elementi conoscitivi, innescando un meccanismo che risveglierà una profonda consapevolezza di sé e una nuova forza con cui affrontare la vita.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2024
ISBN9791222745725
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    Anteprima del libro

    Quando Chiudo gli Occhi. Storia sul Coraggio di Rinascere - Alessandro Accardo

    Premessa

    Ho iniziato a scrivere quando ero bambino. Proprio come per la stragrande maggioranza delle persone, la prima cosa che ricordo di aver iniziato a scrivere era un diario. Vi scrivevo essenzialmente i sentimenti che nutrivo verso i miei compagni di classe, con la semplicità naturale che appartiene ai bambini. Scrissi poi un tema che raccontava le mie vacanze estive quando mio nonno era ammalato, vacanze durante le quali perse la vita. Col passare degli anni scrissi poi altre piccole cose, come lettere a ragazze e piccoli racconti di fantasia sulla mia infanzia. Tutti quegli scritti avevano una cosa in comune: erano la trascrizione delle mie emozioni, come un istintivo tentativo di rendere materiale ciò che è immateriale.

    Se voi doveste spiegare cosa significhi scrivere, come lo fareste? Esprimere le parole per mezzo grafico anziché orale? Trascrivere dei concetti, delle idee, delle descrizioni? Fermare i concetti su carta tramite la conversione delle parole in forme visive?

    No, per me scrivere non è solo convertire le parole in segni, codificarle in una nuova forma o in un differente linguaggio. Per me scrivere non è descrivere.

    È qualcosa che va ben oltre.

    Quando si scrive, il processo mentale che si crea è incredibilmente affascinante: i ricordi si uniscono alle nostre esperienze e vengono riplasmati in maniera diversa a seconda di quello che è il nostro stato d'animo. Quando mettiamo nero su bianco le parole, il risultato non è la trascrizione di qualcosa, ma la sua creazione. Un ricordo scritto non è la mera descrizione di esso, bensì la nascita di una nuova consapevolezza, figlia della nostra mente e del mondo che ci circonda. Quella consapevolezza può insegnarci tante cose su noi stessi, permettendoci di ricordare chi eravamo, di constatare chi siamo, e di decidere chi saremo.

    Scrivere per me non è descrivere: scrivere per me è rinascere.

    Parte degli episodi di questo libro li ho iniziati a scrivere ben tredici anni fa. Era per me un periodo molto duro. Avevo diciannove anni, mi ero reso conto che la facoltà universitaria cui mi ero iscritto non faceva per me e avevo dei forti sensi di colpa legati alla relazione con la mia compagna di allora. La scrittura fu ciò che mi salvò, la cosa che mi diede una nuova forza per poter superare quel periodo triste e ricominciare da zero. Proprio come ho descritto poc'anzi, scrivere mi permise di unire i miei ricordi, le esperienze che avevo vissuto e le varie opere letterarie, cinematografiche, musicali e videoludiche che mi avevano in qualche modo segnato, riplasmando il tutto in qualcosa di completamente nuovo attraverso le mie emozioni. Quel processo mi diede la possibilità di imparare qualcosa su me stesso e di comprendere di più l'essere umano. Capii che l'essenziale era guardare il tutto conscio di non sapere in realtà nulla, con un occhio critico, destrutturando i concetti, i pensieri e le esperienze per ricavarne nuova conoscenza. Con questa nuova consapevolezza, gli anni a seguire mi permisero di ottenere dei risultati eccelsi all'università prima e sul lavoro poi.

    Alcuni anni fa, però, l'insoddisfazione e la frustrazione iniziarono a farsi strada prepotentemente dentro di me.

    Ero un manager in una delle più grandi multinazionali d'Europa. L'estrema competitività del settore in cui operavo e la necessità di sacrificare in toto il mio tempo e le mie energie per ottenere i risultati sempre più esigenti che venivano richiesti mi fecero raggiungere un livello di stress che ormai era a un punto di non ritorno. Fu allora che quella mia capacità di guardare il tutto in maniera critica mi venne in aiuto.

    Tutto quello che stai facendo ti rende felice?

    Ti senti realizzato?

    Ti senti rappresentato nel Paese in cui vivi?

    Dove ti porterà questa strada che stai percorrendo?

    Il tuo tempo vale tanto quanto il tuo stipendio?

    Queste erano solo alcune delle domande che mi portarono alla fine a prendere la drastica decisione di abbandonare tutto.

    Lasciai il lavoro e l'Italia, con il desiderio di ricominciare ancora una volta da zero.

    Oggi sono una persona completamente nuova. Ho un lavoro con uno stipendio più basso, ma un lavoro che mi soddisfa e gratifica. Ho del tempo da dedicare a me, alla mia compagna e alle persone a me care.

    Ho la forza per pensare e creare, ed ecco come alla fine è nato questo libro. Forte del fatto di essere assolutamente cosciente di aver preso le giuste decisioni e consapevole che lo devo alle persone e alle opere artistiche che hanno toccato la mia vita, ho deciso di riprendere gli episodi che avevo scritto in quei momenti duri e tracciare la linea che unisse il tutto.

    Con un unico obiettivo: rinascere e far rinascere.

    Prologo. Il frutto delle verità

    C'è stato un periodo della mia vita in cui ho vissuto quella che viene comunemente chiamata depressione. Ricordo che in quei giorni non avevo le forze per fare niente. Passavo le giornate intere a letto, steso su un fianco a fissare le pareti. Mi sentivo vuoto, perso, inutile, colpevole, e solo. Ogni volta che chiudevo gli occhi rivivevo perpetuamente le azioni di cui mi sentivo in colpa, subendone i dolori che avevano causato a me e alle persone a me care.

    A un certo punto, però, successe qualcosa di particolare: quando dormivo, sensazioni nuove nascevano negli attimi di calma, sensazioni scaturite da sogni strani, talvolta meravigliosi, talvolta spaventosi. Spesso mi capitava di sognare dei luoghi stupendi, dei posti calmi ed eleganti, città antiche nella notte con case illuminate da vecchi lampioni e avvolte delicatamente dall'edera.

    Ricordo che cercavo di vedere tra le finestre, cercavo qualcuno: un'anima pia e amica, qualcuno da conoscere, da scoprire, qualcuno da venerare e amare. In uno di quei sogni ci riuscii.

    Riuscii finalmente a intravedere qualcosa: una figura femminile dolce ed elegante, dai lineamenti teneri e i capelli dorati. Una candela illuminava leggermente il suo volto, e a me, che mi trovavo per strada e guardavo lei lì in alto, sembrava come se mi guardasse, sorridente.

    Quando riaprii gli occhi mi sentii diverso, come se qualcosa mi avesse dato sollievo, come se avesse punzecchiato la mia interiorità, cercando di ridarmi il desiderio di scoprire, il desiderio di vivere.

    Ricordo che mi capitava sempre più spesso di fare sogni del genere. Ciò mi spingeva a non alzarmi dal letto, col desiderio di scoprire ogni volta qualcosa di nuovo, di trovare un tassello di quel mosaico che tanto volevo costruire. Io ero certo che c'era qualcosa che quella ragazza voleva dirmi, qualcosa che quei luoghi volevano dirmi; essendo tutti loro figli della mia mente, c'era qualcosa che il mio io voleva dire.

    Un giorno, però, quando chiusi gli occhi, feci un sogno completamente diverso. Ricordo un luogo scuro, spaventoso, una stanza ampia dove c'erano due omini attorno a un uomo steso su una brandina. Quell'uomo era obeso, nudo, soffriva tanto: il suo volto pallido, la sua fronte corrugata e i suoi occhi strizzati lo comunicavano a squarciagola. Tossiva molto vigorosamente, come se avesse qualcosa incastrato in gola, qualcosa da cui liberarsi. Nel mentre, invece, i due omini ridevano e saltellavano intorno a lui. Sentivo che qualcosa di terribile stava per accadere, che quei due omini stavano per far del male a quell'uomo sofferente. D'un tratto iniziarono a smanettare su una serie di attrezzature, coltelli, forbici, tenaglie, ma la loro attenzione cadde su qualcosa in particolare: un grosso tubo collegato a una pompa aspirante. Lo presero e iniziarono a saltellare e sghignazzare. Nel frattempo, l'uomo continuava a tossire sempre più forte, quasi come se cercasse di vomitare, ma inutilmente: non riusciva a liberarsi. Alla fine, si lasciò andare affranto, avvilito, abbattuto dal fatto che per liberarsi non c'era altro modo: si lasciò inserire dai due omini quel tubo nella gola e loro iniziarono ad aspirare. Ricordo che ero terrorizzato, che guardavo quella scena con la consapevolezza che il tutto sarebbe finito in modo tragico, ma non riuscivo a togliere gli occhi da lì. Desideravo vedere quell'agonia: ne sentivo il viscerale bisogno. L'uomo obeso soffriva sempre di più, ma nulla usciva da dentro di lui. I due omini aumentarono il vigore e la ferocia del loro operato, sempre ridendo come dei matti, e a un certo punto successe l'inevitabile. Ricordo l'uomo prima gridare, poi finalmente emettere dal suo interno qualcosa: quel qualcosa erano le sue viscere, la sua carne e il suo sangue. I due omini si fermarono e guardarono il corpo ormai trapassato dell'uomo obeso. Finalmente aveva trovato la pace. Era riuscito a liberarsi da ciò che aveva dentro, ma lo aveva fatto a scapito della vita. Chissà se le sue budella, la sua carne e il suo sangue erano effettivamente ciò da cui voleva liberarsi... Forse in un certo senso sì, ma la morte sono sicuro che non la desiderava. Sapete come faccio a saperlo? Perché, pensandoci, quel sogno, che era figlio della mia mente, voleva comunicarmi qualcosa: quell'uomo obeso e sofferente ero io.

    Io era così che mi vedevo, come una persona straziata, triste, ripugnante, ma che al suo interno possedeva tante cose che però non conosceva, cose che desiderava far uscir fuori. Quell'uomo obeso, però, nel disperato tentativo di soddisfare le sue ambizioni, ci ha rimesso la vita, per mano di due diavoletti che sempre gli uomini portano con sé, ovvero la curiosità e la follia. Quello che quell'uomo obeso espulse dal suo corpo erano i suoi organi, il suo sangue, la sua vita sotto forma di carne.

    Capii quindi che dentro di noi abbiamo tante cose, tante paure, tanti desideri, tanti timori, un istinto e una coscienza. Ma alla fine siamo fatti di carne e ossa. I nostri sogni sono frutto dei nostri pensieri, ed essi frutto della nostra natura.

    Siamo degli animali, e questa è in realtà la verità più pura. Quella basilare.

    Con l'acquisizione di questa consapevolezza, iniziai a elaborare nuovi pensieri. Cercai in tutti i modi di analizzare quel senso di colpa che mi aveva trascinato in quello stato di depressione. Cercai di capire perché quel perpetuo malessere mi stava portando a fare dei viaggi mentali il cui unico fine era quello di farmi soffrire. Forse il dolore era l'unico modo con cui il mio inconscio mi permetteva di redimere le mie colpe? Iniziai a pormi diverse domande.

    È possibile stabilire in maniera totalmente pura e oggettiva se una colpa è davvero grave come sembra?

    Chi può giudicare gli errori?

    Qual è il metro per misurare la gravità di una colpa?

    Cadere nel vizio, sguazzare nella lussuria e nella gola è davvero cosa da poco?

    Chi può mostrarci cosa è giusto e cosa non lo è?

    È così grave la morte?

    Qualsiasi risposta cercassi di dare a quelle domande, come per esempio l'esistenza di Dio oppure la giustizia come concetto fisso e assoluto, non mi convinceva in alcun modo. Difatti, ogni concetto di morale può essere confutato, capovolto e rielaborato usando la logica e la dialettica, guardandolo con nuovi occhi, motivo per cui tutte le teorie assolutistiche che mi passavano per la testa erano per forza di cose sbagliate.

    Alla fine, arrivai alla conclusione che non esiste una morale assoluta, ferma, pura, immodificabile e inappellabile, ma solo una relativa, bensì straordinariamente potente. Tutti sentiamo la presenza della morale dentro di noi, la percepiamo sotto forma di imperiosa legge, proprio perché percepiamo il senso di colpa.

    L'angoscia, la rabbia, l'ira, il disgusto: sono tutte emozioni che riusciamo ad avvertire e che in un modo o nell'altro finiscono sempre per condizionarci. Queste emozioni ci portano a pensare, a ragionare, sia prima che dopo aver agito. Siamo noi la morale: siamo noi che sappiamo quando meritiamo la punizione. È per questo che in fondo la desideriamo: perché la punizione è la giusta conseguenza delle nostre azioni. Possiamo dire quello che vogliamo, manipolare chi ci circonda e far dimenticare i nostri peccati, far passare un delitto per la salvezza, un meritato castigo per ingiustizia, ma i conti col nostro senso morale prima o poi li faremo tutti.

    La nostra testa ci redimerà col dolore, poiché sa che meritiamo la punizione, sa che senza di essa non può andare avanti. La morale esiste, esiste dentro di noi, e il senso di colpa è l'unica cosa da cui non si può scappare.

    Quando il dolore è troppo, il peccato diventa il nostro totem, lo riviviamo e ritroviamo in tutto ciò che ci circonda, finché non facciamo i conti con noi stessi. Quando quel momento arriva, le vie che si aprono di fronte a noi sono due. È quando quel momento arriva che dentro di noi si risvegliano due fazioni da sempre rivali tra loro, ovvero l'istinto e la coscienza. La loro naturale rivalità li porta a combattere con armi sempre più crudeli, ognuno desideroso di schiacciare l'altro, ma quando ciò si realizza, il risultato è la fine del tutto. Quando invece a dominare è l'equilibrio delle forze, allora il risultato è la pace, il silenzio: quello è il vero momento in cui avviene la comunione con l'esistenza intera.

    La storia che state per ascoltare, la storia di Julien, è il frutto delle verità che ho scoperto quando ho chiuso gli occhi.

    Parte I

    1. Quando chiudo gli occhi

    Mi ritrovai improvvisamente con le mani poggiate sul volante della mia auto. Guidavo su un grande stradone che intuivo portasse a Greenside Shore. Il cielo era rosato, col sole che ancora doveva sorgere da dietro le colline. Non ricordavo assolutamente né da dove fossi partito né perché mi trovassi lì, finché non vidi sul sedile del passeggero lo schermo del mio cellulare illuminarsi. Lo presi e scoprii che avevo ricevuto un messaggio.

    Quando chiudo gli occhi, io vedo te sorridente, con uno splendido vestito elegante e un magnifico bouquet di rose rosse tra le mani. Ti vedo lì, nel nostro posto segreto, venirmi incontro sulla riva del lago, poi inginocchiarti e giurarmi amore eterno.

    Quando chiudo gli occhi, io mi sento come in paradiso. Ma tu, mio amato Julien, cosa vedi quando chiudi gli occhi? Io sono proprio lì, adesso, sulla riva del lago, aspettando il tuo arrivo.

    Amore mio: chiudi gli occhi e vieni da me.

    Un messaggio di Sofia? Come poteva avermi scritto un messaggio? Era impossibile, era contro ogni logica. Appena due anni dopo il nostro matrimonio, Sofia venne colpita da una rara malattia ai polmoni che giorno dopo giorno la trasformò da una donna solare, magnifica e piena di energie, a una creatura indifesa e sofferente, fino a farla diventare praticamente un vegetale. Anche se all'apparenza era assurdo, io ero certo nella maniera più assoluta che quello fosse davvero un suo messaggio. Potevo davvero incontrare la mia Sofia lì, proprio a Greenside Shore?

    Greenside Shore... è lì che il nostro amore sbocciò, in quella semplice cittadina avvolta tra verdi colline e chiare acque di un tranquillo lago. Io e Sofia avevamo sempre desiderato trascorrere i nostri giorni in un posto come quello, un luogo dove sembrava non poter accadere mai nulla di preoccupante, niente che potesse smuovere la quiete e minacciare la nostra serenità. Greenside Shore era il tipico luogo fiabesco che tutti gli amanti del lieto fine da sempre sognano, un luogo dove era davvero possibile vivere eternamente felici e contenti, dove passare le giornate ammirando le bellezze della natura e i volti sorridenti delle persone più semplici. Fu proprio lì che le chiesi di sposarmi, nel nostro posto segreto, dopo aver trascorso insieme una magnifica giornata sulla riva del lago, dove la dolcezza del suo volto e la pace del luogo risvegliarono in me desideri di costruzione, un'immane voglia di creare qualcosa di grande, qualcosa di speciale: una famiglia in cui poter riversare l'amore che provavo e poterne giovare per sempre. Il destino, però, così non volle. E tutto ciò non avvenne mai.

    Quel posto dalle verdi colline e dai giocondi cittadini era per forza di cose diventato parte di me. Era il luogo a cui associare le mie speranze, i miei sogni, a cui collegare il mio amore. Sentivo però una strana sensazione crescere dentro di me al solo pensiero di rivedere quella città. In cuor mio provavo una certa angoscia mista a un forte senso d'ansia, come se qualcosa per me di estremamente doloroso fosse legato a quel luogo. Ma come era possibile? Quella era la nostra città, il luogo dove il nostro amore era sbocciato e per sempre stato suggellato. Come poteva farmi male pensare a esso? Come poteva essere possibile che il luogo che doveva essere il rifugio della mia felicità potesse in realtà darmi angoscia? C'era qualcosa che non andava, qualcosa che turbava la mia anima, ma proprio non riuscivo a capire cosa. Era come se la mia mente avesse per qualche motivo oscurato parte dei miei pensieri.

    Rilessi nuovamente il messaggio che avevo ricevuto sul cellulare. Poteva Sofia davvero essere miracolosamente riuscita a riprendere coscienza e raggiungere il lago? Sarebbe stato qualcosa di sensazionale,

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