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Il potere dell'imperfezione
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E-book139 pagine1 ora

Il potere dell'imperfezione

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"A volte le parole degli altri sono come pietre e possono provocare ferite tanto profonde quanto invisibili e difficili da rimarginare."

Leggendo queste pagine scoprirai come proteggerti dai commenti più velenosi. Scoprirai cos'è il potere dell'imperfezione.

"Non gli piaccio perché non sono magra", "Gli uomini possono fare tutto, le donne no", "L'invidia tra donne non esiste", "Se lo dicono in tv, è vero" Ecco alcune delle menzogne che troppo spesso le donne si raccontano e alle quali credono a tal punto da farsi condizionare negativamente. Anche Giulia Accardi, modella e in¬fluencer, ne è stata vittima. Infatti, prima di realizzarsi nella sua professione, ha dovuto elaborare e sfatare le tante bugie che nel tempo aveva raccolto e introiettato, partendo da quella che ha segnato tutta la sua infanzia e adolescenza: "Solo se sei magra, sei bella".

Nata e cresciuta in Sicilia, Giulia è sempre stata criticata per il suo fisico abbondante e spesso è stata poco considerata in quanto "femmina". Due elementi che a lungo hanno minato la sua autostima, finché ha capito che lei è molto più di ciò che appare e che la sua grande forza risiede proprio in quelle che agli occhi di molti possono sembrare imperfezioni.

L'una dopo l'altra Giulia ha imparato a sgretolare le false verità di cui negli anni si era convinta fino a raggiungere una nuova importante consapevolezza: imparare a piacere a se stessi più che agli altri. Con coraggio e onestà, in questo libro svela per la prima volta tutte le bugie che ha dovuto combattere, la storia che si nasconde dietro ognuna e l'insegnamento che ne ha tratto. Perché solo con l'esempio, la sincerità e la solidarietà si possono abbattere i muri e imparare ad accettarsi.
LinguaItaliano
Data di uscita23 set 2021
ISBN9788830530638
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    Anteprima del libro

    Il potere dell'imperfezione - Giulia Accardi

    Introduzione

    IL MAKING OF

    Quando mi arrivò la telefonata dalla casa editrice HarperCollins che mi proponeva di scrivere un libro per loro, lì per lì pensai che si trattasse di uno scherzo da parte di qualche amico o, peggio ancora, di un raggiro in grande stile.

    Ma come, mi domandai perplessa appena riagganciai, chiedono di scrivere un libro proprio a me che non ero certo la secchiona della scuola? A me, a cui la professoressa di italiano diceva di pensare meno allo smalto e ai capelli e più a studiare? A me, a cui in tanti ripetevano di stare con i piedi per terra e non con la testa tra le nuvole, dei cui sogni in tanti si facevano beffe, su cui in tanti non avrebbero scommesso due centesimi?

    Ebbene sì, a me lo scorso autunno chiesero di scrivere un libro, perché la casa editrice aveva molto apprezzato il mio progetto Perfectly Imperfect e i messaggi che attraverso la mia persona veicolavo e che rispecchiavano anche i valori in cui credeva HarperCollins.

    Con grandissima gioia ed emozione accettai, anche se ero consapevole che non sarebbe stata un’impresa facile e che le difficoltà da affrontare non sarebbero state poche.

    La prima si presentò praticamente al giorno 1, dopo la firma del contratto. Che forma avrei dovuto dare a questo libro, cioè: come avrei dovuto organizzare i contenuti? Cosa avrei voluto raccontare, e in che modo?

    Mi venne allora in mente di descrivere alcuni episodi della mia vita a partire da determinate frasi (pensate da me o dette da altri) che per una serie di ragioni in passato mi avevano influenzato negativamente, facendo nascere in me convinzioni del tutto sbagliate e talvolta addirittura deleterie.

    Per fortuna, però, proprio attraverso quelle esperienze ero arrivata a comprendere i miei errori, a trovare la forza di non ricascarci più e a scoprire dentro di me un coraggio e una tenacia che non sapevo di possedere. Insomma è come se quegli episodi fossero stati delle importanti lezioni di vita che mi avevano aiutato, nel bene e nel male, a diventare la persona che sono adesso e di cui sono orgogliosa.

    Poi volevo che il libro avesse un tono intimo e sincero, come se stessi chiacchierando con una cara amica a cui desideravo svelare alcuni segreti senza imbarazzi né finzioni.

    Una volta prese queste decisioni, non mi restava che scrivere materialmente il testo. Ed ecco che si presentò la difficoltà numero 2: la Lombardia di nuovo in zona rossa, ovvero un ennesimo lockdown con spostamenti tra regioni vietati, attività chiuse e altre restrizioni da fronteggiare.

    Da un giorno all’altro mi ritrovai sola e bloccata nell’appartamento di Milano, perché purtroppo non avevo la possibilità di rientrare in Sicilia.

    Ammetto che gli inizi non furono facili, anzi. Mi sentivo disorientata e non riuscivo a trovare la giusta concentrazione per mettermi a scrivere, ma pian piano recuperai la mia stabilità emotiva, il mio baricentro, e mi creai una sorta di routine quotidiana di piccoli gesti piacevoli (per esempio fare colazione con estrema calma, concedermi un bel bagno caldo e profumato), che mi permise di affrontare la quarantena in maniera più rilassata e positiva.

    E così, nel silenzio di una Milano all’apparenza deserta e in compagnia soltanto di me stessa, cominciai a scrivere pagina dopo pagina e quella solitudine obbligata mi aiutò anche ad andare a fondo nei miei pensieri e a fare chiarezza su alcuni aspetti della mia vita e di me stessa che erano ancora fuori fuoco.

    Terminata la stesura, per ogni capitolo scrissi poi un box, che contiene dritte, suggerimenti, punti di vista – alcuni seri, altri più giocosi e divertenti – che derivano dalle mie esperienze personali e che ti invito a leggere come se fossero i consigli che ci si scambia fra amiche tra una chiacchiera e una risata.

    Oggi che è giunto il momento di consegnare il manoscritto alla casa editrice, si agitano in me mille sensazioni diverse: da un lato sono contenta e soddisfatta di essere stata in grado di arrivare in fondo e di non essermi persa d’animo nonostante le difficoltà, dall’altro sento un po’ di malinconia perché questo periodo è stato un lungo e bellissimo viaggio dentro me stessa e come ogni viaggio che si rispetti ci insegna sempre qualcosa.

    Ma la cosa che ora più conta è che questo libro piaccia a te, perché qui dentro ci sono io, senza filtri né mezze verità. Qui dentro c’è Giulia.

    1

    I GRANDI HANNO SEMPRE RAGIONE

    Quando sei bambina, sei convinta che tutto quello che dicono gli adulti sia oro colato. Pensi che abbiano sempre ragione, che non si sbaglino mai e che conoscano quei segreti della vita che a te non possono essere ancora svelati, dato che sei piccola e inesperta.

    Proprio perché sono grandi ti fidi ciecamente, eppure spesso può accadere che alcune loro parole o frasi si scolpiscano a fuoco nella tua mente restandoci a lungo, nel bene e nel male. Nel mio caso purtroppo più nel male.

    Già, perché a volte le parole sono come pietre e possono provocare ferite tanto profonde quanto invisibili e difficili da rimarginare. Peccato che i grandi non badino nemmeno a questi loro commenti velenosi, soprattutto se c’è di mezzo un bambino.

    Ora ti racconto alcune mie esperienze con il mondo degli adulti, e forse, quando sarai arrivata alla fine del capitolo, sembrerà anche a te di aver vissuto qualcosa di simile…

    Avrò avuto all’incirca otto anni e stavo accompagnando mia mamma a giocare a carte a casa di un’amica. Mentre salivamo in ascensore, una delle sue compagne di gioco mi guardò e all’improvviso mi disse con un tono che voleva essere un po’ consolatorio e un po’ condiscendente: «Vita mia, non ti preoccupare che questa pancia è tutta altezza!».

    Lì per lì rimasi stupita per quel commento, non ne capivo bene il senso, anche perché io non ero affatto preoccupata per la mia pancia. Cosa aveva di strano, la mia pancia? Allora lanciai un’occhiata a mia madre che rivolse un sorriso di circostanza all’amica, ma non rispose. A casa mia infatti nessuno aveva mai fatto commenti sul mio aspetto, nessuno gli dava importanza. Per tutti ero una normale bambina paffutella che giocava con le Barbie e trascorreva le giornate nei suoi universi di fantasia.

    Successivamente, più o meno intorno ai dodici anni, ecco che mi trovai di nuovo a sgranare gli occhi perplessa per un’uscita a dir poco spiazzante.

    Quella volta ero nel salone di parrucchiera della mia nonna materna, seduta su una delle poltrone davanti allo specchio. Mi stavo pettinando i capelli, persa nei pensieri, quando dal nulla sentii una signora chiedere alla nonna: «Ma perché questa bambina ha le gambe così grosse?» e mi indicò con un cenno del mento.

    Mi pietrificai con la spazzola a mezz’aria. Poi abbassai lo sguardo sulle mie gambe: cosa avevano che non andava?

    «È ancora piccola» tagliò corto la nonna. «Deve crescere.»

    «Però scommetto che quel seno ce l’ha perché mangia troppo pollo» rincarò la cliente, evidentemente non soddisfatta di avermi messa a disagio. «Sono di sicuro gli ormoni dei polli.»

    Imbarazzata osservai nello specchio il mio accenno di seno: cosa aveva di sbagliato? E poi io non mangiavo troppa carne di pollo.

    Passò qualche tempo e un’altra frecciata era pronta a colpirmi, come sempre quando meno me l’aspettavo.

    Ero con mio papà ed eravamo appena entrati nell’ingresso del nostro condominio; ricordo che stavo mangiando un lecca-lecca, poi la voce della portinaia come una lama nella schiena: «Eh eh, signorina, tu non le dovresti nemmeno guardare, le caramelle».

    Restai di stucco e fissai mio padre, con un’espressione interrogativa dipinta sul viso: perché io non devo mangiare le caramelle?

    Persino quando andavo in campagna dalla mia nonna paterna, le critiche odiose degli adulti mi seguivano a ruota, non lasciandomi godere in pace quei momenti preziosi.

    Mia nonna, infatti, ha sempre avuto la passione per la cucina e, visto che a casa c’era il forno a legna, qualche volta invitava delle amiche a cucinare. A me piaceva stare insieme a loro a preparare il pane cunzato e altre delizie, che poi naturalmente mangiavamo. Finché un giorno, non appena avevamo tirato fuori dal forno il pane caldo e croccante, un’amica di mia nonna mi si avvicinò ed esclamò: «È meglio che tu ne mangi la metà di questo». Dopodiché con nonchalance mi tolse il pane dalle mani e ne staccò un pezzo. In quell’istante mi sentii talmente a disagio che preferii non assaggiarlo neanche.

    La cosa triste è che più crescevo, più queste frasi diventavano frequenti e più io ne soffrivo, proprio come la volta a cena dalla mia amica Marta.

    Quella sera avevamo in programma di andare in discoteca, ma prima io e le mie amiche eravamo andate da Marta per una pizza e per prepararci insieme. Eravamo cariche e felici e continuavamo a scambiarci opinioni e idee su cosa avremmo indossato, su come ci saremmo pettinate, sul trucco, le scarpe, le borse… insomma, ognuna di noi voleva fare il possibile per apparire al

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