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La ragazza con il vestito bianco e gli occhi di luce
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La ragazza con il vestito bianco e gli occhi di luce
E-book218 pagine2 ore

La ragazza con il vestito bianco e gli occhi di luce

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Info su questo ebook

La protagonista dell’avvincente romanzo di Maria Letizia Antonaci è una donna la cui vita razionale e ordinaria, trascorsa elaborando perizie e assistendo i propri clienti, viene sconvolta da alcuni sogni suggestivi. A manifestarsi a lei è Angelica, una ragazza morta settant’anni prima, affogata su una spiaggia della località Grottascura e il cui delitto è rimasto avvolto nel mistero. 
Tra le due donne è presente una forte connessione. Angelica, attraverso segnali e visioni, conduce la protagonista alla scoperta del suo passato: era una giovane di umili origini e sani principi che, per collaborare con il futuro marito, un carabiniere impegnato nell’indagine su un’organizzazione criminale, aveva cominciato a frequentare le feste dell’alta società, allo scopo d’intercettare comportamenti sospetti. Durante uno di questi incontri, aveva conosciuto un principe tenebroso e, da qual momento, la sua vita era cambiata. Che cosa è successo davvero? 
Maria Letizia Antonaci racconta una storia dalla sfumature soprannaturali, scandita da enigmi, intrighi, amore e colpi di scena. 

Laurea in Economia e Commercio, Dottore Commercialista e Revisore Legale.
Negli ultimi anni ha operato prevalentemente in salvataggi aziendali specializzandosi in diritto tributario.
Nello svolgimento della propria attività professionale ha avuto la possibilità di confrontarsi con coloro che quotidianamente, con impegno e dedizione, applicano la legge cercando di tutelare gli interessi dei più deboli.
Ha vissuto in prima persona le sofferenze di molti imprenditori in difficoltà e studiato storie e vicissitudini particolari.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2023
ISBN9788830682900
La ragazza con il vestito bianco e gli occhi di luce

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    Anteprima del libro

    La ragazza con il vestito bianco e gli occhi di luce - Maria Letizia Antonaci

    antonaciLQ.jpg

    Maria Letizia Antonaci

    LA RAGAZZA CON IL VESTITO BIANCO E GLI OCCHI DI LUCE

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7802-6

    I edizione aprile 2023

    Finito di stampare nel mese di aprile 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    LA RAGAZZA CON IL VESTITO BIANCO E GLI OCCHI DI LUCE

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1- Leggi la mia storia

    Leggi la mia storia!

    Iniziò così.

    Nel sonno, mentre dormivo.

    Il giorno prima sul mio pc era comparso il nome di una donna.

    Cambiavo i criteri di ricerca e quel nome tornava sempre. Incredibile!

    Una donna morta settant’anni prima, mi dissi, come poteva aiutarmi nella mia attività?

    Oltretutto una donna probabilmente morta annegata.

    Eppure, dal sonno mi ero svegliata con in mente questa frase: «Leggi la mia storia!»

    I miei sogni, spesso, erano l’espressione del mio lavoro.

    Mi era successo in passato che, in alcuni dei miei sogni, avessi in qualche modo trovato lo spunto per risolvere un caso, trovare una norma giuridica che supportasse la stessa pratica, aiutandomi a risolvere problemi che vivevano imprenditori in grande difficoltà.

    Questa specie di dono e quel vedere quello che altri non vedono, come qualcuno diceva, si era affinato nel tempo.

    Ero passata dalle semplici intuizioni, allo sfogliare dei documenti, nei miei sogni, fino ad arrivare a leggere quella che poteva essere una spiegazione, trovare una soluzione chiara, precisa e concordante che rappresentasse una prova diabolica, oltre ogni ragionevole dubbio, che dimostrasse le ragioni di un’azienda, un imprenditore e potesse far subentrare chi, appartenente agli organi istituzionali, potesse difendere quelle aziende e imprenditori salvando numerosi posti di lavoro, in ogni modo, la giustizia trovava una strada per arrivare.

    Mi chiesi come, tuttavia, quella storia avrebbe potuto aiutarmi nella mia attività, nulla era riconducibile a problematiche professionali e argomenti che trattavo.

    Leggi la mia storia!.

    Fino a quella notte non era successo che, addirittura, qualcuno nei miei sogni mi chiedesse di fare direttamente qualcosa.

    Quella mattina, forse presa dalla curiosità, forse perché pensando che, leggendo quella storia, si sarebbe interrotta ogni ulteriore richiesta di qualsiasi tipo, benché avessi molto da fare, aprii uno di quei link, mi dissi che sarebbe stato facile, bastava inserire un parametro di ricerca: sempre quel nome mi sarebbe uscito.

    Così fu!

    Passai dal suo nome, alla storia, alla sua fotografia e…

    Appena la vidi, sussultai.

    Il suo volto, benché la foto fosse stile antico, in bianco e nero, mi ricordò il mio.

    Cercai altre foto, colpita da quella somiglianza, quelle in cui lei stessa era più giovane e quelle foto erano straordinariamente somiglianti alle mie foto alla stessa età.

    Iniziai a leggere la sua storia.

    Non era una donna adulta.

    A differenza di quanto avevo immaginato, era una donna di ventun anni, mi strinse il cuore leggere quell’età, come il vedere il suo bellissimo volto, i suoi occhi, le sue labbra, la serenità che trapelava da quell’immagine.

    Quella storia a quel punto divenne per me più interessante e, soprattutto, desideravo conoscere il retroscena di quanto le fosse accaduto e di come fosse giunta alla morte e perché.

    Bella, discretamente bella, di una bellezza comune, i parametri sulla sua descrizione e i giornali dell’epoca erano diversi a seconda di chi scriveva.

    La base della storia appariva, comunque, la stessa.

    Una giovane donna che, probabilmente coinvolta in una serie di festini, durante uno di questi, dopo aver assunto della droga, si era sentita male e era stata portata e abbandonata sulla spiaggia per trovare poi una lenta morte per affogamento.

    Fu così che iniziai a cercare di sapere qualcosa di più su di lei e arrivai su quella spiaggia senza sapere perché.

    Quella mattina ero uscita per raggiungere un cliente, dovevo fare la valutazione di un caso per una perizia.

    La notte prima avevo sognato di nuovo quella donna.

    Si guardava intorno, mi sorrideva.

    Mi disse: Vai lì! Sulla spiaggia! e alzando il braccio con il dito indicava l’orizzonte.

    Non capivo!

    Quale spiaggia?

    Dove dovevo andare?

    La mattina seguente dunque, mi ero svegliata turbata da quel sogno, mi ero preparata.

    Avevo indossato il mio solito tailleur nero. Decisi di mettere la camicetta rossa. Indossai il mio giubbotto color avorio, presi il mio pc e la borsa e uscii.

    Entrai in macchina, la misi in moto e partii.

    La coincidenza volle che la mia destinazione fosse proprio un luogo di mare.

    Dovevo percorrere quaranta chilometri. Tanti, da sola, come tante altre volte, come per tanti altri clienti.

    Non avevo voglia di ascoltare la radio e la musica.

    Ripensavo a quella notte a quel sogno.

    Lei voleva cercassi qualcosa ma non capivo cosa.

    Era un sogno strano uno di quelli che quando ti svegli ti fanno pensare: Cosa vorrà dire?.

    La storia della sua morte fu scritta e riportata sui giornali senza raccontare la sua storia, i suoi perché, le sue fragilità, le sue paure e, soprattutto, quel che lei aveva vissuto nel quotidiano, nell’ultimo periodo della sua vita.

    Pensai, dunque, che forse volesse raccontare la sua storia, ma poi mi domandavo: Solo questo o vi sarebbe stato altro?, tenuto conto della complessità di quella vicenda.

    Non ero facilmente impressionabile.

    Ne avevo viste tante negli ultimi anni, ero abituata a emozioni forti e stress altrettanto intensi, per questo motivo non capivo come potessi provare quelle emozioni così amplificate.

    In me, tuttavia, vi era un senso di irrequietezza per quel sogno, una sensazione forte, legata proprio a quel senso di inappagato, insoddisfatto che proveniva da quella giovane donna, come se, appunto, ne riuscissi a percepire le emozioni.

    Ero in viaggio da trenta minuti.

    Arrivai all’altezza della tenuta del Presidente.

    Non avevo mai dato importanza a quel posto, del resto era solo un grande muro con all’interno, probabilmente, un bosco con molti alberi.

    Dopo quel sogno in me, qualcosa era cambiato anche rispetto alla tenuta del Presidente in quella tenuta, in quei boschi molti dovevano essere andati a caccia.

    Era come se dovessi avere delle risposte.

    Ma quali e perché quella tenuta che, mi era indifferente, era divenuta importante per i miei pensieri e perché pensavo a uomini che erano andati a caccia?

    Pensai che forse, siccome era circondata da tanti alberi, potesse essere utilizzata per la caccia, dovevo aver letto qualcosa a riguardo.

    Il cellulare squillava: qualche cliente chiamava.

    Non mi andava di rispondere, il navigatore mi diceva che mancavano dieci chilometri e quella chiamata poteva disturbare il tragitto e, soprattutto, mi avrebbe distolta dai miei pensieri e non volevo.

    Attaccai!

    Inviai un messaggio automatico di richiamata.

    La mia testa era assorta.

    Il ricordo di quella ragazza mi incantava.

    Ancora qualche altro chilometro e sarei arrivata.

    Sì! Ero arrivata sulla litoranea.

    Potevo vedere il riflesso del sole sul mare calmo.

    Il cielo era grigio.

    Mi venne da sorridere.

    Che pensiero strambo.

    Come poteva esserci il riflesso del sole se il cielo era pieno di nuvole?

    Mi fermai.

    Guardai l’indirizzo. Litoranea numero civico 142.

    Era lì che era morta quella ragazza. O almeno così dicevano.

    Mi fermai al ciglio della strada, lasciai passare le macchine che erano dietro di me, attesi che nessun altro veicolo sopraggiungesse.

    Feci inversione e tornai indietro.

    Superai l’incrocio che mi aveva portata lì.

    Andai verso la tenuta del Presidente, questa volta percorrendo la litoranea non la strada interna come all’andata.

    Gli stabilimenti scorrevano sulla mia sinistra. Denominati cancelli ... Una voce mi diceva di andare avanti.

    Arrivai presso il cancello... Mi fermai... la bandiera di questo stabilimento riproduceva un arcobaleno.

    Pensai subito fosse uno stabilimento LGBT.

    Il parcheggio era deserto, era novembre.

    Scesi dalla macchina non volevo lasciare il mio pc incustodito.

    Misi lo zainetto sulle spalle, alzai il cappuccio, presi la borsa... e mi incamminai.

    Iniziai a percorrere il ponte di legno che attraversava le dune.

    Ero a Grottascura.

    La spiaggia da lontano appariva deserta!

    Potevano esserci dei malviventi ma non avevo paura, ovvero quello che dovevo cercare, oltre a non farmi provare paura per quel luogo desolato, mi comunicava un senso di curiosa ricerca che era più importante.

    Camminavo senza sapere cosa cercare, dove andare, eppure... camminavo in una direzione... sicura... non sapevo dove andare, ma ero sicura di dover proseguire...

    Giunsi all’estremità del ponte, ero davanti allo stabilimento: finiva il legno, iniziava la sabbia tra dune silenziose.

    Intravidi un marocchino, pensai... sarà il gestore.

    Svoltai a sinistra e scesi sulla spiaggia.

    Cosa stavo cercando?

    Non lo sapevo, ma un istinto mi guidava, ero sola, eppure non mi sentivo sola.

    Giunta sulla spiaggia, andai a destra – perché a destra, non lo sapevo – ma dovevo andare a destra.

    Rividi il marocchino con un altro uomo, si stavano scambiando qualcosa.

    Pensai si stanno scambiando soldi per affari di droga?!

    Ma ero come in trance, dovevo continuare a camminare.

    Il vento aumentava, le onde del mare s’increspavano, sembrava lo scenario di un film, dove gli elementi naturali, mare, vento, si alteravano al mio avanzare, lungo quella spiaggia.

    La spiaggia deserta faceva paura.

    Una donna da sola.

    Quei due personaggi mi guardavano... mi dissi avranno pensato che sono un poliziotto, ma li avevo superati con indifferenza.

    Mi dissi staranno pensando che sono venuta a suicidarmi.

    Sorrisi.

    Continuavo a camminare.

    Gli anfibi entravano nella sabbia, ma ne riuscivano senza generarmi problemi.

    Uno di quei due uomini, non il marocchino, un uomo vestito bene, si era allontanato: era salito sulle dune e si era nascosto dietro un dosso.

    Mi stava guardando.

    Lo tenevo sotto controllo con la coda dell’occhio.

    Abbassai il cappuccio per avere maggiore visibilità.

    Sentii i capelli iniziare a volarmi intorno.

    Erano straordinariamente rossi sotto la luce, fluttuavano intorno a me come lingue di fuoco in quello scenario, erano perfetti, sembravano appartenere a uno di quei personaggi dei cartoni animati, dove il colore dei capelli cambiava e diveniva luminoso, accentuandosi, e l’aurea si espandeva formando un alone brillante intorno, come una grande e potente energia.

    Sorrisi, in effetti il clima era surreale.

    Ripensai alle parole del mio migliore amico.

    La prima volta che lo incontrai fu in un ufficio pubblico, uno di quegli uffici militari.

    Ero lì per discutere la pratica di uno dei miei assistiti. A un certo punto, nella foga della discussione, gli animi si erano esagitati e, nei tecnicismi della materia, vi era stato lo scontro tra me e lui, su quello che era corretto applicare al caso concreto.

    Al termine della discussione lui mi offrì un caffè e confessò, come a un certo punto, a lui e ai suoi colleghi, avessi fatto una certa impressione.

    Nella foga della discussione, a sentire le sue parole, i miei capelli si erano gonfiati, come i gatti che drizzano il pelo e si gonfiano, e erano diventati rossi, molto rossi.

    Sorrisi, che bel ricordo pensai.

    Passò anche quel pensiero.

    Continuavo a camminare senza meta.

    Mi chiesi cosa stessi facendo lì!

    Ma dovevo avanzare.

    Giunsi ai piedi di una di quelle dune.

    All’orizzonte vedevo delle torrette di legno di avvistamento utilizzate dai bagnini d’estate abbandonate, il vento che alzava la sabbia e le

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