Psicologia del Suicidio
Di Robert Kent
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Non c'è dubbio che il suicidio sia la morte che più ci inquieta, ma ancora poca attenzione riceve la comprensione del fenomeno. La nostra reticenza a parlare di suicidio dimostra la necessità di fuggire da un tema scomodo e, per certi versi, incomprensibile. Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno nel mondo, circa un milione di individui muore a causa del suicidio.
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Anteprima del libro
Psicologia del Suicidio - Robert Kent
Se definiamo il suicidio come l'autodistruzione del proprio essere, uccidersi è senz'ombra di dubbio una provocazione: è la chance estrema di chi si rifiuta di continuare a vivere. Se invece consideriamo il suicidio come riaffermazione del proprio essere, allora ci troviamo davanti al tentativo angoscioso di sopravvivere creando un ponte che unisce le sponde dell’essere e del non essere. Il suicidio è l’atto con il quale l’uomo può sconvolgere il piano naturale della creazione, è l’atto con il quale si arriva a superare l’istinto più potente della vita e persino l’eternità del principio divino: in questo gesto l’uomo sembra porsi al di sopra della stessa divinità, cui un tale gesto non è concesso, dal momento che la divinità è eterna per definizione dogmatica. In realtà, chi si suicida è già morto dentro
, il gesto non è che l'adeguamento alla situazione interiore; il pensiero del suicidio traduce il desiderio fondamentale di annullarsi nell’ignoto superando l'impotenza del vivere quotidiano. Hanno quindi un peso decisivo la consistenza dei legami col passato ed il relativo coraggio ad affrontare l'ignoto muovendo da una presenza deteriore in questo mondo, giacche il suicidio simbolicamente si prospetta come una caduta o un’ascesa verso una dimensione radicalmente opposta a quella dell’essere, come una porta segreta che si apre sull'ignoto e sul nulla. Sembra evidente come la via simbolica del suicidio sia il più delle volte caratterizzata dal simbolismo della palingenesi e della rigenerazione: avremo quindi suicidi silenziosi ed imprevedibili, avremo suicidi sotto l'istanza psichica del raptus, avremo suicidi disperati configurantisi come una disperata richiesta d'aiuto urlato ad un mondo indifferente e distratto; un evento esterno, una perdita, un lutto, un'ulteriore frustrazione spezzano l'instabile equilibrio interno oppure l'equilibrio crolla alla fine di una vicenda interiore che fa aprire improvvisamente gli occhi sulla penosità della propria impotenza di vivere. Il suicidio è un grido d'aiuto, talvolta una vendetta, ma anche la manifestazione eclatante del bisogno di una rigenerazione totale
.
Non c'è dubbio che il suicidio sia la morte che più ci inquieta, ma ancora poca attenzione riceve la comprensione del fenomeno. La nostra reticenza a parlare di suicidio dimostra la necessità di fuggire da un tema scomodo e, per certi versi, incomprensibile. Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno nel mondo, circa un milione di individui muore a causa del suicidio, il che equivale a dire che si realizza un suicidio ogni 40 secondi e, con dati molto attendibili, un tentativo di suicidio ogni 3 secondi. Si tratta di un fenomeno quanto mai complesso che presenta risvolti psicosociali ancora in larga parte inesplorati, ma che miete più vittime dei conflitti bellici che ogni anno, purtroppo, ancora si verificano. In questo testo cercheremo di indagare le varie articolazioni, dalle più palesi alle più recondite, di questo angosciante fenomeno, focalizzandone i nodi cruciali della dinamica psicologica, facendo tesoro dei preziosi contributi scientifici offerti dalla moderna sucidologia.
INTRODUZIONE
Non sapremo mai chi fu colui che nella notte dei tempi comprese di poter porre fine alla sua vita di propria mano, ne le motivazioni che lo spinsero ad un gesto così definitivo, resta il fatto che il suicidio è presente da sempre nelle società e nella mitologia antica. Nell'Egitto faraonico veniva concesso
di suicidarsi al colpevole di alto rango che così sfuggiva ad una morte disonorevole, la Regina Cleopatra si sottrae alla prigionia presso Ottaviano compiendo un suicidio rituale: facendosi mordere dall'aspide, tramite divino che nella credenza egizia divinizza la persona facendola ascendere al Pantheon. Nella mitologia nordica Wotan accoglie nel Walhalla soltanto coloro che sono morti violentemente: i guerrieri ed i suicidi, lui stesso suicida: Signore degli Impiccati viene chiamato dalla tradizione dell'Havannah. Presso i Maya, Ixtab, La Signora della corda
-veniva rappresentata appesa ad un capestro-, era la dea dei suicidi e questi andavano in un paradiso proprio in quanto erano considerati sacri. La Grecia antica inizialmente pare avere un atteggiamento di ripulsa nei confronti dei suicidi; i1 cadavere infatti veniva privato della mano destra e sepolta altrove, mentre il corpo veniva tumulato fuori dalle mura della polis; anche la radice semantica del termine suicidio (autoktonia) mantiene un valore emozionale forte
: la morte di se è simile all'assassinio dei parenti. D'altro canto tutte le dissertazioni antiche relative alla visione suicida sono improntate a profonda pacatezza ed equilibrio: il togliersi la vita è scelta personale anche se grave, ma in nessuna maniera tale gesto doveva essere un'offesa agli dei e l'impulso alla morte propria doveva essere nobile e glorioso: a Mileto il Senato si oppose ad una epidemia di suicidi di fanciulle e adolescenti perché ritenuti immotivati. Per contro a Massilia se un cittadino riusciva a giustificare la sua scelta di morte gli veniva dato modo di eseguirla a spese dello stato. In tal modo il problema suicidio viene spostato di ottica: non più se farlo bensì come farlo e con la maggiore dignità possibile. E' questa la concezione del suicidio che viene tramandata ai Romani i quali introdussero da eclettici quali erano, un contenuto emozionale al gesto suicida: uccidersi non è più male, non esiste alcun tabù relativo alla morte volontaria e questa diviene banco di prova del coraggio e della ''virtus" latina: lo seppuku giapponese nasce da una matrice ideologica molto simile. La Bibbia nel Vecchio Testamento non da alcuna condanna del suicidio mentre condanna l'omicidio in Caino ed il sacrificio umano (seppur involontario)