Arrivano i mostri!
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Info su questo ebook
Piccole storie per piccoli bambini. C'è Ecty, ectoplasma che ha un fantasma per papà e per mamma una Miss Museo degli Orrori. C'è poi Leonardosauro, mostro creato in laboratorio dal celebre professor Pullover. C'è infine SmaG, Triplo Occhio Doppia Mente, ragazzinoG del pianeta PantoG, che gira il CosmoG con la sua potente BaiG...
Brividi (pochi) e risate (tante).
Guido Sperandio
Guido Sperandio was born and lives in Milan. A freelance writer for some thirty national newspapers and magazines, he later became a creative-copywriter in advertising.A writer for adults, he has also published for children and young people with major national publishers and in the USA.He has also written comics, including the legendary Topo Gigio and Tiramolla.After a life spent practising the most unbelievable genres of writing, he has recently replaced the cult of the Word with a passion for the Image. He has been seduced by Pop Art, starting with Andy Warhol & Co and is now working on and publishing a whole series of albums under the 'Guisp Collages' label.Any special notes?He has no mobile phone, no car or microwave oven, but he does have a very affectionate and intelligent cat called Tatablu.Guido Sperandio è nato e vive a Milano. Free-lance per una trentina di giornali e periodici nazionali, diventa in seguito creativo-copywriter in pubblicità.Scrittore per adulti, ha pubblicato anche per bambini e ragazzi con le principali case editrici nazionali e negli USA.Ha scritto anche fumetti, tra cui i mitici Topo Gigio e Tiramolla.Dopo una vita trascorsa a praticare i generi più improbabili di scrittura, ha recentemente sostituito il culto della Parola con la passione per l'Immagine. A sedurlo, la Pop Art, a cominciare da Andy Warhol & Co e così ora ha in corso l'elaborazione e la pubblicazione di tutta una serie di album con l'etichetta "Guisp Collages".Note particolari?Non ha cellulare, nè automobile o forno a microonde, ma ha una affettuosissima e intelligentissima gatta di nome Tatablu.
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Anteprima del libro
Arrivano i mostri! - Guido Sperandio
Il mostro pentito
Il mostro clone
Il mostro triplo occhio, doppia mente.
Ciao, sono Guido
IL MOSTRO PENTITO
La mia casa.
Abitavo in un cunicolo. Privo di finestre e di aperture, si snodava nel sottosuolo tra le fondamenta di un castello, per sbucare oltre la cinta delle mura, nel cuore di una foresta impenetrabile.
Lo sbocco era ostruito da un cespuglio di rovi dalle spine appuntite, che io mi divertivo a raccogliere per comporre graziose coroncine che calzavo invece del berretto.
Non appena il tempo lo permetteva, se tuonava o scoppiava il temporale, mia madre ne approfittava per portarmi lì, tra i rovi. Sempre chiuso in casa,
mi diceva. "Su, vieni, che hai bisogno d’aria!"
Mi accompagnava, e io mi inoltravo sotto gli scrosci di pioggia, tra le spine. Si accertava che giocassi e non mi esponessi a dei pericoli, e mentre io me ne stavo lì, felice, tra fulmini e saette, rientrava. Non senza prima avermi ammonito: "Non allontanarti. Non farmi stare in pensiero, raccomando."
S’affrettava a finire i mestieri di casa, e a prendere i sorci necessari per cucinarmene i filetti, preoccupata di arrivare in tempo per il pranzo.
Pippo.
Anche quel giorno, appena sveglio, avevo chiesto: -Mamma, mi porti ai cespuglioni?
Ma mia madre: - No, Ecty. Il tempo è bello e splende il sole. Non vorrei ti facesse male. Perché non vai a giocare invece al laghetto?
-Sììì, mi piace! Ci vado subito... proprio ieri, ci ho trovato uno scorpione velenoso - io, raggiante.
-Vedi? Vai, che ne trovi altri!
Proprio al centro del cunicolo scaturiva la fogna. Il liquame prorompeva, compiva un salto (una specie di cascata) e formava un laghetto delizioso (era la nostra acqua corrente, per cucinare e lavare).
-O se no, -sempre mia madre -perché non vai da Pippo? E’ tanto che non gli parli! Poveretto, è sempre solo.
Pippo era il mio piccolo amico, l’unico.
Dal momento che non potevamo permetterci lussuosi soprammobili o arazzi, mia madre che era molto sensibile, per ingentilire l’ambiente e renderlo accogliente, aveva posato qua e là dei pipistrelli. Col tempo se ne erano andati, tranne Pippo. Mia madre l’aveva pregato di prolungare il letargo e assolvere così alla sua funzione di decoro. "Tu, almeno!" gli aveva detto. Già la casa è abbastanza spoglia, e disadorna
.
Pippo l’aveva assecondata.
La mattina, come aprivo gli occhi, Pippo era il primo che vedevo. Pendeva dalla volta ammuffita fin quasi a sfiorarmi. La sua visione era il mio buongiorno. Peccato che, nonostante l’accarezzassi e gli parlassi, restasse, le ali avviluppate, sprofondato nel suo sonno, muto.
Mio Padre.
Stavo recandomi a raccontare una fiaba a Pippo, quando mi aveva riscosso un fragore di catene. Non avevo tardato a riconoscere l’inconfondibile sferragliare di mio padre.
Mia madre non l’aspettava e non gli aveva preparato niente da mangiare:
-Ma non dovresti essere su nel castello a lavorare? -si era preoccupata.
-Non ce la facevo più dal male -mio padre, con un gemito. La sofferenza gli traspariva attraverso il lenzuolo intriso di un sudore denso e viola.
Mia madre s’era precipitata a prendere la tela di ragno e il grasso di lombrico che teneva, pronti. Mio padre s’era steso scricchiolando, e mia madre, spalmato il grasso di lombrico sulla tela (selezionata per la sua particolare morbidezza), aveva incominciato a passarla sulle giunture delle catene di mio padre. Attenta a scioglierne la ruggine e a oliarle.
Perché, questo il problema, mio padre era un fantasma.
Era accaduto parecchio tempo avanti, circa ottocento anni prima. Quando mio padre, ancora giovane, faceva l’architetto.
Era celebre per la genialità delle soluzioni, e l’eco della sua fama aveva raggiunto l’antico proprietario del castello, che, nell’intento di disporre di una via di fuga in caso di guerra e di assedio, l’aveva incaricato di ideare il cunicolo in cui, appunto, ora, abitavamo.
Mio padre non aveva mancato di dimostrare il suo talento.
Aveva occultato il passaggio in modo da renderlo segreto.
Vi si accedeva infatti da un salone, tramite una porticina dissimulata in una parete ricoperta da un affresco. L’affresco riproduceva un gigantesco guerriero eretto su possenti gambe. Occorreva premerne l’alluce destro e, solo allora, la porticina si rivelava, e schiudeva.
Varcatane la soglia, non bastasse, mio padre aveva mascherato delle botole, che, non appena il piede si posava, si aprivano facendo precipitare il malcapitato in un abisso.
Seguiva un’infinità di scalini da scendere, molti dei quali posticci, pronti a cedere al peso.
Il signore ne era restato entusiasta, senonché, ultimato il passaggio, nel timore che il segreto potesse essere diffuso, vi aveva rinchiuso e incatenato mio padre. Che, in assenza di altri modi per uscirne, aveva escogitato l’idea di trasformarsi in fantasma.
L’anziano Conte.
Il proprietario del castello era deceduto, avvelenato. Vittima di un complotto.
Erano seguiti parecchi signori. Fino all’attuale anziano Conte.
Nessuno però aveva avuto mai modo di avvedersi dell’esistenza del passaggio né dell'esistenza di mio padre.
Il segreto sarebbe restato tale, se mio padre (ottocento anni non son pochi) non avesse incominciato a soffrire di reumatismi e a sentire le catene sempre più pesanti. Gli si era offuscata anche la vista. Per cui gli capitava di scambiare le lucciole per lanterne, e viceversa.
Una notte, mio padre, colpito da uno dei suoi attacchi, stava tentando di raggiungere il passaggio in cui abitavamo. Non vedeva l’ora di essere curato da mia madre e aveva seguìto il chiarore di una lucciola.
Vi aveva sbattuto contro, e la lucciola si era rivelata, in realtà, la lanterna dell’anziano Conte intento ad andare a letto. (Scialacquato il patrimonio di famiglia, il nobile signore si era trovato nell’impossibilità di pagare la bolletta della luce,