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The Body
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E-book54 pagine39 minuti

The Body

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Info su questo ebook

Un micro-romanzo di Anthony J. Latiffi

New York, 1997.

Slobodanka Maric è fuggita dalla guerra di Bosnia per affrontare la battaglia della vita in una terra straniera. È clandestina. Ha perso la famiglia e l’unica cosa che le è rimasta è suo figlio Edi. Questi, vittima di traumi d’infanzia provocati dalla guerra, vive in uno stato di isolamento totale. Slobodanka è decisa a muovere santi e madonne per far sì che il figlio abbia le cure migliori, che però costano. Mentre lei se la passa male: fa le pulizie in una palestra e in un paio di bar a Manhattan, portando con sé il figlio.

Mentre esegue esercizi di psicomotricità nella palestra dove lavora, Sharon, una cliente abituale, tiene d’occhio il suo corpo snello e flessibile come quello di un levriero. Poi le propone di tenere spettacoli privati molto spinti, davanti a uomini molto ricchi, di denaro e perversione. La cosa non è nelle corde di Slobodanka, ma davanti alla prospettiva di poter ottenere cure migliori per suo figlio, finisce per accettare. Insieme a Sharon scelgono il suo nome d’arte: The body. Presto The body diventa il nome più sussurrato negli ambienti più esclusivi di Manhattan.

Proprio da questo nome inizia il calvario di Slobodanka. Riesce a ottenere quello che ha sempre desiderato, grazie a qualità che non credeva di possedere. Ma perde di vista il suo obiettivo primario: suo figlio e il loro futuro. Imbocca un labirinto tortuoso e pieno di inganni. Un breve viaggio nella decadenza umana e nel conflitto distruttivo tra la natura dell’uomo e le sue necessità più ambigue.
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2015
ISBN9786050347784
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    Anteprima del libro

    The Body - Anthony J. Latiffi

    The Body

    Racconto

    Di

    Anthony J. Latiffi

    © Anthony J. Latiffi, 2014

    Questo racconto è semplicemente un’opera di fantasia.

    A tutte le madri combattenti

    L’attesa sembrava infinita. Anche se l’anticamera brulicava di gente. Volti tesi, sguardi persi nel nulla, pensieri stanchi, sospiri dileguati nel silenzio. Nessuno aveva il coraggio di guardare l’altro; era come guardarsi nello specchio e constatare le ferite del tempo e del destino. Nessuno parlava.

    L’assistente comparve sulla soglia, impeccabile nel suo camice verde chiaro. Alcuni volti si animarono, nulla che annunciasse il minimo sollievo, altri rimasero come prima, come se la presenza dell’assistente fosse solo aria e trasparenza.

    «Maric!» disse l’assistente, e perlustrò con lo sguardo l’anticamera.

    «Siamo qui!» rispose una voce, in un inglese approssimativo. Una donna minuta, avvolta in un cappotto abbondante, si rizzò. La sua mano stringeva quella di un bambino, seduto accanto a lei.

    «Tocca a voi!» disse l’assistente, e girò le spalle a tutti per rientrare nello studio.

    «Vieni, Edi» mormorò la donna al bambino, e lo trascinò verso lo studio.

    Il dottor Kellerman li attendeva dietro la sua scrivania, indaffarato a prendere appunti.

    «Accomodatevi» fece l’assistente, mentre chiudeva la porta.

    Presero posto su due sedie davanti alla scrivania. Attesero che il dottore finisse con gli appunti. Era un uomo magro, sulla cinquantina, e aveva le mani delicate come quelle di una donna.

    Finalmente il dottor Kellerman alzò gli occhi chiari dietro gli occhiali dalla montatura sottile.

    «Buongiorno!» Si alzò per allungare la mano alla donna. «Sono il dottor Kellerman.» Aveva la voce scintillante e un volto aperto, che mettevano subito a proprio agio.

    «Buongiorno, dottore. Mi chiamo Slobodanka Maric.»

    Il dottore accennò un sorriso. «Un nome impegnativo!»

    «Solo un nome bosniaco.»

    Kellerman guardò il piccolo. «E questo giovanotto, chi è?»

    Lei fece un mezzo giro con la testa verso il bambino. «È Edin, mio figlio.» Tornò a guardare il dottore. «Io lo chiamo Edi.»

    «Ciao, Edi!» fece Kellerman, ma il piccolo continuò a fissare attonito il nulla. Il dottore si rivolse di nuovo alla madre. «Non parla, vero?»

    «Non ha mai parlato.» Accarezzò la testa del figlio. «Hai sentito, Edi? Il dottore ti ha appena salutato. Dovresti farlo anche tu.»

    Di nuovo, Edi non reagì. La madre stava per parlare ancora, ma Kellerman le fece un cenno di non insistere. Si alzò di scatto e andò a inginocchiarsi davanti alla sedia del piccolo. Gli prese entrambe le mani e stette per alcuni secondi a fissare il bambino, come se gli inducesse mentalmente di voltarsi.

    Ma non funzionò.

    Allora lasciò le mani del piccolo e gli prese il volto. Lo girò per guardarlo negli occhi. Era un bel bambino. Aveva gli occhi grandi e scuri come la madre; entrambi riflettevano una luce spenta da una qualche sofferenza profonda.

    «Ciao, Edi» disse ancora il dottor Kellerman.

    Il bambino non ricambiò: lo fissava come se di fronte non vedesse un essere umano. Poi, a un tratto, solo per una frazione di secondo, sbatté le palpebre.

    Il movimento non sfuggì a Kellerman, che sorrise. «Buongiorno, Edi!»

    Il piccolo rimase immobile qualche istante, poi abbozzò un sorriso quasi impercettibile.

    Kellerman accentuò il suo sorriso. «Sei un bravo giovanotto, Edi!»

    Per un istante non successe nulla, poi il bambino

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