Le regole del dottore: Harmony Bianca
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Il dottor Matt Sawyer non ha paura di infrangere le regole. Dopo aver perso sua moglie sa che la vita è troppo corta per non godersela fino in fondo. Per questo, quando nel suo reparto scoppia un'epidemia, l'ultima persona che vuole avere accanto per aiutarlo a gestire l'emergenza è la dottoressa Cassie Turner. Cassie è pignola e soprattutto rispetta il protocollo alla lettera. Ma qualcosa nei suoi occhi gli dice che questa volta potrebbe concedersi qualche piccola trasgressione.
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Anteprima del libro
Le regole del dottore - Scarlet Wilson
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Maverick Doctor and Miss Prim
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2013 Scarlet Wilson
Traduzione di Silvia Calandra
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-732-6
1
Chicago
«Allora, bellezza, cos’hai di bello per me?» Sawyer si sporse in avanti sul banco della reception sotto gli occhi attenti dell’impiegata.
Miriam masticava rumorosamente un chewing-gum. «Sei qui da troppo tempo... stai diventando insolente!»
«Sono sempre stato insolente.»
«E poi, tagliati quei capelli.»
Lui si scostò gli ispidi capelli castano chiaro dagli occhi e gettò il capo all’indietro. «I capelli lunghi sono trendy. E poi mi donano.»
L’impiegata alzò gli occhi al cielo e prese tre cartelle. «Puoi scegliere tra due fratelli con la varicella nella stanza sei o una quarantatreenne con diarrea e vomito dietro la tenda due.» Sollevarono il capo contemporaneamente quando udirono il rumore dei conati di vomito provenire da dietro la tenda.
«Vada per i bambini.» Prese le cartelle e, sfogliandole, si avviò lungo il corridoio. Ben e Jack Keating, sei e sette anni, erano appena tornati dall’estero con la varicella.
Aprì la porta della stanza. Stranamente le luci all’interno erano soffuse. I due fratellini erano a letto con i genitori al loro fianco. Alison, un’infermiera, stava provando loro la temperatura e quando lo vide gli andò incontro. Da sotto la divisa lui notò che cominciava a scorgersi il suo stato interessante. «Non vedevo dei bambini così mal ridotti da parecchio tempo» mormorò.
Lui le sorrise. «È il caso che tu stia qui?»
Lei sospirò. «Se non ho preso la varicella dai miei tre figli, non può che voler dire che sono immune.»
Sawyer attraversò in fretta la stanza e appoggiò le cartelle in fondo al letto. Alison aveva ragione. Quei bambini avevano un aspetto terribile. La varicella poteva essere molto più pericolosa di altre malattie esantematiche.
«Salve. Sono il dottor Matt Sawyer e adesso visiterò Ben e Jack.» Tese la mano alla madre e poi al padre e notò l’espressione esausta sui loro volti. Poi si lavò le mani e indossò un paio di guanti.
Si avvicinò a Ben. Nella luce fioca non si vedeva bene il viso, ma era completamente coperto di pustole. «Ciao, Ben. Tranquillo, ti darò solo un’occhiata.»
Il bambino di sei anni fece solo un lieve cenno del capo. Lui guardò il monitor della pressione e vide che il battito era accelerato e la pressione bassa. Anche solo sfiorandogli la fronte con la mano, la sentì calda. Poi gli premette le dita ai lati del collo. Le ghiandole erano ingrossate. Aveva pustole sul viso, sul petto e sulle braccia.
La prima cosa che lo colpì fu che tutte le vesciche erano allo stesso stadio di sviluppo. Non come accadeva per la varicella, dove le pustole si manifestavano ed eruttavano in tempi diversi.
Un campanello d’allarme gli suonò nella testa e risentì la raccomandazione che era solito fargli il suo anziano mentore. Procedi con metodo.
Si spostò in fondo al letto e sollevò il piede di Ben.
Ecco, la stessa uniforme eruzione cutanea anche sulla pianta del piede. Poi gli prese la mano e gli guardò il palmo. Vescicole rosse anche lì.
Sentì l’amaro in bocca e guardò Alison che doveva avere attivato le sue capacità telepatiche perché aveva già predisposto le sacche di soluzione salina e stava preparando le flebo.
«Dove siete stati in vacanza?»
Il padre dei bambini scrollò il capo. «Non eravamo in vacanza. Eravamo in Somalia dove ho lavorato per tre mesi. Lavoro per una società che installa reti idriche.»
Somalia. L’ultimo posto dove poter contrarre la varicella.
«Siete venuti in contatto con indigeni affetti da questa malattia?» Un milione di domande gli frullavano per la testa, ma non voleva angosciare i due genitori.
La signora Keating annuì. «Eravamo nella zona degli altipiani e parecchie persone erano malate. Ma non credevamo fosse nulla di serio. In effetti, ci siamo chiesti se eravamo stati noi a contagiarli. Eravamo i primi con cui venivano in contatto da molti anni.»
La sua reazione fu istintiva. «Per favore, Alison, esci immediatamente.»
«Cosa?» L’infermiera aggrottò la fronte.
«Aspettami fuori, per favore, Alison» le ripeté a voce alta, pregando che capisse.
L’atmosfera era elettrica. Alison era un’infermiera esperta e capì. Lasciò le flebo e uscì.
«Qualcosa non va?» chiese il signor Keating, alzandosi.
Sawyer si avvicinò all’altro letto. Jack era sdraiato a pancia in giù. Lo girò con delicatezza e vide che era nelle stesse condizioni del fratello. Il suo viso era coperto di vescicole rosse e gonfie. Tutte allo stesso stadio di sviluppo, alcune sul petto, la maggior parte sugli avambracci. Gli aprì la bocca. Il palato e la mucosa erano coperti. Controllò la pianta dei piedi e i palmi delle mani. Le stesse eruzioni. Si sentì rabbrividire, Non poteva essere. Non poteva. Quella malattia era stata debellata negli anni settanta. Da allora non si era più vista. Poi una lampadina gli si accese nel cervello. Alcuni anni prima c’era stato il sospetto di una nuova epidemia, ma alla fine era stato stabilito che si era trattato di varicella. Rifletté sulle varie possibilità. Le conosceva perfettamente. Chiunque avesse lavorato alla DPA, l’Agenzia per la Prevenzione delle Malattie, le conosceva.
Ma più fissava quelle vescicole più si convinceva che non poteva esserci alcuna alternativa.
«Quando sono comparse le vescicole?»
Madre e padre si guardarono. «Alcuni giorni fa? All’inizio erano dei puntini rossi, poi si sono trasformati in vescicole. E nelle ultime ore sono peggiorate. I bambini, però, era da un po’ che non stavano bene’... avevano mal di testa, mal di schiena, vomito. Abbiamo pensato che avessero preso un’infezione.»
Matt avvertì la sensazione di vivere in un brutto film. Perché era capitato proprio a lui?
Chissà se qualcun altro l’avrebbe riconosciuta? Ne avrebbe considerato i rischi potenziali? O avrebbe semplicemente diagnosticato un brutto caso di varicella per scoprire solo in seguito le drammatiche conseguenze di una diagnosi sbagliata? Ma lui si era buttato tutto alle spalle. Aveva giurato che non si sarebbe più lasciato coinvolgere da alcunché di simile. Era a Chicago, non chissà dove. Quelle cose non dovevano accadere lì. O meglio, non avrebbero dovuto.
Di nuovo pensò che avrebbe voluto uscire da quella porta e dimenticare di aver visto ciò che invece aveva sotto gli occhi.
Guardò fuori i lunghi e invitanti corridoi. Non era un vigliacco, ma sentiva di non potercela fare. Quel genere di cosa ti travolgeva, ti toglieva ogni alito di vita.
Un’ombra si mosse fuori dalla porta.
Ma c’era il killer. E un’infermiera incinta fuori dalla porta. Un’infermiera che lavorava con lui ed era stata in contatto con i bambini. Come faceva a piantarla in asso così?
Sollevò lo sguardo. Era come se l’avessero messa lì affinché lui non potesse fuggire. La sua coscienza non gliel’avrebbe mai permesso.
Se solo non avesse saputo che era incinta. Se solo quella lieve protuberanza non avesse fatto capolino da sotto la casacca. Sarebbe stato tutto più facile.
Avrebbe potuto andarsene.
Inspirò profondamente e raddrizzò le spalle. Era un medico. Doveva fare il proprio dovere. Per i suoi colleghi e per i bambini.
Bambini molto malati.
Guardò i genitori. «Dovete fare mente locale... è importante. Siete tornati in aereo?»
Entrambi annuirono.
«Quando, esattamente, avete visto le prime eruzioni cutanee? Prima o dopo il volo?»
I due genitori si scambiarono un’occhiata, aggrottando la fronte.
In quel momento il racconto dettagliato poteva aspettare. Sapeva quanto bastava. Lui non faceva più parte della DPA. Al resto avrebbero pensato loro. Lui doveva fare la denuncia... e la macchina si sarebbe messa in moto.
Isolamento. Controllo. Diagnosi. Esami. Scalpore.
Nel frattempo aveva due bambini malati e i membri dello staff di cui preoccuparsi. Che la DPA facesse il suo lavoro. Prese il telefono dalla tasca e scattò alcune foto di Jack e Ben. «Aspettate.»
Alison sobbalzò quando lo vide uscire. «Cosa diavolo sta succedendo?» Lo seguì a passo svelto mentre si avviava lungo il corridoio in direzione della reception. «Non puoi trattarmi così. Si può sapere cos’hai in mente?» Lui vide che istintivamente si era portata le mani sul ventre.
«Le hai toccate?»
«Cosa?»
«Le vescicole. Le hai toccate?»
«Credo di sì» ammise, con gli occhi lucidi come se fosse sul punto di piangere. «No, avevo i guanti» si corresse con voce più determinata.
«Dopo esserteli sfilati ti sei toccata?»
Lei fece una smorfia. «Non credo. Ma non posso esserne certa.»
Lui le appoggiò le mani sulle spalle e la condusse nella stanza libera più vicina. Con il gomito aprì il rubinetto dell’acqua, poi le passò il sapone antisettico e le porse una spazzola. «Lavati come se dovessi entrare in sala operatoria e non fermarti finché non te lo dico io.»
Lei era pallida, come se fosse sul punto di svenire. Ma si mosse in automatico. Si cosparse di sapone e iniziò a spazzolarsi le mani, i polsi, gli avambracci e poi li passò sotto il getto dell’acqua.
Lui controllava il tempo. Un minuto. Due. Tre. Quattro.
«Sawyer?»
Lui annuì. «Puoi smettere.»
«Sai cos’è?» Adesso lei stava asciugandosi le mani.
«Penso di sì. Ma spero di sbagliarmi. Vieni con me.»
Raggiunsero il banco. Miriam dava loro le spalle e chiacchierava a voce alta al telefono.
Sawyer si appoggiò al banco e le interruppe la chiamata telefonica.
Lei si voltò di scatto. «Che ti prende?»
«Siamo chiusi.»
«Cosa?» Alcune teste si voltarono. «Non hai il diritto...»
«Invece ce l’ho. Chiama il dottor Simpson.» Poi si rivolse al resto del personale. «Ascoltate. Abbiamo un’emergenza. Il reparto deve chiudere... subito.» Indicò Miriam. «Non si ammettono più pazienti.»
Poi si rivolse a un agente della sicurezza. «Chiuda le porte.»
Il vocio intorno a lui crebbe.
Posò la mano sul braccio di Alison e l’attirò a sé. «Mi dispiace, cara, ma non si tratta di varicella. Temo sia vaiolo. Dobbiamo contattare subito la DPA.»
Atlanta
Cassie Turner infilò la borsa nell’armadietto e annuì ad alcune colleghe che si stavano cambiando. Si guardò allo specchio e si raddrizzò la gonna. Inspirò profondamente e sorrise osservando il suo nuovo taglio, un carré biondo asimmetrico.
Era un nuovo inizio per lei. Il giorno prima dal parrucchiere le era parso meraviglioso, i capelli lisci e perfettamente acconciati. Adesso le sembrava solo un taglio incompleto. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo per abituarsi.
Era il suo primo giorno alla DPA.
Be’, non proprio. Un periodo di stage e tre anni di internato come specializzanda avevano completato la sua formazione alla DPA. Adesso era ufficialmente arruolata e faceva parte dell’Agenzia per la Prevenzione delle Malattie. C’erano voluti undici anni di sangue, sudore e lacrime per raggiungere quel traguardo.
Per realizzare i sogni di qualcun altro. Per onorare il destino di qualcun altro.
Quel giorno era il primo del resto della sua vita.
Aprì la porta della centrale operativa. «Ciao, Maiseley.»
La donna piccola e dai capelli ricci sollevò lo sguardo. «Caspita! Per il tuo primo giorno di lavoro hai cambiato look!»
Cassie rise e prese la sedia accanto a Maiseley. «Non c’è nessuno