Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Gli occhi della mente (eLit): eLit
Gli occhi della mente (eLit): eLit
Gli occhi della mente (eLit): eLit
E-book198 pagine2 ore

Gli occhi della mente (eLit): eLit

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Gabe Connally, detective del dipartimento di polizia di Chicago, è sulle tracce di un ricercato. Qualcuno lo ha visto. Anzi, molto di più! Infatti, grazie a straordinari poteri della mente, è riuscito a percepirne i pensieri. Peccato che il testimone sia solo un bambino e che sua zia, Meghan Patterson, non abbia alcuna intenzione di farlo turbare dalla polizia. Gabe però non si arrende, propone anzi a Meghan uno scambio di favori, che porta alla luce ombre dal passato...
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2017
ISBN9788858973769
Gli occhi della mente (eLit): eLit

Leggi altro di Kylie Brant

Correlato a Gli occhi della mente (eLit)

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Gli occhi della mente (eLit)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Gli occhi della mente (eLit) - Kylie Brant

    successivo.

    Prologo

    La mamma era morta.

    Danny si accoccolò sul divano stringendosi al petto lo zaino. La signora, sua zia Meghan, era andata a prendergli un bicchiere di latte. Non che lui lo volesse, ma era l'unico modo per allontanarla dal soggiorno. Non voleva farle pronunciare ad alta voce quelle parole terribili, tanto le conosceva già.

    Sua madre era morta in un incidente stradale. Questa volta non sarebbe tornata da lui. Non sarebbe tornata mai più.

    Danny si asciugò furtivamente gli occhi. Soltanto i bambini piangevano, gli diceva la mamma. Solo che questa volta la mamma non era più lì con lui a ripeterglielo. E tenere dentro quelle parole tremende non serviva certo a cambiare le cose. La mamma era morta. Era rimasto solo.

    Intanto la zia tornò in soggiorno e gli tese il bicchiere di latte. Lui lo prese, ma non bevve. Non poteva. Aveva un nodo alla gola che gli avrebbe impedito di mandare giù qualsiasi cosa.

    Avrebbe voluto fuggire, scomparire nel nulla, evitare che la zia gli parlasse, ma non poteva.

    «Lo sai, vero?»

    Non sollevò gli occhi, si limitò ad annuire. Aveva avuto una sensazione terribile, quando la sera prima la mamma non era tornata a casa. Non era la prima volta che accadeva, del resto. In fondo aveva quasi sei anni. La mamma lo aveva lasciato solo a casa altre volte, la sera, e lui non aveva mai avuto paura. Una volta, forse, quando la mamma non si era fatta viva per due giorni.

    Questa volta, però, era stato tutto diverso. La sensazione di paura in fondo allo stomaco rifiutava di abbandonarlo. Così aveva aspettato che arrivasse qualcuno, sperando che quel qualcuno fosse la mamma, ma già sicuro in fondo al cuore che non sarebbe stata lei.

    «Che cosa mi succederà, adesso?»

    La zia non rispose immediatamente, così lui sollevò gli occhi e la guardò dritto in faccia, concentrandosi sui suoi pensieri. Era lì che avrebbe trovato la verità. La gente mentiva, gli ripeteva sempre la mamma, ma teneva la verità nella propria testa, dove gli altri non potevano vederla. Non tutti, almeno.

    Danny non capiva il significato di parole come telepatia e chiaroveggenza, ma sapeva di essere diverso, proprio come diversa era stata sua madre. A volte gli piaceva pensare di avere un dono speciale, un dono che tutti gli altri gli invidiavano. Talvolta, però, tendeva a credere a ciò che gli diceva la madre dopo avere scolato due bottiglie di whisky, e cioè che loro due erano quelli diversi, quelli eccentrici.

    Quella parola non gli piaceva. Gli eccentrici facevano paura alla gente. Lui stesso aveva impaurito Meghan la prima volta che l'aveva incontrata, e quella sensazione gli aveva fatto male. Non aveva mai avuto una zia, prima di allora, e Meghan era molto carina, con i capelli lunghi, biondi e mossi e grandi occhi azzurri.

    Fu su quegli occhi che si concentrò in quel momento.

    «Non voglio che ti preoccupi.» Meghan si sedette sul divano accanto a lui e cercò di sorridere. «So che è un'affermazione stupida. È naturale che tu sia preoccupato e triste. Lo sono anch'io, ma non permetterò che succeda qualcosa al mio unico nipotino.»

    «Dove vivrò?» insistette lui.

    «E se rimanessi con me finché non avremo risolto la questione?» gli propose lei. «Poi, in seguito, discuteremo insieme delle possibilità. Che te ne pare?» Nel dire questo, gli tese la mano.

    Danny guardò la mano, poi guardò lei. Sapeva bene di non avere altra scelta.

    Lentamente, con fare esitante, allentò la presa intorno al bicchiere di latte e mise la sua manina in quella più grande della zia.

    1

    Tre mesi dopo

    Gabe Connally incrociò lo sguardo con quello del collega prima di sollevare la mano per bussare alla porta. «Polizia, signor D'Brusco. Abbiamo qualche domanda per lei.»

    Un leggero rumore risuonò nell'appartamento, e gli agenti ebbero appena un istante per agire prima che una raffica di proiettili scheggiasse la porta.

    Gabe guardò Cal Madison e gli fece il solito segnale. Al tre, spalancò con un calcio la porta ed entrò nella stanza. Alle sue spalle, Cal si lasciò sfuggire un'imprecazione. Con le armi in pugno, fecero il giro dell'appartamento bene arredato, ma lo trovarono vuoto.

    «C'è solo un'altra via di uscita» constatò Gabe dirigendosi senza esitazione verso il terrazzino, la strada dalla quale era senza dubbio fuggito D'Brusco.

    Presero le scale antincendio e, quando furono a terra, esaminarono in lungo e in largo il vicolo che correva alle spalle dell'elegante edificio, ma non trovarono niente.

    «I casi sono due» brontolò Gabe rimettendo la pistola nel fodero. «O è un campione di corsa, oppure si è infilato nel retrobottega di qualche negozio.» Detto questo, si sollevò il bavero della giacca per ripararsi dal vento gelido che spirava dal lago. In primavera il clima di Chicago era quanto mai imprevedibile.

    Cal si strinse nelle spalle. «E se avesse avuto una macchina nascosta da queste parti?»

    «È zona rimozione. Però forse c'era qualcuno ad attenderlo.»

    «Il che significa che aspettava visite» concluse Cal.

    «A giudicare dall'accoglienza che ci ha riservato, non doveva trattarsi di amici.»

    «Non è la reazione che mi sarei aspettato da un truffatore come Lenny D'Brusco.»

    Gabe brontolò un assenso. «Diamoci da fare» sentenziò. «Bisogna perlustrare la zona. Incominciamo dal fronte o dal retro?»

    «Dal retro. Muoviamoci.»

    «Non so» commentò seriosa Meghan rivolgendosi al nipote. «Non ho ancora deciso che cosa comprarti come regalo di compleanno. Pensavo a qualcosa di istruttivo, magari un'enciclopedia.»

    Danny si portò una mano alla gola e finse di soffocare. Erano entrati nel negozio di giocattoli da circa un'ora, e il ragazzino era più che mai deciso ad acquistare gli articoli su cui aveva messo gli occhi sin dal primo momento.

    «Ma zia Meggie, io non so ancora leggere così bene. Senza contare che potrei imparare qualcosa di utile anche dai dinosauri elettronici. La maestra dice sempre che dovremmo studiare gli animali estinti. E se ne avessi due, Alex potrebbe giocare con me e imparerebbe anche lui.»

    «Hai già organizzato tutto, a quanto pare.»

    Una scintilla di eccitazione brillò negli occhi del bambino. Meghan non lo aveva mai visto così entusiasta, e quella constatazione le strinse il cuore.

    «Se vuoi, posso mostrarti di nuovo come funzionano» propose Danny.

    Lei guardò l'orologio. Aveva chiesto al taxista di tornare a prenderli in capo a un'ora, e ormai il tempo a disposizione era quasi esaurito. «Sai che ti dico? Rimetti i dinosauri al loro posto, dammi il tempo di riflettere. In fondo mancano ancora tre settimane al tuo compleanno.»

    «Diciannove giorni e mezzo» precisò Danny, che sull'argomento era particolarmente preciso.

    «Già. Diciannove giorni e mezzo» ripeté Meghan. «Abbiamo ancora un sacco di tempo.» Intanto guardava oltre la vetrina, verso la strada, certa di vedere comparire da un momento all'altro il taxi che li avrebbe riportati a casa.

    In quel momento la porta si aprì per lasciare entrare un uomo alto e bruno che si guardò a lungo intorno. Quando il suo sguardo approdò su di lei, Meghan avvertì come una carezza. Un brivido le corse lungo la schiena e si affrettò a prendere per mano il nipote per scortarlo fuori.

    «Sai che cosa ho visto, mentre ero fuori a giocare con i dinosauri?» le disse il bambino. Callie, la proprietaria del negozio, nonché buona amica di Meghan, gli aveva dato il permesso di provare i giocattoli per qualche minuto sul marciapiede antistante il negozio.

    «Che cosa?» mormorò lei distrattamente, tutta presa dal tipo bruno che in quel momento si stava avvicinando alla cassa.

    «Ci sono stati degli strani rumori, poi un tipo è caduto giù dal cielo. E poi...»

    Le parole del bambino si persero nel nulla quando l'uomo bruno si avvicinò al bancone ed estrasse dalla giacca il tesserino della polizia. Per Meghan fu come sperimentare una sensazione di déjà vu e per qualche istante non udì più la voce del nipote. Il suo primo istinto fu quello di correre, la paura le serrò lo stomaco.

    «... e poi uno è corso verso una macchina...»

    «Ne riparliamo a casa» tagliò corto Meghan, e nella sua voce c'era una nota tanto insolita, che Danny tacque all'istante. Lei, intanto, teneva gli occhi fissi sul poliziotto che stava interrogando un altro cliente.

    Appoggiata una mano sulle spalle di Danny, lo guidò rapidamente verso la porta. «Sarà bene controllare se è arrivato il taxi. Non ci aspetterà a lungo, a quest'ora, e con il traffico che c'è, sarà difficile trovarne un altro.» Intanto erano arrivati alla porta e lei aveva già stretto la mano intorno al pomello.

    La voce del poliziotto la fece sussultare. «Potrei rivolgerle qualche domanda prima che vada via, signora?»

    Lei si girò a guardarlo. «Mi spiace, andiamo di fretta» gli disse.

    «Ci vorrà soltanto un istante. Sono il detective Connally, signora, della Polizia di Chicago.» Le sventolò sotto il naso il tesserino con l'iscrizione argentata, ma Meghan non ebbe bisogno di guardarlo per capire quale fosse la sua professione. Quell'uomo era un poliziotto al cento per cento, fino al midollo.

    Portava i capelli cortissimi, e quel taglio gli accentuava i tratti spigolosi del viso. Erano gli occhi, però, che più di ogni altra cosa attirarono la sua attenzione. Di un colore chiaro simile a quello del whisky, in quel momento erano fissi su di lei come lo sguardo di uno sparviero sulla preda.

    «In questa zona è appena scomparso un uomo che dovevamo interrogare. Prima della fuga ha esploso alcuni colpi di arma da fuoco. Devo parlare con chiunque possa averlo visto.»

    Con la coda dell'occhio, Meghan vide il taxi parcheggiare accanto al marciapiede. «Va' a dire al taxista che arriviamo subito, per piacere» si chinò a dire al nipote.

    Il bambino aprì la porta e si affrettò a raggiungere l'auto. Gabe poté finalmente concentrarsi sulla donna. Non che fosse difficile, del resto! Il cappotto che indossava non nascondeva certo la sua femminilità né le forme che avvolgeva. E se Gabe fosse stato un patito dei grandi occhi azzurri e dei capelli biondi, la sua obiettività professionale ne avrebbe risentito senza ombra di dubbio.

    «Temo di non poterla aiutare, agente. Non ho notato niente.»

    «Detective.»

    «Prego?»

    «Non sono un agente. Sono il detective Connally.»

    «Oh, mi scusi.» Il sorriso della donna era tirato. «Come le ho già detto, non ho visto nessuno. Ero troppo presa a osservare i giocattoli.»

    «Come si chiama, signora?»

    «Come mi chiamo?» ripeté lei confusa.

    Lui estrasse un blocco per appunti e una penna. «Mi serve nell'eventualità che abbia altre domande da rivolgerle.»

    «Capisco. Tina Wilder.»

    Gabe prese nota del nome, dell'indirizzo e del numero di telefono e si domandò che motivo avrebbe potuto mai avere quella donna per ingannarlo. Già, perché una vita di esperienza gli aveva insegnato a capire quando qualcuno mentiva. E riusciva a vedere che dietro l'espressione impassibile di Tina Wilder si nascondeva la disperazione.

    Con calma esagerata, prese un bigliettino da visita e glielo porse. «Nel caso dovesse ricordare qualcosa, signora. Può trovarmi al numero di telefono indicato oppure lasciare un messaggio. La richiamerei appena possibile.»

    Lei annuì in silenzio.

    «Se non le dispiace, vorrei parlare con il bambino, prima che andiate via.»

    Questa volta lei si irrigidì visibilmente. «Non può esserle d'aiuto neppure lui, detective. Era troppo preso dai giocattoli per accorgersi di tutto il resto.»

    «Non ne dubito, ma il mio mestiere mi costringe a essere accurato.»

    Lei sorrise. Aveva labbra generose, carnose... perfette. «Vado a chiamarlo.»

    «Detective?» La voce della commessa lo richiamò verso la cassa. «Questo signore crede di avere sentito qualcosa, poco fa.»

    Gabe guardò l'uomo e annuì. «Sarò da lei tra un istante» mormorò, poi guardò fuori e sibilò un'imprecazione. Il taxi si stava già allontanando.

    «Prima o poi dovrà darmi un indirizzo, signora. Oppure le costerà una fortuna.» Il taxista guardò Meghan dallo specchietto retrovisore.

    Lei esitò, poi gli fornì il proprio indirizzo. Quello vero, non quello della finta Tina Wilder che aveva improvvisato per il detective.

    Con un sospiro, si domandò se avesse infranto qualche legge nel fornire false generalità a un poliziotto. Sì! Senza ombra di dubbio. Che le piacesse o no, però, era l'unica persona al mondo che potesse ancora proteggere Danny, e anche se la prospettiva la terrorizzava, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per garantire al bambino la stabilità che era mancata a lei durante l'infanzia.

    «Zia Meggie?»

    Lei guardò il nipote sforzandosi di sorridere.

    «Ti ricordi il tizio che ti dicevo prima? Quello che ho visto nel vicolo, quando stavo provando i giocattoli?»

    «Ehi! Pensavo che dovessimo parlare del tuo compleanno» obiettò lei, sapendo che con quell'argomento avrebbe ottenuto la piena attenzione del bambino.

    «È vero che potrò organizzare una vera festa, zia Meggie? Me l'hai promesso.»

    «Sì, è vero. Te l'ho detto.»

    «E quanti compagni posso invitare?»

    «Non ne ho idea.»

    «Che ne dici di sei? Mi sembra il numero giusto, visto che compio sei anni.»

    «Già, sembra anche a me» replicò lei, che pure era terrorizzata all'idea di badare da sola a sette piccole pesti. L'unico conforto scaturiva dal fatto di essere riuscita a distogliere l'attenzione del bambino dall'uomo che aveva visto nel vicolo e dal detective di polizia che indagava su di lui.

    La vista del complesso in cui abitava non le era mai stata così gradita. Dopo essere scesa dal taxi, digitò il codice segreto di accesso all'edificio e scortò il nipote oltre il portone.

    «Zia Meggie?»

    «Sì?»

    «Perché il taxista voleva toglierti le mutandine?»

    Meghan scoccò un'occhiata perplessa al piccolo. «Che cosa?»

    «Mentre eravamo nel taxi, non faceva che pensare che gli sarebbe piaciuto toglierti le mutandine. Perché, zia?»

    Avvampando di vergogna, lei diresse mentalmente qualche epiteto poco gratificante nei confronti del taxista che già si stava allontanando. «Ricordi ciò che ti ho detto, Danny? Devi imparare a non entrare nella mente delle persone.»

    «Ma io non ci sono entrato, zia. I pensieri di quel tipo erano dappertutto. Io li

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1