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Le sorelle Dee e la pietra
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Le sorelle Dee e la pietra
E-book220 pagine3 ore

Le sorelle Dee e la pietra

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Info su questo ebook

Londra, 1780. In una fredda domenica d'inverno, le sorelle Elizabeth e Janet si imbattono in una giovane mendicante che scoprono avere sul collo un'incisione molto simile a quella che loro stesse possiedono. Tornate a palazzo, chiedono spiegazioni al padre, il marchese George Larson che dopo qualche resistenza rivela loro un'incredibile verità sulla loro famiglia. Egli sarebbe in realtà l'ultimo discendente di sir John Dee, illustre scienziato alla corte di Elisabetta I. Sir Larson afferma inoltre che con i suoi studi Dee era riuscito nell'impresa di creare la mitica pietra filosofale e che con i suoi collaboratori aveva fondato un ordine segreto che aveva come compito quello di proteggere la preziosa scoperta. Sta per rivelare loro dove si trova la pietra quando un pugnale gli trapassa il cuore uccidendolo. Le due sorelle sono così costrette a proseguire da sole la ricerca della pietra e della loro vera identità.
LinguaItaliano
Data di uscita13 ago 2015
ISBN9786050405484
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    Anteprima del libro

    Le sorelle Dee e la pietra - Sarah Pelliccia

    alchemica.

    Capitolo 1

    Anne si guardò le mani, il freddo di quel terribile inverno del 1780, gliele aveva screpolate, spezzate, consumate. Il vento gelido le mordeva la faccia, le labbra sottili ridotte a strette fessure violacee. Si strinse al petto il vecchio mantello ma il vento penetrava violento tra le trame del tessuto consunto e continui brividi si rincorrevano sul suo corpo magro.

    Le luci della birreria del vecchio Parker illuminavano un breve tratto di strada, per il resto avvolta dall’oscurità che scendeva veloce su Londra.

    Anne si avvicinò ai vetri del locale, alle sue orecchie arrivavano i canti sguaiati degli ubriachi, le chiacchiere civettuole delle prostitute, il tutto nascosto da pesanti tende rosse.

    Anne guardò il suo viso riflesso, simile ad un’ombra. Qualche ciocca di un marrone intenso sfuggiva dalla larga sciarpa nera che portava avvolta attorno al capo; il pallido azzurro dei suoi occhi cerchiati di nero contrastava con il rosso acceso delle sue guance, gelate del freddo.

    Non conosceva la sua età, sapeva solo di avere all’incirca una ventina d’anni.

    Della sua infanzia ricordava soltanto i lunghi anni trascorsi all’orfanatrofio di St. Patrick tra le sue continue ribellioni e le severe punizioni della madre superiora, suor Agata: le ginocchia ancora le dolevano per i pomeriggi passati su scomodi sacchi pieni di pietre e sulla schiena portava ancora i segni delle bastonate ricevute. Le istitutrici la chiamavano figlia del diavolo per la sua incredibile vivacità e alle sue domande sui genitori replicavano sempre dicendo che perfino sua madre si doveva essere vergognata di averla generata e per questo l’aveva abbandonata lì quand’era ancora in fasce. Ad Anne non era permesso di giocare con le altre bambine,i suoi modi scorretti avrebbero potuto contagiarle come la sua diabolica capacità di creare strani infusi dalle proprietà a dir poco esplosive. Si ricordava ancora di quando aveva versato la sua ultima pozione, ottenuta mischiando erbe dell’orto con terra e fieno, nel bicchiere di suor Agata che dopo essersi colorato di rosso era andato in frantumi tra le risate delle sue compagne. Poi finalmente all’età di dodici anni era riuscita a fuggire finalmente dall’istituto, nascondendosi nel carretto che ogni settimana portava cibo e coperte alle orfanelle. Nella sua mente era ancora vivo il ricordo di quel giorno: gli occhi faticavano a stare aperti inondati dalla luce del sole, per tanto tempo celata dal grigio soffitto della sua cella, le sue narici si riempivano della fresca aria mattutina e il suo piccolo cuore traboccava di curiosità. Da allora la strada era diventata la sua casa. Imparò presto a sopravvivere con piccoli furti e con ciò che ricavava dall’elemosina fatta davanti alle immense cattedrali gotiche da cui uscivano eleganti signore , ben disposte a mettere qualche penny nella sua piccola mano pur di evitare le maldicenze della gente. Non aveva idea di cosa le riservasse il domani, si preoccupava di poter sopravvivere giorno dopo giorno, notte dopo notte.

    Un brivido la riscosse dai ricordi. Il cielo era ormai nero, doveva trovare un riparo o sarebbe morta assiderata. Si allontanò dalla birreria, alla luce fioca dei lampioni che illuminavano a sprazzi le spettrali figure degli edifici e le strade segnate dai solchi delle carrozze, percorse un paio di isolati per poi ritrovarsi in King’s Road, nel quartiere residenziale della città.

    Maestosi palazzi settecenteschi o eretti in tempi più remoti si innalzavano lungo l’ampio viale interrotto qua e là da possenti cancelli di ferro posti a difesa dei proprietari, come le mura di un castello medioevale.

    C’era silenzio attorno ad Anne, anche l’ululato insistente del vento si era placato. Da poche finestre filtrava ancora la luce delle lampade a petrolio. Poi le note di un pianoforte presero a risuonare e una musica dolce, leggera si diffuse nell’aria pesante di Londra.

    Anne si guardò attorno in cerca della fonte di quell’incantevole melodia e scoprì che a produrla erano le mani sapienti di una giovane fanciulla il cui viso si intravedeva appena da una delle finestre al terzo piano della residenza del giudice Larson, la cui nobile famiglia era imparentata con la casa reale.

    Al di là del cancello che circondava il palazzo, stava un elegante vialetto che conduceva al portone d’ingresso ai cui lati erano poste due statue raffiguranti graziose ninfe che intrecciavano le loro mani sopra il portone come ad accogliere chi facesse visita alla casa.

    Anne si rannicchiò dietro ad un pilastro che emergeva dal perimetro della residenza posta di fronte a quella dei Larson. Lì, almeno, era al riparo dal vento e cullata dalle note della giovane pianista si addormentò.

    - Brava Janet! Un’esecuzione perfetta!- esclamò sir Lerson avvicinandosi alla più piccola delle sue due figlie che sedeva composta dietro il lungo pianoforte a coda. I suoi occhi, di un bel verde come quelli del padre, si illuminarono e la sua piccola bocca rosa si allargò in un sorriso. Lunghi capelli biondi le scendevano sulle spalle, un elaborato abito turchese faceva risaltare la sua esile figura.

    - Vi ringrazio, padre! E stato anche di tuo gradimento, Elly?- chiese la fanciulla rivolgendosi alla sorella che sedeva su una poltrona in fondo alla grande sala, assorta nella lettura di un romanzo. Elizabeth aveva da poco compiuto ventidue anni e il suo volto, al contrario di quello della sorella diciassettenne, cominciava a mostrare lineamenti più maturi, valorizzati dall’elaborato chignon in cui erano avvolti i suoi lunghi capelli castani e dal severo abito grigio che indossava. Il pallore della sua carne contrastava con l’azzurro intenso dei suoi occhi. Le labbra piccole ma carnose si dischiusero per rispondere a Janet.

    - Migliori ogni giorno di più ma ora sarà meglio andare a letto o il precettore domani troverà la sua allieva stanca…- disse con la premura di una madre.

    - Elizabeth ha ragione, passate una buona notte, figlie mie- augurò sir Larson mentre le due sorelle, dopo un breve inchino, uscivano dalla sala.

    Seguendo il passo lungo ed elegante di Elizabeth e quello ancora ingenuo e grazioso di Janet, George si chiese se le sue due figlie sarebbero state in grado di sopportare un fardello tanto pesante. Si lasciò cadere sulla poltrona posta davanti alla grande libreria che occupava tutta la parete destra della sala, si passò una mano sui capelli bianchi, il volto grinzoso e magro si contorse in un lungo sbadiglio. Quindi si issò sul suo lungo bastone dal manico d’oro a forma di testa di cigno e dato un ultimo sguardo alla strada, ormai avvolta nel buio, si diresse verso la sua stanza.

    - Svegliati, vagabonda!-

    Un getto di acqua ghiacciata interruppe il sonno di Anne la mattina dopo. Il timido sole di gennaio le era celato dalla mole di un uomo di mezza età, calvo e dalla corta barba rossiccia che stringeva ancora nella sua mano callosa di giardiniere, il secchio con il quale l’aveva innaffiata.

    - Questa è proprietà del marchese Larson, non puoi stare qui!- e afferratola per un braccio la costrinse ad alzarsi. Anne non si arrischiò a protestare e raccolta la sua vecchia sacca, si incamminò verso la cattedrale di St. Paul.

    Era domenica, giorno di chiesa per le signore altolocate di Londra. Anne si sistemò sui freddi gradoni della scalinata che conduceva al portale, sormontato da due immensi campanili.

    Anne cominciò ad esercitarsi nell’assumere un’espressione quanto più pietosa possibile. Non che vi si dovesse impegnare molto, tanto erano scavate le sue guance e affossati i suoi occhi.

    I rintocchi delle tredici campane della torre Nord richiamavano insistenti i fedeli alla funzione e da ogni lato della strada nugoli di gente accorrevano a St. Paul.

    Anche le nobili signore non tardarono ad arrivare, avvolte nelle loro calde pellicce, il capo coperto da eleganti cappellini da cui scendevano elaborate retine calate sui visi curati delle ladies.

    Anne ormai conosceva i loro volti e le loro tasche. Ecco arrivare la contessa Stuart con un elegante ombrellino orlato di pizzo che proteggeva la sua pelle delicata anche dai più tenui raggi di sole. Depositò 100 penny nelle mani di Anne che le sorrise riconoscente, era sempre molto generosa. Poi fu la volta di lady Canterville che si avvicinò trotterellando sulle sue gambe tornite e con fare pomposo consegnò ad Anne 50 penny: la giornata prometteva bene. Dietro lady Canterville , la ragazza indovinò il profilo arcigno della marchesa Lovett, una vecchia zitella avara di parole e di denaro. Come sempre, infatti, alla vista di Anne storse il naso e passò avanti, ignorandola. La ragazza non ci badò e tornò a porgere speranzosa la mano alle altre dame che accorrevano alla cattedrale. Tra di loro vi era una graziosa fanciulla con un candido abito e con lunghi capelli biondi raccolti sulla nuca sotto un simpatico copricapo di pelliccia.

    Ad Anne quel viso pareva familiare, poi ricordò quando la sera prima l’aveva scorta alla finestra Larson e le si avvicinò incuriosita.

    - Ciao! Eri tu che suonavi il piano ieri sera in King's road, vero? Ti ho visto dalla strada…-

    Janet le sorrise e annuì.

    - Sì, ero io. Ti è piaciuta la mia musica?-

    - Era bellissima, per un attimo mi sono sentita così leggera e serena…-

    Intanto Elizabeth si era fermata poco più in là a colloquiare con i Lovett ma quando vide la sorella con quella mendicante, si congedò con un rapido inchino e le raggiunse.

    - Janet, non è opportuno che tu parli con una sconosciuta e per di più in questo stato…- disse osservando con disprezzo gli sporchi stracci di Anne.

    - Non stavamo facendo nulla di male!- si lamentò la fanciulla.

    - Tua sorella ha ragione, non c’è da fidarsi di una come me!- sbottò allora Anne lanciando a Elizabeth uno sguardo di sfida. La maggiore delle Larson si limitò a ricambiare l’occhiata alla sconosciuta il cui povero mantello era sceso sulle magre spalle. Janet vide improvvisamente la sorella impallidire.

    - Che c’è Elly? Ti senti bene?-

    - S-Sì, è tutto a posto! Andiamo ora!- rispose Elizabeth agitata, poi strattonò la sorella all’interno della navata centrale di St. Paul.

    Per tutta la durata della funzione Elizabeth continuò a voltarsi con aria preoccupata verso l’entrata della chiesa, suscitando la curiosità degli altri fedeli, sorpresi dal comportamento della giovane lady Larson, solitamente esemplare e ineccepibile.

    Dopo la benedizione, Elizabeth attese che tutti fossero usciti dalla cattedrale per poi dirigersi in gran fretta a palazzo Larson, studiando con apprensione ogni angolo della strada e trascinando dietro di sé Janet che protestava confusa. Finalmente giunsero in King's Road dove il fedele maggiordomo, Mr Jones, le attendeva già accanto al portone di casa.

    - Bentornate signorine!Vostro padre si è appena destato e vi attende per la colazione…-

    - Grazie, lo raggiungiamo subito- rispose Elizabeth varcando la soglia di casa sotto lo sguardo marmoreo delle due ninfe.

    Mentre salivano la larga scalinata che conduceva al piano superiore, Janet esplose:

    - Adesso vuoi spiegarmi perché ti sei comportata in quel modo? Ci guardavano tutti!-

    - Mi dispiace ma non credo sia ancora il momento di parlartene. Va’ in camera tua e restaci!-

    - Ma ho fame e non ho ancora fatto colazione!- protestò Janet.

    - Ti farò portare qualcosa dalla cameriera, ora va’!-

    Janet provò ancora ad obiettare ma l’espressione severa della sorella non lasciava speranze e col viso imbronciato riprese a salire le scale.

    - Oh, Elizabeth! Hai visto che magnifica giornata?- proruppe sir George quando vide la figlia entrare nella sala da pranzo.

    Un lungo tavolo si estendeva da una parte all’altra della stanza coperto da una tovaglia finemente ricamata su cui erano sistemati ordinatamente vassoi colmi di biscotti, brocche di latte, the e cioccolata, frutta di ogni genere e infine invitanti fettine di bacon su fette di pane appena sfornato.

    Sir Larson era ancora in veste da camera e sedeva ad uno dei capi del tavolo, quello più vicino alla terrazza a cui si accedeva da un varco tra le tende di broccato rosso, tirate su con eleganti nastri dorati.

    - Siedi accanto a me, Elizabeth. Ma dov’è tua sorella?-

    Elizabeth fece cenno ai domestici di lasciare la sala, poi si accomodò accanto al padre. Il suo bel viso lasciva trasparire una forte preoccupazione.

    - E’ forse accaduto qualcosa di spiacevole? Qualcuno vi ha importunato?-chiese ansioso il padre.

    Elizabeth scosse la testa.

    - No, non temete, nessuno ci ha dato fastidio ma…-

    - Ma cosa? Cos’è tutto questo mistero?- sbottò allora sir Larson.

    - L’ho visto, padre! Un altro simbolo! Come quello mio e di Janet!- disse infine la ragazza.

    L’anziano giudice sbiancò e si alzò nervoso dalla sedia.

    - Non capisco di cosa stai parlando…-

    - Avete capito benissimo invece! Un altro simbolo… come questo!-

    Con le mani tremanti, Elizabeth si abbassò la manica sinistra del suo abito verde quanto bastava per mostrare al padre la bianca pelle della spalla su cui era inciso il contorno nero di un uccello dalle ali raccolte sul piccolo corpo e dal becco aperto.

    - Una mendicante, fuori dalla cattedrale di St. Paul, aveva un simbolo simile a questo! Cosa significa, padre?-tornò a chiedere esasperata la giovane donna. George la guardò intensamente, poi le sorrise e tornò a sedersi.

    - Ti spiegherò ogni cosa, d’altra parte l’avrei fatto comunque di qui a poco. Ti prego solo di ascoltarmi e di non interrompere, quello che devo dirti è molto importante…-

    Elizabeth annuì e in silenzio si preparò al racconto del padre.

    Anche Janet, fuori dalla sala, fremeva dalla voglia di sentire le rivelazioni di sir Larson e accostava impaziente l’orecchio alla porta della stanza, rimasta socchiusa. Mrs Bean, la governante, saliva in quel momento le scale portando tra le mani il vassoio con la colazione della giovane padrona quando la vide che origliava alla porta della sala da pranzo.

    - Miss Janet, non è buona educazione ascoltare i discorsi degli altri e poi voi dovreste essere in camera!-

    La fanciulla le rivolse uno sguardo indifferente.

    - Non impicciarti, tu! Torna in cucina che ora non ho fame e non pensare di raccontare ciò che hai visto a mio padre o gli suggerirò di cercarsi un'altra governante…-

    Mrs Bean si allontanò, borbottando indignata per il trattamento ricevuto. Janet si riavvicinò alla porta.

    - Innanzitutto, cara Elizabeth, devi sapere che il nome della nostra casata non è Larson ma Dee… questo ti dice nulla?- iniziò sir George.

    A quel nome la giovane sbiancò.

    - Dee... John Dee! Uno dei più illustri filosofi e scienziati alla corte di Elisabetta I! Vi riferite forse a lui?-

    - Sì, proprio lui e non fu solo abile nel pensiero e nella scienza… si applicò con successo anche alle pratiche alchemiche ed è proprio a causa di queste che ci è impedito di usare il vero nome della nostra famiglia.- spiegò sir George.

    - Alchimia? Ricordo che Dee fu scagionato da tutte le accuse di alchimia ed esoterismo che gli furono mosse per screditarlo!- replicò Elizabeth confusa.

    - Sì, certo e senza dubbio fu la regina , molto affascinata dal mondo alchemico, a elevare la sua figura in società permettendogli così di continuare in segreto i suoi esperimenti…- continuò il vecchio giudice.

    La giovane era sempre più confusa.

    - Padre, non capisco… che tipo di esperimenti?-

    Sir Dee le sorrise.

    - Cosa sai dell’alchimia?-

    - E’ una dottrina diabolica , praticata dalle streghe che si servono di oscuri filtri e pozioni per riprovevoli culti pagani!-

    Il sorriso di George si trasformò in una smorfia di profonda disapprovazione e le molte e pesanti rughe sulla fronte si aggrottarono facendogli assumere l’aspetto di un grosso gorilla pronto a assalire il suo avversario.

    - Queste sono solo maldicenze, frutto della superstizione in cui il nostro tempo è caduto!- rispose battendo con forza il pugno sul tavolo e facendo quasi cadere una brocca, ancora colma di latte. Poi, chinatosi sulla figlia, riprese con tono improvvisamente pacato – L’alchimia è un’arte sublime e antichissima. Persino

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