La casa matrioska
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Dall’invasione di sangue nella sua casa a voci misteriose che recitano versetti dell’Apocalisse, sommovendo forze archetipe primordiali, alla ricerca di un’entità diabolica menzognera e astuta, che cerca di trascinare l’uomo verso il mondo degli inferi, passando per le antiche glorie di ordini monastici e un inquietante passato della città in riva alla Ljubljanica, Irena si inoltrerà nel passato, avvalendosi di medium, preti, consulenti geo-biologici e burocrati, indomita, decisa a tutto per salvarsi dalla possessione. Amori dannati, fulminanti manoscritti, donne temibili e ambigue, omertosi silenzi, visioni spaventose e malefici attraversano la storia di Lubiana, apparentemente ignara di quanti tormenti si annidino nelle sue viscere, nei suoi territori carsici scavati dall’acqua, tra le sue graziose stradine, i suoi caffè, le sue passeggiate all’ombra di signorili case ottocentesche.
Una mise en place che suscita emozione, orrore, raccapriccio, ma che inchioda il lettore al testo fino all’ultima pagina.
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Anteprima del libro
La casa matrioska - Gabriella Pison
matrioska
Prefazione
L’incipit richiama i classici russi e la rassegnata inesorabile miseria degli scritti di Dickens che hanno influenzato per secoli la narrativa, il teatro e persino il cinema d’autore. Dopo tale breve desolazione, come prima sorpresa, presto arriva un lieto seguito nella Slovenia felicemente ritornata stato mitteleuropeo del terzo millennio, con auto e pc, in una Lubiana dove è facile trovare lavoro, casa e speranza.
Poi altre sorprese: a ritmo incalzante in un thriller sulle orme di un Il nome della rosa o di un Codice da Vinci del paranormale si incontrano fosche e terrifiche figure medioevali, colti e generosi religiosi, comuni burocrati e impiegati moderni, enigmi linguistici che, uno scalino per volta, portano verso la verità o verso quella che potrebbe essere la verità, o non esserlo.
La sfida è, come sempre fra il bene e il male, un male che abilmente si camuffa da bene. Sullo sfondo un co-protagonista è addirittura il demonio, caprone dell’inferno.
Lettura avvincente. Sconsiglio alle persone impressionabili che dormono da sole di leggerlo la sera a letto.
Brava Gabriella Pison!
Ai lettori, che spero saranno tanti, auguro una buona lettura e chiedo se desidererebbero leggere un sequel con la rivincita della sfida.
Ciriaco Scoppetta
Abbiamo nutrito il cuore di fantasie. Con quel cibo il cuore si è fatto brutale.
William Butler Yeats
Credo nella magia, nell’evocazione degli spiriti, anche se non so che cosa sono; credo nel potere di creare a occhi chiusi magiche illusioni nella mente e credo che i margini della mente siano mobili, che le menti possano fluire l’una nell’altra, così creando o svelando una mente o energia unica, poiché le nostre memorie sono parti dell’unica memoria della natura.
William Butler Yeats
E che cosa amerò se non l’enigma delle cose?
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Bello è l’Orrendo,
Orrendo il Bello. La nostra via
siano i vapori, la nebbia sia.
William Shakespeare, Macbeth . Atto I, scena I
La casa matrioska
Irena Aksentijevic era nata lungo le sponde del Danubio, nella fragilità di una campagna preda dello spopolamento e della miseria, nell’invernale freddo pungente della pianura mitteleuropea. Ben presto aveva intuito che quella vita le stava stretta, formaggio e zuppa di cipolle, un padre quasi sempre ubriaco, sette fratelli figli della sua violenza, pallidi e affamati. Ma Irena aveva soprattutto fame di conoscere, di andare al di là di quei confini che la ingabbiavano in un presente di stenti e in un futuro senza speranze.
Non appena ebbe concluso l’ultimo anno di scuola, ormai diciottenne, lasciò quel paese che l’aveva vista crescere tra i mandorli in fiore e le ruvide carezze di sua madre, tra le piogge infinite dell’autunno e la sete di sapere, per andarsene in quella che lei aveva sempre vagheggiato come la città per eccellenza, la metropoli dove forse ogni sogno poteva realizzarsi. Non una grande città realmente, ma tant’era nel suo cuore e nella sua mente.
Arrivò a Lubiana, in Slovenia, con pochi soldi in tasca; aveva un indirizzo, quello di una parente che viveva lì da decenni. Come scese dal treno rimase incantata dai palazzi liberty lungo la Ljubljanica, il fiume che scorreva lento tra i gioielli di un’epoca lontana, in parte ristrutturati mirabilmente, in parte lasciati ai vecchi fasti con un alone di malinconica decadenza. I negozi erano pieni di oggetti colorati che sembravano usciti da un mondo fantastico, i bar – a ogni angolo ce n’era uno – dalle architetture assolutamente innovative dove l’high tech conviveva con le brutture del passato regime, le taverne e tanti giovani come lei, che sembravano soltanto godersi la vita.
Ebbe fortuna, sua cugina lavorava in una azienda che si occupava di analisi statistica e Irena aveva un diploma che poteva rivelarsi utile, infatti dopo una settimana dal suo arrivo si rese temporaneamente vacante un posto di addetta alla segreteria, niente male – era un inizio – ma le avrebbe dato la possibilità di avere una casa tutta sua. Cominciò subito la ricerca di un appartamentino, anche per svincolarsi dagli obblighi familiari; le piaceva il lungofiume, per il viavai di gente che lo percorreva, per i profumi di spezie e caramello, per quel déjà-vu che fin dal primo giorno l’aveva afferrata quando si era sentita come a casa sua, anzi, molto meglio!
Riuscì a intercettare un simpatico monolocale in una casa appena ristrutturata, non proprio lungo la Ljubljanica, perché là i prezzi erano troppo elevati per le sue possibilità, ma in una stradina arretrata di pochi passi, un vicolo dove non c’erano ancora negozi e attività commerciali, ma le era piaciuto molto, specie quel bovindo da cui avrebbe potuto guardare il mondo brulicare sotto di lei: Ulica Kristanova 15, via Kristanova, secondo piano, il secondo appartamento a sinistra.
Si scoprì arredatrice di ottimo gusto e in un paio di giorni l’alloggio fu pronto per accoglierla; la prima sera decise di festeggiare, sì, da sola, ma beata solitudine!, se questo era il prezzo da pagare per non vivere più in quella desolazione dei suoi primi diciott’anni di vita in Serbia. Cucinò un piatto che conosceva bene, le sarme, degli involtini di foglie di cavolo ripieni di riso e uvetta, un piatto della sua terra, che ora poteva reinventare liberamente, condito da un pizzico di nostalgia soltanto e comperò del buon vino rosso tipico di quelle terre dure, il Terrano, asprigno e dal retrogusto ferroso. Fu una cena memorabile, la prima della sua nuova vita.
Andò a letto quasi verso mezzanotte; aveva steso delle lenzuola candide in cui si allungò gustando tutto il piacere di quella giornata e si addormentò con un mezzo sorriso. Fu per poco, si svegliò di soprassalto tra lenzuola scarlatte, impregnate di sangue, sangue ovunque, sulle pareti, sul pavimento… si mise a urlare, sopraffatta da quell’orrore, sentiva il liquido viscido scorrerle sulle mani, entrarle nella bocca come un caldo infernale ribollire. E dalla finestra, improvvisamente aperta, vide uscire un’ombra…
Il mattino la trovò esausta, pallida, tra le lenzuola immacolate della sera prima: Irena aveva sognato, un incubo che l’aveva estenuata per la somiglianza con la realtà. Si alzò stupita di non trovarsi ancora in mezzo a quel fiume vermiglio, ma anche sconvolta, ferita e delusa che la sua prima notte fosse trascorsa così male. Si fece coraggio, si recò al lavoro sperando di dimenticare quanto aveva passato impegnandosi, concentrandosi e iniziando a conoscere le persone che gravitavano intorno a lei.
In effetti si sentì sollevata quando le fu presentato il collega anziano,