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Il Segreto dei Lanze
Il Segreto dei Lanze
Il Segreto dei Lanze
E-book306 pagine4 ore

Il Segreto dei Lanze

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Info su questo ebook

Verona, prima metà dell’Ottocento. Carlo Lanze, un giovane brillante e curioso, è convinto che l’origine delle fortune della sua famiglia - ovvero il ritrovamento di una quantità ingente e inverosimile di denaro da parte del suo antenato Giò - sia solo una leggenda. Deciso a scoprire la verità, inizia un’indagine.
Di segreti, paure, pericoli, ma anche di amore e passione, si compone questo giallo storico pieno di sorprese.
LinguaItaliano
Data di uscita26 giu 2017
ISBN9788884498304
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    Anteprima del libro

    Il Segreto dei Lanze - Stefano Ramazzotto

    svolto.

    Prolegomeni (1699)

    Le mani tremavano per il freddo e per l’ansia nella quale era precipitato, e le chiavi gli erano cadute nuovamente a terra.

    «Nessuno può avermi visto a quest’ora… nessuno.» ripeteva tra sé e sé.

    Finalmente riuscì a chiudere la porta e, per la seconda volta, controllò che fosse ben chiusa. Mise nel taschino del gilet le chiavi e poi montò a cavallo. Trepidante si diresse verso casa sperando di non incontrare anima viva. Sarebbe stato difficile che qualcuno potesse riconoscerlo nell’oscurità della notte e con quella nebbia, tuttavia non si sentiva tranquillo. In un attimo si ritrovò in Piazzetta Santa Toscana e subito dopo percorse tutta via San Nazaro e oltre senza dare tregua al cavallo. Il suo cuore pompava all’impazzata e il sangue circolava a una velocità doppia del normale. Benché l’aria fosse gelida, sudava in ogni parte del corpo e la sua mente era travolta da mille pensieri. Mentre passava sul retro della chiesa di Santa Maria in Organo meditava su come organizzare il trasferimento di Anna e dei piccoli.

    Una volta che saranno al sicuro, provvederò a far sparire ogni traccia. Sì, domattina dovrò fare i bagagli e con la carrozza portarli in campagna, lontano da Verona. Poi penserò al resto.

    Tutto era buio e silenzioso. Gli elementi, almeno loro, erano dalla sua parte.

    Svoltò a sinistra, attraversò il vecchio ponte di pietra sopra il ramo secondario dell’Adige e finalmente giunse alla villa. Smontò di sella e cercando di fare il minimo rumore possibile aprì la cancellata. Era così teso che anche i due falchi posti sopra le colonne di pietra gli parvero più minacciosi del solito. Tenendo Barros per la briglia si diresse verso la stalla e una volta entrato lo legò al solito asse.

    Questa la mettiamo qui sotto, per il momento…

    La lingua ruvida del cavallo gli procurò un gran prurito sul palmo della mano, segno che di biada non ve n’era più.

    «Va bene, va bene, te ne do ancora, ma stai in silenzio, da bravo.»

    Riempì un altro paio di volte la mano sinistra di cereali, mentre con la destra continuò ad accarezzarlo. L’animale sembrò soddisfatto. Dopo avergli dato un paio di pacche sulla groppa, uscì e chiuse il portone dietro di sé.

    Un miagolio acuto lo fece sobbalzare e il suo cuore, già agitato, schizzò al suo ritmo massimo mentre un gatto nero gli passava davanti scivolando come un’ombra nel cuore della notte. Gli occhi gli uscirono dalle orbite e il viso divenne una palla infuocata.

    Una volta entrato nella sua casa, come se fosse stato un ladro, accese una candela e si accostò al canterano di noce listrato, proprio sotto la maestosa libreria. Avvicinò la fiamma, aprì uno dei cassettini, vi ripose le chiavi e lo richiuse. Poi prese un grosso volume dagli scaffali e dopo aver tolto col coltellino la porzione centrale di alcune pagine, vi inserì la chiavetta con la quale aveva serrato il cassetto. Quindi ripose al suo posto il libro.

    Confuso e ansioso come mai era stato nella sua vita, salì al secondo piano e dopo essersi svestito, si coricò a fianco della moglie. Proprio in quel momento Anna tossì energicamente e si rimboccò la coperta.

    «Dove siete stato finora?»

    «Allo studio. Dovevo finire una cosa…»

    «Caro, voi siete tutto sudato. Vi sentite bene?»

    «Sono solo stanco, non vi preoccupate, moglie… tornate a dormire…»

    I - La famiglia Lanze

    Il rumore dell’acqua copriva ogni altro suono proveniente dal parco; ciò nondimeno, secondo Carlo, non vi era luogo più sicuro per nascondersi. La fontana con il mascherone leonino si trovava nella corte sul retro della villa: nessuno avrebbe mai immaginato che si nascondesse lì.

    Era un pomeriggio dell’estate del 1831 e faceva caldo. Il cielo appariva opaco e l’umidità copriva la pelle di un velo di sudore. Carlo ben volentieri si sarebbe tuffato nel laghetto, ma sapeva che suo fratello e i due figli del signor Castelli lo stavano cercando e non voleva farsi trovare.

    Tutto pareva silenzioso e si stava convincendo che gli altri fossero lontani, tuttavia decise di restare ancora un po’ nel suo nascondiglio. Alcuni minuti dopo, però, innervosito da alcune zanzare affamate che lo punzecchiavano, si alzò per controllare la situazione. In quel momento Vittoria lo scorse.

    «È lì sotto! Dietro la fontana!»

    «Vitti l’ha trovato! Corri Riccardo, corri!» gridò Francesco Castelli.

    Carlo era un bambino socievole e andava d’accordo con tutti, al contrario del fratello che era invece assai introverso; nondimeno la figlia dell’amico di suo padre, Vittoria, riusciva sempre a farlo andare su tutte le furie. La odiava perché la riteneva solo una ragazzina dispettosa. Qualsiasi cosa lui e il fratello facessero, Vittoria correva dai suoi genitori a lamentarsi e solitamente Carlo e Riccardo subivano il richiamo severo del padre. Molto spesso quello che raccontava era del tutto inventato. Era bugiarda, ma sapeva come farsi ben volere dagli adulti e loro credevano a ogni sua parola. Quando lui e il fratello venivano sgridati a causa sua, pareva esserne dispiaciuta; ma poi, appena lontana dagli sguardi dei grandi, mostrava loro uno dei suoi sorrisini pieni di cattiveria. Per Carlo quella bambina era una creatura abominevole, con un viso angelico ma un’anima demoniaca.

    Vittoria era un po’ più bassa di lui, aveva capelli lunghi leggermente mossi e di un castano molto chiaro, e occhi ravvicinati, lievemente a mandorla e profondi; la bocca era sottile e ampia. Quel giorno indossava un vestitino di colore azzurro a mezze maniche che terminavano con un raffinato merletto bianco, simile a quello della goletta, dalla quale spuntava il suo collo snello e lungo. Ai piedi portava due graziosi stivaletti bianchi che ben si abbinavano all’abito e all’ombrellino da sole, pure di colore azzurro. Era oggettivamente graziosa, anche se troppo gracile. Ma al di là del suo aspetto, di certo non si poteva ignorare quel carattere dispettoso.

    Carlo amava quel giardino e quella villa ed era un ragazzino felice. L’unica ombra era rappresentata proprio da lei, Vittoria.

    Il parco era il luogo ideale per giocare. Le sue dimensioni erano generose e si estendeva per lo più sul retro della residenza dei nonni. All’interno del suo perimetro, oltre a un fitto labirinto di siepi perenni, vi si trovavano tantissimi alberi ad alto fusto. Abeti, aceri secolari e salici piangenti che stendevano i loro rami fino a sfiorare le placide acque del lago, diventavano un nascondiglio ideale. Le aiuole erano ricolme di fiori meravigliosi e di tantissime varietà; ovunque sorgevano statue di putti, creature mitologiche, soldati medievali e animali di tutte le specie.

    Uno dei luoghi preferiti dai ragazzini era senza dubbio la grande serra affiancata al lato sinistro della villa subito dopo le barchesse, anche se, per volere del padre di Carlo, essa doveva considerarsi zona proibita. Varcata la sua soglia, si veniva letteralmente travolti dal profumo intenso dei fiori e degli agrumi mescolato al buon odore di terriccio.

    La residenza vera e propria, dove vivevano i nonni Giovanni e Virginia e dov’erano stati cresciuti il loro padre e gli zii Giulio e Camilla, si trovava al centro del complesso. Era una tipica villa veneta eretta verso la fine del Seicento sopra a una struttura preesistente e si sviluppava su due livelli più il sottotetto, dove alloggiava la servitù. Su ambo i lati e in maniera perfettamente simmetrica si dipartivano le barchesse. La loro pianta era a elle, e se i lati maggiori erano divenuti il prolungamento della stessa casa padronale, quelli minori arrivavano invece ad anticiparne la facciata di una decina di metri.

    In tempi più recenti e per volere di Virginia, proprio a ridosso della barchessa di sinistra e delle stalle, era stata eretta la serra. La sua costruzione aveva richiesto un’ingente somma di denaro, soprattutto per l’enorme utilizzo di vetro, ma il risultato era andato al di là delle aspettative.

    Un portoncino a doppia anta, preceduto da una breve gradinata e sormontato dallo stemma di famiglia in marmo, portava all’atrio della palazzina. Da lì ci si trovava di fronte all’ampia scala che permetteva di raggiungere il piano nobile, e sulla sinistra si apriva l’accesso a un piccolo salotto e quindi alla biblioteca. In quella stanza, che occupava l’intera barchessa, erano stati accumulati negli anni libri meravigliosi, taluni di grande valore.

    La libreria si sviluppava su due pareti ed era costituita da un mobile in radica di noce molto raffinato, con portine in vetro e una cornice superiore decorata. Vi erano libri di tutti i generi e per tutti i gusti: di storia, come Cronica della città di Verona di Pier Zagata, Historia d’Italia di Girolamo Brusoni, Trattato historico della peste dell’anno 1631 di Agostino Scotto; di araldica, per esempio Origini e fatti delle famiglie illustri d’Italia di Francesco Sansovino, o Li pregi della nobiltà veneta di Casimiro Freschot; di chimica e medicina, come il celeberrimo De humani corporis fabrica dell’anatomista Andrea Vesalio. Naturalmente vi si trovavano anche romanzi, raccolte di poesie e classici come l’Eneide, l’Odissea e la Divina commedia.

    Quasi al centro della stanza troneggiavano un leggio, dal quale il lettore poteva dare un primo sguardo ai tomi, uno scrittoio e una poltrona in pelle; di fronte alle portefinestre, invece, un armadio in noce massello, all’interno del quale era conservato il ricco archivio dei Lanze.

    «Vedete qui? Sono tutti documenti che riguardano la nostra famiglia. Questo Zuanne ai primi del Seicento viveva a Verona, ma non vi era nato… mio padre diceva che in precedenza i nostri avi risiedevano altrove.»

    «Dove, nonno? E quando siamo andati a vivere a Venezia?»

    «Tu sei molto curioso Carlo, e questo è un bene. Sono la curiosità e la dedizione che portano alla conoscenza. Dunque, vediamo… se non ricordo male i nostri antenati sono giunti nel Veronese prima della grande epidemia di peste, anche se non so dirvi da dove… e si sono spostati a Venezia verso la fine del secolo.»

    «Dunque sono rimasti a Verona per quasi cent’anni! E perché si sono trasferiti a Venezia?»

    «Non lo so, Riccardo. Probabilmente ci spostammo per motivi legati alla nostra attività di merzari. Non tutti i Lanze facevano i mercanti, naturalmente. Tra di loro anche avvocati, scrittori notarili e uomini religiosi… ricordo per esempio che un tal Francesco, nato nel 1660 a Verona, faceva parte della collegiata di Sant’Elena.»

    «Forse i due pennini del nostro stemma hanno a che fare con quelle professioni…» osservò Carlo.

    «Non lo so ragazzi, ma può essere.»

    «Quelli che cosa sono, nonno?»

    «Registri contabili: compravendita di case e terreni, le uscite per il vestiario, per il vitto e le sementi. Sono elencate anche le spese sostenute per la manutenzione delle proprietà.»

    La luce fioca di una candela, la schiena ricurva sul tavolo e la penna d’oca in mano: prima di addormentarsi, Carlo immaginava così uno suoi antenati. Era affascinato e incuriosito da quei preziosi documenti.

    Al piano nobile della villa, nel soggiorno, dove i nonni ricevevano gli ospiti, si trovava il pianoforte a coda André Stein di Virginia. In quegli anni, soprattutto durante le lunghe giornate d’inverno, la nonna suonava per i nipoti le partiture dei grandi maestri. Amava i concerti per clavicembalo di Bach e quelli per pianoforte di Mozart, ma il suo preferito era il Concerto in Re maggiore per pianoforte e orchestra di Franz Joseph Haydn. Il primo tempo ricordava un fraseggiare e una vivacità già tipici di Mozart, mentre il secondo, che era il prediletto da Virginia, poteva essere considerato un esempio di squisita intimità. Lo strumento, molto leggero all’inizio, andava gradatamente rafforzando la sua natura fino a raggiungere toni drammatici. Quelle scalette meravigliose eseguite dalla mano destra, mentre la sinistra accompagnava con degli arpeggi, erano così coinvolgenti che passando dal piano al forte scuotevano l’animo tutto.

    Nella stessa sala spiccava anche un caminetto rivestito di marmo nero e rosso e sulla sua grande cappa lo stemma araldico; sul sofà davanti al focolare i nipoti stavano seduti ad ascoltare la nonna che si divertiva al piano. Anche Romeo, il cane dei nonni, nato da un incrocio tra un pastore tedesco e un collie, sembrava apprezzare quelle note. Lui e i bambini rimanevano immobili e muti, quasi sognanti.

    «Nonna, chi è quell’uomo così alto e perché ha quegli strani capelli grigi con il fiocco nero?»

    «Quello è un ritratto del vostro antenato Giò, l’uomo che ha acquistato questa proprietà… comunque non sono capelli, Carlo: indossa un parrucchino, un ornamento in voga ai suoi tempi.»

    «È così severo!»

    «Sì, lo è… ma al nonno Giovanni hanno sempre raccontato che era una persona gentile e solare.»

    «Come mai imbraccia un violino?»

    «Era un discreto violinista e quello è il suo strumento. È custodito qui in villa, nella biblioteca. Purtroppo dopo la sua morte è rimasto all’interno di una teca di vetro perché nessuno si è più cimentato in quell’arte… un vero peccato.»

    In quel dipinto a grandezza naturale le guance di Giò Lanze erano rosee e le sue labbra carnose; il naso appariva ampio e gli occhi grandi e di un colore azzurro chiaro. Indossava una giacca di velluto verde scuro con bottoni dorati, sopra a una camicia bianca con sbuffi ai polsi.

    «Questa casa è piena di quadri… ma anche da noi a Venezia ce ne sono tanti!»

    «Il mio bisnonno era un grande amante della pittura - intervenne Giovanni - e dell’arte tutta. Ha acquistato lui buona parte delle tele che possediamo. Una delle mie preferite è questa. Ci sono nostro signore Gesù Cristo assieme alla Vergine Maria in primo piano, ma la parte più interessante è lo sfondo… la collina piena d’alberi ad alto fusto… vedete come sono reali il prato e le piante? Come sia reso il senso della profondità?»

    Carlo annuiva, conquistato dalle parole del nonno. Quando stava nella villa era felice e tutto gli sembrava meraviglioso. Lì il tempo pareva fermarsi e si sentiva in pace. In seguito avrebbe sempre ricordato quelle giornate come tra le più serene della sua giovinezza

    II - La leggenda

    «Moglie mia, gli anni passano e le energie non sono più le stesse…»

    «Ma cosa dite? Siete ancora un uomo molto attivo!»

    «Certo, ma sempre più gli affari mi portano a Verona e tutto questo viaggiare sta diventando per me pesante. Pensavo che potremmo trasferirci in una delle tante abitazioni che la mia famiglia possiede in città. Voi cosa ne dite? Sarebbe tutto più facile e potremmo passare più tempo assieme.»

    «Ogni vostro desiderio è anche il mio, lo sapete. Per quanto mi riguarda, da quando i miei genitori sono morti nulla più mi lega a Venezia.»

    «La casa di villeggiatura che si trova sull’Isolo, vicino alla chiesa di Santa Maria in Organo, sarebbe un’ottima sistemazione. Era la residenza estiva dei Lanze e mio trisnonno vi ha vissuto per molti anni.»

    «E sia.»

    Qualche giorno dopo, Angelo si recò a Verona. Una volta attraversato il Ponte delle Navi prese per la strada che conduceva alla chiesa di San Tommaso, per giungere finalmente in via Ponte Pignolo. Superata la prima arcata della vecchia struttura in pietra, vide il fratello Giulio, che accompagnato da alcuni servitori lo stava aspettando davanti al cancello del villino.

    «Caro Angelo, che piacere riabbracciarti!»

    «In effetti è da qualche settimana che io e te non ci vediamo. Perdonami, ho avuto molto da fare.»

    «Già… mi stavo chiedendo se avessi deciso anche tu di metterti a riposo!»

    «Non ci penso nemmeno. Il mio lavoro mi piace e se ho deciso di trasferirmi qui è proprio per poter continuare a svolgerlo al meglio.»

    «Lo so, lo so, stavo solo scherzando.»

    «Dimmi invece di te… come stai adesso che ti sei ritirato?»

    «Sto benissimo, mio caro.»

    «E Marisa? Come si trova qui a Verona?»

    «Bene… legge tantissimo. Sai che è un’appassionata di letteratura russa e adesso ha tanto tempo… Ma seguimi, ti prego.»

    «Che brutto odore qui dentro… toglie il respiro…»

    «Ho fatto aprire gli abbaini e le finestre più di un’ora fa, ma è rimasto chiuso per molti anni. L’avevi mai vista la biblioteca?»

    «No, è la prima volta che entro in questa casa. Ai nostri antenati piaceva leggere, questo è sicuro. Il salone è meraviglioso, c’è da restare a bocca aperta. Dipinti stupendi…»

    «Avrai tutto il tempo per gustarteli, Angelo. Quando intendi trasferirti?»

    «Prima possibile, ma molto dipende dallo stato in cui versa la casa. Anche se, da quello che ho visto, non mi sembra messa male…»

    «No, infatti. Solo in alcune stanze c’è un po’ di muffa.

    E ora andiamo a bere qualcosa all’osteria dall’altra parte del ponticciolo, per festeggiare.»

    I due fratelli rimasero a chiacchierare per una decina di minuti al Pero d’Oro, l’antico locale frequentato da barcaroli e molinari. Poi Giulio se ne andò e Angelo fece ritorno al villino, dove ordinò alle maestranze che aveva convocato di far tornare la dimora agli splendori del Settecento.

    I lavori di restauro andarono avanti per più di un mese e molti furono gli artigiani e gli operai necessari. Finalmente, verso la metà di giugno, la famiglia poté trasferirsi.

    «Mi piace questo color albicocca. Ma non mi avevate detto, caro, che la casa fosse così grande…»

    «È divisa in due ali: questa dove siamo ora è l’abitazione principale. L’altra, sul retro, un tempo era adibita a deposito delle mercanzie. Dietro vi è un magnifico giardino, pieno di alberi secolari. Vi si accede dalla cancellata, quella con i falchi sopra le colonne.»

    «Attraversando il piccolo ponte mi era sembrato che il parco seguisse il canale per parecchi metri…»

    «In effetti si trova compreso tra i due rami secondari del fiume: il canale del Redentore e quello dell’Acqua Morta.»

    Angelo spostò lo sguardo dal viso della moglie al villino. Sulla facciata spiccavano ben undici finestre e tre portefinestre con balcone. Sopra il maestoso portone d’ingresso e sulle colonne del cancello era ben visibile lo stemma dei Lanze, uguale a quello che si ritrovava nell’atrio della dimora, dipinto coi suoi sgargianti colori: azzurro di Francia per il fondo, giallo oro per i tre gigli e nero per i due pennini incrociati disposti nel mezzo. Niente a che vedere con i toni freddi del dipinto che si affacciava sul primo pianerottolo della scala.

    «Padre, padre, chi è quell’uomo?» chiese Carlo.

    «È il nostro avo, con uno dei suoi figli… credo Pietro, il primogenito.»

    «Mette paura. Come quello che hanno i nonni in campagna.»

    «Paura mi sembra esagerato. Comunque, cari ragazzi, dovrete abituarvi… in ogni stanza di questa casa vi è un suo dipinto. Giò doveva essere una persona eccentrica.»

    In realtà i quadri erano ovunque nel villino, ma fortunatamente solo per una minima parte si trattava di ritratti del Lanze. Nel corso della propria vita Giò aveva dato fondo alle sue cospicue fortune acquistando moltissime tele, alcune di grande valore. Si era anche contornato di sculture, arazzi, pergamene, reliquie e suppellettili di notevole fattura, oltre a un numero imprecisato di strumenti musicali: spinette, oboi, clarinetti, ma soprattutto archi. Il pezzo forte restava però il Maggini conservato nella biblioteca della villa di campagna.

    Nel salone principale dominava l’albero genealogico della famiglia: interessava sette generazioni ed era stato fatto disegnare dal nonno di Carlo nel 1795.

    «Quello indicato lì è Giovanni, il nonno?»

    «Sì. E questi siamo io, zio Giulio e zia Camilla. A fianco del nonno vedete invece suo fratello Luigi, poi salendo mio nonno Angelo Alessio, il mio bisnonno Zuanne e Giò, quello che hai visto nel dipinto all’ingresso.»

    «Come mai si trova qui?»

    «Che cosa?»

    «L’albero…»

    Angelo sorrise al figlio.

    «Non ne ho idea. Forse un omaggio del nonno all’uomo che ha creato la nostra ricchezza.»

    Fu proprio dopo essere andati a vivere in quella casa che per la prima volta Angelo raccontò ai figli la leggenda di Giò. Si diceva che da ragazzo, quando ancora viveva a pigione coi propri genitori, avesse trovato nell’interrato della modesta abitazione un barile pieno di ducati. Si era quindi servito di quei denari per avviare l’attività di merzaro e in breve tempo aveva fatto la fortuna dei Lanze, acquistando case e ville nel centro della città e nelle campagne. In quest’ultime, allevando bachi da seta, aveva ulteriormente arricchito il suo patrimonio.

    Nei giorni a seguire Carlo pensò a lungo a quell’affascinante storia. Poi, impegnato dagli studi, piano piano se ne dimenticò.

    III - Conoscenze

    «Finalmente è arrivato il mio diletto nipote. Il farmacista più capace di Verona!»

    «Non esagerate, zio. Non posso ancora considerarmi tale… ho iniziato da così poco tempo!»

    Giulio Lanze sorrise e si rivolse ai suoi invitati.

    «Fa sempre il modesto, ma la verità è che in questi ultimi due anni ha imparato moltissimo e ogni volta che mi reco alla sua bottega è sempre piena di clienti. Ricordo bene che il signor Pillarol, lo speziale che prima di lui gestiva la farmacia, mi disse che Carlo è nato per fare questo mestiere.»

    «Scusate piuttosto il mio ritardo, signori. Al momento di

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