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La lezione del milionario: Harmony Collezione
La lezione del milionario: Harmony Collezione
La lezione del milionario: Harmony Collezione
E-book163 pagine2 ore

La lezione del milionario: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Dalla Grecia agli Stati Uniti, dall'Italia all'Inghilterra, innamorarsi di un milionario non è poi così difficile. Ma riuscire a rapirne il cuore non è un'impresa da tutti.



Angelo Emiliani sa che Anna Delafield lo sta imbrogliando: lui è interessato all'acquisto della proprietà della famiglia Delafield, e sembra proprio che Anna stia cercando di mettergli i bastoni fra le ruote. Così decide di darle una lezione, che prevede la permanenza di Anna sul suo yacht giusto il tempo necessario per sedurla, e farle capire che giocare con lui è come scherzare con il fuoco. Purtroppo per lui, però, non sarà solo Anna a finire scottata.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2017
ISBN9788858970836
La lezione del milionario: Harmony Collezione
Autore

India Grey

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La lezione del milionario - India Grey

    fiato...

    1

    «C’est tout, mademoiselle?»

    Anna rivolse un ultimo sguardo a quel che restava della sua infanzia, ammucchiato sul retro del furgone del banditore d’asta, e deglutì a fatica. «Sì, è tutto.»

    L’uomo richiuse il furgone e si ripulì le grosse mani impolverate. «Bien, mademoiselle. In solaio è rimasto del materiale che non può andare all’asta. Forse in un mercatino delle pulci, dans une brocante

    Anna, strascicando distrattamente la punta della ballerina verde nella ghiaia, annuì. Poi si fermò di scatto. Aveva passato troppo tempo nel gruppo di GreenPlanet, dimenticando come ci si comportava quando si era vestiti in modo appropriato.

    Si raddrizzò e sorrise con aria colpevole. L’uomo addolcì lo sguardo. Lavorava per quella casa d’aste parigina da molti anni, perciò niente avrebbe dovuto più sorprenderlo: gli aristocratici erano gente stramba, e gli inglesi più degli altri, ma Lady Roseanna Delafield era diversa da tutti quelli che aveva conosciuto.

    Con quei morbidi capelli neri striati di rosa e i movimenti da ballerina, gli faceva pensare a un cucciolo di razza, smarrito e diventato selvatico. Portava i capelli raccolti sulla nuca e indossava un abito di lino nero che conferiva alla sua carnagione la tonalità di un’albicocca dorata dal sole, ma niente riusciva a occultare la vulnerabilità che le si leggeva negli occhi.

    «Bon chance, ma petite» la salutò l’uomo gentilmente,montando al posto di guida. «È triste dover abbandonare un posto dove siamo stati felici, vero?»

    Anna si strinse nelle spalle. «Sì. Forse, però, non si tratta di un addio. Non si sa mai...»

    L’uomo si sporse ridendo dal finestrino. «A volte i miracoli succedono, chérie. Spero che sia così.» Accese il motore e le strizzò l’occhio. «Se lo merita. Au revoir.»

    Anna rimase a fissare il furgone che imboccava la curva e si infilava nella pineta, poi si voltò e tornò lentamente verso il castello. Una volta dentro, fece scorrere lo sguardo desolato lungo il vestibolo, un tempo splendido. Ormai la seta blu che ricopriva le pareti era strappata e marcia in molti punti, e al posto dei quadri inviati all’asta restavano dei quadrati pallidi e macchie più scure che rivelavano i danni dell’umidità.

    Salì lentamente le scale, accompagnata dal ticchettio delle scarpe basse. La cupola di vetro istoriato che la sovrastava era ancora miracolosamente intatta, e in quel momento il sole pomeridiano rovesciava sui gradini pozze di luce.

    Anna sorrise, ricordando quanto le piacesse da piccola cercare di acchiappare quegli arcobaleni increspati, che proiettavano schizzi vividi sul suo abito da sposa in miniatura.

    L’ultima estate prima della morte di sua madre.

    Sobbalzò sentendo squillare il cellulare, che prese dalla borsa. «Fliss, sto arrivando. Il tipo delle aste se ne è appena andato, chiudo tutto e ti raggiungo.»

    «Bene, ti ordino un bel Martini forte» replicò l’amica in tono comprensivo. «Prendi l’autobus?»

    «No. Uno dei ragazzi di GreenPlanet ha una bicicletta da prestarmi» rispose lei. «Sono solo pochi chilometri.»

    All’altro capo del filo, Fliss scoppiò a ridere. «Stai scherzando, vero? Anna, nessuno è mai arrivato all’Hotel Paradis in bicicletta! La consegnerai al portiere per fargliela parcheggiare?»

    Anna fece una smorfia. «Non essere sciocca. Non vedo perché dovrei inquinare l’ambiente solo per dare la mancia al portiere del Paradis

    «Va bene, risparmiami il sermone ambientalista.» La voce di Fliss assunse un tono più calmo. «A proposito, com’è la vita nel campo di GreenPlanet? Non hai ancora finito di salvare il mondo?»

    Anna si avvicinò alle scatole accantonate dagli operai nella soffitta polverosa. «Ci stiamo lavorando» rispose mentre sollevava il coperchio di un baule, scoprendo un fagotto di vecchi abiti. Si sistemò il telefono tra l’orecchio e la spalla. «Salvare Belle-Eden da questo... turpe imprenditore sarebbe un ottimo inizio.»

    «Be’, se le voci che girano nel nostro ufficio sono corrette e il turpe imprenditore in questione è Angelo Emiliani, non hai la minima possibilità di farcela» ribatté Fliss. Poi, udendo il rantolo soffocato di Anna, si allarmò. «Che cos’è successo?»

    «Niente, ho solo trovato alcuni dei miei travestimenti di quando ero bambina. Tutti i miei accessori per il balletto, le prime scarpette...» Con atteggiamento reverenziale, arrotolò le stringhe attorno alle scarpette consunte e poi tolse dal baule un fagotto di pesante satin color avorio. «L’abito da sposa!»

    Sollevò il vestito per tenerlo a distanza e lo osservò stupita. Da bambina le era sembrato un esempio di perfezione, ma in quel momento si rese conto di quanto fosse evidente che era un abito fatto in casa, realizzato da mani inesperte. Con il tempo, la stoffa si era ingiallita, e in alcuni punti aveva addirittura fatto la muffa. Girò su se stessa, appoggiando l’abito davanti a sé.

    «E pensare che ero convinta che mi facesse apparire come una vera sposa!» commentò quasi tra sé. «Una principessa delle favole. Che ingenua...»

    Con un brusco movimento, allontanò l’abito da sé e lo lasciò cadere nel baule. «In ogni caso, come ti ho già detto, non ho più niente da fare qui» continuò in tono deciso. «Parto tra poco.»

    «Ottimo. Ti aspetterò sulla terrazza, ammesso di riuscire a trovare un tavolo. Non dimenticare che Saskia Middleton stasera festeggia il suo ventunesimo compleanno, perciò porta qualcosa di adatto. Indosserai qualcosa di consono all’occasione, vero?» aggiunse Fliss, improvvisamente preoccupata. «Non mi sono ancora ripresa dalla tua comparsa alla festa di Natale di Lucinda in gonna a sbuffo e stivali da motociclista! Sua madre è rimasta senza parole!»

    Anna controllò il castigato abito nero. «Non preoccuparti, stavolta ho un aspetto rispettabile» rispose afflitta. «E solo in tuo onore, perché non ho alcuna intenzione di partecipare alla festa di Saskia. Preferirei passare la serata con Lucrezia Borgia o Hannibal Lecter! Prenota il tavolo e ordina i Martini. Sarò da te fra un quarto d’ora.»

    Chiuse la comunicazione senza lasciare a Fliss il tempo di protestare, e rivolse di nuovo l’attenzione all’abito da sposa, accarezzando il morbido satin.

    Quante cose sono cambiate, da quell’estate, e come pareva semplice la vita, allora... invece niente è semplice, e niente è come credevo, a cominciare da me.

    Il castello era praticamente l’unica cosa rimasta della sua vecchia vita, e non intendeva perderlo senza almeno provare a lottare. Sua madre era morta, i suoi sogni andati in fumo, e il senso stesso della sua identità era profondamente scosso. Ecco perché doveva assolutamente restare attaccata agli ultimi frammenti della persona che aveva creduto di essere.

    Cominciò a scendere le scale, finché non sentì sbattere una porta. Si fermò di scatto sul ballatoio. Ebbe l’impressione che un soffio di vento attraversasse l’edificio, poi tutto tornò nella totale immobilità.

    L’atmosfera, però, era cambiata. Nell’aria si percepiva una carica elettrica, come quella che si sentiva prima di un temporale, e Anna comprese di non essere più sola.

    Si irrigidì e, con la massima cautela, risalì le scale. Seguì un lungo istante di silenzio. Poi il rumore di passi nell’atrio la terrorizzò. Erano lenti e misurati come quelli dell’assassino in un film dell’orrore.

    Quando i passi cessarono di colpo, facendo forza su se stessa si sporse per spiare oltre la balaustra, e subito si ritirò, trattenendo il fiato.

    Era un uomo, molto virile e molto biondo. Forse perché lo osservava dall’alto, ma sembrava dotato delle spalle più ampie che avesse mai visto.

    «C’è qualcuno?»

    La sua voce profonda possedeva un leggero accento. Non aveva l’aria di un assassino, anzi, in realtà era un tipo fantastico. Anna deglutì, temendo che il battito folle del suo cuore echeggiasse in tutto l’edificio, denunciando la sua presenza.

    «Chi c’è?»

    Anna aprì la bocca per rispondere, ma l’unico suono che ne uscì fu una specie di rantolo.

    Dal piano di sotto provenne un’imprecazione soffocata. «D’accordo, adesso salgo io.»

    Mi sto comportando in modo ridicolo, e lui, chiunque sia, salirà e mi troverà qui a nascondermi come un animale spaventato...

    Ergendosi in tutto il suo metro e sessanta, lisciò le grinze dell’abito di lino. «Non si disturbi» replicò ad alta voce. Strinse i pugni e, cercando di apparire indifferente, cominciò a scendere le scale.

    A metà strada si fermò a guardarlo, ma l’emozione fu così forte che dovette aggrapparsi alla balaustra. Sentiva il sangue ronzare nelle orecchie e una scarica di adrenalina la percorse dalla testa ai piedi.

    L’uomo ai piedi della scala era il suo sogno diventato realtà. Era come se il tempo si fosse fermato, lei avesse ancora dieci anni e stesse scendendo le scale verso il suo eroe tenendo un bouquet di rose e nontiscordardimé nelle mani, proprio come aveva immaginato tante volte.

    Con la sola differenza che i suoi occhi azzurri non la fissavano adoranti, ma con freddezza glaciale.

    «Chi diavolo è lei?»

    Angelo Emiliani era cosciente dell’ostilità espressa dalla sua voce, ma non si curò di nasconderla.

    Benché la Arundel-Ducasse fosse un’agenzia immobiliare con uffici nelle maggiori città europee, i suoi rapporti con la sede di Londra delle ultime settimane non erano stati positivi. E ora non solo hanno sbagliato l’orario dell’appuntamento, impedendomi di visitare il castello da solo, ma hanno dato l’incarico a una ragazzina inesperta!

    Anna si fermò sul terzo gradino, da dove riusciva a guardarlo negli occhi, sentendosi intimorita e ribelle al tempo stesso. «Forse dovrei farle la stessa domanda» sbottò, l’aria spavalda.

    «Santo cielo!» commentò lui in tono ironico, avanzando verso il centro del locale. «Devo pensare che tutto il personale della sede di Nizza della Arundel-Ducasse sia stato colpito da un morbo pericoloso? Non riesco a immaginare un’altra ragione per mandare una ragazzina che fa le fotocopie a occuparsi di una vendita importante come questa.»

    Anna sussultò. «Angelo Emiliani...»

    Qualcosa, in quella voce, lo distolse dalla sua irritazione, costringendolo a osservarla con attenzione per la prima volta.

    Aveva creduto che le ciocche di capelli colorate fossero solo effetto della luce proveniente dalla cupola di vetro istoriato, ma in quel momento si accorse che si trattava di ciuffi disordinati color rosa shocking, confusi nella massa di capelli scuri, raccolta sulla nuca, che le incorniciava il volto delicato a forma di cuore.

    Fece scorrere lentamente lo sguardo su di lei, studiando gli occhi sottolineati dal kajal, il mento spinto in alto in atteggiamento di sfida, l’abito nero corto, e prese coscienza della verità come colpito da una palla di cannone. Avvicinandosi al castello, aveva scorto l’accampamento dei contestatori seminascosto tra gli alberi. Quella ragazza non poteva che essere una di loro. Distese le labbra in un sorriso sarcastico.

    «Sono proprio io. E lei è...?»

    L’esitazione di Anna fu così breve da passare inosservata. Poi gli tese la mano in un tintinnio di braccialetti d’argento e parlò con sicurezza.

    «Mi deve scusare, signor Emiliani, mi ha colto di sorpresa. Sono Felicity, della sede londinese della Arundel-Ducasse. Ho tenuto i contatti con la Marchesa di Ifford per la vendita del castello, ed essendo in vacanza a Cannes ho pensato di passare a vederlo per conto mio.»

    Quel che si dice una mente pronta, dovette riconoscere Angelo. Nettamente al di sopra dei soliti ambientalisti con treccine rasta che organizzano picchetti davanti ai miei cantieri o protestano davanti agli uffici di Roma o Londra.

    «Capisco.» Abbassò lo sguardo sul pavimento sudicio, e cercò di trattenere un sorriso. Punzecchiare i contestatori era uno dei suoi passatempi preferiti, e in quel caso c’era ancora più gusto, grazie alla deliziosa antagonista. Non riuscì a resistere alla tentazione di stare al suo gioco. «Mi fa piacere che lo abbia fatto, Felicity.» Fece un passo avanti e notò con soddisfazione un’ombra passarle negli occhi straordinariamente grandi. «Come avrà capito, i suoi colleghi della sede di Nizza non si sono fatti vivi, e in seguito ad alcuni... spiacevoli sviluppi, vorrei

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