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MAYNO, il BANDITO Sceneggiatura
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E-book509 pagine4 ore

MAYNO, il BANDITO Sceneggiatura

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Info su questo ebook

Giuseppe Mayno della Spinetta (sobborgo d’Alessandria), il bandito di Marengo, è un brigante che ha fatto parlare di sé nella prima metà dell’Ottocento. Ha dato del filo da torcere alle autorità francesi, occupanti il Piemonte in nome della “libertà” rivoluzionaria, e del quale i potenti di allora (non escluso Napoleone Bonaparte) sollecitarono spesso l’aiuto, se non l’alleanza. Un brigante gentiluomo, con molti gesti d’umanità, è anche un bandito burlone. Alcuni suoi tiri giocati alle autorità sono rimasti celebri. Un eroe popolare e come tale sa morire. I campi delle sue gesta sono il Piemonte, il Genovesato e la Lombardia
LinguaItaliano
Data di uscita7 ago 2015
ISBN9786050403954
MAYNO, il BANDITO Sceneggiatura

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    Anteprima del libro

    MAYNO, il BANDITO Sceneggiatura - Liliana Angela Angeleri

    Farm

    MAYNO, il bandito di Marengo - sceneggiatura

    M A Y N O,

    il

    b a n d i t o

    di

    Marengo

    PROGETTO PER UN

    FILM  A LUNGHISSIMO METRAGGIO O PER TV MOVIE

    (Storico, dal 1790 al 1806-biografico)

    AVVENTURA - ROMANTICO

    Il desiderio di libertà, l’amore per la sua donna, vendica i soprusi.

    I LUOGHI, LA MUSICA E LA STORIA LOCALE ….

    LOG LINE

    Giuseppe Mayno della Spinetta (sobborgo d’Alessandria), il bandito di Marengo, ha studiato in Seminario, ma desiderava una vita libera. Dopo alcuni anni, il governo obbliga, anche ai seminaristi, il servizio di leva. In un’osteria, Mayno subisce l’angheria di un sottotenente. Deve fuggire. Ritorna dopo tre anni. Sposa Cristina. Durante la festa di nozze infrange la proibizione dell’uso delle armi da fuoco, imposta dagli occupanti francesi. Diventa capo di una banda agguerrita (200 uomini a piedi e 40 a cavallo, la maggioranza in fuga dall’arruolamento forzato nell’esercito napoleonico), che dà parecchio filo da torcere alla Gendarmeria imperiale che occupa il Piemonte. Ruba ai ricchi per aiutare i poveri.

    Un brigante gentiluomo, con molti gesti d’umanità, è anche un bandito burlone. Alcuni suoi tiri giocati alle autorità sono rimasti celebri. Un eroe popolare e come tale sa morire. I campi delle sue gesta sono il Piemonte, il Genovesato e la Lombardia.

    Audiovisivo

    PROJECT DETAILS

    FILM LUNGOMETRAGGIO

    Biografico – periodo risorgimentale – avventura - d’intrattenimento anche con finalità culturali

    Un film lungometraggio che fa conoscere l’asfissiante oppressione

    dell’occupazione francese che soprattutto i contadini hanno sofferto.

    I personaggi e i fatti storici del sec. XIX.

    TARGET:

    Per i ragazzi/e dai sei anni e oltre.

    Famiglie con interesse storico e/o turistico.

    Respiro internazionale con sottotitoli nelle

    lingue degli stati appartenenti all’Unione Europea

    Famiglie con potenziale interesse storico e/o turistico.

    Si avrà un respiro internazionale con registrazione in inglese e con doppiaggio in tutte le lingue europee.

    DISTRIBUZIONE:

    Proiezione nei cinema, il dvd/vhs e in tutti gli altri sistemi esistenti.

    Può essere distribuito in scuole, enti turistici, eventi di promozione, festivals, allegato ai quotidiani…

    Verrà allegato al romanzo Giuseppe Mayno, il bandito gentiluomo di prossima pubblicazione . Colonna sonora originale.

    Nel 1790 Giuseppe Mayno entra nel Seminario Vescovile di Alessandria per diventare, forse, sacerdote, in Piemonte regnano i Savoia.

    Nel 1796 è costretto a uscire dal Seminario per diventare soldato e combattere contro i francesi.

    La dominazione francese è, nelle campagne, molto oppressiva e le tasse sono troppo elevate, il malcontento è acceso.

    Giuseppe Mayno distribuisce molto denaro ai poveri e soccorre le persone bisognose che si rivolgono a lui per essere protette contro il dominatore straniero.

    INDICE

    1 BIBBIA

    2 IL CONCEPT

    3 BREVE SINOSSI

    4 RIASSUNTO DEI TRE TEMPI

    B I B B I A

    1 – GIUSEPPE MAYNO (della Spinetta)

    - Bambino di sette-otto anni, longilineo, capelli e occhi scuri, bei lineamenti.

    - Sedici anni, alto, corporatura normale, capelli e occhi scuri, bel viso.

    - Vent’anni, uomo bellissimo e atletico, capelli e occhi scurissimi, viso bellissimo, personalità

    molto carismatica.

    2 – CRISTINA FERRARIS (Moglie di Giuseppe Mayno)

    - Sedici anni, bella e fresca come un fiore di rosa, di media statura e corporatura, capelli e occhi

    scuri.

    -Diciannove anni, aumenta la sua bellezza.

    3 – GENERALE DESPINOY (Comandante francese dei gendarmi del distretto d’Alessandria).

    Mezza età, alta statura. D’aspetto rigido, macilente e di modi assoluti. Indossa sempre lo stesso vestito dimesso il cui cattivo odore si sente da lontano.

    4 – PAOLO FERRARIS (Fratello di Cristina, segretario di Mayno).

    Circa venticinque anni, statura e corporatura media, capelli e occhi castano-scuri.

    5 – GEROLAMA madre di Cristina e di Paolo

    Donna ancora bella di mezza età, capelli striati di grigio, occhi castani. Di media statura e corporatura.

    6 – GIOVANNI BATTISTA FERRARIS, padre di Cristina e di Paolo

    Uomo prestante di mezza età. Capelli grigi, occhi scuri. Di media statura e corporatura.

    ALTRI PERSONAGGI 

    GIUSEPPE MAYNO,

    il bandito.

    IL CONCEPT

    Giuseppe Mayno della Spinetta (sobborgo d’Alessandria), il bandito di Marengo, è un brigante che ha fatto parlare di sé nella prima metà dell’Ottocento. Ha dato del filo da torcere alle autorità francesi, occupanti il Piemonte in nome della libertà rivoluzionaria, e del quale i potenti di allora (non escluso Napoleone Bonaparte) sollecitarono spesso l’aiuto, se non l’alleanza. Un brigante gentiluomo, con molti gesti d’umanità, è anche un bandito burlone. Alcuni suoi tiri giocati alle autorità sono rimasti celebri. Un eroe popolare e come tale sa morire. I campi delle sue gesta sono il Piemonte, il Genovesato e la Lombardia.

    GIUSEPPE MAYNO (della Spinetta). Nato a Marengo nel 1784, figlio di un carrettiere.

    Studia con profitto. Tutti sperano e, anch’egli crede, d’avere la vocazione di diventare sacerdote.

    A sedici anni è alto e bellissimo, con capelli e occhi scuri. Dopo alcuni anni, il governo obbliga,

    anche ai seminaristi il servizio di leva. In un’osteria, Mayno subisce l’angheria di un sottotenente.

    Si nasconde e ricompare dopo tre anni.

    A vent’anni il suo corpo è molto atletico. Dopo aver trascorso gli anni di latitanza nella banda di Giacomo, un fuorilegge calabrese, si dà alla macchia nel 1803, dopo le nozze con Cristina Ferraris, per aver infranto la proibizione dell’uso delle armi da fuoco, imposta dagli occupanti francesi. Diventa capo di una banda agguerrita (200 uomini a piedi e 40 a cavallo, la maggioranza in fuga dall’arruolamento forzato nell’esercito napoleonico), che dà parecchio filo da torcere alla Gendarmeria Imperiale.

    Ruba ai ricchi per aiutare i poveri. Le sue imprese spericolate gli guadagnano l’appellativo di "terreur des Departement au delà des Alpes": sono storici alcuni colpi clamorosi come l’aggressione al ministro Saliceti, commissario del governo napoleonico, al gen. Milhaud e al convoglio del Papa Pio VII che andava a Parigi per l’incoronazione di Napoleone (1804).

    Abile nei travestimenti e nelle beffe ai gendarmi francesi, Mayno va e viene e passa in incognito sotto il naso delle forze dell’ordine, grazie a connivenze e all’aiuto della popolazione rurale, di cui interpreta l’attaccamento all’ordine tradizionale (Trono e Altare) contro l’oppressione straniera e contro la guerra.

    Con ingenua polemica col Bonaparte (col quale ha un colloquio segreto a Milano), Mayno si fa chiamare Re di Marengo e Imperatore delle Alpi.

    La moglie non vuole seguirlo nei rifugi segreti sui monti, perciò Mayno è costretto, nottetempo, a visitarla a Spinetta. Favorita da una spia, cade in un’imboscata durante una visita alla moglie Cristina, la notte del 12 aprile 1806.

    Il suo corpo, crivellato e sfigurato dai colpi di sciabola, è esposto per dodici ore sul palco in piazza Grande, ad Alessandria.

    Vendicatore di torti e di ruberie subite dalla popolazione inerme, è il Passator cortese del Piemonte.

    Le sue imprese sono subito entrate nella leggenda e hanno dato materia a romanzi, drammi popolari, e copioni del teatro d’animazione (marionette e burattini).

    SINOSSI

    Lo sfondo in cui si collocano le imprese di Mayno e della sua banda è quello violento degli anni che seguono la rivoluzione francese che portano le idee di libertà ma anche il furto, l’angheria, le imposizioni, lo stupro, il vandalismo.

    Le idee del progresso non si vedono, i contadini vedono il saccheggio delle loro terre e delle loro case.

    L’odio fierissimo è abilmente gestito in senso conservatore da nobili e preti.

    La leggenda ha fatto di Mayno un simpatico eroe, un campione di cavalleria e di generosità. G. Colli in Monferrato, Torino, ediz. Vitalità, 1971, p.127 lo definisce un delinquente. La sua generosità verso i poveri non riscatta i suoi delitti, né li fa dimenticare. Se è pur vero se egli abbandonò la casa per vestire l’aborrita divisa dell’esercito francese, è altrettanto vero che egli fu un patriota senza ideali, solo teso alla rapina e al delitto. La morte in combattimento lo salvò dal capestro e diede ali alla fantasia della sua leggenda.

    Secondo il Viganò, Mayno non è un volgare brigante, ma un eroe vittima del suo destino che si propone di svolgere il ruolo di cavaliere generoso, protettore dei poveri, degli infelici, dei deboli.

    L’ammirazione popolare per questo bandito lo ha fatto protagonista, per più di un secolo, di innumerevoli presentazioni del teatro delle marionette in tutta l’Italia settentrionale.

    Nel teatro di prosa e varietà piemontese, nel 1972 è andata in scena la commedia musicale: Mayn capo dei briganti di Mesturino-Asterella-Lupica al teatro Erba di Torino; nel 1975 la commedia mantello stivali e coltello di Alberto Gozzi e Nico Orengo, interpretata da Gipo Farassino, regia di Massimo Scaglione.

    Come appare evidente, ci troviamo di fronte, con Giuseppe Mayno ad un criminale per l’autorità (statale e locale), ad un eroe per la società contadina e la cultura popolare. Si tratta della situazione tipica che rivela il bandito sociale, l’esponente di una forma primitiva di protezione sociale organizzata, generalmente espressione (come Robin Hood, il Passatore, l’andaluso Diego Corrientes, il carpatico Juro Janosik) di una società agraria tradizionale, di tipo precapitalistico, preindustriale e prepolitico.

    Quando nasce la leggenda di Mayno? Forse dal romanzo del Viganò (1845).

    Molti pensano che, invece, che la leggenda dell’eroismo e della generosità di Mayno si sia formata, quando era ancora vivente, sull’onda dello scalpore suscitato dall’eccezionale audacia di certe sue imprese, come l’assalto alla carrozza del ministro Saliceti e quello del convoglio papale, nel 1804.

    PRIMO TEMPO

    Anno 1793 – Il re Vittorio Amedeo III ordina in Piemonte una coscrizione forzata, anche Giuseppe Mayno, di Spinetta, un borgo nei pressi d’Alessandria, chierico al Seminario e destinato a prendere gli ordini, è arruolato e assegnato di stanza a Tortona. Molti lo considerano, fino a quel momento, uno studente modello, parla il francese, conosce il latino, le scienze, la letteratura e un po’ di filosofia. Desideroso di novità, Mayno accetta di buon grado il nuovo stato. Diventa un buon soldato e, quanto a coraggio, ma è poco amante della disciplina. Per i begli occhi della figlia di un oste, molestata da un cadetto da lui bastonato a dovere, è arrestato. Durante il trasferimento, a piedi da Tortona ad Alessandria, fugge ed è dichiarato disertore. Per due anni nessuno ha sue notizie. Con l’occupazione francese, Giuseppe ritorna ad essere un uomo libero. Ritrovati gli amici, è già innamorato di Cristina Ferraris che insiste a prendere in sposa nonostante la giovane età. Cristina ha 16 anni e Giuseppe ne ha 20, il giorno delle nozze: 19 febbraio 1803. La sera delle nozze, amici e parenti sono invitati alla cascina per un gran vuotare di bicchieri, lanci di confetti, e alla fine del banchetto, il ballo sull’aia. Gli amici tirano colpi di fucile e lanciano i razzi. In quel tempo c’è l’ordine di consegnare tutte le armi. Qualche vecchio fucile è nascosto per la caccia e la difesa dai ladri. Il tenente, da lui ferito, lo odia a morte e sa della festa di nozze. Ordina di cessare di sparare con i fucili. Giuseppe, alterato dal troppo vino, intima agli amici di non cessare il fuoco. I gendarmi intervengono. Ci sono più feriti tra gli sbirri che tra la gente del luogo. Lo sposo, i familiari e gli amici fuggono sui monti tra Novi e Genova. Mayno diventa, così, un bandito, crudele ma colto, buon amministratore e organizzatore, costruisce una struttura perennemente funzionante, al fine di provvedere a ciascun membro con larghezza ed equità. L’organizzazione è para-militare con disciplina ferrea, costituita da regole ben precise, in cui gli oneri e gli onori, le promozioni e le punizioni sono note in anticipo a tutti. I membri della banda vivono nelle grotte: in caso di cattura, tutti i familiari avrebbero avuto la massima assistenza. L’istruzione è obbligatoria: tutti i banditi devono imparare a leggere e a scrivere. C’è l’offerta ai banditi dell’opportunità di presentarsi ai tribunali. Si offre di dover scontare pene lievi e la possibilità di ritornare alla vita civile. Mayno diffida e rimane alla macchia. Molti giurano di restare con lui. Mayno giura davanti ai suoi, in un reciproco patto di solidarietà e s’impegna a proteggere i suoi seguaci. Espone poche regole di convivenza: esercizio quotidiano nel maneggio delle armi: togliere i beni ai ricchi, senza violenze fisiche, protezione e assistenza ai poveri, ai deboli e agli infelici, divieto di rivelare notizie sui membri e sui loro rifugi. Istituisce il tribunale e l’ufficio amministrativo, con funzioni di governo: il primo ministro è Paolo, fratello di Cristina, sarto, contadino, esperto imitatore d’ogni firma e grafia. Sostituisce il suo capo là dove non può recarsi. Stefano Barberis è luogotenente. Luigi, il fratello più amato di Cristina, è promosso capo della cavalleria. Mayno conduce i suoi, per il giuramento in un’ampia grotta naturale con doppia apertura, nelle vicinanze d’Alessandria. Il suo rifugio è in cima ad una collina da cui si vede il mare e dove vi sono una serie di grotte, di cui una sotterranea. Lì stabilisce gli alloggiamenti, l’arsenale e gli uffici. L’accampamento è organizzato come una fortezza. Dispone i turni di guardia e gli ordini di servizio: il mattino partono gruppi in tutte le direzioni e la sera tornano con munizioni, armi da fuoco, abiti, denaro, giornali e novità. La banda diventa numerosa. Si contano 200 individui a piedi e 40 a cavallo, divisi in vari corpi, come un esercito. Mayno fa confezionare abiti militari ad Alessandria. Gli uomini di Giuseppe possono essere scambiati per truppe regolari e un sarto confeziona divise, su misura, per molti banditi. Sono considerati i più eleganti, più dei francesi, paragonati soltanto agli ussari di Murat. Paolo Ferraris conosce tutti i caratteri dell’arte calligrafica e redige falsi passaporti inglesi, francesi, spagnoli per i briganti nei loro viaggi a Genova, Livorno, Milano, Londra e Parigi, ove vanno a cercare notizie, ad imparare le lingue e le buone maniere per vivere e commerciare. Con megalomania, Mayno si definisce imperatore delle Alpi e re di Marengo. Arriva a possedere un patrimonio considerevole, superiore a quello di molti principi e la sua influenza si estende oltre il Piemonte.

    SECONDO TEMPO

    Giunta la primavera, gli alloggi possono essere ospitali anche per le donne e permette ai suoi di condurvi le mogli e le promesse spose. Quasi tutte si lasciano convincere dai loro uomini o si fanno rapire, tranne Cristina. Mayno ha informatori in ogni luogo, ben pagati e insospettabili, anche dentro al palazzo di giustizia. Le osterie di Formigaro, di Sezzadio, di Bosco Marengo, le cascine di Casalcermelli, offrono sempre un rifugio, un pasto e notizie utili. Insospettabili gioiellieri modificano i gioielli rubati, ne stimano il valore delle pietre e pensano a collocarle convenientemente sul mercato. Mayno, come ogni appassionato d’arte, sa riconoscere e valutare un pezzo importante. Dopo la battaglia di Marengo, tra le macerie e le rovine delle mura d’Alessandria, si sono create grotte nascoste dalla sterpaglia, che diventano un sicuro rifugio per gli uomini di Mayno per i loro traffici in città. Con il sapore della beffa, il 30 novembre 1803, un noto e danaroso signore alessandrino, si vanta pubblicamente di non temere Mayno, tanto che non accetterebbe richieste di denaro. Il nostro bandito, punto nel proprio orgoglio, reagisce organizzando il rapimento del figlio undicenne (avviene di notte, con gran riguardo per il ragazzino). L’adolescente è trasportato nell’accampamento delle grotte, posto a capotavola e, inizia il banchetto di cui il piccolo diventa despota. Tutti fanno a gara per divertirlo. Gli regalano una sciabola, una pistola scarica, un capellaccio, la propria pipa. Il piccolo si diverte a giocare ai banditi. Nel giorno stesso, all’alessandrino è recapitata una lettera con la comunicazione della somma da versare per il riscatto. La lettera termina con la formula: Noi ci protestiamo briganti, ladri e assassini… La somma è pagata. Il ragazzo torna, con gran rammarico, a casa, sano e salvo.

    Nel mese di novembre dell’anno seguente, 1804 il papa Pio VII deve andare a Parigi per incoronare Napoleone imperatore, con la corona di Carlo Magno. Mayno, travestito da ufficiale francese, fa credere ai gendarmi del Papa che sarebbero stati vittime dei feroci banditi di Marengo. Con un’abile manovra, un gruppo di suoi banditi, giunge con gran fragore, sulla strada dove si trovano i carri dal contenuto prezioso. I gendarmi del Papa fuggono nel bosco e, i compagni di Mayno, svuotano del contenuto tutte le casse. Questa azione provoca un gran clamore a Parigi. Il massimo dei capolavori del bandito fu ai danni di Saliceti, un Corso che gode dei pieni favori di Napoleone, ministro e commissario del potere esecutivo presso la Repubblica di Genova. Viaggia in carrozza, attraverso il Piemonte diretto a Parigi, accompagnato dal suo segretario e dal gen. Milhaud. Mayno conosce in anticipo il percorso e, con uomini fidati, attende la vettura. Ferma la carrozza, Mayno apre la portiera e, con le maniere più educate, saluta il ministro e gli comunica che ha bisogno di denaro e lo invita a scendere. Con ogni riguardo gli altri della banda disarmano e immobilizzano il generale e il segretario. Mayno intravede l’anello che Saliceti porta al dito e gli chiede di sfilarlo. Saliceti lo informa che è un caro ricordo d’una dama genovese, Mayno lo restituisce, con cavalleria, al proprietario. Priva, però, il generale del nastrino della Legione d’onore che l’appunta sul proprio petto. Restituisce i documenti di stato, ma si trattiene l’ingente refurtiva dal valore astronomico, per quell’epoca, tra denaro e argenterie. (14 agosto 1805 tra Spinetta e Pozzolo). Mayno non si separa più della Legione d’onore, fino alla morte, che gli apre molte porte importanti. Fa aumentare, però, l’accanimento con cui i francesi, beffati, s’impegnano nella sua cattura ed è la fine politica del Saliceti che, non può evitare il ridicolo.

    TERZO TEMPO

    Con questi ed altri colpi ben riusciti e con le bravate che li accompagnano, si crea la leggenda del bandito gentiluomo: le sue file s’ingrossano di disertori, di renitenti alla leva e di tutti quelli che non tollerano i soprusi delle truppe d’occupazione, aiutati spesso dal clero, che non ama gli occupanti francesi, rei di aver inchiodato le porte delle chiese e dei monasteri.

    Il popolino crede che Mayno abbia fatto il patto con il diavolo, sfugge ad ogni agguato, ridicolizza le autorità che non riescono a catturarlo, neppure alzando la taglia: si racconta che ha attraversato il

    paese di Broni, a cavallo con i suoi ussari e che i soldati regolari, schierati da ambo le parti, non abbiano sparato neppure un colpo. L’impeto della cavalcata infernale li ha paralizzati. Giuseppe, però, non può essere sereno: lo tormenta il pensiero della sua donna, disposta a rischiare persecuzioni e prigione pur di non lasciare la sua umile casa di Spinetta. Lui, con gran pericolo, va a visitarla in quella casa. Persino nelle grotte e nelle casupole di montagna, Cristina avrebbe potuto godere di maggiori agi. Per non indebolire il prestigio del suo uomo, dopo molte insistenze, Cristina, infine, acconsente a seguirlo per alcuni giorni in montagna, dove è ricevuta come una regina. Giuseppe prepara, per lei, in quelle grotte, un piccolo appartamento, bene arredato e confortevole. Nulla riesce a sostituire nel cuore della donna la casa di Spinetta. Più innamorato che mai, fa ogni tentativo per trattenerla con sé. La conduce, in carrozza a Milano dove frequenta il Teatro alla Scala e le rappresentazioni delle opere liriche che ama moltissimo. Sono ammirati per l’eleganza dei loro abiti. In quei giorni, a Monza, l’imperatore incontra Mayno che, con Cristina, è in quella città. Napoleone gli chiede la consegna della banda per la quale non vi sarebbe stata nessuna misericordia; in cambio, gli offre un salvacondotto per andarsene libero ovunque, con i beni e i familiari. Mayno rifiuta con sdegno (il colloquio è udito da qualcuno dei suoi, in incognito). Non avrebbe mai tradito. L’occasione di rifarsi una vita è perduta, ma gli vale la devozione della sua banda. Poi Mayno va a visitare la penisola con Cristina. Si fermano a Livorno.

    Con la morte nel cuore, Mayno riaccompagna Cristina a Spinetta e ritorna alla sua banda. In un’azione al Sempione, s’impossessa di un bottino di circa 150.000 franchi e si batte a duello con la pistola (forse cerca di farsi uccidere invano, presago della propria fine). Molto dell’ingente denaro è consegnato ai sindaci dei paesi con la popolazione più povera.

    Il 14 aprile 1806,

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