L'ombra dell'Aquila
Di Ivo Romiti
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Info su questo ebook
Nel caso de “L’ombra dell’aquila”, la Storia stessa è piuttosto piegata e sottomessa all’esigenza letteraria, come del resto fa presente sin dall’inizio l’autore, quando mette in guardia il lettore che il libro attingerà, assieme alla verità storica, anche ad un “pizzico di fantasia”.
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Anteprima del libro
L'ombra dell'Aquila - Ivo Romiti
(AL)
Introduzione
La storia viva di Ivo Romiti
È vano cercare di inquadrare questo libro in uno dei generi letterari canonici. Si può dire piuttosto che si è di fronte ad uno del tutto peculiare, frutto dell’immaginazione e creatività dell’autore. Di questi generi canonici
in realtà Ivo Romiti ne aveva sperimentati in precedenza diversi, dalla poesia al racconto autobiografico fino al romanzo giallo
. Già in quest’ultimo caso (Il padre del figlio
), siamo di fronte però ad un tipo di narrazione originalissima: non solo l’avventura e il mistero si sviluppano in una trama che trasuda di riferimenti a luoghi, episodi e perfino a persone, che hanno avuto un posto importante nella vita dell’autore, ma si avverte costantemente nel racconto la presenza ed il coinvolgimento di chi scrive. È come se Ivo parlasse direttamente con i propri personaggi ed anzi che li interpretasse, sdoppiandosi e moltiplicandosi in mille figure, ciascuna portatrice dei sentimenti che ad Ivo sono cari.
Ne L’ombra dell’aquila
fa ingresso ora la Storia alta
, fatta di dinastie, guerre e matrimoni di convenienza. Non si può definire però il libro una sorta di romanzo storico
ove tipicamente, all’interno di una cornice fedele a fatti, usi e costumi documentati, fanno ingresso le vicende umane di personaggi inventati, con i quali peraltro si tenta di far riverire situazioni verosimili per l’epoca.
Nel caso de L’ombra dell’aquila
, la Storia stessa è piuttosto piegata e sottomessa all’esigenza letteraria, come del resto fa presente sin dall’inizio l’autore, quando mette in guardia il lettore che il libro attingerà, assieme alla verità storica, anche ad un pizzico di fantasia
. Solo un pizzico
però secondo Ivo. In realtà i personaggi e fatti storici realmente accaduti sono letteralmente impastati a trame e vicende umane frutto dell’immaginazione e tuttavia raccontate come se fossero reali o presunte tali, magari scoperte
attraverso una lunga indagine storiografica. Ivo riscrive la storia a modo suo, in quel modo che gli consente di mettere al centro del racconto ciò che veramente a lui interessa e cioè i sentimenti e le passioni quali possono essere considerati veramente la chiave ultima che spiega i misteri che ancora avvolgono gli avvenimenti del passato. La Storia qui raccontata è, così come lo erano le precedenti sue opere, ciascuna nel suo genere, Storia di passioni forti: amore, odio, amicizia, invidia, compassione, gratitudine, autentiche protagoniste di questo libro. I sentimenti e le passioni sono il vero motore della Storia si potrebbe dire con Ivo.
Ivo Romiti su tali questioni ha profonde convinzioni, anzi una vera visione del mondo e della vita. Da lì nasce il suo farsi continuamente domande sul perché il mondo non funziona come dovrebbe, sulle ragioni per cui al posto della saggezza, che è la prima in assoluto, della bontà, della solidarietà e del buon senso prevalgono troppo spesso nelle vicende umane l’invidia, l’egoismo e l’opportunismo. E questo continuo cercare lo porta a coltivare interessi poliedrici, dalla poesia all’arte, dalla scienza alla storia, il tutto nutrito da una profonda religiosità popolare.
Ma è per la natura, trasfigurata nell’esperienza che ne ebbe nell’infanzia vissuta nell’ambiente rurale di Uglianfreddo e poi adolescente nel convento di Giaccherino, che Ivo Romiti nutre un amore ed una considerazione quasi sacrali. Dalla natura e dalle leggi cosmiche tutto nasce e nessuna speranza rimane all’uomo che non riesca a capire e rispettare le regole da queste dettate.
Il segreto dunque è in una nuova armonia, tra l’uomo e la natura e tra gli uomini stessi, pena l’eterno ritorno delle conseguenze delle nostre cattive azioni, come l’aquila, anche solo con la sua ombra, ci ricorda.
Prof. Giancarlo Bedini
CAPITOLO PRIMO
Il Castello della Verrucola-Bosorum è ricordato per la prima volta nel 1044. (Il nome Malaspina viene da una legenda e da un dipinto conservato in un salone del castello di Fosdinuovo che ne fa risalire l’origine al 540 d.C. quando il giovane nobile - Accino Marzio- vendicò la morte del padre sorprendendo nel sonno il re dei franchi Teodoboerto trafiggendolo alla gola con una spina. Il grido disperato di dolore del Re fu - Ah! mala spina - con quella esclamazione si diede origine al nome dei Malaspina che per secoli regnarono nella Lunigiana e nella Garfagnana.)
Verrucola, prima dell’arrivo dei Malaspina, fu una sede importante del dominio dei Bosi, una delle famiglie discendenti dai Bianchi di Erberia da Rodolfo da Casola, vassallo della famiglia di Matilde di Canossa. Nell’XI° secolo. L’Appennino e la Lunigiana videro la diffusione di una feudalità minore che animò la scena politica dei primi secoli dopo il mille, finché i suoi esponenti non furono travolti nella lotta fra il vescovo-conte di Luni e i Malaspina nel XIII secolo. Nel XIV secolo, Spinetta il Grande, marchese della casa dei Malaspina, ottenne la proprietà di questo castello, lo ampliò, aggiungendo delle possenti torri di fiancheggiamento accanto al mastio originario. Come quello della Verrucola, anche il Castello dell’Aquila, che domina dall’alto di un colle il paese medioevale di Gragnola, era probabilmente legato al controllo sui transiti viari. Gragnola, posto alla confluenza tra i torrenti dell’Aulella e del Lucido e le cui origini si pensa risalgono ai tempi dei romani, fu un centro importante per le comunicazioni che dal centro Europa arrivavano fino a Roma.
La sconfitta dei Longobardi a opera di Carlo Magno portò all’investitura degli Obertenghi, famiglia dalla quale poi discesero i Malaspina signori indiscussi per lungo tempo della Garfagnana e della Lunigiana.
Sul palcoscenico della grande storia, la Lunigiana e la Garfagnana hanno vissuto le storie di vari signori e feudatari, dei loro mugnai e contadini, dei loro ambulanti, dei lizzatori, dei loro uomini più illustri e dei ministri le cui vite e le cui opere ancora oggi ricordiamo anche con racconti leggendari.
Si racconta innanzitutto di due grandi dinastie, entrambe derivanti dal ramo malaspiniano di Fosdinovo. La prima ebbe origine nel XIV secolo da Galeotto Malaspina, la seconda iniziò con Lazzaro, figlio di Antonio Alberico, marchese di Fosdinovo la cui discendenza si estinse nella prima metà del XVII secolo.
DSCN4961L’imponente struttura del Castello dell’Aquila fu fortificata e riadattata a residenza da Spinetta Malaspina il Grande, con l’aggiunta di torri e con una recinzione di mura fortificate.
Il sogno di Spinetta era di conquistare e unificare la Lunigiana storica e costruirvi la sua signoria. Purtroppo il suo sogno fallì a causa dell’intervento di Castruccio Castracani degli Antelminelli, signore di Lucca il quale dopo una epica battaglia costrinse alla resa il marchese Spinetta e conquistò anche quei territori.
Dopo la vittoria il lucchese Castruccio Castracani degli Antelminelli il 4 aprile 1320 otteneva da Federico primo d’Asburgo la conferma del vicariato imperiale a danno di Spinetta Malaspina tra queste Fosdinuovo, Fivizzano e Verrucola.
Spinetta - che in futuro sarebbe ricordato come il grande
- era nato nel 1282 proprio nel piccolo borgo della Verrucola dominato dalle torri del grande castello che ancora oggi si può ammirare lungo la strada del Cerreto poco oltre il capoluogo di Fivizzano.
Rampollo del ramo dello Spino Fiorito, i suoi primi anni di vita sono contraddistinti solo da notizie vaghe e incerte, anche se lo si trova non ancora ventenne al fianco di Enrico VII all’inizio del 1311: appena incoronato re d’Italia a Milano, il futuro imperatore aveva inviato il Malaspina a Reggio quale suo ambasciatore incaricato di far rispettare le condizioni di pace imposte.
L’anno successivo ritroviamo Spinetta ancora al fianco di Enrico VII nella spedizione contro la Firenze guelfa che lo vide impegnato per settimane in un lungo quanto infruttuoso assedio.
Il Malaspina restò fedele all’imperatore e nel 1313 fu testimone del bando contro i vescovi conti di Firenze e di Luni: la fuga da qui del vescovo Gherardino permise a Spinetta di occupare gran parte del territorio, allargando il proprio controllo fino ad