Pierrot le fou: Storia del bandito che leggeva Boris Vian e della sua donna
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Pierrot le fou - Massimo Novelli
COLOPHON
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2020 Oltre edizioni
http://www.oltre.it
ISBN 9788899932961
Collana *edeia - letture del mondo
Titolo originale dell’opera:
Pierrot le fou
Storia del bandito che leggeva Boris Vian e della sua donna
di Massimo Novelli
SOMMARIO
Autore
Nel mare delle storie - Prefazione di Mario Quattrucci
PIERROT LE FOU
1. Assedio nel Marais
2. La bella Katia
3. Sputerò sulle vostre tombe
4. Fantasmi a Torino
5. Vita e morte di due Pierrot le Fou
6. Spezzare le catene
7. Ultimo domicilio conosciuto
8. Può darsi che sia morto
9. In forma di epilogo
Bibliografia
Ringraziamenti
MASSIMO NOVELLI
Torinese, scrittore e giornalista, è autore di diversi libri di storia e di letteratura.
Bibliografia
L’uomo di Bordighera. Indagine su Guido Seborga (Spoon River, 2003)
Corbari, Iris e gli altri. Un racconto della Resistenza (Spoon River, 2003)
La furibonda anarchia. Vite di Renzo Novatore, poeta e Sante Pollastro, bandito (Araba Fenice, 2007)
La cambiale dei Mille e altre storie del Risorgimento (Interlinea, 2011)
La grande armata dei dispersi e dei visionari. Vita dello scrittore Stefano Terra (Ediesse 2015)
Vita breve e rivoluzioni perdute di Napoleone-Luigi Bonaparte (Aragno, 2019)
NEL MARE DELLE STORIE
di Mario Quattrucci
A chi poteva ancora interessare tutto questo?...
, si chiede, ci chiede Novelli alla fine del racconto, con le parole del quasi paesano Philippe Pollet-Villard − come lui mastro collezionista di storie del passato. Già, a chi? In questo attuale naufragio della cultura italiana, ufficiale e di massa, bandita la storia come un vizio immondo, si è tentati di rispondere: Proprio a nessuno. Ma non è così. Ci sono, vivono ancora, esistono ancora perfino fra i giovani, uomini e donne curiosi di sapere donde veniamo... e di che pasta è impastato questo nostro tempo che la filosofia dominante, divenuta senso comune, dà per presente assoluto, e in cui tutto quello che conta è l’attimo attuale, il frangente quotidiano, il risultato percepibile ed incassabile ad horas. Uomini, donne, persone, che non hanno portato il cervello all’ammasso e tra le mille monnezze servite dall’ipermercato delle anime e delle cose, sanno scegliere e s’appassionano − quando, naturalmente narrate con la lucida e fredda (direi piemontese) passione di un narratore di razza e di lungo corso come Novelli − a storie e alla Storia.
Histoire événementielle, naturalmente. Come quella che, se vuoi davvero sapere, dalla umana vicenda della famiglia di un mugnaio (per esempio) ti fa comprendere un’epoca intera.
Novelli prende il fil rouge, anzi noir, della vita di un bandito famoso e fantastico, vero e mitico − Pierre Carrot, Pierrot le fou (numero 2) − che accese le cronache e le fantasie di francesi e italiani per oltre quarant’anni (perfino quando era probabilmente solo un fantasma)..., e ripercorrendo le gesta sue e della sua donna − la Belle Katia − e delle sue donne di vita, e della sua gang, e dei suoi caïd sodali ed epigoni, attraverso imprese criminali e fattacci, legami di sangue e tradimenti, lampi di amore e morte, catture, evasioni, cacce tragiche e scacchi totali..., ci introduce alla storia di quattro decenni del terribile secolo breve.
Storia..., e qui il pregio maggiore del racconto..., di un gangsta e del suo milieu parigino (ma poi marsigliese, e poi piemontese e italiano...) che, come tutte le umane storie scintillanti od oscure, s’intreccia e dipende dalla Storia..., e ce ne svela il fondo e sottofondo più o meno melmoso, il background che nei libri di studio (tanto meno nelle storie ufficiali dei vincitori) mai troverai.
Dunque storia che − come poi nell’omonimo, ma tutto diverso, film di Godard − è metafora, allegoria, paradigma nero della Storia e del disordine e del dolore non precoce del mondo. E, quanto mai, di quel mondo a cavallo della seconda − nei prodromi, nazitedeschi e fascioitaliani, e spagnoli, e francesi − e poi nel pieno della bufera tragica travolgente anime e corpi con le sue bagatelle di massacri e olocausti e dannazioni e ignominie.
La vicenda nera di Pierrot le fou e della sua gente s’intreccia dunque con la vicenda europea della guerra, dell’occupazione tedesca della douce France improvvisamente spogliata della sua grandeur, con la storia della sua capitolazione ignominiosa e dei suoi infami (non solo infami...?) collabò. Giovani di belle speranze sportive e civili si ritrovano − per occasioni, per scelta, per mektoub−fatalità −, nel milieu del crimine e su una via di abiezioni senza più redenzione. E dal milieu taluni, nella confusa e melmosa dolorosa France de Vichy, quando (per dire delle ignominie) grandi stiliste diventano amanti di ufficiali nazisti, futuri statisti officiano repressioni, e grandi scrittori fanno finta di non vedere..., di non vedere ad esempio la Rafle du Vel’ d’Hiv e dei 13.152 ebrei arrestati e avviati ai lager dalla polizia francese − dalla sola polizia francese −..., taluni s’ingaggiano perfino nella Gestapo Francese, magari per darsi poi (almeno alcuni) ai servizi segreti alleati ed entrare nel maquis o in France Combattante di de Gaulle e, a guerra finita, come il luogotenente principale di Pierrot le fou n. 1, il caïd Jo Attia, essere decorati da le General in persona, niente meno che della legion d’honneur.
Passo passo la storia di Pierrot, di Katia e dei suoi, si dipana nel magma di quel tempo rouge de sang, sublime di eroismi senza nome di dignità e fratellanza, tetro di ferocia e abietti tradimenti, non solo dei boia ma..., si direbbe a Roma..., di cristiani qualunque.
Pierrot è preso, evade, si perde (come nel più fatale dei film del Front Populair e, come nel più noir dei film e romanzi della Nouvelle Vague) par son femme Katia, la blonde, la fatal: viene ripreso mentre cerca di passare sui tetti attraverso un camino, cerca in tutti i modi di salvare la donna, cede, racconta, denuncia. Esce − secondo che narra il suo gendarme distruttore −, ridotto a voleur... a bandito di pezza. Non il suo mito, però: se esso vola negli anni in Europa in Francia e in Italia, fino al ‘64, e − lui probabilmente già fantasma dell’Opera dei Pupi − fino al ‘78.
L’Italia è vicina. La Spagna è vicina. E la vita dei gangsta parigini, s’incrocia con la vita di quelli che antifascisti lo erano sul serio... e che passano i Pirenei per combattere per la libertà della Spagna. Come Pierino Bosco, che va, combatte ad Albacete, ha lì una moglie e una figlia, le perde durante la rotta, fa il partigiano nelle Garibaldi piemontesi, torna a cercarle dopo la guerra (Franco ancora al potere), apprende della loro fine, ritorna col cuore in frantumi a fare il militante di base di quel maledetto partito. Eroe senza nome, non fosse per questo appassionato ricordo di Massimo Novelli, come centomila e un milione. Pezzo di vera poesia, ma anche tratteggio di in un altro pezzo di storia... e di gloria misconosciuta, e di etica alta.
L’Italia è vicina. E con la belle Katia, in realtà Caterina Reinero (o Reynero), piemontese di Frassino, la storia di Pierrò il pazzo e dei suoi ci porta alla grande antiepopea della migrazione italiana in Oltralpe. Accenni, flashes e dediche, vorrei dire: ma che dicono tutto. Accolti come sappiamo dai cugini francesi (ben prima, s’intende, della pugnalata alle spalle del ‘40), macaronì dileggiati, supesfruttati, emarginati, quando capitava caricati di botte..., alcuni s’inventano un mestiere, sopravvivono onesti e si guadagnano un futuro; altri, anche per inclinazione, c’est entendu, scelgono la via del mileu: per guadagnarsi la vita e gli agi sognati, e per contare qualcosa.
La guerra finisce. E nel lungo, torbido, tragico dopoguerra, di là e di qua delle Alpi, sbandati di tutte le parti, resistenti, fascisti, banditi, ragazzi i cui freni morali hanno ceduto, formano il nuovo milieu di Parigi e Torino, di Marsiglia e Milano.
Nel paesaggio di macerie urbane ed umane lasciato dalla guerra, le tensioni sociali e politiche sono al culmine. Francesi rendono la visita: emigrano in Italia. Nei primi mesi del 1948 arrivano a Torino alcuni mauvais garçons del vecchio milieu, in fuga da Parigi. Sono dei veri duri e a loro volta dei fantasmi, spettri con addosso il marchio infamante dei collabos dei nazisti e della Gestapo di rue Lauriston. Tra gli spettri non può mancare Pierrot le Fou. Pochi mesi più tardi, nel rovente luglio del ‘48, mentre a Roma si spara a Togliatti e l’Italia rischia di precipitare in una nuova guerra civile, mentre Bartali la scongiura (si dice) vincendo il Tour de France (in realtà a scongiurarla è il senso di responsabilità di Togliatti e De Gasperi), Pierrot le fou viene strappato dal letto di Katia e finalmente assicurato alle patrie galere. I suoi succedanei caïd si spostano, scendono in riviera, passano poi coi Marsigliesi le Alpi, si stabiliscono a Torino e portano violenza e morte in terra padana e nelle riviere tra Mentone e La Spezia, a Milano, a Genova, nel triangolo industriale. Come non bastassero gli sbandati e i calibro 9 nostrani.
Ed ecco comparire la droga, il traffico d’armi, le prime femmine cape−gang (ave, precorritrici delle odierne femmene di Gomorra), i primi collegamenti con la vecchia mafia riportata al potere dagli americani attraverso il good job di Lucky Luciano, la prima formazione della joint venture mafia-massoneria-servizi che dà prova di sé, sotto gli occhi degli osservatori americani e coi fucili ed i mitra del bandito Giuliano − siamo ancora al ‘47 − a Portella della Ginestra.
Ed ecco soprattutto svilupparsi nei tempi nuovi, l’uso politico dei criminali. Che siano stati nella Gestapo francese o nel maquis, spesso sia nell’una che nell’altro, essi vengono ingaggiati (o confermati nell’ingaggio)..., insieme ai poliziotti del Vel’ d’Hiv e ai militi repubblichini delle deportazioni razziali di Milano, insieme ai collabos e ai torturatori delle Ville Tristi italiane, o ai resistenti dell’ultimo minuto ingaggiati dal’OSS americana o dall’MI5 inglese..., quando ancora si combattono gli ultimi scontri e i tedeschi iniziano la ritirata − 25 aprile/6 maggio 1945 − per la prossima, imminente, a giorni dichiarata (Fulton, 5 marzo 1946) terza guerra mondiale detta guerra fredda.
E tutti gli statali fascisti restano al loro posto.
Non ci fu, né in Francia né in Italia, nessuna Norimberga, nessun processo e nessuna giustizia ai criminali di guerra francesi e italiani. E mentre de Gaulle proclama l’oblio sulla vergogna di Vichy e della vasta collaborazione dei francesi (tanti illustrissimi, e perfino futuri statisti) in zona occupata; mentre le General grazia il boia Barbier, e francesi e italiani salvano e proteggono il boia deportatore Marcel Déat (colui che voleva essere l’Hitler dei francesi
); mentre OSS e Vaticano provvedono a transatlanticare in Argentina Ante Pavelič e Eichmann e tutti gli altri gerarchi (e furono molti) scampati a Norimberga..., qui il Principe nero Junio Valerio Borghese, responsabile di assassinii ed eccidi, indossata una divisa da ufficiale americano, viene traslocato in Sicilia... donde poi risalirà ad Artena − Roma per tentare insieme ai servizi (ovviamente deviati) il colpo di stato, sventato, del 1970.
Tutti i Capi di Polizia e Carabinieri (tranne coloro che non avevano aderito al bando Graziani e alla RSI salvatisi dalla razzia del 7 ottobre del ‘43 e dal massacro di Grecian Grecia, e avevano combattuto in formazioni partigiane e nell’Esercito Cobelligerante fino alla liberazione)..., tutti quei Capi di Polizia e Carabinieri e di tutte le Armi che avevano fatto carriera durante il ventennio, e avevano tenuto al confino e in galera i Gramsci e i Pertini e i Bauer e i Parri... − i 137 questori e prefetti d’Italia, i boia della Yugoslavia come Roatta, i doppiogiochisti come De Lorenzo, e i ministri e sottosegretari di Salò, e i capitani e militi della X Mas − rimangono al loro posto. O s’inguattano brevemente per tornare presto alla ribalta e fondare partiti neofascisti, entrare nel Parlamento e nelle Istituzioni repubblicane, organizzare Piani Solo e tentativi di golpe e strategie della tensione, manovrare stragismo e terrorismo dal ‘69 al ‘78 (uccisione di Moro), e poi fino al ‘92/’93.
In codesto nuovo orrido milieu, ci portano le tracce di Pierrot le fou e dei suoi successori (caïd o voleurs, pezzi di carne o miti o fantasmi che siano), fino al ‘64 − anno del Piano Solo − fino al ‘78 − anno dell’assassinio politico di Moro. Seguendo il loro mektoub..., o trascinati piuttosto dalla piena di un mondo grande e terribile che dei poveri mauvais garçons, di Frassino (Cuneo) o de la Ville lumière, mal s’illudevano di tenere per sé e perfino di dominare.
L’esistenzialista Pierrot, il lettore del reprobo Vian (e perché no? Il mektoub del bandito non è forse in un certo senso un prodromo dello scacco dello scrittore maledetto du coté de la rive gauche?)..., il fatalista Pierrot, finalmente fuor di catorbia, in un tempo e con un passato per cui cinquanta anni son tanti, dichiara ad epigrafe: Penso di valere più della maggior parte degli uomini che ho conosciuto, anche col sangue di cui sono coperto
.
Ma diciamoci la verità. Quelli che lottarono per un mondo nuovo dopo l’immane tragedia, avrebbero mai supposto che, con i successivi sviluppi, i Pierrot e gli Attia e le Katia sarebbero diventati i