Sulla linea di confine
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Anteprima del libro
Sulla linea di confine - Guido Morresi
retico
Sull'autore
Morresi Guido, Cavaliere della Repubblica Italiana, nasce nel 1944 a Morrovalle. Scrive il suo primo opuscolo sulla storia locale nel 1999, a cui ne seguiranno molti altri. Ha collaborato con l'amministrazione comunale e le associazioni locali alla realizzazione di mostre e rappresentazioni teatrali. Premiato a tre concorsi letterari, suoi scritti appaiono in sei diverse antologie.
Dedica
NEC RECISA RECEDIT
Motto dedicato alle Fiamme Gialle della Guardia di Finanza da Gabriele D’Annunzio, quando nel 1920 partecipò all’impresa di Fiume.
a tutti coloro che hanno perso la vita
per compiere il proprio dovere
Presentazione
Desidero, innanzitutto, ringraziare il Dottor Luca Pantanetti per avermi chiesto di presentare questo bellissimo libro, di cui è autore il collega in Fiamme Gialle Guido Morresi.
Siamo ormai abituati, noi Finanzieri, a raccontarci e a raccontare agli altri le nostre vicende storiche, facendole spesso ospitare dai giornali del Corpo, ovvero pubblicare dalla stessa Istituzione, sia a livello centrale che periferico.
Ecco, dunque, che si rimane piacevolmente sorpresi di fronte alle iniziative editoriali che, talvolta e raramente provengono dal cosiddetto ambiente civile
, volendolo distinguere da quello militare solo per nostra comodità e non, quindi, per importanza.
Non è certo a causa di un’ipotetica carenza
di tradizioni e fatti storici, che gli eventi legati alla Guardia di Finanza non trovano la giusta e doverosa collocazione sia nella letteratura che nel complesso mondo dei Mass media.
La Storia della Guardia di Finanza non è di minor pregio rispetto a quella di altre Istituzioni. Essa, infatti, rappresenta un crescendo di eroismi, manifestati sia in pace che in guerra; di episodi di autentica filantropia e generosità verso il prossimo; di abnegazione ed attaccamento verso lo Stato ed il Popolo italiano.
Non vi è stata, forse, la presunzione di volerla valorizzare al solo scopo di richiamare l’attenzione sul nostro lavoro, che spazia dalla tutela della sicurezza economico-finanziaria nazionale e dell’Unione Europea, dell’Erario e della pace sociale.
Il Finanziere non ama, dunque, sfruttare il proprio operato per farsi compiacere dalla gente. Ritiene, invece, il proprio lavoro utile alla società, e lo fa nel silenzio della pubblicità; nel rispetto delle regole democratiche; consapevole di aver adempiuto al proprio dovere, sino in fondo.
In un Paese come l’Italia ove il cinema e la televisione ci sottopongono ad una intensa esposizione di opere e contributi dedicati ad altre forze di polizia, così come a fatti e personaggi storici già ampiamente approfonditi, l’assenza di contributi letterari, così come di film o fiction dedicati alle Fiamme Gialle, può autorizzare qualcuno a pensare che il Finanziere sia stato, sin dal lontano 1774, solo un mero controllore
della linea di confine, di un doganiere o, peggio, di un pedante agente delle tasse.
Eppure, la Storia – quella vera s’intende – ci racconta l’esatto contrario. Il Finanziere è da sempre un soldato
, un uomo che in pace ed in guerra ha saputo difendere sia l’onore che il suolo della nostra amata Patria.
Appartengono a questa schiera di uomini eletti
le Fiamme Gialle che trapelano dall’ottimo libro del collega Morresi, anche se il titolo, forse, non gli rende molta giustizia.
I suoi contenuti, invece, ci offrono uno spaccato incredibile riguardo alla vita che generazioni di Fiamme Gialle hanno condotto lungo le frontiere che separano politicamente e geograficamente il nostro Paese dagli altri Stati d’Europa.
Desidero, quindi, sottolineare quanto sia stato minuzioso e laborioso il lavoro svolto dall’autore, il quale – con non comune obiettività – ha saputo leggere per bene le carte della storia e, di conseguenza, restituire dignità e prestigio a uomini che combatterono il contrabbando e gli altri illeciti, riuscendo ad operare un non facile raccordo con la loro vita privata e, quindi, con i sentimenti umani che animavano ciascuno di loro, spesso fragili ragazzi del Sud che «non avevano mai visto una montagna» se non in cartolina.
Si è trattato di ricordare, quindi, gli artefici di episodi eclatanti, ma anche di fatti conosciuti ai soli protagonisti d’allora, e ciò nella consapevolezza di aver scritto alcune fra le più belle pagine della c.d. guerra di ogni giorno
, quella, cioè, che generazioni di Fiamme Gialle hanno condotto contro contrabbandieri e delinquenti di ogni sorta.
Anche sulla base di tali considerazioni, sono certo, infine, che il libro Sulla Linea di Confine
, renderà un grande servizio alla cultura di questo nostro meraviglioso Paese, i cui giovani vengono spesso educati verso altre scienze e conoscenze, ma sempre meno a vantaggio della Storia patria: vera linfa vitale
di ogni Paese che aspira ad essere una grande Nazione.
Roma, 21 settembre 2020, Festa di San Matteo
.
Dott. Gerardo SEVERINO
Storico della Guardia di Finanza
Prefazione
Di colpo ero grande. Terzogenito di una modesta famiglia del centro Italia destinato a trovarsi un lavoro, pensai che la vita militare fosse la più adatta al mio carattere. Spinto anche da un cugino di mia madre che faceva il Carabiniere a Roma, scelsi le Fiamme Gialle, mi erano simpatici i colori della divisa.
Dopo aver frequentato il corso allievi finanzieri arrivai a Luino, sul Lago Maggiore, nel gennaio del 1963. Un luogo pianeggiante, bellissimo. Mi dissero che a pochi chilometri c’era il confine con la Svizzera. Per me, che avevo sempre pensato che i confini dell’Italia fossero posti su dei picchi alti, altissimi, da far spavento, dove solo le aquile osavano volare, fu una sorpresa. Ma bastò attendere appena qualche mese e il primo trasferimento che anch’io giunsi a vedere quelle montagne di cui ci avevano parlato gli istruttori al Battaglione Allievi.
La vita militare sotto certi aspetti è strana, si deve imparare tutto in fretta. Indossate le Fiamme Gialle e le stellette si cresce velocemente. Davanti allo specchio mostri un viso da bambino ma devi pensare che domani sei già un uomo.
Un giovane fra tanti giovani, uno scapestrato fra tanti scapestrati, un bravo ragazzo fra tanti bravi ragazzi. L’età dei finanzieri nei reparti di confine andava dai diciannove ai venticinque anni. Per molti era la loro prima volta fuori casa e avevano visto le montagne solo in cartolina.
Non tutte le caserme erano uguali. Cambiato il reparto, cambiavano di conseguenza il Comandante, i colleghi, il modo di agire e il tipo di contrabbando. C’erano dei luoghi solitari tra cielo e neve dove per giorni e giorni si incontravano le stesse facce, gli stessi sorrisi, gli stessi gesti, e dove dovevi fare sempre le stesse cose. I ragazzi che non avevano preoccupazioni famigliari o fidanzate riuscivano ad ambientarsi in fretta; mentre per gli altri nascevano i problemi. Durante il periodo trascorso sulla linea di confine ho cambiato cinque reparti, già dopo due o tre giorni mi sentivo come se fossero trascorsi mesi.
Non ho mai scritto alla mia famiglia lamentandomi del servizio o dei superiori, mia madre ne avrebbe sofferto moltissimo, mentre mio padre avrebbe detto: «L’ha scelto lui».
1 – La frontiera
L’Italia è una penisola a forma di stivale che si protende nel Mediterraneo. Una lingua di terra lunga 1.932,20 chilometri unita al continente europeo attraverso l’arco alpino. Nel suo tratto più largo misura circa 240 chilometri e, isole comprese, possiede oltre 7.000 chilometri di coste.
Dal punto di vista storiografico l’Italia deriva dal Regno di Sardegna. Al termine della seconda guerra d’Indipendenza e con il consenso unanime della popolazione di tutti i territori conquistati, re Carlo Alberto di Savoia avalla la nascita dello Stato italiano. Il Regno d’Italia, attraverso lo statuto albertino, venne proclamato il 17 marzo 1861 e restò formalmente in vigore fino al 1° gennaio 1948, quando entrò in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana e Vittorio Emanuele II assunse per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia.
Lo Stato italiano, come qualsiasi altra nazione, ha un confine che sta a delimitare, naturalmente o artificiosamente, il proprio territorio. Si presume che ci sia una diversità tra uno Stato e quello confinante: una diversità reale linguistica, culturale o finanziaria. A volte, tali diversità hanno provocato attriti e incomprensioni. Senza i confini non è possibile concepire alcuna organizzazione ben strutturata. I confini sono all’origine di tutte le modalità interattive, e ne definiscono le caratteristiche, condizionandone l’evoluzione in senso più o meno conflittuale o competitivo. Le Alpi sono una barriera importante per lo Stato italiano. L’arco alpino fa da spartiacque e costituisce per lunghi tratti il confine con la Francia, la Svizzera, l’Austria e la Slovenia. Il tratto di confine che ci interessa, e che è protagonista delle narrazioni che seguono, è quello tra l’Italia e la Svizzera, che si estende per circa 740 chilometri.
Seguendo la direzione geografica ovest-est, questo confine inizia dal monte Dolent, dov’è collocato il cippo della triplice frontiera tra Francia, Italia, Svizzera, e termina nei pressi di Passo Resia, quando si incontra un altro cippo su cui sono incise le sigle dell’Austria, dell’Italia e della Svizzera.
Dall’unità d’Italia in poi, la linea di confine con la Svizzera, a parte qualche minimo ritocco, non ha subito modifiche rilevanti. La frontiera fra le due nazioni è stata tuttavia oggetto per lungo tempo di dispute e di forti tensioni diplomatiche. Sulla scia del processo risorgimentale nacque un movimento irredentista che chiedeva il completamento e l’unificazione dei territori etnicamente italiani ancora sotto il dominio straniero. Nato con l’obiettivo dell’annessione dei territori italiani rimasti sotto l’Impero Austroungarico, il movimento irredentista finì, nell’atmosfera di un crescente nazionalismo, per rivendicare anche la Svizzera italiana.
Nel Canton Ticino, dove tuttora si parla la lingua italiana, suscitava polemiche la presenza della comunità sempre più forte e influente degli svizzeri tedeschi. Quest’ultimi, con il tempo, attraverso i propri circuiti sociali, erano riusciti a insediarsi nei posti di comando e nell’economia cantonale, ed erano, tra l’altro, mal disposti a imparare l’italiano e a integrarsi.
Oltre al Canton Ticino, gli irredentisti rivolsero particolare attenzione al Cantone dei Grigioni: un cantone trilingue, i cui abitanti parlano per la maggior parte la lingua tedesca, e in misura minoritaria quelle romancia e italiana.
Secondo alcuni illustri linguisti, il romancio appartiene al sottogruppo delle lingue retoromanze e come tale ha grande affinità con il ladino e con il friulano, entrambi parlati in Italia. Forti di queste tesi scientifiche, gli irredentisti sostenevano che se il Cantone fosse stato messo sotto la tutela dell’Italia, il romancio sarebbe riuscito a risollevarsi dalla condizione di decadenza linguistica, culturale e spirituale nella quale versava a causa dell’avanzata del tedesco.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nella prospettiva di una spartizione della Svizzera tra la Germania nazista e l’Italia fascista, gli irredentisti ticinesi alzarono il tiro, proponendo di spostare il confine dei territori da annettere fino al Passo del San Gottardo, la catena mediana delle Alpi
.
Le tensioni e i conflitti diplomatici provocati dall’irredentismo furono numerosi ma con scarsi risultati se non nulli.
Se la frontiera ha esercitato sotto alcuni punti di vista una funzione di separazione tra i due Stati, l’atteggiamento diverso al di qua e al di là del confine, è stato tuttavia all’origine di relazioni e scambi.
In particolare, i diversi ordinamenti fiscali – la Svizzera con un regime tributario liberale mentre l’Italia uno maggiormente protezionista – hanno dato origine a intensi traffici di contrabbando. I traffici riguardavano principalmente beni come il tabacco, il caffè e lo zucchero, che in Italia erano gravati da dazi o sottoposti a regime di monopolio. Furono le depresse condizioni economiche a spingere larghe fasce della popolazione italiana a esercitare in un modo più o meno regolare quest’attività. In particolare, nelle aree a ridosso della frontiera il contrabbando era considerato un mestiere semilegale da parte delle popolazioni locali. Esse consideravano i militari della Guardia di Finanza dei nemici da combattere, perché con i loro sequestri sottraevano il frutto delle loro fatiche, spesso essenziali per la sopravvivenza della propria famiglia.
I cittadini svizzeri non contrabbandavano, si limitavano a fornire la merce. Poiché il contrabbando verso l’Italia non recava nessun danno all’erario svizzero, le autorità elvetiche tolleravano ampiamente il continuo via vai degli spalloni
nel suo territorio.
Lo spallone
, cioè colui che trasporta il carico, in gergo significa uomo dalle spalle forti
. Il termine perciò ben si adattava a coloro, che con pesanti carichi sul dorso – oltre 30 chilogrammi, (circa 800 pacchetti di sigarette) – superavano il confine attraverso itinerari alpini aspri e poco frequentati.
La figura dello spallone
, lungo la frontiera, godeva di grande prestigio sociale ed era attorniato da un alone romantico. La violazione delle leggi doganali rappresentò anche una forma di contestazione delle comunità di frontiera verso lo Stato italiano, percepito come esattore rapace e presente solo per le chiamate di leva, mentre si mostrava insensibile ai problemi locali.
Tuttavia, il contrabbando svolse un’importante funzione di strutturazione nel tessuto socioeconomico delle regioni di frontiera. Nello stesso periodo nel Canton Ticino si svilupparono importanti manifatture di tabacco impiantate a ridosso della frontiera, sia per reclutare le sigaraie sul mercato del lavoro italiano, sia per la vicinanza dei canali di smercio illegale. Nel secondo dopoguerra, anche nella Val Poschiavo (Canton Grigione) sorse un gran numero di torrefazioni di caffè, che nottetempo prendeva la via dell’Italia, trasportato dagli spalloni
lungo gli scoscesi sentieri alpini della Valtellina.
Nel 1890, al fine di arginare