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Oui, je suis terùn. Storia di un migrante in patria
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E-book176 pagine2 ore

Oui, je suis terùn. Storia di un migrante in patria

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Info su questo ebook

La storia vera di un ragazzo del Sud e della sua famiglia tra guerra, banditismo, emigrazione, boom e sboom economico, terrorismo, politica, informazione televisiva e storie pallonare. 
Un flashback lungo settant’anni di storia italiana e non solo, dove a fare da sfondo, in una sorta di montaggio incrociato, c’è la storia di due paesi: un borgo del profondo Sud della Sicilia e una città del ricco Nord. Il tutto narrato con il taglio tipico del reportage televisivo.

Sergio Calabrese è stato per quarant’anni un reporter televisivo inviato speciale sia dei telegiornali sia per Raisport.  
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2019
ISBN9788894480665
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    Anteprima del libro

    Oui, je suis terùn. Storia di un migrante in patria - Sergio Calabrese

    terùn

    studio editoriale Punto & Virgola

    viale dei Mille, 13/B – 27029 Vigevano (PV)

    tel. 0381 326 694

    info@studiopev.it

    www.studiopev.it

    Coordinamento editoriale

    Paolo Comolli

    Copyright © 2018

    Sergio Calabrese

    e-book ISBN: 978-88-944806-6-5

    Ai miei genitori Maria e Raffaele.

    A Titti e Fred.

    Ai miei fratelli Vito, Iana, Paolo e Luciana

    « L’uomo che non ha musica in sé

    ha lo spirito fosco come la notte. »

    William Shakespeare

    Prefazione

    Quando Sergio Calabrese viene a trovarmi in ufficio lo vedo salire i tre scalini del mio studio, tra le mani ha una bottiglia di quello buono (bianco valdostano o rosso siculo, a volte un mosso oltrepadano) e sulla faccia un sorriso furbetto e smaliziato che si porta appresso da quando era caruso.

    Mi chiede a che cosa sto lavorando e poi cominciamo a parlare, in un flusso di racconti in cui si mescolano fatti, aneddoti, citazioni del principe De Curtis, ricordi, progetti, frescacce e pensieri profondi. Come potete immaginare, Sergio è un serbatoio inesauribile di storie, ha passato la vita tra le notizie, la gente, i luoghi più diversi. Quando mi ha proposto di pubblicare questo libro (Se pensi che sia di qualche interesse, altrimenti non se ne fa nulla, ha sentenziato) ho accettato con entusiasmo. Sapevo che cosa ci avrei trovato e che sarebbe stato un libro affascinante.

    Sì, perché questo libro è come un film, dato che – per sillogismo – la vita di Sergio Calabrese è come un film. E va raccontata attraverso il linguaggio cinematografico, che Sergio sa utilizzare con grande naturalezza. La sua scrittura è strutturata come una sceneggiatura in cui il lettore trova flashback narrativi, lunghi piani sequenza, rapide zoomate sui particolari e un sapiente uso del ritmo narrativo.

    Una narrazione, dunque, ma non di finzione. Questa è vita vera, vissuta in prima persona, in cui il tono faceto qualche volta fatica a stemperare il serio; ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è autentico, malgrado lo stile ironico che caratterizza la penna del nostro e che si presenta già dal titolo.

    Il tema da cui nasce il libro – la migrazione, il dislocamento – è di strettissima attualità ma ha radici lontane. Questa è la storia di un migrante in patria (come recita il sottotitolo) e il fatto che si tratti di un immigrato con i documenti in regola, che non abbia una storia di gommoni e tragedie in mare, ma soprattutto di uno che ce l’ha fatta, non sposta i termini della questione.

    Dunque questo libro è un diario allo stesso tempo intimo e pubblico dell’autore, in cui si intrecciano la sua vita privata, la sua carriera di giornalista cineoperatore e i fatti che hanno segnato la Repubblica italiana dagli anni Settanta a oggi. Dalla giovinezza di Sergio a Chiaramonte Gulfi (profondo Sud) alla città della scarpa (profonda… Padania), i ricordi si inseguono in uno storytelling brillante e leggero, con momenti profondi e altri di vero spasso. Una storia di formazione in cui un ragazzo trova la sua strada facendosi largo tra le difficoltà del dopoguerra e le opportunità della ricostruzione e poi del boom economico. Ma la storia di Sergio diventa la storia di noi tutti quando le sue vicende personali si incrociano con quelle del nostro Paese, che riunisce tutti – terroni e polentoni – sotto un cielo comune. Un Paese in cui la bellezza e la cultura si mescolano talvolta alle brutture della cattiva politica e dei fatti di sangue.

    In questa narrazione troverete la Sicilia, Vigevano, Milano, il mondo; e poi una schiera di personaggi: della cultura, della cronaca, dello sport, della politica e, naturalmente, della televisione. Seguirete infatti le avventure del reporter con la telecamera in spalla, i suoi servizi pluripremiati, le sue interviste, il suo sguardo curioso, la sua umanità.

    Dei tanti libri che Sergio ha scritto, questo è quello più intimo, dove il ragazzo, e poi l’uomo, si raccontano con sincerità: la famiglia (quella in cui è nato; quella che ha costruito), gli amici, i colleghi e, sullo sfondo, la Storia italiana e internazionale.

    Quale ritratto di Sergio Calabrese esce da questo libro? Giornalista per professione, scrittore per passione, musicista mancato, tennista per hobby, istrione per inclinazione (ma ha anche dei difetti, è un gobbo juventino), instancabile osservatore della realtà con disincanto e ironia.

    Proprio come quel picciotto di Chiaramonte Gulfi di cui gli è rimasto attaccato in faccia quel sorriso furbetto e smaliziato.

    Paolo Comolli

    Prologo

    Sicilia sud-orientale. Un piccolo borgo dalle minuscole case bianche arroccate tra cielo e mare: Chiaramonte Gulfi. Alla sera, quando l’atmosfera è tersa, dal paesino si vede persino la marina e il profilo del vulcano, nonostante l’Etna disti dal paese novanta chilometri.

    In questo piccolo borgo di collina vive don Raffieli, ’u scarparu. La sua putia di via San Paolo verso sera si popola di pittoreschi personaggi. Una sorta di Circolo Pickwick dove mastro Turiddu, u narciso; Luciddu ’u macellaio; ’u sfissatu; u paciau, l’ebanista; donna Paolina, ’a rossa; ’a gna Cuncè, a fruttarola, e altri personaggi della fauna locale si dànno appuntamento per discutere di tutte le cose del mondo.

    Dopo una certa ora, l’ingresso alla putia è severamente vietato alle donne. L’ora che precede la cena invita gli astanti a parlare di cose ri masculi. Che poi sono sempre le stesse: donne, schifienzi e pettegolezzi: il passatempo preferito della composita compagnia.

    Altri luoghi di aggregazione per i giovani operai e artigiani sono le società di mutuo soccorso che hanno le loro sedi nella piazza principale del paese. Una di queste era la Società Operaia Umberto I. Di questo storico circolo parleremo in seguito.

    Flashback: la sua vita sembra un film

    1936. Mentre in Abissinia sventola il tricolore e in Italia si canta Faccetta Nera, in Sicilia, a Chiaramonte Gulfi, il paesino incastonato tra i monti Iblei, un giovane spasimante langue d’amore, non corrisposto, per la sua adorata Pupetta, una splendida fanciulla in fiore che in realtà si chiama Maria. Maria ha gli occhi azzurri, azzurri come li hanno soltanto le madonne dipinte da Antonello da Messina.

    Raffaele, nonostante le appassionate serenate che appronta alla bisogna sotto i balconi della bellissima Pupetta Maria, non riesce a fare breccia nel cuore della sua amata, la primogenita ro massa Vitu Gurrieri, agricoltore e piccolo proprietario terriero. Maria, algida e cinica, nonostante quelle struggenti dediche canore non cede alle lusinghe del suo spasimante. Attraverso una comune amica fa sapere al pretendente che è antipatico e non sopporta quei suoi orrendi baffetti da siculo malandrino. Raffaele nell’apprendere la notizia sembra uscire di senno. E allora? E allora per amore, solo per amore, lascia il suo borgo natio e parte volontario per l’Africa Orientale.

    Nelle lontane terre del Negus trascorrerà circa due anni, sperando di dimenticare l’ingrata Maria. Al suo ritorno in patria, siamo alla fine del 1937, racconta fiero agli amici e compaesani che in Abissinia e in Eritrea lui non ha mai sparato un colpo di fucile contro il nemico. In virtù del fatto che era il trombettiere del reggimento. Già, la musica, che tanta importanza avrà in seguito nella vita di Raffaele e della sua famiglia.

    Maria ormai è soltanto uno sbiadito ricordo? Niente affatto. Tagliati i baffetti che la sua amata mal sopportava, Raffaele ricomincia a corteggiare la mai dimenticata Maria la quale alla fine, esausta, cede alle lusinghe del suo spasimante.

    E fu così che in un giorno di primavera di tanti anni fa, fiori d’arancio e marcia nuziale: Maria e Raffaele oggi sposi. La banda musicale del paese – della quale don Raffaele è la prima tromba, – schierata nella chiesa madre in grande uniforme, esegue la colonna sonora della cerimonia.

    1939. L’Europa è in fermento. In tutta la sua orrenda oscenità scoppia il secondo conflitto mondiale. Hitler invade la Polonia. L’Italia è alleata della Germania e la patria chiama. A Raffaele e a tanti giovani chiaramontani arriva la cartolina precetto. Raffaele questa volta, non per amore, parte per la leva militare e lascia la sua sposa Pupetta Maria col pancione. Maria attende un bimbo. Castelvetrano, Capo d’Orlando, Alcamo e Cava dei Tirreni sono i luoghi di destinazione del fante Raffaele. Ed è proprio a Cava dei Tirreni, durante un bombardamento, che il fante, portaordini e trombettiere del reggimento, cerca scampo nel cimitero del borgo rivierasco.

    Finita la tempesta di bombe scagliate dagli anglo-americani, Raffaele ringrazia la patrona del suo paese ’a Marunnuzza di Gulfi per lo scampato pericolo. Ma mentre sta per lasciare il cimitero gli sembra di udire il pianto di un bimbo: dietro una lapide scorge un neonato avvolto in carta di giornale che piange disperatamente. Il milite non esita un istante a prendere in braccio il piccolo e si avvia verso la caserma.

    « Maggiore, le ho portato un soldatino, » dice Raffaele al suo superiore. Il piccolo trovatello per qualche giorno diventa la mascotte della caserma ed è adottato da tutto il reggimento. Lo chiameranno col nome del battaglione: Berenice. Raffaele farà da padrino al battesimo del bimbo. La piccola creatura sarà poi affidata a una famiglia di Cava dei Tirreni.

    Qualche giorno dopo il battesimo, grazie alla musica, Raffaele si salva per l’ennesima volta dal fronte russo. I soldati italiani destinati laggiù erano scelti con una procedura semplice e nello stesso tempo perversa: si schieravano tutte le reclute nel cortile della caserma e si procedeva con la conta da uno a dieci. Il decimo della fila faceva un passo avanti: era il sorteggiato, pronto per il fronte. Raffaele per ben tre volte fa il passo avanti, ma il suo colonnello tutte le volte si oppone: « Il fante non può partire"! È il trombettiere del reggimento e portaordini: non mi posso privare della sua presenza! » dice imperioso il comandante. E fu così che l’essere musicista, soprattutto suonare la tromba, salvò (forse) la vita al soldato semplice Raffaele.

    Otto Settembre e… tutti a casa. Il fante Raffaele, sbandato, lacero e affamato, con una medaglia di bronzo sul petto, assieme ad altri suoi commilitoni, dopo trecento chilometri percorsi a piedi, ritorna finalmente a casa.

    La storia di Raffaele è quella di un italiano come tanti. Un militare che ha semplicemente servito la patria recapitando ordini ai suoi superiori e soffiando dentro una tromba. Del piccolo trovatello da lui salvato in quella notte di bombardamenti del 1939 al cimitero di Cava dei Tirreni, nonostante le ricerche per poterlo riabbracciare, don Raffaele non seppe più nulla.

    Al borgo arrivano i chewing gum

    Sicilia orientale, settembre del ’43, nella contrada Santa Teresa Longarini, poco distante dal borgo Cassibile (SR) il generale italiano Giuseppe Castellano e il generale americano Walter Beddel Smith firmano l’armistizio. Chiaramonte Gulfi fu tra i pochi paesi della Sicilia che accolse pacificamente e senza spargimento di sangue i soldati americani.

    « Paradossalmente – scrive lo storico ed editore del paesino ibleo Giovanni Bertucci sulla sua rivista Senza Tempo – grazie al conflitto, nel borgo nacquero nuovi amori. Molti soldati, compresi alcuni anglo-americani, si fidanzarono con alcune ragazze chiaramontane e qualche girl varcò l’oceano. Il paese, per fortuna, non fu bombardato dagli alleati, anche se alcune schegge delle frequenti incursioni sull’aeroporto di Comiso e sulle terre circostanti arrivarono anche a Chiaramonte, per fortuna senza provocare vittime. »

    Durante la loro permanenza nel paesino ibleo, gli alleati si erano accampati nello spiazzo davanti al sagrato della chiesa di San Giovanni. Per i ragazzini del paese, compreso il piccolo Vito, primogenito di don Raffaele, fu festa grande. I soldati americani distribuivano caramelle, cioccolata e sigarette. Una cosa della quale i carusi erano particolarmente ghiotti, era il chewing gum, fino ad allora sconosciuto in Italia.

    Quando gli alleati abbandonano la Sicilia, oltre le caramelle e il cioccolato, lasciano soprattutto macerie e miseria. Si cerca con fatica, nonostante il dolore per chi

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