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Il brigante Giuseppe Mayno
Il brigante Giuseppe Mayno
Il brigante Giuseppe Mayno
E-book480 pagine6 ore

Il brigante Giuseppe Mayno

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Info su questo ebook

Giuseppe Mayno della Spinetta (sobborgo di Alessandria), il bandito di Marengo, è un brigante che ha fatto parlare di sé nella prima metà dell'Ottocento. Ha dato del filo da torcere alle autorità francesi, occupanti il Piemonte in nome della "libertà" rivoluzionaria, e del quale i potenti di allora (non escluso Napoleone Bonaparte) sollecitarono spesso l'aiuto, se non l'alleanza. Un brigante gentiluomo, con molti gesti d'umanità, è anche un bandito burlone. Alcuni suoi tiri giocati alle autorità sono rimasti celebri. Un eroe popolare e come tale sa morire. I campi delle sue gesta furono: il Piemonte, la Liguria e la Lombardia. Una biografia fedelissima che vi terrà con il fiato sospeso e una tenerissima storia d’amore.

Liliana Angela Angeleri nata ad Alessandria in Piemonte è autrice di romanzi storici e sceneggiatrice.  
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita11 giu 2018
ISBN9788893451819
Il brigante Giuseppe Mayno

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    Anteprima del libro

    Il brigante Giuseppe Mayno - Liliana Angela Angeleri

    Liliana Angela Angeleri

    Il brigante Giuseppe Mayno

    The sky is the limit

    ISBN: 9788893451819

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    CAPITOLO I

    CAPITOLO II

    CAPITOLO III

    CAPITOLO IV

    CAPITOLO V

    CAPITOLO VI

    CAPITOLO VII

    CAPITOLO VIII

    CAPITOLO IX

    CAPITOLO X

    CAPITOLO XI

    CAPITOLO XII

    CAPITOLO XIII

    CAPITOLO XIV

    CAPITOLO XV

    CAPITOLO XVI

    CAPITOLO XVII

    CAPITOLO XVIII

    CAPITOLO XIX

    CAPITOLO XX

    CAPITOLO XXI

    CAPITOLO XXII

    CAPITOLO XXIII

    CAPITOLO XXIV

    CAPITOLO XXV

    CAPITOLO XXVI

    CAPITOLO XXVII

    CAPITOLO XXVIII

    CAPITOLO XXIX

    ​Mayno e i documenti

    Bibliografia

    Immagini del bandito Giuseppe Mayno

    Ringraziamenti

    Dedica

    Ai pochi che adoro e ai molti che amo e a

    tutte le persone che hanno creduto in me

    Liliana

    CAPITOLO I

    La bella rosa

    Una sera Giuseppe Mayno camminava lungo una via della città di Tortona e indossava la divisa militare. Incontrò un gruppo di amici e militari.

    Vieni con noi, Mayno?

    Dove andate?

    All’osteria.

    Non mi diverto, sono sette mesi che sono sotto le armi e mi annoio andare nelle osterie.

    Conosceresti la figlia dell’oste e parleresti diversamente.

    Un altro amico aggiunse.

    Io non ho mai visto una ragazza così bella.

    Riuscirono infine a convincerlo. Si aggregò alla compagnia. Si rese conto di non aver ancora avuto l’occasione di fare l’amore con una ragazza, nonostante desiderasse da qualche tempo trovare una giovane amante. Non era di gusti facili e aveva sempre in mente Cristina e la sua bellezza. Le insistenze degli amici lo persuasero a seguirli all’osteria.

    Entrarono nell’ampio locale, ben illuminato dalle lampade a petrolio. Si sedettero tutti a un tavolo presso il banco, dove una giovane donna bionda, molto bella, stava cucendo un indumento. I giovani chiesero da bere. La ragazza dispose i bicchieri davanti ai ragazzi.

    Mayno pensò.

    Non è bella come Cristina. Si lasciò sfuggire un sospiro.

    Per un’avventura di scarsa importanza potrebbe andare bene. Ho sentito i commilitoni che ne parlavano in caserma. Mi hanno informato che questa ragazza non si concede e che si chiama Rosa.

    Gli amici avevano osservato che la ragazza aveva riservato particolari attenzioni a Giuseppe.

    Con noi non è stata mai così premurosa.

    Rosa sorrise.

    Questo signore è gentile e anche educato, quanto voi siete sfacciati e non tenete le mani a posto.

    Nel frattempo, inosservato, era entrato un tenente, un bel giovane dall’aspetto distinto e dall’atteggiamento sprezzante.

    I militari pensarono.

    Chi riesce a sopportarlo con tutta la sua villania.

    Il sottotenente aveva udito le parole di Rosa e sorrise.

    Mayno è educato e gentile. Come potrebbe essere altrimenti? Ha lasciato da poco il tricorno dei preti.

    Tutti risero. Rosa più di tutti .

    Mayno finse di non aver sentito per non essere obbligato a rispondere a tono.

    Il tenente è un mio superiore.

    Scolò un bicchiere di vino e finse d’interessarsi a una partita a carte di due dei suoi camerati. Rosa tornò al banco e servì il graduato. Questi bevve e passò dietro al banco e si sedette accanto a lei. Mayno osservò i loro movimenti riflessi nello specchio appeso alla parete di fronte. Vide i due giovani seduti molto vicini. Il contegno civettuolo della ragazza lo irritò più che l’atteggiamento di superiorità del tenente.

    Rosa non hai più simpatia per me, ora che sai che sono stato in Seminario? Come darei volentieri uno schiaffo a quello lì che gliel’ha fatto sapere.

    Ogni tanto, dopo una leggera risatina della ragazza, Giuseppe sentì il suono di un bacio. Alzò gli occhi verso lo specchio. Vide il tenente che baciava la mano o il paffuto braccio di Rosa. Stavano scherzando. Il soldato non le baciava il viso, ma il collo. I suoi gesti erano così rapidi che provocavano le allegre proteste della ragazza.

    Farei meglio a uscire da qui. Non sopporto più questa ‘civetta’.

    Non era gelosia ma dispetto. Si sentiva offeso e umiliato.

    Domandò a un soldato che gli sedeva accanto.

    Sono fidanzati?

    Chi?

    Rosa e il nostro tenente.

    No, di certo. Scherzano. L’ha vista vicino a te. Te l’ha voluta togliere, è risaputo che un superiore si comporti da strafottente.

    Non lo permetterò.

    Hai intenzione di fare qualcosa?

    Me la voglio riprendere.

    Non ci pensare. Non ne vale la pena.

    Mi sento offeso.

    Stai attento. Il tenente è un superiore.

    Non userò la prepotenza e agirò nel suo stesso modo.

    Un bicchiere di vino!– Gridò rivolto alla giovane.

    La ragazza dovette alzarsi. Prese il bicchiere e il boccale da vino e andò verso Mayno per versarglielo .

    Sedetevi ancora accanto a me, Rosa. Spiegatemi il motivo che vi ha costretto a diventare, improvvisamente, tanto arrogante.

    Io arrogante?

    Sì, prima che entrasse il tenente, voi eravate più gentile con i soldati semplici.

    Non è per questo.

    Allora venite qua.

    La ragazza si sedette accanto a Giuseppe. Il tenente la osservò e si alzò furibondo. Mayno aveva stretto a sé la ragazza e le aveva dato un bacio sul collo nudo, proprio come aveva visto fare il tenente. La ragazza rise e il tenente si avvicinò e capì che il soldato aveva agito solo per provocarlo, si accostò di più a Mayno.

    Sei un mascalzone.

    Mayno scattò come una molla. I due, ormai di fronte, ebbero sguardi che manifestarono rancore e ostilità. Stava scoppiando una rissa. La ragazza impallidì. I presenti si alzarono, pronti a frapporsi tra i litiganti, ma le azioni che seguirono furono fulminee.

    Alla parola mascalzone Mayno si slanciò contro il superiore e non pensò a quali conseguenze lo avrebbe portato quell’aggressione.

    La ragione sarebbe stata dalla sua parte se avesse domandato, con calma, il motivo di quella parola offensiva. Purtroppo in Mayno scorreva sangue caldo. Di fronte ad un’offesa che lo colpì nel vivo, gli diventò inevitabile reagire violentemente.

    Il tenente previde l’atto del sottoposto. Si mise in difesa, pronto a sguainare la sciabola. Mayno, invece, si trovò in posizione infelice nei confronti dell’avversario, ma seppe approfittare della situazione e si guardò intorno. Con un balzo si avvicinò alla catasta di legna da ardere, in un angolo del locale, e prese un lungo e robusto bastone che diventò la sua arma.

    Fu una mossa fulminea che nessuno riuscì a impedire e fu pronto ad affrontare il tenente. Schivò agilmente il colpo di sciabola. Con il randello colpì fortemente la testa del tenente e lo stordì. Una ferita si aprì sulla fronte e uscirono gocce rosse di sangue nonostante fosse superficiale. Il tenente cadde a terra e sembrò tramortito. Gli astanti gridarono a una sola voce e corsero a soccorrere il tenente.

    Giuseppe aveva visto che la situazione non era grave e che si trattava soltanto di uno svenimento. Tutti si affollarono intorno al tenente. Giuseppe tornò a sedersi con l’atteggiamento di chi avesse voluto togliersi dintorno un disturbatore molesto. Continuò a bere il vino che Rosa gli versò. Un soldato riassunse tristemente la situazione.

    A Mayno potrà costare dai vent’anni alla fucilazione.

    I presenti prestarono le prime cure al ferito. Con l’acquavite gli bagnarono le tempie per farlo rinvenire. Riprese subito i sensi. Rosa, premurosa, gli lavò la ferita con acqua e aceto.

    In fondo sono contento di non averlo ucciso Mayno intanto meditava ‘Mi rendo conto soltanto ora che, purtroppo, questa situazione mi potrebbe rovinare la vita’.

    Rimase al suo posto, indifferente. Il tenente fu bendato con un fazzoletto e una striscia di stoffa. Si rialzò. Ordinò agli altri soldati:

    Arrestatelo.

    Indicò Mayno che restò impassibile, centellinando il suo vino. I soldati rimasero perplessi. Arrestare uno di loro. Giuseppe era il loro compagno. I soldati avevano appena bevuto insieme e ora avrebbero dovuto arrestarlo!

    Arrestatelo! Gridò nuovamente il graduato.

    I soldati non si mossero. Soltanto uno osò parlare a bassa voce.

    Tenente, ma dice davvero?

    Sarete imprigionati tutti, per rifiuto d’obbedienza. Arrestatelo. Portatelo via!

    I soldati non si decidevano a prendere per i polsi Mayno e a trascinarlo via di là. Giuseppe era simpatico a tutti e i presenti avevano riconosciuto che la provocazione era partita dal tenente.

    Tutti sapevano che Mayno non voleva assolutamente che si sapesse che era proveniente dal Seminario dove sarebbe dovuto diventare prete, ma il tenente lo aveva fatto sapere proprio alla ragazza, per indispettirlo.

    Giuseppe si accorse, con intima soddisfazione, che i soldati esitavano, o meglio si rifiutavano di arrestarlo.

    La disubbidienza a un superiore sarebbe potuta costare una pena severa e non desiderò che fosse inflitta ai compagni una punizione causata dalla sua condotta. Si alzò e, senza opporre resistenza, si offrì ai soldati.

    Fate pure il vostro dovere. Arrestatemi.

    Più che mai i soldati divennero indecisi. Quel gesto lo rese ancora più simpatico.

    L’oste entrò. Aveva visto la scena e si era preoccupato: se si fosse accesa una lite più grave tra i contendenti, avrebbe avuto danni ai mobili e alle suppellettili. Andò allora verso la porta, pensò che fosse meglio sgombrare al più presto il locale e si decise a chiamare i gendarmi. Un gruppo di soldati di un altro reggimento passò proprio in quel momento.

    Ehi! Soldati.

    I soldati accorsero.

    Qua c’è un soldato che ha ferito un superiore.

    I soldati si erano avvicinati a Mayno che si era tenuto in disparte a osservare la scena. Per quel reato commesso in un momento d’ira, avrebbe potuto avere una condanna dai vent’anni di prigione alla fucilazione. Non sembrava preoccuparsi molto. I suoi compagni erano in pena per lui e gli volevano molto bene. Sapevano che la sua vita era ormai rovinata.

    I soldati che erano entrati compresero la situazione: da una parte, isolato tra due tavolini, videro il giovane soldato, dall’altra, il tenente con la testa fasciata e le bende che si erano tinte di rosso. La giovane donna dal cui corpo era visibile un leggero tremito, era accanto all’ufficiale. Tra i due contendenti videro anche dieci soldati tristi e sgomenti. Questi nuovi venuti temettero che quel giovanotto opponesse resistenza ma, contrariamente ai loro timori, Giuseppe si mosse e andò loro incontro.

    Si presentò e offrì le braccia, mostrando di essere calmissimo.

    Fate pure il vostro dovere.

    Avevano intuito che i soldati dell’osteria avevano rifiutato di compiere un’azione di polizia e, forse, la ragione era dell’accusato. Anche questi ultimi si fermarono, perplessi e indecisi, sull’azione da compiere. Mayno sorrise.

    Arrestate quel delinquente! Urlò nuovamente il sottotenente.

    Stasera cosa sta succedendo? Per la seconda volta si rifiuta un mio ordine? Badate che vi faccio cacciare tutti in galera, canaglia!

    I nuovi venuti non si decisero a obbedire.

    Noi non siamo sbirri. Urlò un soldato.

    Chiamate i gendarmi!

    Mayno era molto lusingato della simpatia che aveva suscitato anche nel nuovo gruppo di soldati.

    Arrestatemi pure. Voi non siete miei camerati.

    Il tenente batté i piedi sul pavimento e mostrò il suo disappunto.

    A malincuore i soldati si avvicinarono a Mayno. In quello stesso momento si aprì la porta dell’osteria, entrarono quattro gendarmi e il tenente fece un gesto di soddisfazione.

    Meno male! Speriamo che anche questi non si rifiutino di arrestare quel prepotente.

    Rosa era in pena per la sorte del suo simpatico corteggiatore.

    Chi vi ha chiamato?

    Un bevitore è corso fuori e ci ha invitato a intervenire.

    Le rispose un gendarme.

    Nell’osteria, dietro ai quattro, entrò anche il maresciallo. I gendarmi si avvicinarono al feritore e i soldati non opposero resistenza. Nel momento in cui il maresciallo fece segno ai suoi uomini di afferrare Mayno, il giovane chiamò l’oste.

    Padrone, portate tre bottiglie di vino buono e disponete i bicchieri per tutti i presenti.

    Basta. Che commedia è questa? Meno discorsi, ora! Siete in arresto.

    Gridò il tenente. Mayno gli rispose con tono ironico.

    So bene ciò che mi aspetta. Mi porteranno ad Alessandria e sarò chiuso in carcere. Dopo domani, se non prima, sarò fucilato. Questo desiderio di bere alla salute dei miei camerati, di questi bravi gendarmi, dei begli occhi della signorina Rosa e anche alla vostra salute, è quasi un ultimo desiderio di un condannato. Offro da bere a mie spese un bicchiere del miglior vino.

    Ha ragione! Commentarono i gendarmi.

    Bravo Mayno! Gridarono i soldati.

    Il tenente visibilmente irritato fu costretto a permettere quel brindisi strano e inopportuno. L’oste portò prontamente le bottiglie, quattro invece di tre che non bastarono, ne portò altre tre per riempire tutti i bicchieri. Mayno stesso li colmò fino all’orlo, poi gettò sul tavolo una moneta d’oro e ne rifiutò il resto. Prese il primo bicchiere e l’offrì galantemente a Rosa.

    Ecco bella ragazza! Bevete alla mia salute. Non dovete essere triste se per avervi dato un bacio io perderò la vita. Avrete fortuna per questo e tutti vorranno conoscere la giovane che per un suo bacio un uomo deve pagare forse con la vita. Ve ne daranno molti di baci per averne molti di vostri, senza rischiare il pericolo che ho corso io.

    Mayno sorrise. Rosa scoppiò a piangere con gran dispetto del sottotenente. Giuseppe si avvicinò proprio a lui, con il secondo bicchiere .

    Bevete tenente, alla vostra salute. Io non brindo alla mia che sarà molto breve.

    Il tenente sdegnato, respinse il bicchiere.

    Voi mi fate un’offesa. Io non vi porto rancore. I casi della vita sono molti e inattesi. Potrei essere graziato. Si potrebbe verificare ancora l’occasione d’incontrarci come amici. Bevete questo vino è buono.

    Smettete! Volle ripetere il tenente.

    Allora permettete che beviamo noi. Avanti camerati, il vino versato vi dona la possibilità di veder meglio. Fuori è già scesa la sera.

    I soldati si avvicinarono al banco e bevvero un bicchiere ciascuno.

    Alla tua salute, Mayno. Gridarono in coro. Mayno continuò a invitare i soldati a bere.

    Favorite pure voi, bravi militi. Bevete. Tutti vuotarono i bicchieri, che furono di nuovo posati sul tavolo.

    Ora è il momento di andare. Incalzò il tenente.

    Andiamo pure. Mayno domandò al Maresciallo.

    Volete legarmi signor maresciallo?

    Sì, legatelo. Intervenne il tenente.

    Il maresciallo ebbe simpatia per i modi cordiali del giovane e, inoltre, gli sembrò che il tenente esagerasse sul dolore della ferita. Vide la finzione nel barcollare e nel venir meno quando i gendarmi lo guardarono, ma quando inveì contro il giovane, dimostrò di avere voce e molta energia.

    Non è il caso di legarlo. Viene con noi, di buon grado.

    Ordinò il maresciallo.

    Dovrei ribellarmi senza motivo? Conosco la mia sorte. Mayno, pronunciò queste parole pensando di guadagnarsi un vantaggio, ma il suo pensiero fu di significato differente.

    Si avviò per primo verso l’uscita. Il maresciallo lo precedette.

    Ai lati di Mayno avevano preso il posto due gendarmi, gli altri due si erano messi dietro. Rosa continuava a piangere. Mayno le passò accanto e le fece una carezza. Il tenente si abbottonò in fretta la tunica e si accomodò alla meglio il berretto sulla benda che gli coprì la fronte. Seguì il gruppo.

    Andate fuori, tenente? Non vi sentite, dunque, tanto male?

    L’oste era visibilmente preoccupato nel vedere che il tenente era pronto per uscire.

    Sto malissimo. Mi fido poco di quel maresciallo. Voglio accompagnare il prigioniero fino ad Alessandria.

    Siate buono con lui. Lo pregò Rosa.

    Farò il mio dovere, bella ragazza. Gli rispose il tenente con tono severo.

    In strada, davanti all’osteria, i soldati della sua compagnia si raggrupparono vicino alla camerata e lo salutarono.

    Avanti, voi, ritiratevi in caserma! Il tenente comandò con voce ferma.

    Si divise anche l’altra comitiva di soldati. Ogni militare manifestò la propria tristezza. Mayno e i gendarmi iniziarono il cammino a piedi, verso Alessandria. Per ingannare la monotonia della marcia, i gendarmi parlarono con il giovane Giuseppe come fossero vecchi amici. Ogni tanto una risata echeggiava nel buio e irritava sempre più il tenente che si sentiva umiliato. Temeva che la simpatia che il giovane aveva suscitato in tutti potesse offuscare l’importanza del suo grado militare. Aveva fatto di tutto per intimorirlo, ma non c’era riuscito. In fondo lo invidiava per il sangue freddo che dimostrava. Avrebbe voluto vederlo allibito e tremante. La compagnia arrivò a poche miglia da Alessandria, in altre parole, dalla sua prigione. Forse avrebbe potuto mostrarsi generoso e clemente.

    Il sentirlo ridere e scherzare gli fece montare la rabbia. Si girò e vide che l’arrestato stava camminando libero tra i quattro gendarmi, come se stesse facendo una scampagnata. Si fermò e ordinò al maresciallo di legare il prigioniero.

    Dovremmo legarlo? Non ne vedo il motivo.

    Per sicurezza! Il tenente alzò la voce.

    Ammanettatelo!

    Il maresciallo alzò le spalle con aria di compatimento e guardò verso Mayno, quasi per scusarsi.

    Giovanotto, il vostro tenente ordina di legarvi.

    Signor Maresciallo, legatemi pure. Gli rispose il giovane con noncuranza.

    Non abbiamo né funi, né catenelle.

    Mayno finse di essere preoccupato. L’ordine del tenente non poteva essere eseguito.

    Allora?

    I gendarmi risero.

    Per quale motivo state ridendo? Il tenente gridò fuori di sé. Non riusciva a intimorire ancora il suo avversario.

    Non abbiamo le catene, come facciamo a legarlo?

    Prendetelo per le braccia! Non nascose la propria ostinazione.

    Non posso camminare in fretta, se mi fate tenere per le braccia. Potreste credere che, per la paura, mi tremino le gambe!

    A questa battuta fulminea, che rispecchiò i sentimenti del tenente, i gendarmi risero sonoramente. Il sottotenente era sempre più arrabbiato perché non era ancora riuscito a intimorire Giuseppe. Lo afferrò per un braccio.

    Ecco, si fa così.

    I gendarmi non lo imitarono. Il tenente rimase al suo fianco. Gli serrò il braccio con la mano destra. Camminarono per un buon tratto di strada, in silenzio. Si erano un po’ rattristati a causa dell’ostinata cattiveria del tenente. Mayno non protestò, neanche nel momento in cui sentì la mano dell'avversario stringere, con molta fermezza, il suo braccio. A un tratto apparve l’ombra di un castello.

    Il castello di Spinetta, vero?

    .

    Continuarono il cammino ancora in silenzio. Mayno era diventato molto triste. Il buio fitto nascose la piega amara che gli aveva contratto le labbra. I bei ricordi della passeggiata di alcuni mesi indietro e il bel volto di Cristina lo fecero sospirare. Il tenente aveva sentito questo sospiro e pensò che il giovane avesse finalmente paura della prigione.

    Hai paura, finalmente?

    Strinse ancora di più la sua presa. Proprio in quel momento, Mayno diede uno strattone al braccio che lo aveva tenuto prigioniero. Si liberò in un sol colpo. Si lanciò verso la siepe che delimitava la strada e la saltò. Udirono il suo grido: Non voglio morire per così poco!

    Sparì nel buio. I gendarmi gridarono per la sorpresa. Il tenente restò inebetito e fermo in mezzo alla strada con le mani vuote. I cinque uomini osservarono il tenente e non riuscirono a trattenere una risata provocata dalla figura meschina dell’ufficiale.

    All’allarme! Gridò il tenente con tutta la voce che trovò in gola in seguito alla sorpresa di quella fuga.

    CAPITOLO II

    Giovane seminarista

    Donare al figlio un’ottima istruzione era il sogno della famiglia di Giuseppe Mayno.

    In quei tempi le famiglie non nobili ma benestanti cercavano d’iscrivere i loro figli ai corsi del Seminario per farli diventare, forse, sacerdoti.

    Nell’anno 1790, Giuseppe Mayno camminava accanto al padre. Il fratello e la madre lo seguivano di qualche passo.

    Entrarono nell’androne porticato per accedere al vasto cortile dove trovarono giovani studenti e molti prelati.

    Si festeggiava il primo giorno di scuola. Udirono voci allegre e i gesti manifestarono molto entusiasmo. Un prete di mezza età andò incontro alla famiglia Mayno.

    Benvenuti, signori!

    Parlò con il padre dall’aspetto ancora giovane che, in questa speciale circostanza, indossò l’abito migliore, poi posò una mano sulla spalla del giovane Giuseppe Antonio di sedici anni. Ne conobbe il bel viso e i ciuffi di capelli scuri, come gli occhi. Era già di alta statura per l’età e lo sguardo faceva intuire una mente sveglia. Il ragazzo indossava la divisa del Seminario.

    Vedete signor Mayno, il nuovo edificio è stato appena completato, così abbiamo potuto permettere al vostro Giuseppe Antonio di studiare presso questo Seminario e molti altri giovani potranno avere la stessa opportunità.

    Vi ringrazio molto. So che riservate gli spazi ai cadetti delle famiglie nobili. Mio figlio ha l'occasione di acquisire la migliore cultura che gli permetterà d'avviarsi, speriamo, verso la carriera ecclesiastica.

    Il sacerdote sorrise e approvò con un cenno del capo.

    La madre di Giuseppe, ancora bella, indossava un abito che metteva in risalto la splendida carnagione.

    Tutti questi studenti diventeranno preti?

    Dall’espressione del sacerdote intuì che la risposta sarebbe stata scomoda.

    Nel caso in cui qualcuno non si dimostri tanto entusiasta, noi sappiamo come decantare tutti i benefici che si potrebbero ottenere con la carriera ecclesiastica.

    Nei mesi seguenti, nell’intervallo delle lezioni, molti preti insegnanti avevano l’abitudine di passeggiare e conversare con i seminaristi. Don Giovanni, l’insegnante più affabile con i giovani, passeggiò e tenne sotto braccio Giuseppe e gli dimostrò una protezione paterna.

    I superiori si sono accorti subito che sei attivo, intelligente e che hai le doti necessarie per aspirare a importanti cariche ecclesiastiche.

    Giuseppe ascoltò con espressione perplessa.

    Tengo molto alla mia libertà. Mi sembra una vita troppo sacrificata.

    Il sacerdote sorrise con benevolenza.

    Credimi ragazzo mio, in fondo la vita del prete ci dà molte soddisfazioni. Si diventa un’autorità. Ogni uomo s’inchina davanti a noi. Il nostro consiglio è cercato e apprezzato e tutti i desideri possono essere appagati. Il giovane sorrise con simpatia alle parole di don Giovanni.

    Trascorsero altri mesi. Giuseppe ricevette continue pressioni da parte degli insegnanti.

    Mi avete convinto. Non sono contrario all’idea di diventare prete.

    Don Giovanni sorrise soddisfatto. Da quel giorno il giovane fu considerato un prediletto tra gli allievi del collegio.

    In quei mesi il giovane s’impegnò molto negli studi; poi trascorsero alcuni anni. D’intelligenza brillante e d’ottima memoria, fu simpatico a tutti, specialmente ai superiori.

    Durante una riunione d’insegnanti, nello studio del Rettore, si valutò la preparazione degli studenti. Il maestro don Giovanni aveva già descritto la votazione d’alcuni studenti. In mano aveva la scheda di Giuseppe.

    Giuseppe Antonio Mayno, ottimi voti in tutte le materie. Volenteroso.

    Il Rettore sorrise soddisfatto.

    Bene, ha tutte le doti per diventare un ottimo prete. Vescovo, anche, speriamo.

    Trascorse un altro anno.

    Nella piccola camera Giuseppe vestiva l’abito talare e sedeva a una scrivania, dove consultava un libro. Lo studente con cui divideva la camera entrò nel piccolo locale.

    Sono addolorato, Giuseppe, ho appena saputo di tuo padre, era ancora giovane.

    Gli avevo appena confidato la mia vocazione. La mamma, anche lei è mancata prematuramente. Il babbo era felice della mia decisione. Se n’è andato con questa speranza. Era sicuro che il suo Giuseppino, al termine degli studi, avrebbe pronunciato i voti e sarebbe diventato sacerdote.

    Più il tempo passava e più la vocazione intiepidiva.

    L’adolescente era diventato uomo e in lui si erano destati nuovi desideri e pulsioni.

    Sentì farsi più vivo il bisogno di libertà e lo studio gli diventò troppo faticoso. Le mura del Seminario erano alte. Dalla sua finestra scorgeva soltanto un pezzo di cielo. Non confidò ancora ai superiori l’insoddisfazione di quella vita. Alla morte del padre seppe che avrebbe avuto una semplice agiatezza da benestante campagnolo, ciò non lo lusingò, non era perciò ricco. Accettare il sacerdozio? Avrebbe potuto avere una vita facile e buona. Col passare dei mesi conobbe meglio la vita ecclesiastica.

    Crebbero, purtroppo, maggiormente in lui i desideri di vivere con maggiore libertà e a suo piacimento. Sì, esistevano dei preti che onoravano il voto del celibato e sublimavano gli impulsi goderecci. La maggioranza, invece, sapeva trarre dalla posizione privilegiata, di cui godeva, tutti i vantaggi al fine di ottenere di tutto, a sazietà. Il non rispettare le regole e i voti rivoltarono la coscienza di Giuseppe nel momento in cui osservò i seminaristi costretti a nascondere ogni impulso e a mistificare tutti i vizi che appagavano in segreto. Si accorse che non tralasciarono ipocritamente d’esaudire qualsiasi desiderio. Tutto questo fu contrario ai suoi sentimenti. Prese e lasciò la decisione di confessare ai superiori di non avere più la vocazione, ma giunse inatteso un caso fortuito che gli avrebbe permesso di risparmiarsi una discussione penosa.

    Vittorio Amedeo III re del Piemonte aveva ordinato una coscrizione obbligatoria. Il re, proprio in quei giorni, chiamò a prestare il servizio di leva anche chi ne fu esentato fino a quel momento. Tra questi, Giuseppe Mayno.

    Il foglio che lo obbligò al servizio militare fu consegnato ai superiori del Seminario che furono costretti a convocare l’interessato. Giuseppe si meravigliò di leggere l’espressione costernata sui volti dei superiori.

    Il rettore iniziò con parole di rammarico. Il giovane convocato per un colloquio era ancora all’oscuro dell’ordine di leva obbligatoria.

    Caro nostro discepolo, noi tutti siamo dispiaciuti di doverti informare che la tua vocazione e la tua volontà devono superare un ostacolo enorme. Non ci facciamo illusioni e sappiamo, per esperienza, che sono ben pochi coloro che, dovendo vivere nel mondo laico, riescono a tornare volentieri alla missione religiosa. Di conseguenza, noi speriamo e c’illudiamo che tu non voglia dimenticare le promesse fatte a te stesso e a noi e che, dopo la prova, vorrai tornare ai tuoi studi.

    Giuseppe non riuscì a indovinare la causa che originò le parole del Rettore. Gli sembrò l’occasione giusta per confessare, finalmente, tutto il suo pensiero e, senza sottintesi, dichiarare che non se la sentiva più di pronunciare i voti.

    Quest’ammissione gli costò emotivamente molto. Si era abituato a essere considerato un prete e non era ancora riuscito a immaginare come avrebbe organizzato la sua vita fuori dal Seminario. Colse l’occasione di trovarsi davanti a tutti i suoi superiori, che non si sarebbe ripresentata tanto presto.

    Vorrei dire una cosa, lo interruppe.

    Parla, ti ascoltiamo caro giovane.

    Ecco, signor Rettore io desidero fare una dichiarane al professore e, prima di tutto al signor maestro che è sempre stato tanto buono con me. Ho intenzione d’informare tutti voi che non voglio più diventare sacerdote.

    Si era aspettato uno scoppio d’indignazione. I preti che erano riuniti per quell’occasione, dolorosa per loro, per quanto fossero meravigliati e indignati da quella dichiarazione, finalmente sincera, che smentiva tutto ciò che fino a quel giorno avevano creduto, si erano guardati in viso, in silenzio. Non ci fu nessun motivo per indignarsi contro una persona che non sarebbe mai diventata una di loro, per volontà della legge e per scelta. Non sarebbero state efficaci le minacce e le preghiere giacché il governo aveva bisogno di nuovi soldati e non convenne inquietarsi. Se Giuseppe manifestò il desiderio di andarsene subito senza sapere dove e come, figuriamoci dopo aver saputo che sarebbe diventato un soldato.

    Il rettore gli rispose con nobile disinteresse.

    Le tue parole ci provocano un grande dispiacere perché c’eravamo abituati a considerarti uno dei nostri e ora ci informi che diventare sacerdote non è più nel progetto della tua vita. Noi non facciamo pressione per cambiare la tua volontà. Inaspettatamente è giunto un segno divino. Su questo documento c’è scritto un ordine che esaudisce tutti i tuoi desideri, nel momento in cui dichiari di volerci lasciare.

    Di che cosa si tratta?

    Ti chiamano sotto le armi. Giuseppe arrossì di gioia. Aveva invidiato i soldati molte volte. Desiderava una vita libera e abbandonare il tricorno dei preti per portare la spada. Aveva creduto, fino a quel momento, che quel sogno sarebbe stato irrealizzabile.

    Sarò soldato. Aveva esclamato felice. Grazie della buona notizia, signor Rettore.

    I preti, da quel momento, cambiarono il modo di comportarsi nei suoi confronti. Smisero le parole buone e le gentilezze per Giuseppe che aveva deluso le loro speranze.

    A questo punto, il maestro che gli era veramente affezionato aggiunse, E’meglio per te diventare un bravo soldato, piuttosto che un cattivo prete.

    Il Rettore dichiarò al giovane.

    Puoi uscire dal Seminario quando vuoi, sei libero.

    Devo presentarmi a Marengo fra sei giorni. Desidero rimanere qui ancora qualche giorno.

    Ebbe l’occasione di costatare che i compagni e i superiori iniziarono a trattarlo sgarbatamente, se non con villania.

    Si fece acquistare abiti da borghese e, dopo tre giorni, se ne ritornò a Marengo.

    Nel borgo in cui era nato trovò soltanto lontani parenti. Andò a salutarli e raccontò le vicissitudini che lo avevano obbligato a lasciare il Seminario. Gli restavano ancora pochi giorni di libertà. Dalla tirannia del collegio stava per andare sotto la disciplina della caserma e non poteva ancora immaginare quale delle due fosse la peggiore.

    Intanto da militare sarebbe stato libero di compiere molte azioni che da prete avrebbe dovuto nascondere, come parlare liberamente, bere all’osteria, fumare e guardare le ragazze.

    Aveva quasi vent’anni ed era un bel giovane, alto, robusto e sapeva dialogare con tutti. Attirava su di sé molta simpatia. Sentiva con urgenza l’esigenza dell’amore e si era proposto di trovarsi un’amante.

    Sperò che l’abito del soldato gli nascondesse presto la goffaggine del seminarista.

    Poco distante da Marengo vi era un Borgo, chiamato Spinetta, di cui la famiglia Mayno era originaria e possedeva proprietà terriere non distanti dal castello.

    Nel giorno precedente l’entrata in caserma, il giovane fece una breve passeggiata nella simpatica località, in compagnia di un gruppo d’altri coscritti. Desiderarono fare merenda e tornare dopo, a piedi di sera, cantando canzoni popolari e suonando la chitarra.

    Andò a visitare i conoscenti che abitavano in quel paese e, nel pomeriggio, andò a fare una sosta all’osteria, in compagnia degli amici.

    Una bellissima ragazza gli aprì la porta, quando bussò a una casa di conoscenti.

    Salve Cristina! Ci siamo conosciuti quando eravamo bambini. Vi ricordate come giocavamo bene insieme?.

    Cristina Ferraris aveva accennato sì con la testa. Aveva sorriso e lo aveva invitato a entrare. Era già quasi donna e gli era apparsa bella e fresca come un fiore di rosa.

    Sono anni che non ci vediamo. Lo aveva salutato sorridendo.

    I miei genitori mi hanno mandato in Seminario per completare la mia istruzione.

    Non siete diventato prete?

    No, non ho potuto, anche se lo avessi voluto. Mi dovrò presentare domani in caserma a Tortona.

    I due giovani discorsero del più e del meno. Ricordarono alcuni episodi della loro infanzia e ne sorrisero.

    Saltavamo la fune insieme, abbiamo inciampato.

    Siamo ruzzolati in terra. Le aveva ricordato Giuseppe.

    Cristina osservò e ammirò le sue maniere gentili. Si sedettero sul divano.

    Caro Giuseppe, come siete delicato e gradevole. Purtroppo quasi tutti i giovani della vostra età sono popolani, analfabeti e rozzi mentre voi, senza esagerare, discorrete con intelligenza e istruzione.

    Cristina si accorse che il giovane le stava facendo la corte con modi squisitamente eleganti e ne fu contenta .

    Giuseppe fu lieto di costatare che la ragazza gradì le sue cortesie e provò una grande gioia. Sperò che Cristina contraccambiasse i suoi sentimenti, si stava innamorando. Poche volte riuscì a distogliere gli occhi dal bel viso della giovane. Ne osservò lo sguardo languido. Pensò.

    Giuro che sarà mia. Voglio ritornare in questa casa vestito da soldato. Avrò così più coraggio e parole più disinvolte. Le voglio imparare dai miei compagni di caserma. Poi, vorrò parlare da solo con lei, per chiederle di contraccambiare il mio amore.

    Le ore volarono e Mayno si trattenne a Spinetta fino a tardi. I coscritti stavano per ripartire per Marengo.

    Cristina, insieme alle altre donne, accompagnò i giovani per un discreto tratto di strada. Giuseppe fece in modo di trovarsi accanto a lei.

    Io vado soldato, Cristina, ma presto ci rivedremo. Mi sono innamorato di voi. Desidero sposarvi, volete essere mia moglie?

    Cristina fu sorpresa e commossa.

    Ci conosciamo appena, mi piacerebbe sapere se le vostre intenzioni sono davvero serie.

    Molto serie Cristina, vedrete. Ora torniamo indietro, andiamo a casa. Parlerò a vostro padre e vostra madre e, prima della mia partenza, saremo fidanzati.

    No, Mayno sarebbe inutile. Mio padre non acconsentirebbe mai.

    Perché? Sono un uomo onesto. Ho qualche proprietà e la carriera militare non costituisce un ostacolo. Per quale motivo vuoi rimandare?

    Il mio babbo vuole che sposi uno del paese.

    Non sono forestiero, abito a Marengo che è poco distante. Sono disposto a vendere tutto e a tornare ad abitare a Spinetta. Volete promettermi che sarete solo mia?

    Ci siamo conosciuti oggi, come faccio a formulare una promessa così vincolante? Poi andate sotto le armi. Chissà quando tornerete.

    Vi giuro che verrò da voi almeno una volta il mese, a trovarvi e a vedervi. Potrò stare troppo tempo lontano da voi? Non lo so, ma io vi prometto di non dimenticarvi mai. Datemi almeno una speranza.

    Ebbene, vi prometto che anch’io vi penserò.

    Ed io tornerò e ci sposeremo. Ho giurato a me stesso che sarete mia appena vi ho visto.

    Nell’oscurità i due giovani si strinsero la mano. Poi le due comitive, dopo i saluti, si divisero. I coscritti andarono verso Marengo, gli spinettesi tornarono indietro.

    Cristina tornò a casa sospirando. Il giovane futuro soldato aveva conquistato il suo amore. La giovane, nei giorni che seguirono, contò le ore, i giorni, le settimane. Sperò di rivedere Giuseppe e di ricevere una sua visita.

    Neppure lui dimenticò Cristina.

    Mayno si presentò in caserma il giorno seguente la passeggiata a Spinetta. Pochi giorni dopo vestì la divisa militare.

    La nuova vita non fu al massimo delle sue attese. La disciplina fu dura. Nel Seminario si trovava ben diversamente che in caserma. Non ebbe nostalgia degli ozi dei preti, dei buoni pasti del refettorio, degli studi impegnativi, ma rimpianse i sei o sette giorni di libertà completa che volarono via troppo in fretta.

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