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Stragi del Risorgimento
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Stragi del Risorgimento
E-book97 pagine1 ora

Stragi del Risorgimento

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Pontelandolfo, Casalduni, il Sannio, Campobasso ma anche Torino: innumerevoli le stragi ai danni delle popolazioni inermi per mano dell'esercito sabaudo e garibaldino durante il Risorgimento. In questo volume essenziale, Antonio Ciano accompagna il lettore in un viaggio della memoria che, sfidando la storiografia ufficiale di regime, ripercorre le principali stragi del Risorgimento.
LinguaItaliano
Data di uscita5 mar 2018
ISBN9788833460710
Stragi del Risorgimento

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    Anteprima del libro

    Stragi del Risorgimento - Antonio Ciano

    liberata

    MERIDIONALISMO E CRISTIANESIMO

    Resta invece quella leggenda che sarebbe la storia ufficiale come l’han costruita per conto proprio o per conto altrui: col rosso, con l’azzurro Savoia, col nero, in un’ibrida mescolanza di martelli, squadre e compassi massonici, piumetti di bersaglieri, berretti frigi, fiaccole. E chi l’ha costruita sono stati i politicanti e studiosi del Nord e del Sud, in nome dell’unità, del progresso, della rivoluzione, del Re, del Duce. Non tutti insieme, si capisce, né tutti con la medesima voce, ma un po’ per volta, in armonica disarmonia.

    Carlo Alianello

    PONTELANDOLFO E CASALDUNI

    Pontelandolfo e Casalduni sono due paesi del Matese e distano quasi cinque chilometri l’uno dall’altro. Nel 1861 il primo aveva cinquemila abitanti e il secondo tremila; furono accomunati da un atroce destino.

    Nell’agosto di quell’anno infausto per il Sud, furono messi a ferro e fuoco dalle truppe piemontesi del generale Cialdini, e centinaia di cittadini furono trucidati nel sonno da due compagnie di bersaglieri che non combattevano contro soldati ma contro donne, bambini, vecchi e infermi. Erano insomma dei criminali di guerra.

    In tutta la storiografia del movimento postunitario vi sono lacune e vuoti spaventosi. Nell’archivio storico del comune di Gaeta mancano le pagine relative ai giorni dell’assedio, così come nelle varie documentazioni dei processi relativi a fatti che sconvolsero il Mezzogiorno nell’estate del 1861, troviamo solo episodi inerenti alle scorribande dei partigiani o azioni della truppa piemontese contro i briganti. Documentazione sul numero dei morti civili non ne abbiamo mai trovata.

    Gli ufficiali piemontesi che parteciparono alla repressione del brigantaggio erano tutti, loro malgrado, criminali di guerra e, grazie alla loro megalomania, abbiamo appreso cose orrende. Eccidi raccontati come se si fosse trattato di azioni di guerra o di battaglie vinte contro un esercito ben armato. L’armata piemontese, e lo hanno dimostrato i fatti, era forte solo contro popolazioni inermi. Possiamo dire con forza che era un esercito di ladroni e di assassini avendo invaso un Regno senza dichiarazione di guerra, contro ogni norma del diritto internazionale allora vigente. Il Sud reagì dignitosamente alla invasione militare piemontese: la borghesia meridionale, assieme ai vertici militari e ai funzionari ministeriali più influenti fu comprata dalla massoneria, chi non tradì la patria e la religione furono i contadini che, male armati, male equipaggiati, tennero testa all’esercito piemontese per dieci anni. L’esercito sardo era armato da Londra e protetto dalla Francia. La casta militare piemontese reagì con ferocia inaudita al fatto che dei zappaterra potessero batterli e infliggere loro perdite umane ingentissime con azioni di guerriglia ben studiate a tavolino e congegnate egregiamente dal punto di vista militare.

    La reazione piemontese fu barbara. Il Sud doveva sottomettersi ai voleri massonici. Una lotta senza quartiere devastò le province meridionali, i morti furono centinaia di migliaia. Il generale Cialdini si comportò come una bestia feroce, famelica e assetata di sangue, un vero vampiro, un tale criminale di guerra che Kappler e Reder, al confronto possono essere considerati dei dilettanti.

    Cavour che aveva, a suo tempo, ordinato a Cialdini la distruzione di Gaeta, aveva chiesto all’ammiraglio Persano di passare per le armi tutti i marinai napoletani che si rifiutavano di servire sotto la bandiera sabauda, e, siccome risultano essere migliaia quelli che non vollero tradire il loro giuramento di fedeltà, dobbiamo pensare che le fucilazioni ordinate dal servo massone di Lord Palmerston, nonché primo ministro di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, Camillo Cavour, furono migliaia: Le temps des grandes mesures est arrivé (il tempo delle grandi misure è arrivato). Persano e Cialdini erano avvisati.

    Il Sud era in fibrillazione sin dall’11 maggio del 1860, quando Garibaldi sbarcò a Marsala. Tumulti si susseguirono in tutti i paesi dove la fame e le ingiustizie dei governi prodittatoriali cominciavano a farsi sentire.

    Nel dicembre del 1860 il Giornale di Gaeta, che riportava i proclami insurrezionali di Francesco II, stampato in migliaia di copie, veniva diffuso in tutto il Meridione. Già intorno al 20 settembre del 1860 vi fu una feroce ribellione contro governi pro-dittatoriali instaurati dalla feccia liberale: insorsero i contadini di Cantalupo, Macchiagodena, S. Pietro Avellana, Forlì del Sannio e Rionero del Sannio, Roccasicura, Cittanova e Castel di Sangro; i morti furono all’incirca millecinquecento. Tra il 19 e il 21 settembre i contadini assieme ai reparti borbonici sconfissero a Roccaromana e Caiazzo le truppe di Csudafy e Cattabeni e le rigettarono oltre il Volturno.

    I garibaldini, abituati a vincere senza combattere in quanto sempre a contatto di reparti borbonici comandati da ufficiali venduti e comprati, appena provarono a battersi contro il popolo del Sud, ossia contro i contadini, ebbero bastonate inimmaginabili e sarebbero stati sconfitti del tutto se il Piemonte, la Francia e l’Inghilterra non fossero intervenute in aiuto dell’avventuriero nizzardo, condannato nel 1836 per alto tradimento da un tribunale genovese.

    Si formarono presto compagnie sotto la direzione del ministro della polizia borbonica Ulloa, che aveva il compito di ripristinare ovunque il governo legittimista. Furono riconquistati verso la fine dell’ottobre del 1860 Pontecorvo, Sora, Teano, Venafro, Isernia e Piedimonte d’Alife. I borbonici batterono i cacciatori del Vesuvio, annientandoli a Civitella Roveto e raggiungendo Avezzano. Cialdini non perse tempo. Appena giunto a Isernia mandò un telegramma al governatore del Molise in cui diceva: Faccia pubblicare che fucilo tutti i paesani armati che piglio e do quartiere solo alla truppa. Oggi ho già cominciato.

    Il 12 ottobre del 1860 le truppe piemontesi varcarono il Tronto con intenzioni certamente non pacifiche. Quel giorno iniziò la conquista del Sud da parte dei piemontesi, che trovarono una marea di partigiani negli Abruzzi, nel Molise e in Ciociaria.

    I Borbone avevano un solo torto, quello di essere cattolici e rispettare, da soldati, i militari e i garibaldini fatti prigionieri. I piemontesi non avevano pietà, fucilavano tutti in quanto, da morti di fame qual erano, non potevano permettersi il lusso di sostentarli.

    Il plebiscito fu una formula escogitata da Cavour per giustificare al mondo l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte e la conseguente invasione del suo esercito, ma il 21 ottobre si votò solo in qualche comune con le urne circondate da garibaldini e piemontesi. Insomma una vera barzelletta.

    In quel giorno i partigiani regi, sotto l’egida del Comitato Centrale Borbonico, assaltarono i seggi e issarono la bandiera gigliata su quasi tutti i paesi del Sud: dagli Abruzzi alle Puglie, dalla Ciociaria alle Calabrie. Le popolazioni si erano rivoltate contro la barbarie piemontese portatrice solo di morte e di fame.

    ***

    I contadini del Sannio e del Molise, ricordandosi di appartenere alla stirpe degli antichi guerrieri che avevano sconfitto i Romani facendoli passare sotto le forche Caudine, scatenarono la loro rabbia repressa contro i liberali, rappresentanti illegali e servi dei piemontesi.

    Il Molise e l’Abruzzo ai primi di ottobre erano stati liberati; la bandiera borbonica sventolava su tutti i paesi ma il Piemonte mandò la sua armata agli ordini di Cialdini,

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