Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Io ci provo
Io ci provo
Io ci provo
E-book272 pagine4 ore

Io ci provo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Era maggio del 2007 quando mi sono reso conto che il mio matrimonio, dopo 18 anni, era qualcosa che non esisteva più. Era morto e non c'era più niente da fare, se non pensare al bene di mio figlio, allora tredicenne. Maggio 2011. A quattro anni di distanza ho cambiato casa quattro volte, e mi sto apprestando a farlo di nuovo. Una soluzione definitiva, con una nuova compagna, un altro figlio e una montagna di pannolini a presso. A un certo punto della vita di ognuno di noi bisogna fermarsi un attimo. Ci sono momenti della vita molto particolari in cui cambia tutto e tu hai proprio bisogno di fermarti a riflettere. Su quello che sei, su come ti è cambiata la vita, sugli errori che hai commesso e, sulle persone improponibili alle quali ti sei avvicinato fino a che la fortuna ha deciso che potevi avere una seconda opportunità. Perso e ritrovato provi a riflettere su quello che provi per le persone nuove che sono entrate di prepotenza nella tua esistenza e per quelle che ci sono da sempre.
Storie e racconti di una vita vissuta senza pregiudizi. Un viaggio nel tempo e nei ricordi, da figlio di emigranti siciliani negli anni Settanta, alle scuole milanesi negli anni di piombo fino al disimpegno e la Milano da bere degli anni Ottanta. Le prime esperienze lavorative in una società che non c'è più. Le cose non stanno mai ferme. Ci si innamora e ci si sposa. E poi si cambia. Solo i figli restano. Gli amori e le passioni di un uomo comune, uno come tanti che prova a raccontarsi nella convinzione che, dalle esperienze di vita di ognuno di noi, ci sia sempre da imparare e riflettere.
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2013
ISBN9788867556946
Io ci provo

Correlato a Io ci provo

Ebook correlati

Memorie personali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Io ci provo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Io ci provo - Tanio Rinciari

    NOTTE.

    PROLOGO

    Era il mese di maggio del 2007 quando mi sono reso conto che il mio matrimonio, dopo 18 anni, era qualcosa che non esisteva più. Era morto e non c’era più niente da fare, se non pensare al bene di mio figlio, allora tredicenne. Maggio 2011. A quattro anni di distanza ho cambiato casa quattro volte e mi sto apprestando a farlo di nuovo. Una soluzione definitiva, con una nuova compagna, un altro figlio e una montagna di pannolini a presso. A un certo punto della vita di ognuno di noi bisogna fermarsi un attimo. Non si può continuare a correre, fare e disfare. Non si può sempre andare avanti a testa bassa come un mulo senza alzare gli occhi e guardarsi intorno. Ci sono momenti della vita molto particolari, in cui cambia tutto e tu hai proprio bisogno di fermarti a riflettere. Su quello che sei, su come ti è cambiata la vita, su quello che provi per le persone nuove che sono entrate di prepotenza nella tua esistenza e per quelle che ci sono da sempre.

    Io ho 46 anni compiuti da poco, e da qualche anno la mia vita è cambiata radicalmente. E continua a cambiare. Non si ferma più, e quindi ho bisogno, in qualche modo, di tirare il freno a mano e fermarmi a riflettere su quello che sono e che sono diventato. A 40 anni mi sono ritrovato dentro un’esistenza che non sentivo più mia, tre anni dopo mi sono separato da mia moglie e, inevitabilmente, anche dalla quotidianità con mio figlio, che ha continuato a vivere con lei. La separazione è un passaggio dolorosissimo, per te e per le persone che ti sono vicine, mio figlio e la mia ex moglie che conoscevo da quando eravamo ragazzini; ma è stato un passaggio inevitabile. Da allora tutto è cambiato e continua a farlo. È cominciata una giostra continua, di sentimenti ed emozioni forti. È come se fosse ricominciata un’altra vita, e in un’altra vita capita pure che ti innamori di nuovo e costruisci un’altra famiglia. A circa tre anni di distanza dalla mia separazione ho avuto una nuova compagna e un altro figlio. Una nuova famiglia.

    Ogni tanto mi gira la testa, tutto è accaduto così in fretta che ho il bisogno di ritrovarmi con me stesso a raccontarmi chi sono.

    È così che ho iniziato a scrivere di me. E mi sto divertendo. Un po’ perché di cose curiose me ne sono capitate, un po’ perché mi serve a riordinare le idee. Per lo meno ci provo. Il risultato non è garantito, anzi.

    Non sono neanche un granché a scrivere, faccio frasi confuse, contorte, a volte io stesso faccio fatica a capirmi. Anche quando parlo e cerco di esprimere un concetto è così. Non so se è il cervello che va più veloce della parola o, più verosimilmente, è la parola che va più veloce del cervello. Quando non è la lingua che si accartoccia. Allora è un tripudio di confusione e di anarchia che comunque mi mette di buon umore. Chiara, la mia attuale compagna, spesso e volentieri dice che non mi capisce quando parlo. Dice che farfuglio e mi mangio le parole. Può darsi, è l’unico modo di stare con la parola dietro al vorticare dei miei pensieri. Allora, quando lei mi dice così, inizio a scandire le parole e parlo lentamente sillabando ogni parola al punto che sembro un deficiente. E iniziamo a ridere insieme come due deficienti. Forse un po’ lo siamo ed è per questo che ci siamo trovati, ma penso sia importante ridere di se stessi.

    D’altronde, già da queste prime righe vi sarete resi conto che non è facile seguirmi nei ragionamenti. E se avete dei dubbi aspettate di leggere il resto. Ragionare in maniera contorta è un’arte. Io ho imparato dopo anni di pratica. In questo modo si maschera la scarsità di contenuti. E questo è un bene perché non è bello far sapere proprio a tutti che hai poco costrutto. Si possono fare decine di esempi di gente che, in quanto famosa, sta in televisione e parla in maniera forbita ma contorta. Si parla addosso perché quello che dice suona bene anche se è contorto. I discorsi sono spesso avviluppati su se stessi; s`e li smonti, non ti ritrovi in mano niente.

    Io spero che non sia così per chi leggerà il mio libro, o per lo meno questo non è il mio intento. Qualcosa a chi legge vorrei lasciarlo. Un punto di vista, un’esperienza vissuta. Anche qualche sorriso.

    Quello che non vorrei è scrivere una cosa di una noia mortale. Non sarà la versione letteraria di una qualsiasi canzone di Marco Masini. No, non vorrei occuparmi della regolarità del vostro intestino, così come nemmeno vorrei che vi armiate di clava e imitiate Tafazzi piuttosto che continuare a leggerlo (Tafazzi è un personaggio comico impersonato da Giovanni del trio Aldo Giovani e Giacomo che, armato di clava, se la dava allegramente sugli zebedei).

    Mi piacerebbe che fosse si divertente, ma anche in qualche modo utile a chi lo legge.

    Io sono solo un uomo. Che ha gioito e goduto ma che ha sbagliato molto e anche sofferto e pagato per i propri errori.

    Tutto sommato 46 anni li ho pure vissuti, di cose me ne sono accadute tante, in anni diversi e in diverse situazioni. Sto ancora qui, dunque in qualche modo me la sono sempre cavata e questo dovrebbe tranquillizzare il lettore ansioso che, come me, non regge la suspense.

    E la mente corre lontano. Nei ricordi di una vita. Ripensare a 30 anni fa, a come si viveva e si giocava è un esercizio di memoria notevole. Un viaggio nel tempo e nei ricordi: alcuni nebulosi e confusi, altri nitidi e vivi, come se fosse ieri. Prima bambino e poi ragazzo, in bilico tra due culture: il Sud, con i suoi riti e le sue tradizioni, e il Nord, con la sua frenesia, il suo bisogno di concretezza. In bilico tra due culture, anche culinarie, che ci sarà per cena?

    Sempre indeciso, a metà strada tra ossobuco e pisci-spada.

    Definizione Wikipedia di ossobuco alla milanese:

    L’Ossobuco (dialetto lombardo occidentale: oss bus in grafia classica, òs büüs in altra grafia) è un tipico piatto della cucina milanese.

    Vi sono vari modi di prepararlo. Può essere servito come seconda portata, ma può anche accompagnare il risotto allo zafferano. La parte da cucinare proviene dalla spalla della vitella da latte, da cui si ricavano fette di circa 3-4 cm di altezza, contenenti l’osso che, nel piatto mostra, appunto, il buco contenente il midollo.

    Definizione Wikipedia di Pisci-spada:

    u piscispata a gghiotta (il pesce spada alla ghiotta), è un piatto tipico della cucina calabrese e di quella siciliana rispettivamente delle province di Reggio Calabria e Messina. Uno degli spettacoli più attraenti consiste infatti nell’assistere alle battute di pesca delle passarelle o spatare, le caratteristiche e rapide imbarcazioni specializzate nella caccia al pesce spada nelle acque azzurre della Costa Viola. Le spatare sono guidate dal timoniere e avvistatore che si pone in equilibrio su di un alto pennone dove vi è anche il cassero, il traliccio metallico del pennone alto dai 15 ai 25 m. Dalla prua della barca fuoriesce poi un altro ponte metallico, la passerella appunto, da dove il fiocinatore, avvertito dall’avvistatore, con il suo arpione vibra il colpo mortale alla preda. Questo metodo di pesca al Pesce Spada è anche magicamente narrato da una canzone di Domenico Modugno, U pisci spada .

    Io mi ricordo di queste spatare che fanno su e giù, nel mare davanti a casa dei nonni in Sicilia. In quel tratto di mare meraviglioso, con la costa calabra di fronte che sembra possibile raggiungere con una bella nuotata, queste imbarcazioni con i loro pennoni e le loro passarelle ora non ci sono più.

    Questa come tante altre cose che ognuno di noi si porta dentro, ora non ci sono più. Scrivere di tutto ciò mi aiuta a ricordarle, scalda il cuore e mi strappa un sorriso.

    Io, un po’ da coglione, sto facendo un libro che parla di un perfetto sconosciuto quale sono. Ovviamente non sarà un libro di successo. Non sono uno famoso e un libro che parla di me e di quello che è stata la mia vita è un po’ come pensare di vendere il ghiaccio agli eschimesi.

    Non sono e non sarò mai né uno scrittore di successo, né uno di quelli famosi che a un certo punto decidono di scrivere un libro sulla loro vita.

    Ma mi piace scrivere e cullarmi nei miei ricordi mentre scrivo. Così ho deciso.

    Io ci provo, proprio qui, a metà strada tra ossobuco e pisci spada, e vorrei raccontarvi com’è.

    MAMMA, PAPA’ E I RICORDI DI BAMBINO

    Come inizio non c’è male: parliamo di mamma e papà, affrontiamo questo discorso inevitabile e facciamola finita. Via il dente, via il dolore. Io non me ne intendo ma credo che gran parte delle pippe mentali che si fanno gli psicologi, siano da ricondurre al rapporto genitori - figli. Dimmi cosa pensi dei tuoi genitori, parlami del tuo rapporto con loro e ti dirò chi sei.

    Che mi pare una cazzata.

    Mica tutti i figli sono uguali. Ognuno di noi ci metterà del suo, no?

    Mi rifiuto di pensare che io sono quello che sono solo e soltanto per come i miei genitori mi hanno educato. È spersonalizzante e mi ferisce nell’orgoglio. Tra me e mia sorella, nonostante abbiamo avuto gli stessi genitori, ci sono differenze abissali; e per fortuna (non si sa di chi). Mamma e papà sono stati importanti, lo sono tuttora, ma io sono diventato quello che sono, nel bene o nel male, soprattutto per merito mio. O per colpa esclusivamente mia a seconda dei punti di vista.

    Per chi si interessa di astrologia, mio padre è Capricorno e mia madre Ariete. Sono due persone caparbie, cocciute e dal carattere di ferro. Sono entrambi siciliani, nati a Messina esattamente come me. Ci siamo trasferiti a Milano definitivamente quando io avevo cinque anni, ma non per esigenze di lavoro. Non siamo stati emigranti per necessità ma per scelta. Mio padre era ferroviere e poteva tranquillamente continuare a lavorare a Messina. Pensavano che a Milano ci sarebbero state più possibilità di studio e di lavoro per i loro figli (io e mia sorella Tiziana), almeno questo è quello che mi hanno sempre raccontato. Secondo me, invece, volevano allontanarsi dai loro genitori, (i miei nonni) che, come capita qualche volta in alcune famiglie del Sud, erano un po’ troppo pressanti e asfissianti. In realtà siamo emigrati ben due volte. Una prima volta siamo venuti a Milano che io avevo pochissimi mesi, poi siamo tornati a Messina che avevo quattro anni, per ritornare definitivamente a Milano l’anno dopo. Evidentemente piaceva loro cambiare casa e vivere perennemente con gli scatoloni in giro (non è vero, ovviamente, e so che mia madre tenterà di darmi uno sberlone per questa mia affermazione).

    In pratica, mia madre mi ha tirato su da sola qui al Nord, senza l’aiuto di sua madre o di altri parenti. E quando si fa da soli, se ti capita di sbagliare non hai nessuno vicino che te lo può far notare. È successo infatti che il pediatra mi diede da prendere delle vitamine o dei ricostituenti a base di calcio, mi pare si chiamasse Calcibronat. Le indicazioni erano di prendere queste gocce per qualche settimana. Non per sempre. Ma una mamma ansiosa, siciliana in questo mondo di polentoni freddi e distanti, non capì bene le istruzioni. E così mi sorbii questi ricostituenti per mesi e mesi. Alla fine ero diventato un ciccione obeso e, cosa ancora più grave agli occhi di mia mamma, ero inappetente e non mangiavo. Certo, ero pieno satollo di vitamine e ricostituenti che, negli anni Sessanta, non oso immaginare che tipo di composti chimici e poco naturali fossero.

    A 11 mesi pesavo 16 chili e non mangiavo, ero inappetente. E mia madre si disperava, ogni settimana chiamava il pediatra a casa per riversargli addosso tutte le sue preoccupazioni di mamma apprensiva. Questo idiota di pediatra, invece di farsi qualche domanda in più e mettere almeno in dubbio quello che questa povera donna con il suo accento del Sud andava dicendo, invidioso del mio aspetto corpulento, diceva a mia madre che io stavo un fiore di figlio mentre sua figlia pesava la metà di me e le dava appuntamento per la settimana successiva; si intascava cinque mila lire di visita privata settimanale, che erano una enormità di soldi negli anni Sessanta, visto che lo stipendio di macchinista di mio padre era di circa settanta mila lire e se ne andava bello contento e con le tasche ripiene. Per fortuna questa catena negativa a un certo punto si spezzò. Qualcuno si convinse che non era tanto normale il fatto che io sembrassi un maialino ripieno senza mangiare nulla. Mia nonna un giorno disse che ero svenuto durante una poppata di latte artificiale. Almeno da svenuto la finivano di riempirmi come un cappone di natale! Fu l’ultima goccia. Allora mia mamma prese un treno (tanto per cambiare) e si precipitò a Messina da suo cugino, un illustre medico chirurgo al Policlinico di Messina. Il quale, per mia fortuna, concesse il beneficio del dubbio a mia madre quando diceva che non mangiavo e finalmente le fece la domanda che quel pirla di pediatra milanese si era guardato bene dal fare per mesi e mesi: Ma a parte il cibo, questo bambino prende qualcos’altro? Che so… qualche medicina? (ohhhh, ci voleva tanto!!!)

    Ma si prende queste gocce… da qualche mese... disse distrattamente mia mamma, rispondendo senza attenzione. Dicono che suo cugino si mise a strillare come un ossesso con mia madre, che la rimbecillì a sufficienza dandole della pazza:

    Ma lo avete intossicato ’sto povero bambino… ma siete pazzi?! ci credo che non mangia nulla. Così lo fate ammalare voi!!

    E ancora:

    Guai a te se continui a dargli queste schifezze... Butta via tutto o ti porto via il bambino!!

    Era proprio incazzato e a quanto pare a giusta ragione. Neanche a dirlo appena ho smesso di prendere ’ste gocce a poco a poco ho iniziato a mangiare di gusto. E non mi sono ancora fermato, porcaccia miseria!! Questo cugino di mia madre è scomparso a soli 40 anni, stroncato da un infarto durante una conferenza medica. Io sono diventato molto amico di sua figlia Antonella, che sarebbe mia cugina di secondo o terzo grado (non ci ho mai capito molto in queste cose). A mia madre si illuminano gli occhi ogni volta che parla di lui, nel mio piccolo sento anch’io di dovergli qualcosa.

    E così io e miei genitori tornammo a Milano e alla vita da emigranti della fine degli anni Sessanta. Mio padre lavorava e molto e mia madre cresceva me e mia sorella.

    Detto questo non è che ho molte cose interessanti da raccontare su di loro. Mi spiace per tutti gli appassionati di psicodrammi ma mio padre non beveva e non ci picchiava. Non si fotteva lo stipendio in donne e carte da gioco. Non è un uomo loquace, che monopolizza la discussione e la tiene su, viva e interessante. Forse perché, se è presente, mia madre parla sempre lei. Non è stato mai particolarmente brillante e spiritoso anche se, ai miei occhi di bambino, lo vedevo spesso così. Forse invecchiando è diventato più taciturno. Ora che è anziano lo vedo accendersi in volto quando ha a che fare con i miei figli e mio nipote, il figlio di mia sorella.

    È un nonno adorabile che trascorre tutto il tempo che può con i suoi nipoti, ci gioca e mi sembra uno di loro. Ha praticamente cresciuto mio figlio Andrea quando era ancora giovane e forte. Se lo caricava in bicicletta e lo portava a vedere i treni, che fino a un paio d’anni prima di andare in pensione guidava lui stesso.

    Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, Andrea ora ha 17 anni, ma lui sta facendo la stessa cosa con Alessandro, il figlio di mia sorella, che ha 4 anni. Ma è diverso. Non solo perché il fisico non è più lo stesso, ma mi sembra quasi che invecchiando d’età stia tornando bambino di spirito. Quando mia sorella lo sgrida perché a suo giudizio lo vizia, lui si scusa con quella piccola peste di mio nipote dicendogli:

    No Alessandro, non devi fare questa cosa, la mamma non vuole!! Che sarebbe come dire che non può farla non perché non è giusto, ma perché la mamma non vuole. È come se gli dicesse: Non è responsabilità mia, è quell’arpia di tua madre che è anche mia figlia che non ti vuol far fare i capricci, io te li farei fare al volo...

    Grande papà, sei un nonno meraviglioso. Con mio figlio Lorenzo, poi, per ora ha il terrore di romperlo. Lorenzo ha sei mesi e l’unica arma che ha è quella del pianto quando qualcosa non gli va per il verso giusto. Allora lui lascia fare agli altri. Mia madre o Chiara.

    Lui se lo scarrozza con il passeggino, avanti e indietro instancabilmente pur di non sentirlo piangere. Ci soffre fisicamente quando Lorenzo piange, lo so. Lo capisco perché anche io sono così.

    In ferrovia papà faceva il macchinista, guidava i treni. È in pensione da quando era diventato il baby sitter di Andrea, beato lui. Quello del macchinista era un lavoro interessante per l’immaginazione di un bambino. È più facile capire che tuo papà guida i treni piuttosto che lavorare dietro una pallosissima scrivania o fare l’agente di borsa. Per lo meno era così per un bambino della fine degli anni Sessanta come sono stato io. Magari oggi i bambini di 8 anni subiscono il fascino del trading on line.

    Per noi ragazzini dello scorso millennio non era così. I lavori dei papà più ambiti erano quelli avventurosi. Pilota di aerei era il massimo. Anche lanciatore di coltelli o domatore di leoni al circo.

    Ma né io né i miei amici conoscevamo nessuno che avesse questa fortuna. Così io ero messo abbastanza bene con il papà macchinista. Meglio ancora se fosse stato un pompiere, ma non mi lamentavo. Altri bambini avevano il padre in ferrovia ma erano proprio sfigati. Infatti il loro padre lavorava in ufficio, nella logistica mi dicevano, ma io non avevo assolutamente idea che lavoro fosse. E neanche loro. Agli occhi di noi bambini era sicuramente palloso e poco emozionante stare tutto il giorno in ufficio.

    Io invece ero veramente contento che guidasse i treni. Era emozionante immaginarselo lì davanti, sul locomotore che sfrecciava fischiando quando attraversava i passaggi a livello. E poi, verso i dodici anni, l’immaginazione ha lasciato il posto all’esperienza vera. Mi ricordo che qualche volta mi portò sul locomotore con lui, durante il suo servizio di guida di un treno vero!

    Con l’andar del tempo, però, cominciai a cogliere alcuni aspetti negativi del suo lavoro. Sembrava che non venisse pagato molto.

    Ogni volta che chiedevo un gioco nuovo, che altri figli di padri dal lavoro palloso già avevano, mi sentivo rispondere picche. Non ci sono soldi per comperarlo.

    Era lo scotto da pagare per avere un papà macchinista. Gli altri bambini giocavano con il Big Jim, io avevo l’amico Jackson, la versione sfigata del ben più famoso (e costoso) giocattolo.

    Ricordo poi come ci sono rimasto male quando mio padre mi comperò il mio primo stereo compatto. Se chiudo gli occhi lo vedo ancora, aveva tutto: il piatto per i dischi in vinile, la radio e il riproduttore di musicassette. Le due casse acustiche (mono altoparlante) in legno e plasticaccia erano in linea con la mediocrità di tutto il resto. Non riesco a ricordare la marca, tanto era sconosciuta. La radio non è mai stata capace di sintonizzare una stazione FM per più di 5 secondi prima di perderla in gracchiamenti e fruscii vari. Il riproduttore di musicassette funzionava solo con le cassette C60 (che erano quelle con nastro sufficiente per 60 minuti), perché con quelle più grandi (C90 e C120) non ce la faceva a tirare il nastro, c’era così un effetto rallentatore che stimolava il vomito durante l’ascolto. Il piatto per i dischi di vinile, almeno quello, funzionava abbastanza bene, anche se avevo dovuto mettere con lo scotch una moneta da cinquanta lire sopra il braccino della testina per evitare che saltassero i dischi stessi.

    Ma la cosa più deprimente era la regolazione del tono e del volume. Il volume non potevo alzarlo più di tre quarti. A quel punto andavano in fruscio e distorsione le casse, la quali, lungi dall’essere minimamente di qualità, avevano quell’unico altoparlante interno mezzo scassato. Sarà per quello che ho iniziato a sentire musica hard rock, tanto ero abituato al suono distorto.

    Ma in questo quadretto da HiFi perfetto, le regolazioni dei toni erano la cosa peggiore. Ho sempre pensato che le manopole di regolazione dei bassi e degli alti fossero assolutamente finte. Fatte a Napoli come alcuni cellulari ai giorni nostri, che alcuni loschi figuri in tuta da operaio e scarpe di coccodrillo tentano

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1