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Unforgettable
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E-book429 pagine6 ore

Unforgettable

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Info su questo ebook

Che cos’è la felicità? Può durare in eterno o è solo una questione di attimi?
Una persona è felice quando si sente pienamente soddisfatta dei propri desideri, quando ciò che ha sempre sperato di avere si realizza concretamente.
Quanto dolori e preoccupazioni sono in grado di influenzare la felicità? E quanto il nostro passato è in grado di influire su chi realmente siamo o su ciò che vorremmo diventare?
Nora, neo-giornalista di venticinque anni, per un po’ si è davvero sentita felice. Aveva tutto quello che desiderava. Ma la vita, si sa, ti dà qualcosa nella stessa velocità con cui riesce a togliertela.
E questo Carter, avvocato di trent’anni, lo sa bene.
Con Carter e Nora la vita è stata ingiusta.
Ma il loro primo, burrascoso, casuale incontro a Istanbul rimescolerà le carte del destino fino a cambiare completamente le loro vite.
Scopriranno che talvolta basta un solo sguardo per legarsi a una persona speciale, ma che non basta una vita intera per dimenticarla.
Soprattutto capiranno che il vero valore è dato da poche cose importanti e queste cose in realtà sono le persone e che solo l’amore che ti tocca il cuore è indimenticabile e non chiede niente in cambio, nemmeno essere riamati.
“Unforgettable” è una storia che parla di rinascita e di come la vita sia sempre pronta ad aspettarti e a concederti un’altra occasione per ricominciare anche quando credi di avere perso totalmente la speranza.
In fondo, se non possiamo pretendere di essere amati, è altrettanto vero che nessuno può impedirci di amare qualcuno e di desiderare solo la felicità per quella persona. E così Nora imparerà che amare profondamente e genuinamente senza pretendere nulla in cambio è la più grande dimostrazione d’amore e di coraggio di sempre.
Ma fino a che punto si può arrivare per amore?

Marika D’Azzeo è nata nel 1994 a Milano, dove vive e lavora.
Le sue più grandi passioni sono la lettura, la scrittura, cucinare dolci e viaggiare.
Subito dopo le superiori ha vissuto un anno negli Stati Uniti ed è stato proprio lì che le è venuto in mente di scrivere un romanzo, ma l’ispirazione arriva l’anno scorso durante il suo viaggio a Istanbul, città affascinante e magica. Al rientro a Milano la forzata permanenza a casa per il Covid le ha offerto l’occasione per iniziare a scrivere, ed ecco “Unforgettable”, il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2021
ISBN9788830647381
Unforgettable

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    Anteprima del libro

    Unforgettable - Marika D’Azzeo

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile:

    Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere.

    Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    1

    Nella vita ho sempre avuto due grandi paure, il timore di rimanere bloccata in ambienti stretti, cosa che ho appurato quando a tredici anni sono rimasta chiusa con i miei nonni, per un tempo per me interminabile, in ascensore, e la seconda, che si sta giusto appunto verificando, e non di certo a causa mia, odio essere in ritardo.

    Non mi è mai piaciuta l’idea di dover fare aspettare qualcuno a causa mia; certo non mi piace neanche dover attendere qualcuno, ma, sicuramente, preferisco essere io quella che aspetta piuttosto che il contrario.

    Per questo motivo ho sempre pianificato tutti gli avvenimenti importanti della mia vita in modo tale da poter essere sempre pronta in largo anticipo. Sono sempre arrivata almeno mezz’ora prima ad un colloquio di lavoro, un paio d’ore prima dell’inizio di un esame ero già in università, sono riuscita ad arrivare perfino tre ore prima all’esame della patente.

    La stessa cosa non si può certo dire della mia migliore amica Sveva, al punto che, se esistesse una ricorrenza per celebrare i ritardatari cronici, potrebbe tranquillamente chiamarsi con il suo nome.

    Quando mi sono lasciata convincere a farmi portare da lei in aeroporto, invece di prendere la metropolitana come avrei voluto, in cuor mio, sapevo già che mi sarei agitata.

    «Considerando che il tuo volo parte alle dieci direi che riusciamo anche a fare colazione» la sua voce strillante interrompe i miei pensieri.

    «Considerando che a quest’ora dovrei avere già imbarcato i bagagli la colazione mi sa tanto che te la farai da sola.»

    «Considerando che arriveremo un paio d’ore prima direi che abbiamo tutto il tempo» ribatte lei fingendosi stizzita.

    «Considerando che siamo ancora nel traffico non credo arriveremo due ore prima.»

    «Nora, tesoro, stai tranquilla, è tutto secondo i tuoi piani, siamo in largo anticipo e, anche con questo traffico, arriveremo comunque due ore prima e avrai tutto il tempo per imbarcare i tuoi bagagli con calma, per bere un caffè, fumare una sigaretta e, con un po’ di fortuna, potrai anche essere la prima a salire sull’aereo.»

    «Ah-Ah-Ah la mia migliore amica è davvero simpatica» le dico fingendomi a mia volta offesa, mentre lei sentenzia che la colazione, devo offrirla io.

    Gli ultimi venti minuti di macchina li passo pensando a quanto mi mancherà la mia migliore amica, a quanto mi mancheranno le nostre cene, i nostri viaggi, il nostro essere praticamente inseparabili facendo quasi tutto insieme, anche le cose che non piacciono all’altra, e al nostro essere così unite pur essendo così diverse.

    Sono le 08:35 quando ci salutiamo dopo aver fatto colazione, che ovviamente, come spesso accade, ho davvero dovuto offrire io.

    «Mi mancherai tanto» mi dice Sveva mentre ci abbracciamo. «Anche tu, sei la mia famiglia» ribatto. E lei è davvero la mia famiglia e il mio punto fermo, e lo è ancora di più da quando ho perso i miei genitori, se non ci fosse stata lei non credo che ce l’avrei fatta.

    «Sono così fiera di te, e anche i tuoi sono sicura che se ci fossero lo sarebbero», mi dice lei visibilmente commossa.

    «Verrai presto a trovarmi vero?» le chiedo io stringendola più forte.

    «Che domande sono? Ovviamente verrò, anche se andassi dall’altra parte del mondo non potresti mai liberarti di me. Ora vai altrimenti rischi davvero di fare tardi, non sia mai che perdi l’aereo.»

    «Hai ragione» le dico, «Ti scrivo appena arrivo, grazie per il passaggio, per la colazione e per esserci sempre.»

    «Mi raccomando, scrivimi subito, ti voglio bene.»

    «Ti voglio bene anche io, a presto.»

    2

    Si può dire che fino a sei mesi fa la mia era una vita normale, piena e felice.

    Non ho mai avuto grossi problemi e mi sono sempre ritenuta una persona più che fortunata. Sono cresciuta in un bell’ambiente, da due genitori che mi hanno amata incondizionatamente, che mi hanno sempre aiutata e consigliata rispettando però le mie scelte.

    Sono cresciuta in una bella casa, una di quelle case che solo a guardarle profuma d’amore. Una di quelle case in cui regna sempre l’armonia e il buon umore.

    Mi sono laureata in scienze della comunicazione, ho studiato prima ad Ankara e poi, quando facevo il master, per un periodo, sono stata a New York.

    Studiare all’estero mi ha dato l’opportunità di imparare due lingue, il turco e l’inglese, che parlo abbastanza fluentemente, oltre al fatto di aprire la mente, conoscere nuove culture, vedere nuovi posti, fare nuove amicizie.

    Viaggiare ti arricchisce.

    Tornata in Italia ho iniziato a lavorare in un’azienda pubblicitaria.

    Fino a sei mesi fa ero felice. Avevo ottenuto esattamente tutto quello che volevo.

    A gennaio però la mia vita è cambiata. Un incidente si è portato via i miei genitori. Non ho neanche potuto dir loro addio.

    Così, in un istante la mia vita è cambiata, e mi sono ritrovata a dover affrontare le cosiddette cinque fasi del dolore: negazione, rabbia, negoziazione, depressione e accettazione.

    Non so bene a quale di queste fasi io sia arrivata, a volte mi sembra di essere ancora nel periodo in cui non credi che questo possa essere successo proprio a te, altre volte invece mi sembra come se avessi imparato a convivere con questo immenso dolore, altre invece mi sento profondamente arrabbiata, con Dio, con la vita, col mondo intero, perché loro non si meritavano di morire così. Penso che la rabbia sia il sentimento predominante negli ultimi sei mesi della mia vita.

    Poi ci ragiono e penso che è vero che loro non meritavano di fare questa fine, ma in fondo nessuno lo merita.

    Ad ogni modo, vivere senza di loro in quella casa era diventato impossibile. Quella casa non era più quella di una volta, ora era cupa e triste. Ogni angolo me li ricordava ed era diventato insostenibile stare lì.

    Onestamente mi sarebbe tanto piaciuto tornare a New York, visto che è il posto in cui ho sempre voluto vivere.

    Quando uno dei miei ex insegnanti, un paio di mesi fa, mi ha suggerito di proporre la mia candidatura alla Yale International Group, inizialmente non volevo accettare.

    Non ho mai preso in considerazione di poter lavorare in nessun posto che non sia Milano o New York.

    Ma vivere a Milano mi faceva stare male e avevo assolutamente bisogno di un cambiamento.

    Come diceva Albert Einstein: la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario, e si può dire che per me cambiare era diventato qualcosa di prima necessità, qualcosa di urgente che non potevo più procrastinare ma andava fatto.

    Decisi quindi di avanzare la mia candidatura e, per mia fortuna, poco dopo mi hanno offerto un posto come redattrice, posto che ovviamente ho accettato.

    Ho accettato, sì, ma non senza esitazioni.

    E ancora una volta devo ringraziare il mio professore se mi sono convinta.

    Ricordo ancora le sue parole: hai bisogno di un nuovo inizio Nora, di nuovi stimoli, di ricominciare, vedrai, ti piacerà, almeno provaci, se non va bene puoi sempre tornare indietro.

    Naturalmente devo ringraziare anche, e soprattutto, Sveva, il mio angelo custode, la mia super migliore amica.

    Prima dell’incidente ero una persona sempre allegra, sorridente, che provava a guardare il bicchiere mezzo pieno e mai mezzo vuoto.

    Si può dire che con i miei genitori se ne è andata anche una parte di me, ma penso che succeda a chiunque perda qualcuno di importante e io ho perso le due persone più importanti della mia vita. Penso quindi sia normale svegliarsi malinconici e affrontare le giornate come se queste non avessero più un senso.

    Ma, come mi dice sempre Sveva, io ci sono ancora, io sono ancora qua, e sono viva, e non posso permettermi di lasciarmi vivere ma devo tornare a vivere.

    E allora ho deciso di provare a farlo, se non per me, almeno per loro, che sicuramente vorrebbero vedermi felice.

    Ed eccomi qui, con tutte le mie paure, su un volo diretto a Istanbul, la mia nuova casa.

    Conosco abbastanza bene la Turchia. Ho vissuto ad Ankara, sono stata in Cappadocia, Bodrum, Smirne e Bursa, ma mai a Istanbul.

    Ci sono stati, però, i miei genitori in viaggio di nozze, quindi mi piace pensare che sia una sorta di segno del destino se, tra tutte le città in cui potrei vivere, ho scelto proprio Istanbul.

    Non sono mai stata il tipo di persona che crede nel destino, ho sempre creduto alle coincidenze e al fatto che siamo noi gli artefici del nostro destino, che una persona il destino se lo crea in base alle proprie scelte di vita.

    Così, facendo un bilancio della mia vita, anche se mi ritrovo a soli venticinque anni senza i miei genitori, anche se la vita mi ha tolto tanto, ho comunque deciso di prendere il bello, di guardare il lato positivo, di darmi questa specie di opportunità di rinascita su cui aggrapparmi, rincominciare e reinventarmi.

    3

    Sei ore dopo, sono finalmente atterrata, ho ritirato i miei bagagli e sono seduta sul taxi che mi porterà alla mia nuova casa, sempre che ci arrivi tutta intera, vista la guida alquanto discutibile del tassista: più che in macchina mi sembra di stare sulle montagne russe.

    Durante il tragitto mi vengono almeno una decina di spaventi e non vedo l’ora di scendere, mentre lui, molto tranquillamente, fuma una sigaretta dietro l’altra, offrendomene addirittura una.

    Mi ero dimenticata che in Turchia si fuma praticamente dappertutto, sui taxi, nei bar, nei ristoranti.

    La Yale è un’emittente televisiva, una delle più prestigiose in Turchia, un’azienda privata attiva nell’ambito dei media e delle comunicazioni.

    La mia futura coinquilina, Julia, è nata ad Amburgo. Sua madre è turca e si sono trasferiti ad Ankara per lavoro quando lei era piccola.

    Ha una sorella e un fratello più grandi.

    Anche lei lavora alla Yale, ma nelle risorse umane, e ci siamo conosciute perché ha selezionato il mio profilo fra tanti.

    Dopo qualche chiacchierata, le ho detto che stavo cercando casa e, siccome sua sorella, con la quale condivideva l’appartamento, stava per tornare ad Amburgo per lavoro, allora mi ha offerto di prendere la sua stanza.

    Per quel poco che la conosco Julia mi piace, mi ha fatto una buona impressione già dal colloquio iniziale, mi è sembrata molto gentile e affabile, e sono contenta di vivere con qualcuno che lavora con me, perché sicuramente mi aiuterà ad ambientarmi con più facilità.

    «Siamo arrivati, Signorina, sono duecento lire» mi dice il tassista.

    Dopo averlo ringraziato per avermi aiutato con le valige, avrei voluto ringraziarlo anche per questo giro gratis sulla giostra ma ho evitato, lo saluto e gli auguro buona giornata.

    Dall’altra parte della strada, davanti a una bella palazzina color mattone c’è una bella ragazza, alta, capelli lisci, lunghi e castani, che mi sorride calorosamente. Deduco sia Julia.

    Attraverso la strada sorridendole a mia volta.

    «Ciao, sono Nora De Angelis, tu devi essere Julia» le dico tendendole la mano.

    «Ciao, esatto, piacere di conoscerti, sono Julia Hermann» mi risponde lei, stringendomi la mano. Poi continua: «spero non ti dispiaccia se sono scesa ad aspettarti ma, essendo noi al terzo piano e senza ascensore, ho pensato che con tutte queste valige ti avrebbe fatto comodo una mano.»

    Julia mi sa che il tuo secondo nome è Gentile. Ancora non la conosco ma già mi piace.

    «Certo, anzi ti ringrazio per il pensiero.»

    Il nostro appartamento, il 7D, è molto accogliente. C’è un buon profumo, credo sia arancia e cannella. Non faccio in tempo ad entrare in casa che la prima cosa che noto è quanto sia ordinata Julia, altra cosa in comune, considerato quanto io sia maniaca dell’ordine.

    C’è una cucina con la sala insieme e un bel terrazzo, un corridoio che porta a due camere da letto, due bagni e una lavanderia.

    Le pareti sono tutte color rosa antico, quindi mi sento un po’ come se fossi nella casa delle bambole con cui giocavo da piccola, però più guardo questa casa nel complesso e più questo colore non mi dispiace. È ben arredata e c’è molta luce.

    La mia camera è molto spaziosa ed essenziale e dalla grande finestra si vede il mare.

    Dopo aver declinato l’invito di Julia ad andare a cena con lei e alcuni suoi amici, lei mi saluta ed esce.

    Decido di prepararmi un tè. Sono un’amante di tè, tisane e infusi, ma il tè turco è una delle cose che mi è mancata di più della Turchia, credo sia il più buono in assoluto. Ha un sapore diverso, più intenso.

    Passo tutto quel che rimane del pomeriggio a disfare i bagagli e a sistemare la mia stanza.

    Dopo essermi fatta una doccia e aver mangiato un sandwich con burro d’arachidi e marmellata, mi metto finalmente a letto, accendo la televisione, scambio qualche messaggio con Sveva, faccio un po’ di zapping e inizio a guardare Harry Potter e la camera dei segreti, uno dei miei film preferiti, ma mi addormento quasi subito.

    4

    È domenica, sono solo le otto del mattino e, dopo aver tentato inutilmente di usare la macchinetta per farmi un caffè, sono già fuori casa pronta ad iniziare la mia corsetta mattutina. Ho impostato il navigatore in modo tale da poter correre lungo la costa.

    Tra tutte le cose che avrei potuto dimenticare a Milano, non avrei mai immaginato che la moka sarebbe stata una di quelle. Devo assolutamente farmi spiegare da Julia come si usa la macchina del caffè. Non sono una gran bevitrice di caffè, preferisco di gran lunga il tè, ma non può mancare nella mia colazione, non carburo senza caffè.

    È luglio e siamo quindi in piena estate ma, sarà forse perché sono sul mare e c’è una bella arietta, si sta veramente bene.

    Scelgo una delle mie playlist su Spotify e inizio a correre.

    La prima canzone è Fear for nobody dei Måneskin, una delle mie preferite.

    Non sono mai stata una gran sportiva; ho provato praticamente quasi tutti gli sport possibili e immaginabili, ma non mi sono mai appassionata a nessuno.

    Danza, ginnastica artistica, nuoto, pallavolo, basket, kickboxing, andavo perfino a karate con una mia amica quando avevo dieci anni, ma non sono mai durata più di qualche mese.

    Ma correre è tutta un’altra storia. Correre mi provoca un mix di sensazioni, mi fa sentire viva, libera la mente dai miei pensieri ma allo stesso tempo me la schiarisce.

    Tutto questo mi fa pensare a Sveva e al parco vicino casa sua dove siamo sempre andate a fare jogging.

    Lei, al contrario, è una super sportiva. Yoga, crossfit, nuoto, hiking, pattinaggio, insomma li pratica tutti lei gli sport. Forse è per questo che è sempre iperattiva e non è capace di stare ferma per più dieci minuti.

    Ed è stato con lei che ho iniziato a correre un paio di anni fa. E da allora non ho più smesso.

    Più percorro la costa e più devo ammettere che mi affascina quello che vedo. Pescatori, baracchini che vendono simit, gente che corre, proprio come me, e che fa il bagno da un lato e macchine dall’altro. Il cielo color pastello fa da cornice a questo bellissimo panorama.

    Sono così intenta a guardarmi in giro che non mi accorgo di una buca davanti a me e ovviamente la centro in pieno cadendo a terra.

    Mi ritrovo carponi mentre due mani grandi e ben curate mi aiutano a rialzarmi.

    «Tutto bene? Ti sei fatta male?» mi chiede una voce gentile.

    Alzo la testa, sto per rispondergli ma rimango incantata. Lui è giovane, sulla trentina credo, alto quanto basta, capelli castani, leggermente mossi, folti e graziosamente spettinati, spalle larghe, un corpo atletico come quello di un nuotatore. Dire che è bellissimo non credo sia abbastanza. Non gli renderebbe giustizia. È semplicemente perfetto.

    Sorriso enigmatico e denti bianchissimi ma, la cosa che più mi colpisce, sono i suoi occhi.

    Sono grandi e marroni. All’apparenza sembrano un paio di occhi qualsiasi, ma in realtà sono profondi e misteriosi allo stesso tempo, come se fossero velati da un’ombra ma contemporaneamente molto intensi. Come se ci fosse un mondo da scoprire dietro a quegli occhi.

    Non riesco a smettere di guardarlo. Ci metto qualche istante per riprendermi e trovare la voce per rispondere alle sue domande. La potenza del suo sguardo mi disarma.

    «Sto bene grazie», è tutto quello che riesco a dirgli.

    A giudicare da come è vestito deduco stia facendo jogging anche lui.

    «Come hai fatto a non vedere la buca?»

    «Non lo so, in effetti è una buca profonda, ero distratta e guardavo altrove.»

    «Guardavi me?»

    La sua domanda mi lascia interdetta, alquanto esterrefatta. Occhi Belli è decisamente sfacciato e pieno di sé.

    «Se così fosse puoi dirlo sai? Volevi attirare la mia attenzione? Non avrei nessun problema al riguardo» continua lui con quel sorriso compiaciuto. Occhi Belli è anche arrogante.

    «E perché avrei dovuto guardarti? O voler attirare la tua attenzione? Comunque mi dispiace disattendere le tue aspettative, ma non era te che stavo guardando, bensì il mare.»

    «Da dove vieni?»

    Ma che domande fa? Invece di chiedermi come mi chiamo mi chiede da dove vengo. Occhi Belli è pure strano.

    «Perché me lo chiedi? E se fossi turca?» lo incalzo.

    «Non puoi essere turca. Parli bene la lingua ma hai un accento diverso, si sente che sei originaria di un altro paese. E poi sei bionda, hai la pelle molto chiara, non hai i classici tratti turchi, quindi non puoi esserlo.» La sua risposta mi fa pensare che anche lui deve avermi guardato bene. Osservatore attento, non trascura i dettagli, proprio come me.

    «Che analisi dettagliata in così pochi minuti, i miei complimenti. Comunque hai ragione, sono italiana.»

    «Non c’è più pazzo al mondo di chi crede d’aver ragione» mi risponde lui, con un italiano perfetto.

    Sono piacevolmente sorpresa e anche incredibilmente incuriosita da Occhi Belli.

    «Pirandello? Come conosci così bene l’italiano?»

    «Conosci questa citazione?» replica lui.

    «Non ti hanno insegnato che non si risponde mai ad una domanda con un’altra?»

    «Parlo italiano perché ho studiato in Italia e sì, conosco Pirandello perché sono un appassionato di letteratura» anche io amo la letteratura, Occhi Belli, abbiamo qualcosa in comune.

    «E tu che ci fai qui a Istanbul? Sei in vacanza? Quanto ti fermi?»

    «Sei solito fare tutte queste domande ad una persona che neanche conosci?» Ho come l’impressione di averlo in qualche modo offeso, ma non ne sono sicura.

    «Mi dispiace, non era mia intenzione essere invadente, ero solo interessato, tutto qua.»

    La sua risposta, non so perché, ma mi fa sentire in colpa. Forse ho esagerato, voleva solo iniziare una conversazione, in fondo non mi ha chiesto niente di che.

    «Senti, devi scusarmi ho iniziato la giornata senza bere caffè, non riuscivo a far andare la macchinetta, non ho trovato un bar aperto e quando non lo bevo tendo ad essere scontrosa. Non sei stato invadente, sono io che sono nervosa perché vorrei un espresso e poi sono caduta nella buca e la mia giornata è peggiorata» ma quante giustificazioni gli sto dando? Da quando parlo così tanto? Forse sono un po’ in imbarazzo, non saprei, solo non parlare così tanto, Nora, accidenti!

    «Ci vieni in un posto con me?» mi chiede lui.

    Ho capito bene? In un posto? Con lui? Ma che dice? Mi prende in giro spero.

    «In un posto con te? Dove vorresti andare?»

    «In un posto che servirà a migliorare la tua giornata» dice.

    «Dovrei venire con te, ma io non ti conosco, non so nemmeno il tuo nome» questo suo invito non mi piace, o forse mi piace?

    «Ha importanza?»

    «Be’ direi proprio di sì. Ti conosco da cinque minuti, perché dovrei fidarmi a venire con te? Per quello che so potresti essere un malvivente e avere cattive intenzioni.»

    «La maggior parte delle cose più belle che facciamo, quelle che tendiamo a ricordarci per sempre, sono quelle che nel momento stesso in cui decidiamo di farle non le conosciamo» mi risponde lui e continua «e comunque il posto in cui vorrei portarti è qui vicino e c’è sempre gente, quindi puoi stare tranquilla.»

    «Di chi sarebbe la citazione questa volta?»

    «È mia. Quindi? Che vuoi fare?»

    Il mio istinto mi dice di andare. La ragione ovviamente no.

    «Ok. Andiamo» replico io. Non avevo dubbi che l’istinto avrebbe prevalso sulla ragione.

    Stiamo camminando da circa dieci minuti, la camminata più silenziosa che abbia mai fatto con qualcuno, così silenziosa che sembra quasi che stia camminando da sola, quando si ferma davanti a questa caffetteria-ristorante e mi fa segno di entrare.

    Dopo che ha salutato quello che deduco essere il proprietario usciamo e andiamo a sederci in uno dei tavoli all’aperto.

    È una terrazza sul Bosforo con vista sulla moschea e sul ponte.

    Sicuramente il Bosforo regala al locale una magia che altrimenti non avrebbe avuto, ma è comunque una location molto curata e accogliente. Ci sono tulipani ovunque che danno vivacità e infondono spensieratezza e allegria e musica in sottofondo.

    «Questo è il posto migliore se vuoi bere un espresso a Istanbul. Non è comunque paragonabile a quello italiano, ma l’aroma è intenso. Se hai fame, ti consiglio la torta di more e cioccolato fondente, è la loro specialità» mi dice lui.

    Sono qui da nemmeno un giorno e mi ritrovo seduta di fronte ad un estraneo che mi consiglia cosa mangiare, direi che è surreale. Queste sono le cose che farebbe Sveva, non io.

    «Vieni spesso qui?» gli chiedo.

    «Più o meno. Il proprietario è un mio amico, andavamo a scuola insieme. E poi questo posto ha un’ottima vista.»

    Sto per rispondergli ma vengo interrotta dal cameriere venuto a prendere le nostre ordinazioni.

    Prendiamo due espressi e due porzioni di torta more e cioccolato fondente e una bottiglia d’acqua gassata.

    «Allora che ne pensi? Ti piace?» mi chiede lui.

    «Il caffè non è male ed è anche abbastanza forte, mentre la torta è davvero buona, si sente che il cioccolato fondente usato è di qualità.»

    «Sei una gourmet» dice, con un sorriso che mi fa pensare che mi stia prendendo in giro.

    Continua a guardami mentre mangiamo, uno sguardo che mi mette a disagio, come se volesse leggermi dentro. Mi sento così osservata che faccio fatica a mangiare.

    «Che bella questa canzone» gli dico, cercando di tirare fuori un argomento di conversazione.

    «If the world was ending» mi risponde.

    «La conosci?»

    «Sì, piace anche a me.»

    Appoggia i gomiti sui braccioli della sedia senza smettere di guardarmi. Il suo sguardo mi fa sentire come quando sogni di essere in classe davanti alla lavagna pronta per l’interrogazione ma scopri di essere senza vestiti e tutti i tuoi compagni iniziano a ridere di te.

    «Quindi cadendo speravi di attirare la mia attenzione?»

    Eh? Ma che dice? La sua domanda mi fa andare di traverso la torta, per poco non soffoco.

    La mia reazione lo fa sogghignare.

    La sua risata mette in evidenza due fossette sulle guance.

    Non le avevo notate prima, forse perché è la prima volta che lo vedo ridere.

    Ho letto da qualche parte, tempo fa, che alle persone con le fossette piacciono i cambiamenti, sono instabili e infedeli. Chissà se lui è così. Chissà che tipo di persona è.

    Ad ogni modo mi piacciono le sue fossette.

    Fossette o non fossette, questa sua sicurezza mi innervosisce. Sto per ribadirgli che non è così, ma mi interrompe. Deve aver capito che sono stizzita.

    «Stavo solo scherzando, davvero. Comunque, parlami un po’ di te.»

    Mi stringo nelle spalle sconcertata da questa sua curiosità.

    «Cosa vuoi sapere? Comunque, non ho bisogno di attirare la tua attenzione.»

    «Cosa ci fai a Istanbul?»

    Ignora completamente la mia affermazione.

    «Ci vivo.»

    «Da quanto? Sicuramente sei qui da un po’, visto come parli bene il turco.»

    «Da ieri.»

    «Hai studiato turco?»

    «No. Ho vissuto ad Ankara un anno. Ho vinto una borsa di studio per un Erasmus.»

    «Una borsa di studio? Eri una nerd? Una delle migliori del tuo corso? Cosa hai studiato?» Piega la testa di lato, incuriosito.

    «Ho studiato scienze della comunicazione e no, non ero una nerd, però ero brava. Ho avuto la fortuna di conoscere Alice, lei era una nerd. Ci siamo incontrate per caso un paio di settimane dall’inizio delle lezioni, siamo diventate subito ottime amiche, lo siamo tutt’ora anche se lei vive a Londra e io qui, lei mi ha aiutato tanto a studiare, è stata la mia salvezza e niente, questo è quanto.»

    «Scienze della comunicazione? Marketing, editoria e giornalismo, comunicazione politica, sei una creativa?»

    «Più o meno.»

    «Quanti anni hai?»

    Quanti anni ho? Mi chiede quanti anni ho ma non come mi chiamo. Un tipo atipico Occhi Belli.

    «Ne compio venticinque il tre settembre. Tu?»

    «Trenta.» Piega la testa di lato, l’ombra di un sorriso sulle labbra.

    Visto la quantità di domande che mi ha fatto direi che è arrivato il mio turno.

    «E tu invece?» gli chiedo.

    «Io cosa?» mi dice guardandomi inquieto.

    «Cosa mi dici di te?»

    «Non c’è molto da dire su di me.» Io invece vorrei sapere tutto.

    Il suo sguardo è così intenso che sento lo stomaco contorcersi.

    Distolgo gli occhi dal suo esame accurato e li abbasso sulle mie dita intrecciate. Li rialzo e iniziamo a guardaci intensamente per un lasso di tempo indefinito, fino a quando non gli squilla il telefono.

    Trascorso qualche secondo, si scusa con un cenno della mano, si alza e si allontana.

    Non lo conosco, ma noto subito come ricevere questa chiamata abbia cambiato il suo umore.

    Torna al tavolo ma non si siede.

    «Dobbiamo andare. Non mi ero accorto ma è quasi mezzogiorno e ho un pranzo di famiglia che mi aspetta.»

    Non so perché ma mi consola il fatto che debba pranzare con la sua famiglia e non con la sua fidanzata. Ciò non toglie che potrebbe esserci anche la sua fidanzata.

    Mentre mi alzo lui paga il conto.

    «È stato un piacere» dice lui, sorridendomi, anche se con un sorriso diverso dagli altri. La telefonata deve averlo turbato in qualche modo, lo avverto dal viso contratto che prima non aveva.

    «Grazie per la colazione» ribatto.

    «Alla prossima» mi acciglio a questa sua affermazione.

    «Alla prossima? Non so neanche il tuo nome» gli dico sperando che me lo dica.

    «È importante? Se il destino lo vorrà ci rincontreremo.»

    «Siamo noi gli artefici del nostro destino.»

    «Abbi fede. Il destino, a volte, ha più fantasia di noi. Alla prossima.»

    Non faccio in tempo a rispondere che lui, Mr. Occhi Belli, se ne è andato.

    5

    Una domenica mattina insolita.

    Il destino, a volte, ha più fantasia di noi.

    Fantasia? Come si fa a pensare di potersi rincontrare così, per puro caso, grazie al destino? Ma soprattutto in una città con quindici milioni abitanti, neanche un miracolo ci farà rivedere.

    Nessun uomo mi ha mai fatto questo effetto prima di Mr. Occhi belli. Sarà forse a causa di questo suo lato misterioso? Non so niente di lui, neanche come si chiama, eppure non saprei come spiegarlo, ma sento che mi ha lasciato qualcosa, anche se di preciso non riesco a capire cosa. Una sensazione strana. Molto strana.

    Certo è che, chiunque lui sia, è un uomo molto attraente, sicuro di sé e a suo agio con sé stesso, il tipo di persona che sa di piacere e se ne compiace.

    Per non parlare di tutte le domande che mi ha fatto e di tutte le risposte che non ho avuto.

    Non ho potuto chiedere niente.

    Come è possibile che una persona mi faccia questo effetto senza sapere niente?

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